Arturo
Reghini tra fascismo e tradizione
Roberto Sestito
1. Mi propongo con questo scritto di prendere in considerazione le opere di
Arturo Reghini (1878-1946) che riguardano il campo meta-politico.
Altrove mi sono occupato della vita e dell'opera filosofica e matematica di
questo scrittore e rimando il lettore desideroso di approfondire ai volumi
elencati nel sito dell'Associazione Culturale IGNIS: (
http://www.ignis.xpg.com.br )
L'esame di alcuni testi di carattere politico mi permetterà di esaminare gli
aspetti del pensiero di R. sulla tradizione in generale e di evidenziarne i
punti di contatto e di divergenza col pensiero di Julius Evola (1898-1974) e di
Rene Guenon (1886-1951) che sono considerati insieme a Guido De Giorgio
(1890-1957) gli autori più versati negli studi tradizionalisti.
Nella maggior parte dei casi ho preferito un'esposizione testuale e lasciare la
parola allo stesso Reghini. Si tratta in realtà di testi difficili da riassumere
e i brani riportati permetteranno al lettore di rendersi conto da solo della
lucidità e della profondità del pensiero reghiniano.
Preso atto del fallimento politico e dello sconfortante epilogo che il pensiero
evoliano e in parte anche quello guenoniano hanno avuto tra i militanti di
destra, con questo saggio mi propongo di fornire specialmente ai più giovani,
senza alcuna distinzione di destra o sinistra, anzi nello spirito di un
superamento di queste fittizie contrapposizioni ideologiche, uno strumento di
meditazione e di azione meta-politica col quale ricominciare la ricostruzione
morale e politica dell'Italia, umiliata dalla sconfitta militare dell'ultima
guerra e governata da regimi politici succubi dello straniero occupante.
2. Ecco i pilastri del pensiero politico reghiniano:
a. il paganesimo, gioioso e tollerante, eclettico e pragmatico e più
particolarmente il pitagorismo e la tradizione dei Misteri;
b. l'imperialismo, con un' estensione storica e politica che include il
ghibellinismo, il pensiero di Dante e il concetto di "gerarchia";
e. il nazionalismo che non si oppone all'idea imperialista e la cui origine va
ricercata nella tradizione di Roma e nell'unità geografica e politica
dell'Italia.
Il tutto sotto l'usbergo di una Scuola o tradizione italica che non è altro che
la continuazione, a volte palese, a volte occulta, della Scuola Pitagorica.
Eviterò di parlare della massoneria filosofica perché, per quanto essa abbia
avuto grande importanza nella vita di Reghini, da questi era vista in maniera
diversa dai massoni del suo tempo, come una derivazione degli antichi misteri
pagani e della dottrina pitagorica e quindi funzionale al suo disegno politico
imperialista.
Ai suddetti tre termini positivi Reghini oppone:
a. il cristianesimo, triste e intollerante, dogmatico e sentimentale, asiatico;
b. il guelfismo e il clericalismo che rappresentano l'invadenza della religione
negli affari dello Stato, la democrazia e l'umanitarismo, questi due ultimi
creature della rivoluzione francese;
e. l'internazionalismo, spesso identificato a quello della Chiesa e dei gesuiti,
in risposta ai nazionalisti guelfi che identificavano l'internazionalismo
soltanto a quello della massoneria.
Cercherò adesso di riassumere la sua visione meta-storica. La tradizione per
eccellenza è la "tradizione occidentale" , intesa come una forma appartenente ai
popoli europei ed opposta pertanto alle tradizioni orientali asiatiche,
levantine,semitiche con tutte le varie sfumature che le caratterizzano.
La "tradizione occidentale" risale alla tradizione primordiale, iperborea, da
cui discende attraverso i canali del pitagorismo, del mondo greco, egiziano poi
ellenistico, fino a Roma, l'ultima manifestazione, la più alta.
Vinta, ma non annientata dal cristianesimo, la tradizione occidentale pagana ha
continuato a vivere come una potente corrente sotterranea, facendo da supporto a
movimenti politico-spirituali come il ghibellinismo nel Medio Evo, una sorgente
inesauribile a cui attinsero diverse organizzazioni iniziatiche: ermetisti,
templari, Fedeli d'Amore, Rosa-Croce, massoni ecc. i cui diversi esponenti
furono sistematicamente perseguitati dalla chiesa.
Tradizione, sia ben chiaro, presente in tutte le nazioni d'Europa anche se
l'Italia, ci tiene a precisare Reghini facendo suo il mito di Saturno, ha
conservato e nel quale si è occultato il centro propulsore.
Roma, infatti, è stata la capitale di un Impero ed il cristianesimo, nemico di
quell'Impero e dei culti che in esso si praticavano, si oppose sempre, con
l'aiuto di potenze non italiane come Francia, Germania, Spagna ecc, alla
riunificazione politica dell'Italia.ed alla proclamazione di Roma capitale
d'Italia.
E poiché Pitagora, benché di lingua e di cultura greca, si riteneva fosse di
origini toscane ed in Italia aveva fondato la sua Scuola, la "tradizione
occidentale" è una "tradizione italica" e Napoleone, di famiglia italiana, è
esaltato come una delle ultime espressioni della tradizione imperiale e pagana.
Tra questi due casi estremi dal punto di vista cronologico Reghini fa i nomi di
numerosi uomini celebri e dichiara nell'infuocato clima politico di allora che
un vero nazionalista "deve volere al disopra di tutto il bene della nazione ".
"Se l'Austria resta sempre la vecchia Austria clericale, in ottimi rapporti con
la Compagnia [di Gesù], la Francia, dopo aver corso di cadere nelle mani dei
clerico-militaristi a causa dello sfortunato caso Dreyfus, è anch'essa nemica
dell'Italia, anche se ora manovra per il tramite della massoneria e della
democrazia" ("Imperialismo Pagano" Atanor, 1924).
"Il papato è un 'istituzione essenzialmente internazionale, ufficialmente
cattolica, e i clericali, nella vita politica di tutti ipopoli, rappresentano
l'esercito di questa istituzione; diventare dei nazionalisti, è per loro perdere
la loro stessa natura ".
E ancora: "Con Dante la concezione monarchico-romana, divenuta la tradizione
imperiale italica riprende visibilmente e integralmente coscienza di se stessa.
Questa grande idea unisce infatti tra loro Numa, Pitagora, Cesare, Virgilio,
Augusto, Dante e gli altri grandi italiani venuti dopo ".
Aggiunge: "Dante non era cattolico e il suo imperialismo era pagano e romano! "
"Dante si atteneva alla grande e immortale Tradizione della Scuola Italica,
cronologicamente e essenzialmente anticristiana", (idem, 1924).
3. Quanto a Machiavelli, è esaltato da Reghini perché il segretario fiorentino
ha visto il pericolo rappresentato dalla divisione politica dell'Italia; mentre
gli altri popoli si costituivano in unità politiche Machiavelli invocava per
l'Italia la venuta di un principe capace di compiere l'opera di unificazione.
Altri gloriosi italiani: i neo-pitagorici Giordano Bruno, Bernardino Telesio,
Tommaso Campanella, precursori e iniziatori della moderna filosofia europea,
davano origine alla cultura laica occidentale che "disinfetterà lentamente dal
cristianesimo la mentalità europea ".
Siamo quindi arrivati alla Rivoluzione Francese, "risultato, si sa, dell'opera
pratica delle società segrete, della massoneria e dell'illuminismo, tutte
animate da uno spirito profondamente anticristiano" , ma è necessario guardare a
fondo nell'opera "di un altro grandissimo italiano, Giuseppe Balsamo, più
conosciuto come conte di Cagliostro, meraviglioso rappresentante dell'esoterismo
italiano". (AR, Cagliostro, Ignis, 2006).
Ed era ancora "un altro grande italiano [che] arginava e dominava la Rivoluzione
francese, facendo di essa lo strumento dell'immensa energia scatenata per
realizzare l'Impero".
"L'aquila romana prendeva dunque dì nuovo il volo con le legioni napoleoniche e
l'Italia tornava alla libertà (...). Dopo la caduta dell'Impero, il
cristianesimo, con i suoi rami cattolico, protestante e greco-ortodosso
ricominciava, grazie alla Santa Alleanza, a pesare su tutta l'Europa. Tuttavia,
due giovani generali agitavano nel loro spirito l'antica idea immortale:
Giuseppe Mazzini, il veggente genovese, il quale diceva che l'Italia era
predestinata da Dio a dominare sui popoli, a dare al mondo, dopo Roma, la luce
di una terza civiltà; e Giuseppe Garibaldi, che aveva una visione chiara
dell'importanza trascendentale di Roma per il destino dell'Italia" (Imp. Pag.
Atanor 1924).
Reghini consacra un vero culto a Mazzini e Garibaldi, per essere non solo i
"padri della patria" ma per le loro doti particolari. Nello scritto "Del
Simbolismo e della Filologia" (1914) parlando dell'oro "simbolo del tesoro
metafisico, della divina luce" e del suono emesso dall'oro, ricorda "certe voci,
armoniose e pure, misteriosamente affascinanti - come quella che aveva
Garibaldi" e che sono dette "voci d'oro".
Quindi esclama: "Oh, possa l'esempio di questi grandi uomini non sospetti di
cristianesimo essere seguito dai repubblicani che hanno abbandonato lo
spiritualismo mazziniano per le teorie materialiste importate dalla Germania! ".
E se questa nazione è biasimata per il suo materialismo e l'Austria per il suo
clericalismo, nemmeno la Francia ha motivo di rallegrarsi visto che Mazzini
aveva "avvertito gli Italiani di non fidarsi della Francia". La conclusione non
è meno netta: Reghini rivendica "l'immutabile paganesimo dell'imperialismo
italiano", di una "tradizione, vecchia di trenta secoli, puramente italica"
opposta a "una religione esotica che non ha smesso di essere, per venti secoli,
la disgrazia dell'Italia".
4. Discorso più complesso è la critica della democrazia con cui R. sapeva di
dover affrontare problemi di enorme portata e con i quali tutte le forze
politiche e sociali del suo tempo erano impegnati.
Tra Bruto che aveva assassinato Cesare e Cesare caduto vittima di una congiura,
Reghini non aveva esitato a mettersi dalla parte di Cesare che si accingeva a
compiere "la grande opera romanamente concepita". Bruto pugnala Cesare in nome
di presunti ideali di libertà che accendevano i cuori dei democratici e dei
massoni, mentre Cesare il dittatore era visto come il simbolo della tirannide e
dell'impero.
Reghini conduce la sua critica della democrazia partendo dalla matrice
ideologica degli "immortali principi dell' '89" visti come il vessillo
contro-iniziatico innalzato dagli illuministi francesi per combattere "la
monarchia, la nobiltà e il clero, in nome di fantastici diritti naturali
dell'uomo".
In buona sostanza, un problema della società francese di rapporti tra il ceto
popolare e le avidi classi feudali della nobiltà e del clero, viene elevato a
dimensioni universali e col supporto della massoneria locale aspira a
legittimazioni iniziatiche e spirituali.
Eppure, la massoneria inglese, chiarisce Reghini, era nata nel 1717 senza quelle
pretese rivoluzionarie.
"Il suo rispetto per il governo costituito è esplicitamente e tassativamente
affermato dalle Costituzioni ed è sempre stato osservato in due secoli di storia
"
"Ma quando la massoneria nel 1730 circa passò dall'Inghilterra in
Francia...trasportò nel campo sociale il concetto del brotherly love e della
uguaglianza iniziatica... ".
Ciò non poteva che peggiorare le cose e soprattutto non poteva che aprire le
porte a quelle potenti forze sovversive già pronte a irrompere in tutte le
istituzioni e a dare il colpo di grazia all'assetto politico europeo minato
dall'interno.
"La massoneria italiana, inoltre, come quella francese, più che determinare
l'indirizzo intellettuale dell'ambiente profano, ne seguiva e ne subiva tutte le
correnti. Il pregiudizio del Progresso le creava la preoccupazione di mantenersi
all'altezza dei tempi, di non farsi superare (piccola collezione di frasi
cretine di cui P areto ha mostrata l'inconsistenza), e colla massima
incoscienza dimentica e rinnega la sapienza iniziatica tradizionale dell'Ordine
e la propria privilegiata superiore posizione filosofica spiritualista, al di
fuori e al di sopra di credenze, scuole, teorie, religioni e partiti; e si
lasciava trainare alla deriva dall'ateismo, dal materialismo, dal positivismo,
dall'evoluzionismo, dal comunismo, dal determinismo economico,
dall'umanitarismo, dal pacifismo, dalla religione del libero pensiero, e da
tutti i sogni e le pazzie dell'ideologia insipiente e profana". ("Libertà e
Gerarchia", 1923).
Trasformandosi infine in un'Associazione internazionalista dove convivono uomini
che ordiscono le più aberranti scalate al potere politico ed economico.
La frattura che si verificò nel mondo massonico alla vigilia della prima guerra
mondiale aveva convinto Reghini a dedicarsi alla creazione di un'istituzione
prettamente italiana, come d'altronde stavano facendo gli altri paesi europei
che fortificavano le proprie logge in senso accentuatamente nazionalista ed
espansionista.
Mentre però in Italia l'operazione non ebbe successo per una serie di ragioni
che non è qui il caso di ricordare, in Francia e soprattutto in Inghilterra il
riassetto riuscì perfettamente e le istituzioni massoniche presero il carattere
"moderno" e "democratico" che tuttora conservano e difendono.
5. La "riforma" che auspicava Reghini era di natura ben diversa da quella
operata in Europa e in America. Per questa ragione non poteva che suscitare
consensi nelle forze giovanili che si stavano risvegliando in Italia e che
emergevano dalle profonde scaturigini della nostra terra.
Più che una "riforma" voleva essere un "ritorno" alla tradizione pura.
Gli inglesi furono i primi a capire che qualcosa bolliva in pentola e a
percepire i primi segnali di un risveglio politico e spirituale dell'Italia.
Infiltrarono subito organizzazioni come la Società Teosofica, l'Ordine
Martinista, l'O.T.O con loro agenti fiduciari (valga su tutti il caso di
Aleister Crowley), mentre l'America sfornava i primi rosa-croce dell'AMORC
(fondata nel 1909 da H. Spencer Lewis) e sguinzagliati anche in Europa.
Reghini, bene informato su questi "movimenti", si era posto lo stesso problema e
si sforzava di studiare in che modo creare uno spazio e, ove fosse possibile,
fronteggiare la situazione dando vita ad un movimento italiano che si inserisse
nella dinamica sociale politica e culturale di allora..
Per Reghini occorreva "risalire alle confraternite pitagoriche per trovare delle
oligarchie e delle aristocrazie iniziatiche socialmente costituite. Il miglior
governo è quello dei più sapienti, quindi il governo gerarchico nel senso
etimologico del termine. E' la concezione iniziatica pitagorica e dantesca, che
fa poggiare l'ordine sociale monarchico sull'analogia con la monade
dell'universo. Ed è veramente la concezione politica, iniziatica, italiana,
quella che Pitagora, Platone, Cesare, Augusto, Giuliano, Dante, Campanella e
altri sostennero non soltanto in teoria, ma tentarono di applicare sul piano
pratico con risultati diversi ".
6. Nel quadro di una stretta analisi della situazione italiana pre-fascista, R.
attacca il sistema tirannico dei partiti i quali, entrati in una "folle
competizione per meglio servire il signor proletario", hanno finito per fare
"comprendere alla stessa massa il carattere necessario e fatale di un regime
gerarchico ".
La situazione era arrivata ad un punto tale che "la scelta non era tra regime
democratico e regime gerarchico, ma tra la dittatura comunista, la dittatura di
don Sturzo e quella di Mussolini. La coscienza degli italiani non poteva esitare
ed è stato l'istinto collettivo, assistito dall'intuizione di quelli che erano
coscienti, che ha dato la vittoria al fascismo", (idem, 1923).
La sua intuizione lo induce ad affermare che "le delizie della libertà hanno
fatto liberamente desiderare un regime fortemente gerarchico" e basandosi sulle
sue conoscenze giunge a stabilire il seguente confronto: "Come Dante, aspettando
il Veltro, invocava e accettava Arrigo, così si può augurare il benvenuto a
Mussolini... ". In poche parole Mussolini avrebbe dovuto aprire la strada al
profetato Veltro "l'uomo divino che, data la costituzione del mondo, deve
fatalmente manifestarsi presto o tardi". (Il Veltro, 1923).
Verso la fine dell'articolo Reghini, anticipando le vedute del fascismo, afferma
che la corrispondenza tra la concezione del Santo Impero e quella di Dante aveva
operato in una direzione ben precisa e si era manifestata fin dal 1911 dentro il
Rito Filosofico Italiano di cui Reghini stesso era stato uno degli esponenti più
prestigiosi.
La conclusione è eloquente e la dice lunga sui contenuti metafisici della
politica reghiniana: "Non bisogna dimenticare che esiste un 'arte regia, fondata
su conoscenze ignorate dai profani. Il meccanismo pensante dell'uomo lo rende
sensibile alle correnti del pensiero, e i saggi hanno dunque sempre la
possibilità di farsi ascoltare e di esercitare la loro influenza. In ultima
analisi al disopra degli uomini e degli iniziati, ci sono i grandi fati, destini
superiori agli stessi dei; gli iniziati non possono che augurarsi di conoscerli
e collaborare coscientemente e intelligentemente alla loro manifestazione nel
mondo dei mortali ".
In un articolo dello stesso anno, nel parlare di Mussolini a cui aveva dato un
appoggio sincero e disinteressato, ricorda, lodandolo, il sociologo Vilfredo
Pareto che era stato maestro di Mussolini all'Università di Losanna.
Pareto aveva pubblicato un articolo sulla rivista "Gerarchia" diretta da
Mussolini e Reghini dopo averne esaltato i meriti di pensatore nella demolizione
degli errori e dei pregiudizi: critica dell'umanitarismo e del cristianesimo,
dei miti del progresso , della libertà e della morale protestante,
dell'ideologia hegeliana, dei positivisti e della follie comuniste, rileva che
nell'articolo intitolato "Libertà" Pareto se la prende soprattutto col feticcio
della libertà e con le ideologie che vi si riferiscono.
Si sofferma soprattutto sulla parte dell'articolo in cui Pareto mette in guardia
contro alcune rivendicazioni esagerate del partito cattolico che potrebbero
produrre effetti negativi analoghi ai movimenti clericali in Francia sotto la
restaurazione.
Nello stesso tempo si indigna per la campagna subdola condotta dai massoni
cosiddetti democratici contro i massoni che appoggiano Mussolini, e chiarisce:
"Non possiamo tacciare Mussolini di gesuitismo perché segue una politica
conciliante. Comprendiamo bene che Mussolini si ponga di fronte alla chiesa
cattolica in posizione diversa da quella tenuta da una associazione come la
Massoneria. Egli è un uomo di Stato e dal punto di vista della scienza o
dell'empirismo politico deve tenere nel debito conto, per il bene della nazione,
che la religione cattolica ha tutt'ora una grande importanza in Italia ".
L'articolo "L'intolleranza cattolica e lo Stato" del 1923 è un attestato di
fiducia nei confronti dell'uomo di Stato alle prese con un'eredità geo-politica
complessa e pericolosa, aperta a differenti sviluppi e imprevisti.
Questa fiducia è ribadita nel brano che segue: "Bastano dunque delle
considerazioni sociali e patriottiche per giustificare il proposito di Mussolini
di vivificare i valori spirituali, capaci di rinsaldare la compagine sociale e
di aumentare la forza morale nazionale. E il nostro Ordine, che ha per base la
conoscenza spiritualistica iniziatica e il sentimento patriottico, è tratto per
la sua stessa natura a favorire ogni intendimento di questo genere".
Le cose andarono diversamente perché "Mussolini agì spinto dai grandi fati" e
cedendo sul terreno umano e patriottico fu spinto a sottoscrivere un accordo
politico con gli antichi nemici dell'impero e della nazione italiana.
7. Reghini aveva fatto del suo meglio per aprire gli occhi a Mussolini e nello
stesso articolo gli ricordava che occorre tenere conto dell'esistenza in Italia
di una "tradizione spirituale indigena, pura, pitagorica, romana, non esotica
per origine e per carattere. E' una gloriosa catena spirituale che da Pitagora,
Virgilio, Ovidio, Boezio, Dante, Bruno, Campanella, sino al Caporali, si
perpetua ancor oggi ".
E poco dopo aggiunge: "L'Imperoper essere degno del nome, per essere giustamente
erede e continuatore dell'Impero Romano, occorre che si riallacci coscientemente
a tutta quella vita imperiale, pagana, profondamente spirituale che, sommersa
sedici secoli or sono dalla barbarie nordica e dalla democrazia ebraica, ancora
permane nell'intimo della stirpe".
La via quindi era tracciata, l'Italia avrebbe dovuto tenersi lontana da modelli
di vita estranei alla sua stirpe e alla sua tradizione, avrebbe dovuto creare un
corpo di leggi ed un'organizzazione sociale su basi proprie, autonome, e
nell'appoggiare ed incoraggiare liberamente Mussolini che ha fibra di
costruttore, conclude additando l'esempio di Napoleone il quale "sentiva e
sapeva servendosi del Concordato ".
8. H 20 settembre 1925, anniversario della breccia di Porta Pia, festa
nazionale, Reghini pronuncia un discorso solenne pubblicato su "Era Nuova".
Esaltando la concezione imperiale dantesca e più generalmente la concezione
gerarchica tradizionale, Reghini afferma che essa "si basa sulla concezione
monistica iniziatica dell'universo. Alla monade pitagorica corrispondono, sul
piano politico, l'unicità e l'unità della più alta autorità governativa,cioè la
monarchia nel senso etimologico del termine, che si ritrova anche in Orinete con
la concezione islamica (Califfato), indù (il Cakravartiri), e l'idea imperiale
presso cinesi e giapponesi.
In un'analisi molto interessante Reghini fa un confronto tra l'idea imperiale
romana e la concezione del Santo Impero propria ad organizzazioni iniziatiche
più o meno leggendarie come i Templari e i Rosa Croce. Ritorna quindi a parlare
dell'italiano Napoleone il quale "ricostituendo l'Impero, piegando l'autorità
del papa alla sua, dando a suo figlio il nome augurale di Re di Roma, facendo
celebrare nel 1813 l'anniversario della distruzione del Tempio, mostrò tutta la
sua comprensione del dovere da compiere e sembrò quasi ispirarsi alla tradizione
imperiale dantesca quando al momento dell'incoronazione, con un gesto studiato,
tolse dalle mani del prete officiarne la corona di ferro e se la posò sulla
testa con le sue mani affermando così che Dio (e non una qualunque autorità)
gliela aveva data". (1)
Torna a parlare nuovamente di Giuseppe Garibaldi e di Giuseppe Mazzini,
infiammati di amore ardente per la patria e ribadisce da parte sua la ferma
volontà di non voler sacrificare in nessun modo e per nessuna ragione ad alcuna
autorità il suo dovere nei confronti della patria.
Ribattendo le accuse che gli erano state rivolte di vagheggiare la venuta di un
imprecisato Santo Impero di obbedienza massonica afferma che la sua aspirazione
tradizionale ed iniziatica non ha niente a che vedere con le correnti profane
internazionaliste del bolscevismo, del pangermanismo, dei "Saggi anziani di
Sion" e dell'universalismo cattolico.
9. "L'Imperatore, quello auspicato da Dante, il Veltro, non si nutrirà ne di
terra ne di peltro, ma di Sapienza, di Amore e di Virtù (2)".
Subito dopo, nello stesso articolo dedicato al Veltro, fa un paragone
lusinghiero e trasparente tra la marcia su Roma di Cesare e quella che ha
portato al potere il fascismo. E così conclude: "Oggi l'Italia sta per
ristabilirsi. Le virtù antiche riaffiorano. Il sacro suolo della Patria esprime
le superbe legioni fasciste che amava Augusto; le masse stanno per guarire dal
morbo asiatico. Roma locuta est... E in verità il popolo saprà vivere in modo
austero, virtuoso, se il Duce ha fede e reverenza romane per gli Dei della
Patria; ci sia permesso,in questo anniversario del giorno Natale di Roma, di
leggere i segni, secondo i costumi dei nostri Padri, e di dichiarare augurali i
presagi ".
Ma quando il Duce perse la fede negli dei della patria incominciarono i guai.
"...Certi pezzi grossi della sua molto profana gerarchia, dovevano produrre i
frutti che i nostri lettori conoscono in parte e che sono culminati nella
tragedia di Matteotti... "
Quel che è accaduto dopo è noto ed è nelle pagine di storia.
10. Infine, come risposta all'ostracismo che gli era stato dato dai tanti nemici
della "Scuola Italica" dopo la firma dei Patti Lateranensi nel 1929, scrisse il
saggio sul fascio littorio premiato dall'Accademia d'Italia nel 1936.
Ultima testimonianza della sua fedeltà a Roma formulata in questi termini:
"Felicissimo di vedere il fascio littorio riannodarsi alla gloria, fascio che
noi veneriamo profondamente, con cuore pagano, esente da infezioni esotiche, gli
auguriamo sorte favorevole; auguriamo un ritorno sempre più cosciente e profondo
alla romanità, in tutto e per tutto, senza submittere fasces a influenze avverse
o diverse".
11. Riassumendo e concludendo: da queste poche pagine l'intento di Reghini
appare chiaro, egli mirava a dotare Mussolini e il fascismo di alcuni strumenti
sacrali, tradizionali, spirituali, di origine prettamente italiana e di cui il
giovane fascismo aveva assolutamente bisogno.
Naturalmente, il suo era un intento più che ambizioso: occorrevano uomini,
mezzi, scuole, laboratori e quanto di meglio un paese può offrire in termini
culturali e sociali per la realizzazione di un programma come questo.
Quel sogno, realizzabile o meno che fosse, fu interrotto dalle leggi speciali
contro le società segrete del 1925, concepite ufficialmente per mettere fuori
legge la massoneria, mentre nella realtà stroncarono sul nascere il rinascente
spiritualismo italiano.
Ciò che fu lasciato sopravvivere e vivacchiare, dopo quel terremoto, in termini
di tradizione e di tradizionalismo non doveva dispiacere alla religione di Stato
e agli alleati politici del fascismo. E nell'immediato secondo dopoguerra si è
mostrato utile e funzionale al ruolo atlantico di un determinato schieramento
politico.
La massoneria, dopo la sconfitta dell'Italia, è ritornata più forte di prima e
manda avanti i propri affari con l'appoggio interessato delle "fratellanze"
internazionali.
Sul Vaticano non faccio commenti, perché la sua presenza nella politica italiana
è ben nota e si commenta da sola.
E quindi? Non resta che il progetto di Reghini a cui ricollegarsi per un altro
rinascimento italiano. Il fascismo della prima e dell'ultima ora ha lasciato una
grande eredità storica e morale. Ma se ifati prima e gli dei poi lo vorranno, è
alla tradizione italica e romana che occorre tornare per nutrire un briciolo di
speranza e ricominciare da dove il lavoro è stato interrotto.
Roberto Sestito
Note
1 Quanto a Napoleone, Evola aveva dato un giudizio negativo sull'Imperatore.
Evola voleva dimostrare il carattere fondamentalmente ìlleggittimo e
prevaricatore del cesarismo e del bonapartismo, prodotti, a suo vedere, di caste
inferiori, siano a no italiane.
2 La stessa "triade" di cui parla Campanella nella Città del Sole. |