La destra e gli ebrei
Almirante, Israele e il sionismo che covava sotto la storia della destra
Marina Valensise
Si prendano un po' di tempo per leggere l'ultimo libro di Gianni Scipione Rossi
("La destra e gli ebrei", Rubbettino, 302 pagine, € 16) coloro che storcono il
naso davanti al "nuovo" corso della politica pro-israeliana di AN, giudicano
Gianfranco Fini un opportunista. Questo libro offre un inventario di tutte le
posizioni assunte in seno alla destra sugli ebrei, la persecuzione, il sionismo
e lo Stato d'Israele negli ultimi sessant'anni. È un lavoro di scavo, che senza
perdersi nei concetti si limita a riesumare fatti, documenti, riviste
introvabili, dichiarazioni e giudizi sul passato regime e i suoi orrori.
Dimostra, fra l'altro, come il pregiudizio antisemita nella destra neofascista
sia più l'effetto di una sovrapposizione ex-post, compiuta da pensatori radicali
come Julius Evola o dai figli dei reduci di Salò, come Adriano Romualdi, nella
loro ricerca di valori solenni come il coraggio, la gerarchia, coi quali
combattere la mediocrità dei tempi, che non un'eredità politica indiscussa.
Intendiamoci, Rossi non ha intenti apologetici. Muove sul filo dell'accertamento
filologico e per questo il suo racconto risulta ancora più imbarazzante. Ma ha
il merito di dare un nome a fatti, idee e circostanze, e ricostruire così nelle
sue varie forme, ambigue o incerte, generose o reticenti, la rielaborazione
dell'antisemitismo fascista e della persecuzione antiebraica nella destra
italiana. Ricorda, per esempio, la rimozione del dopoguerra, quando i gerarchi
di Salò come Piero Pisenti, il ministro dell'Educazione Biggini, o l'ultimo
federale di Milano Vincenzo Costa, si misero a sottolineare di aver mitigato gli
effetti delle leggi razziali al mito del buon fascista, «antisemita sì, ma senza
convinzione».
Ma ricorda anche i tanti italiani ebrei che in nome dello Stato risorgimentale e
dell'emancipazione aderirono al fascismo e ne caddero vittima: Aldo Finzi, che
era uno dei nove deputati fascisti del 1921, membro del Gran Consiglio, espulso
dal partito nel 1942, fucilato alle Fosse Ardeatine, l'editore Formiggini,
suicida nel 1938, il generale Guido Liuzzi, Emilio Foà che diceva ai figli di
restare fascisti, ma nel 1938 si suicida, Tullio Terni accademico ai Lincei,
epurato sia nel 1938 sia nel 1945 in quanto fascista, e morto suicida nel primo
anniversario della Liberazione.
La riflessione sulla campagna razziale precedette la nascita del Movimento
Sociale Italiano, e iniziò nell'agosto 1946 sul primo numero di "Rataplan", il
settimanale di Nino Tripodi, dove se ne poteva trovare un'interpretazione
geostrategica: «Non fu per supina acquiescenza a ordini tedeschi, bensì per la
speranza, meglio, per il calcolo politico sui vantaggi ottenibili in Medio
Oriente in caso di guerra. Un calcolo che in pratica si rivelò sbagliato, e
comunque meno infame di una brutale ubbidienza a ordini di Hitler, ma pur sempre
un'azione ridicola in fatto di premessa scientifica razziale, e maledetta e
cattiva, quando arrivò a colpire i bambini espulsi dalle pubbliche scuole, alti
funzionari, ineccepibili ufficiali e il sacramento del matrimonio».
E Rossi sottolinea pure come, malgrado la rimozione, l'ambiguità e la ricerca di
attenuanti, la destra missina non aspettò la metamorfosi di Alleanza Nazionale
per ripudiare l'antisemitismo fascista: filoisraeliana sin dal 1948, prosionista
in nome dei valori dello Stato e del socialismo, con Giano Accame inviato de "il
Borghese" a Gerusalemme all'inizio degli anni Sessanta, si schiera con Israele
nella guerra dei Sei giorni del 1967, che segna la svolta nella politica dei due
blocchi, con la rottura diplomatica tra Mosca e Gerusalemme, e nella guerra del
Kippur del 1973.
Quanto al retaggio del passato, il nuovo corso di Fini non è una novità.
Trent'anni prima di lui fu Giorgio Almirante, nel 1972 a riconoscere in
televisione «i valori di libertà della Resistenza», e condannare le leggi
razziali. Il che gli valse la violenta reazione di Julius Evola di fronte al
«non simpatico cedimento», e una difesa del razzismo a sfondo antisemita che
oggi firmerebbe soltanto un intellettuale di sinistra come Alberto Asor Rosa:
«Le deprecabili persecuzioni subite dall'ebreo non autorizzano a farne un essere
sacrosanto, a cui ci si debba avvicinare solo con venerazione».
Marina Valensise
il COMMENTO di Giorgio
Vitali:
La breve presentazione del libro di Scipione Rossi ci offre la
possibilità di un commento, di necessità molto breve. L'evoluzione
della politica in questo lungo dopoguerra ci ha dato la possibilità
di comprendere alcuni meccanismi psicologici che hanno valenza
sociale. La Società del XX secolo è indubbiamente frutto
dell'intersecazione di molteplici componenti che è inutile elencare.
Fra questi, indubbiamente, l'interferenza delle ideologie che hanno
rappresentato una componente essenziale del novecento. Per meglio
dire, le ideologie, nate nell'ottocento, ma come idee e prospettive
politiche, si sono cristallizzate in autentiche fedi d'impianto
religioso, per cui (e lo vediamo oggi coi post-comunisti) non è
possibile instaurare un dialogo che tenga conto della realtà civile
e delle esigenze fondamentali di questa. Il fallimento del prodiano
centro-sinistra, di fronte allo pseudo concretismo berlusconiano di
stampo attivistico-milanese, ne è la prova. Questo affermiamo perchè
di fronte al problema ebraico le interpretazioni del passato e del
presente sono sistematicamente sballate, perchè si danno per
scontate -e dimostrate- molte dichiarazioni (peraltro SEMPRE di
parte), testimonianze, studi, ricerche del tutto false.
Dimostratamente, malgrado persecuzioni di varia intensità, false.
Per fortuna alcuni studiosi, fra i quali Mauro Manno, hanno
dimostrato che durante il novecento la questione ebraica non è stata
affrontata, da tutte le Nazioni senza eccezione, come la maggioranza
delle persone sono portate a credere a causa dell'indottrinamento
ricevuto dagli anni sessanta in poi (esattamente da quando è
iniziata la campagna mediatica con epicentro Hollywood per
l'affermazione del mito olocaustico funzionale al mantenimento dello
Stato di Israele).
Per comprendere appieno il fenomeno, occorre seguire con attenzione
la nascita e lo sviluppo della religione cristiana. Oggi è molto
difficile, anche per lo persone munite di cultura idonea,
comprendere il significato di una dottrina religiosa che nasce, si
sviluppa e si diffonde nell'arco di 500 e più anni prima di una
completa affermazione nell'area imperiale romana, pur essendo stata
facilitata da Costantino in poi, in quanto funzionale al sistema
politico imperiale. E tuttavia occorre tener presente alcuni
elementi cardine: Clemente Alessandrino (150-215), intellettuale
ellenistico, che costruisce la figura di Gesù come ebreo della
Palestina; Filone Alessandrino altro intellettuale ellenistico,
fiorito il primo secolo dopo Cristo, che applicando il metodo
allegorico, (metodo interpretativo razionalistico), alla Bibbia
inserisce quest'opera nel corpus dottrinario del cristianesimo.
Agostino, fiorito fra il 354 ed il 430 dopo Cristo, considerato «il»
padre della Chiesa, per non dire di Tommaso d'Aquino, (1230-1274).
Per non dire, fra le migliaia, di Gregorio di Nissa, Giovanni
Grisostomo, Giovanni Damasceno, nonchè il filone parallelo del
neoplatonismo pagano, interpretato in primis da Plotino e da
Porfirio. Insomma, si tratta di una elaborazione lentissima, con
continui apporti filosofico-dottrinari, scandita da Concilii che
sancivano la vittoria di una delle molte correnti dottrinarie
antagoniste e conseguenti stragi e vendette atroci.
Oggi, questo elaborato è presente alla mente di pochissime persone.
Per tutto il resto il cristianesimo, eresie e scismi a parte per cui
esistono sottoreligioni e sottosette che vantano ciascuna l'eredità
diretta nientemeno che da Cristo stesso, è un corpo unico, sempre
uguale a sè stesso, perchè RIVELATO una volta per tutte in epoca
imprecisata ed imprecisabile. Vale la pena di sottolineare che a
tutt'oggi è lo stesso papa teologo Ratzinger che ha sentito il
bisogno di scrivere un libro nel quale afferma che... Cristo è
realmente esistito... Ma non è il solo. La polemica sulla "reale"
esistenza di Cristo, come se tale presenza, in epoca imprecisata ed
in un ambiente non ben definito, costituisca elemento "essenziale"
per l'affermazione di una fede che in sè stessa non abbisognerebbe
di tante attenzioni (si pensi a Rama, Krishna, Ermete, Mosè, Orfeo,
Pitagora, Mithra) tant'è vero che il cristianesimo gnostico ignora
questa esigenza di una dimostrazione dell'esistenza carnale di Gesù.
Guardando pertanto in controluce la storia della nascita del
cristianesimo possiamo scorgervi un numero enorme di somiglianze con
la storia della nascita del mito ebraico-olocaustico per cui il
rapporto del fascismo e del nascismo con gli ebrei è stato sempre
conflittuale. Nulla di più falso. E lo stesso possiamo affermare per
il comunismo, nelle sue varie accezioni fino allo stalinismo, al
titoismo, alle altre manifestazioni della sinistra centro-sud
americana. Mentre per Stalin possiamo far risalire l'inizio
dell'attività politica alla compilazione, affidatagli da Lenin,
sulle nazionalità ["Il marxismo ed il problema nazionale", 1913] e
quindi sull'ebraismo, il rapporto del fascismo e del nazismo con
l'ebraismo è stato determinato essenzialmente dal rapporto con il
Sionismo. Questo rapporto ha condizionato gli atteggiamenti fascisti
e nazisti nei confronti degli ebrei e dell'ebraismo, così come il
rapporto fra le organizzazioni ebraiche internazionali, filo e anti
sioniste esse fossero, ha caratterizzato la politica della Gran
Bretagna nel Vicino e Medio Oriente.
Posizioni ideologiche espresse da alcuni intellettuali centro
europei ed italiani (J. Evola) esulano da una geopolitica fascista
che è sempre stata motivata da esigenze di politica estera
mediterranea. [Favorevole al Sionismo quand'esso era filo fascista
(Jabotinsky) contrario quand'esso sposava in pieno la politica
imperialistica anglosassone].
Giorgio Vitali
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