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FNCRSI

quindicinale di informazione e di formazione politica per i Combattenti della Repubblica Sociale Italiana

La pubblicazione è aperta alla collaborazione di tutti gli iscritti alla FNCRSI. È però riservata al giudizio insindacabile della Direzione del periodico l'accettazione del materiale pervenuto. Gli articoli firmati esprimono solo la opinione degli autori e quindi non impegnano la FNCRSI né la Direzione del periodico se non per il giudizio generico di riconoscimento dell'importanza e tempestività dell'argomento trattato e della opportunità che esso venga conosciuto e dibattuto dai Camerati ai quali la pubblicazione è inviata. I manoscritti anche se non pubblicati non si restituiscono. Distribuzione gratuita agli iscritti alla FNCRSI

 Anno I - n° 5 (marzo 1968 - prima quindicina)

SOMMARIO

1) La scheda bianca
2) Gli squalificati
3) Ahi serva Italia...
4) Carlo Scorza
5) Carnevale democratico e sanità pubblica
6) Umanità di piagnoni
7) Cinema di regime
 

 

COMUNICATO

Nei giorni 2 e 3 c.m. la FNCRSI ha provveduto al lancio di 700.000 volantini invitanti i combattenti a votare scheda bianca. Il lancio è avvenuto contemporaneamente nelle seguenti città (e centri vicini): Alessandria, Genova, Milano, Treviso, Vicenza, Padova, Bologna, Prato, Firenze, Siena, Grosseto, Civitavecchia, L'Aquila, Rieti, Roma, Frosinone, Littoria, Napoli, lsernia, Salerno, Avellino, Foggia, Bari, Brindisi, Lecce, Taranto, Matera, Potenza e Reggio Calabria.
Dalle numerose lettere che abbiamo ricevuto dai combattenti residenti nelle città di cui sopra, si evince chiaramente l'indirizzo antidemocratico ed anti-sistema di strati popolari sempre più vasti.
Escluso qualche partigiano e qualche missista, incapaci di pensare con il proprio cervello, abbiamo ricevuto belle espressioni di fede, di plauso e di incoraggiamento.
È chiaro che, dopo i ludi cartacei, la FNCRSI e i centri politici riunitisi nell'apposito comitato di coordinamento si adopereranno per una coesione e valorizzazione politica delle forze nazionali antisistema.
Invitiamo quindi tutti i combattenti a propagandare le motivazioni della scheda bianca e a tenersi in costante collegamento con la FNCRSI.
Ove non esistono nostre sedi e nostri fiduciari, i camerati sono invitati a mettersi in contatto, per ogni forma di collaborazione, con gli esponenti locali di Ordine Nuovo e di Costituente Nazionale Rivoluzionaria.

Scheda bianca

Nelle file della Repubblica Sociale Italiana ci spinse una rabbiosa volontà di ribellione contro quel mondo social-capitalista che si avviava ancora una volta -certo l'ultima- al successo, ma di cui già si presagiva un sempre più triste ed avvilente avvenire. E fu una pura rivolta ideale: non ci interessava di sapere se saremmo caduti, quello che ci importava era di marciare e combattere.
Caddero, infatti, molti camerati; numerosi altri hanno ceduto in questi anni per stanchezza o lusinghe. Tuttavia non importa quanti siamo, quella nostra rivolta continua.
Oggi si manifesta con la «scheda bianca», ma è solo un episodio.
Di fronte a questa nostra presa di posizione, molti ci hanno già scritto e la stampa ha cominciato ad occuparsi di noi.
Siamo accusati di aver assunto una posizione comoda e solo negativa, e di fare il gioco dei comunisti.
Incominciamo a rispondere alla prima accusa.
Amiamo la trincea e siamo abituati a parlare poco: saremo scarni e ci intenda chi vuole.
Quanto avviene ogni giorno in ogni parte del globo dimostra che il mondo uscito vincitore dall'ultimo grande conflitto, il mondo di Yalta, si va sempre più sgretolando. Prendiamo un fatto vicino: quello che accade nell'ambiente universitario italiano. Gli osservatori più acuti hanno notato che l'azione dei giovani studenti, ad un certo punto, almeno nell'elemento più vivo, è sfuggita al controllo di tutti i partiti, nessuno escluso; incominciata con rivendicazioni di carattere «sindacale», la manifestazione si è messa ad un certo punto sul piano della lotta al sistema. Ed allora i partiti, e soprattutto il PCI ed il MSI, si sono adoperati per farla rientrare nel conformismo del regime politico attuale, a ricondurre le cose nello schema delle riforme strutturali entro il sistema, a (ri)agitare in mala fede il tema fascismo-antifascismo.
Questa volta ancora la partitocrazia è forse riuscita nel suo intento, ma è sembrato chiaro che questo giuoco le va diventando sempre più difficile.
Rimane il fatto che si stanno da un po' di tempo e con frequenza crescente manifestando, specie nei giovani, fermenti di rivolta, atteggiamenti di repulsione contro quello stesso mondo contro cui allora nelle file della Repubblica Sociale Italiana prendemmo le armi incuranti del poi.
Quando noi andiamo nei paesi e nelle città a propagandare la nostra Fede, a gettare volantini per la «scheda bianca», ad attaccare manifesti, a tenere discorsi sui motivi della nostra ininterrotta opposizione al sistema, cerchiamo di risvegliare quei fermenti, di incontrare quei giovani.
Ci da il diritto ed il dovere di farlo proprio quella nostra disperata ribellione che, a vittoria oramai non più raggiungibile, stava a testimoniare la fede nell'inevitabile affermazione di una nuova civiltà contro il mercantile mondo social-borghese.
Ed allora, la nostra azione «scheda bianca» non è atteggiamento comodo e negativo: intanto noi andiamo in giro per l'Italia a riconoscere quegli uomini, e soprattutto quei giovani che sentono l'esigenza di condurre la nostra stessa lotta, con la sola promessa -per primo- di rischi, sacrifici e di alcuna ricompensa; poi li chiameremo a collaborare per preparare insieme un avvenire pulito.
La via da seguire, gli strumenti per l'azione da condurre a ludi cartacei conclusi, li studieremo e verificheremo appunto durante questa campagna per la «scheda bianca», la cui caratteristica essenziale è quindi in definitiva: incontrare quei giovani forti e liberi -e ce ne sono, in ogni angolo della penisola, molti più di quanto non si immagini- con i quali edificare insieme una società legionaria.

Gli squalificati

Un certo numero di poveri diavoli, riuniti a Roma e a Milano, rispettivamente intorno a J. V. Borghese e a Vincenzo Costa -entrambi a suo tempo espulsi dalla FNCRSI- hanno recentemente stilato e fatto diramare dal quotidiano antifascista e paragovernativo "Il Secolo d'Italia" una circolare nella quale accusano di viltà quei camerati che, non riconoscendo per fascista nessuno dei partiti attuali, voteranno scheda bianca.
Votiamo Scheda Bianca. Oggi, niente di più naturale, di più ovvio, di più opportuno, di più pulito.
Non è comprensibile quindi l'infamia di tanto scomposto agitarsi, se non nel voler rendere un servigio al MSI, movimento che non si vede come possa essere ancora considerato fascista dal momento che la patente rilasciata dagli antifascisti è un falso ideologico.
Ma torniamo alla viltà.
Poiché ci è noto che tra la sullodata brava gente si muovono ancora una decina di vecchi ex-generali e colonnelli (che hanno avuto il pessimo gusto di installare un sacrario in una via nota a Roma solo ed unicamente per gli infimi postriboli ubicativi per lungo tempo), è lecito pensare che qualcuno di essi rammenti ancora l'esistenza del codice cavalleresco.
Il "Codice cavalleresco italiano" (J. Gelli, Hoepli 1938) al capitolo "Norme Generali" oltre alla nozione di «gentiluomo» reca quella di «squalificato».
Anche a chi non fossero troppo familiari le consuetudini cavalleresche è certamente noto che le offese arrecate da individui squalificati cadono regolarmente nel vuoto.
Ma non è il caso di drammatizzare! Come si può pensare a qualcosa di serio che provenga da Via Cimarra?
Quella gente ha perduto definitivamente la testa ed è bene che continui ad aiutare il MSI, il quale, peraltro, forse in funzione di certi aiuti, continua a calare di voti... e di brache.


Ahi serva Italia ...

Dal "Messaggero Sud" settimanale di Lecce del 12-3-68, riportiamo:
«La stampa nazionale, in questi giorni, si è interessata al ritrovamento di "resti umani" in un fosso nei pressi di Modena. L'ipotesi più convincente è quella per cui quei resti umani siano appartenenti alla Repubblica di Salò; donne, bambini, giovani non ancora ventenni, che partiti in corriera da Brescia, in un giorno di maggio del 1945, sparirono nella notte tra il 19 e il 20 dello stesso mese. Conosciamo tutti la storia di quei tristi periodi, tanto disgraziati per la nostra Italia; gente che usciva da casa per non più tornare; uccisioni e massacri da una parte e dall'altra; il popolo italiano, diviso da una guerra fratricida, che avrebbe lasciato pesanti strascichi, vivi ancora oggi. Di quei giorni fatali hanno pagato le conseguenze un po' tutti: vincitori e vinti. Entrambi, con le mani lorde di sangue fraterno, sono rimasti con un sapore amaro in bocca, insoddisfatti, nella propria coscienza, per quanto accaduto; ancora oggi, infatti, alla base di tutti i discorsi, apologetici e non, retorici o meno, ci sembra di avvertire quasi una ricerca di scusanti per l'operato di quei giorni, in cui l'uomo dimenticò la sua "humanitas". Sono passati venti anni, l'Italia ha cambiato aspetto radicalmente, si è alquanto risollevata dalle distruzioni della guerra, eppure, ancora oggi, un solco profondo divide la penisola in due: fascisti e antifascisti. Ancora queste due fazioni cercano di dilaniarsi a vicenda, quasi dimentiche di un passato affatto remoto. Ma ora basta! Finiamola tutti e con tutto. Basta con queste lotte, anche se incruente. Basta con le discriminazioni! Anche su questi resti si è voluto speculare e discriminare, riaprendo la piaga mai cicatrizzata, mentre il velo del dolore avrebbe dovuto coprire tutto ed unire gli uomini nel lutto comune. Invece no! Si è fatta la necroscopia a quei resti, si è scoperto che sono "resti fascisti" e quindi il fosso che li ha contenuti è una foiba. No! Ora facciamola finita, sono solo dei resti umani, che siano di fascisti o meno non importa, diamo loro una degna sepoltura».
SoLo

Francamente, il discorso del "Messaggero Sud" non ci convince. Lo potrebbe se non provenisse da una fonte così sospetta da essere legata ad ambienti che fanno capo a chi, in nome della «resistenza» e quindi della fazione, ha assunto la presidenza della Repubblica Italiana.
Di quella «resistenza» che è «NAUFRAGATA» -secondo la recente asserzione di Ferruccio Parri- «per l'adesione ad idee vecchie e per l'accettazione della corruzione nuova».
Il discorso del "Messaggero Sud", oltre ad un certo non disprezzabile spirito pacificatore, dimostra che in vaste plaghe del Meridione non è sentito come nel Centro-Nord il problema della «resistenza» in genere e quello dell'antifascismo in particolare. Dopo un quarto di secolo di provvedimenti faziosi e di profonde discriminazioni che hanno inciso negativamente sull'esistenza di milioni di cittadini, lontani da ogni forma di sentimentalismo riaffermiamo il nostro giustificato sospetto nei confronti di chi parla di pace e di pacificazione, senza fare alcunché perché finalmente, oltre la fazione, trionfi la giustizia.
I resti degli allievi ufficiali della GNR e di tanti altri militari e civili che servirono la Nazione sotto le insegne della RSI, non attendono solo una degna sepoltura, ma che venga fatta giustizia. Giustizia per loro, per le loro famiglie, per l'Italia tutta. Giustizia, unico valido supporto per la pacificazione nazionale e per la pace mondiale.

Carlo Scorza

L'intervista-processo concessa alla "Domenica del Corriere" da Carlo Scorza, ultimo segretario del PNF e uno dei superstiti protagonisti del 25 luglio, è terminata, così com'era iniziata, nel più desolante squallore.
Nessuna rivelazione. Nulla di attendibile. Lo Scorza ancora accusa per discolparsi. Nessun contributo alla storia quindi, ma solo pettegolezzo.
La riunione del Gran Consiglio del Fascismo aveva carattere di mera consultazione e questo lo sapevamo per il disposto della legge 9-12-1928.
Vero è che la sporca congiura fu possibile solo per la presenza al vertice del PNF di un uomo come Carlo Scorza e al Comando Generale della MVSN di un uomo come Enzo Galbiati. Insipienza o tradimento? Questo l'interrogativo che riguarda gli storici. Noi, troppo vivamente interessati a quelle vicende, siamo per la seconda ipotesi.
Basterà pensare ai 10.000 squadristi caduti sulle varie fronti di guerra e gli altri 50.000 tenuti lontani dalla madre patria con la complicità anche di Scorza e di Galbiati, per rendersi conto della facilità della «Operazione 25 luglio».
La presenza di forti e decisi contingenti della MVSN e dell'apparato del partito vigilante e completo avrebbero certamente sconsigliato ogni manovra massonico-savoiarda.
Lo Scorza è tra gli scampati del processo di Verona per clemente volontà del Duce, il quale non conosceva con esattezza la condotta dell'ultimo segretario del PNF.
Sfuggito alle ondate di eventi che seguì alla congiura di palazzo con la complicità di alcuni Ufficiali superiori dei Carabinieri (leggasi solidarietà massoniche), dopo due giorni di inoperosa e tranquilla residenza presso un amico, il 27-7-1943, lo Scorza sente il bisogno di indirizzare «per acquistarsi un merito», come egli stesso commenta, la seguente lettera a Pietro Badoglio:
«Dopo due giorni di silenzioso lavoro, ritengo di poter considerare esaurito il compito di persuasione e di disciplina fra i fascisti impostomi dalla mia coscienza come sacro dovere di soldato, in seguito al cambiamento del Governo. Vi rimetto copia delle due dichiarazioni da me presentate al gran consiglio e resto in attesa delle decisioni circa il partito. 27-7-43. - C. Scorza».
I superstiti del 25 luglio sono: Scorza, Acerbo, Albini, Balella, Bignardi, Cianetti, De Marsico, De Stefani, Frattari, Galbiati e Grandi.
Nei confronti di taluni di essi è ancora operante il verdetto del tribunale della RSI: passaggio per le armi.
In attesa che possa essere fatta giustizia essi hanno e avranno il nostro più profondo disprezzo.
 

Carnevale democratico e sanità pubblica

Nell'imminenza delle democratiche battaglie il regime clerical-socialista, consapevole di lasciare tutto come e peggio di prima in materia di pubblica amministrazione, scuole, ferrovie, ecc., cerca di arrogarsi dei meriti vantando successi mirabolanti nel campo dell'assistenza sanitaria, successi che poi consisterebbero nel varo della così detta riforma ospedaliera. L'approvazione di questa legge è stata perorata con zelo ambizioso ma anche con duttile malleabilità dal ministro competente che ha finito per consentire, purché una «sua» legge venisse comunque attuata, a quasi tutti gli emendamenti proposti dai vari ed influenti gruppi di potere che hanno facoltà di esprimersi e di prevalere in libere assemblee di galantuomini: in omaggio alla vecchia regola di tanti laboriosi travagli democratici, uno strumento di innovazione è venuto cosi trasformandosi in uno strumento di conservazione.
In pratica, l'unica grossa novità consiste nel fatto che l'ordinamento degli enti ospedalieri verrà ancorato alla futura istituzione delle regioni cosicché, tanto per scegliere il male minore, c'è da augurarsi che gli ospedali rimangano il più a lungo come sono. Trascurando i veri interessi dei malati, del personale sanitario, ecc., la regolamentazione più importante, in concreto, viene inoltre demandata alla formulazione di leggi delegate che, con il ritmo di produzione che è vanto dei nostri consessi legislativi, sarà difficile veder realizzate prima del 2000 d.C. Intanto, scherzi a parte e nonostante la cronica penuria di posti-letto ed il disagio che ne deriva ai malati, c'è da constatare che dal 1945 a Roma non è stata ancora iniziata la costruzione di un vero ospedale moderno, del tipo di quelli che si possono visitare oggi anche nei centri popolati dell'Africa equatoriale. Esempio invero «qualificante» di funzionalità democratica e di «civile progresso» cui, ne siamo certi, non mancherà il rituale conforto del laido suffragio popolare grazie al quale, mentre tutto il resto va in malora, si permette ad omuncoli insignificanti di immortalarsi come promotori di leggi purchessia e, dietro le quinte, ai baroni di questa nostra turpe società di gestire impunemente il potere effettivo.
Ma, si dirà, il cittadino italiano che non si sente così male da dover chiedere ricovero in ospedale potrà sempre ricorrere alle cure del medico in una delle cento e cento mutue che succhiano annualmente migliaia di miliardi ai contribuenti distribuendo, in cambio, fior di emolumenti, liquidazioni, pensioni ai loro benemeriti presidenti, direttori, consiglieri d'amministrazione, ecc. e garantendo dovizia di supposte per le emorroidi o di sciroppi per la tosse al popolo lavoratore. Infatti, grazie all'opposizione intransigente delle organizzazioni sindacali (battagliere ma non abbastanza integerrime per resistere alla tentazione di fornicare con alcuni industriali farmaceutici), in quest'Italia di centro-sinistra non è stato finora possibile disporre nemmeno ciò che si è attuato persino in paesi di laburistica scelleratezza e cioè l'esclusione dal rimborso dei farmaci destinati alla cura di lievi eventi morbosi o addirittura di uso voluttuario. Sarà interessante perciò stare a vedere a quali espedienti ricorreranno i nostri democratici reggitori se proveranno ad unificare le cento e cento mutue, a ridurre le spese esorbitanti per le piccole malattie, ad aumentare le rette ospedaliere, a perequare le pensioni, ecc. ecc.
Bisogna proprio essere affetti da idiozia incredibilmente grave per credere ancora che dall'attuale sistema possa un giorno uscire, come per sortilegio, la soluzione di questi problemi. In realtà, non occorre faticare molto per capire che si possono percorrere solo due strade per arrivare alla soluzione: o quella della liberalizzazione totale (per cui le mutue, gli ospedali, ecc. diventerebbero istituzioni industriali o commerciali private) o quella della socializzazione attuata da uno Stato che sia sufficientemente autoritario per mantenersi efficiente e per non sprofondare nella palude della prostituzione alla « sovrana volontà popolare » con tutto quel che segue e precede.
La prima strada è puramente utopistica perché significherebbe un salto all'indietro di 50 o 60 anni, mentre tutti sappiamo che indietro non si può e non conviene quasi mai tornare. La seconda è quella della socializzazione, che noi vogliamo realizzare corporativisticamente anche a costo di vederci costretti a ridurre drasticamente i superprofitti dei grandi industriali, dei grossi professionisti e dei burocrati parastatali.

Umanità di piagnoni

Per quasi un mese il mondo -tramite gli organi e le radio-tv- ha pianto sulla sorte di alcuni «boveri negri» condannati a morte dal governo della Rhodesia per attività terroristiche. Alla fine i «boveri negri» sono stati graziati. Tralasciamo di accennare agli scopi politici di questo pianto universale, tralasciamo il paragone coi milioni di persone che con dignità e silenzio, tra l'ipocrita bonomia dei più, scontano, con prigionie e torture inumane, peggiori della peggior morte, pene non meritate.
Vogliamo solo sottolineare come questa umanità sia tanto imbastardita da far si che le centrali di propaganda utilizzino il sistema del piagnisteo per veicolare le loro idee. Ed i comunisti sono i primi a piangere: quelli che vengono dipinti come i diavolacci, coloro che assassinando inermi e violentando ragazze si erano fatti il nome di duri, oggi van condendo di lagrime ogni loro richiesta politica. Piangono sui diari di Anna Frank, piangono sui poveretti vittime di Hitler o di Stalin; piangono sui «boveri negri» d'Africa e d'America, impostando la loro politica sul Viet-Nam a base di pianti per quelle popolazioni, incapaci di cogliere l'aspetto eroico della lotta dei Viet-Cong, versano lugubri lagrime sul boy scout Paolo Rossi, morto incolume un anno fa all'Università di Roma. Insomma: un diluvio di pianto. I clericali, piagnoni per tradizione, hanno trovato degni compari.

Cinema di regime

Stiamo assistendo al rilancio del cinema resistenziale.
È un fatto non casuale. È difficile trovare oggi in queste manifestazioni la sola volontà dell'autore, la sua fede politica o l'attrattiva del mercato.
E infatti viene a proposito per riscaldare una atmosfera elettorale da sbadiglio provocando risentimenti che tornano a vantaggio dei partiti al parlamento.
E infatti in occasione della presentazione di un film sui fratelli Cervi, il MSI ha risbandierato il drappo antiresistenziale con un manifesto, peraltro doveroso, sui fratelli Govoni. Manifesto che non dovrebbe competere al MSI avendo questo partito nessun legame con l'eredità di quei morti.
Prendiamo lo spunto dalla faziosità resistenziale per annotare brevemente che gli unici temi politici capaci di riscaldare gli Italiani sono quelli del fascismo-antifascismo, cioè a dire: del lascismo, perché un gruppo di terroristi al servizio degli anglosassoni, gli sbandati che non volevano combattere e si davano alla montagna ed una popolazione agnostica, in altre epoche chiamata giustamente plebe, non hanno mai fatto la storia. Soprattutto se dall'altra parte c'era gente che stava combattendo per una precisa e completa concezione della vita, per la giustizia e la libertà, contro un mondo di sopraffattori ed i loro schiavi. Con ciò non si vuol dire che la guerra civile italiana non ha la sua logica. Essa portò alla luce le due anime del nostro popolo: quella piccina e servile, sempre pronta a disprezzare se stessa per prosternarsi allo straniero; quella gretta, chiusa, parassitaria, avara, regionalista; e quella virile, attiva, generosa, nazionalista, propensa al «far grande». E va dato atto a Mussolini se una popolazione stagnante quale era quella dell'Italietta prefascista, preda come oggi di politicanti maneggioni, è stata vivacizzata all'impegno politico, dando prima una presenza effettiva nel mondo e poi affrontandosi mitra alla mano fra i vicoli dei nostri paesi e i boschi dei nostri monti.
Ma con la fine della guerra ed il bagno di sangue di coloro che ebbero la capacità di capire quale doveva essere l'impegno civile e storico di un italiano, affidato, dai vincitori, il governo d'Italia a moribondi che erano andati strascicando la loro inutile persona a mendicare pane e vendette, si presentò all'Italia il vuoto politico di oggi.
E il disinteresse degli Italiani per le cose politiche che essi sanno rette da mani altrui, rotto ogni tanto da brevi attimi di furore, non scomparirà che quando verranno posti sul tappeto problemi reali riguardanti la nostra comunità che possano venir risolti dagli Italiani.
Cioè, quando verrà ripreso politicamente il fascismo.

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