COMUNICATO
Nei giorni 2 e 3 c.m. la FNCRSI ha provveduto al
lancio di 700.000 volantini invitanti i combattenti a votare scheda
bianca. Il lancio è avvenuto contemporaneamente nelle seguenti città
(e centri vicini): Alessandria, Genova, Milano, Treviso, Vicenza,
Padova, Bologna, Prato, Firenze, Siena, Grosseto, Civitavecchia,
L'Aquila, Rieti, Roma, Frosinone, Littoria, Napoli, lsernia,
Salerno, Avellino, Foggia, Bari, Brindisi, Lecce, Taranto, Matera,
Potenza e Reggio Calabria.
Dalle numerose lettere che abbiamo ricevuto dai combattenti
residenti nelle città di cui sopra, si evince chiaramente
l'indirizzo antidemocratico ed anti-sistema di strati popolari
sempre più vasti.
Escluso qualche partigiano e qualche missista, incapaci di pensare
con il proprio cervello, abbiamo ricevuto belle espressioni di fede,
di plauso e di incoraggiamento.
È chiaro che, dopo i ludi cartacei, la FNCRSI e i centri politici
riunitisi nell'apposito comitato di coordinamento si adopereranno
per una coesione e valorizzazione politica delle forze nazionali
antisistema.
Invitiamo quindi tutti i combattenti a propagandare le motivazioni
della scheda bianca e a tenersi in costante collegamento con la
FNCRSI.
Ove non esistono nostre sedi e nostri fiduciari, i camerati sono
invitati a mettersi in contatto, per ogni forma di collaborazione,
con gli esponenti locali di Ordine Nuovo e di Costituente Nazionale
Rivoluzionaria. |
Scheda bianca
Nelle file della Repubblica Sociale
Italiana ci spinse una rabbiosa volontà di ribellione contro quel mondo
social-capitalista che si avviava ancora una volta -certo l'ultima- al successo,
ma di cui già si presagiva un sempre più triste ed avvilente avvenire. E fu una
pura rivolta ideale: non ci interessava di sapere se saremmo caduti, quello che
ci importava era di marciare e combattere.
Caddero, infatti, molti camerati; numerosi altri hanno ceduto in questi anni per
stanchezza o lusinghe. Tuttavia non importa quanti siamo, quella nostra rivolta
continua.
Oggi si manifesta con la «scheda bianca», ma è solo un episodio.
Di fronte a questa nostra presa di posizione, molti ci hanno già scritto e la
stampa ha cominciato ad occuparsi di noi.
Siamo accusati di aver assunto una posizione comoda e solo negativa, e di fare
il gioco dei comunisti.
Incominciamo a rispondere alla prima accusa.
Amiamo la trincea e siamo abituati a parlare poco: saremo scarni e ci intenda
chi vuole.
Quanto avviene ogni giorno in ogni parte del globo dimostra che il mondo uscito
vincitore dall'ultimo grande conflitto, il mondo di Yalta, si va sempre più
sgretolando. Prendiamo un fatto vicino: quello che accade nell'ambiente
universitario italiano. Gli osservatori più acuti hanno notato che l'azione dei
giovani studenti, ad un certo punto, almeno nell'elemento più vivo, è sfuggita
al controllo di tutti i partiti, nessuno escluso; incominciata con
rivendicazioni di carattere «sindacale», la manifestazione si è messa ad un
certo punto sul piano della lotta al sistema. Ed allora i partiti, e soprattutto
il PCI ed il MSI, si sono adoperati per farla rientrare nel conformismo del
regime politico attuale, a ricondurre le cose nello schema delle riforme
strutturali entro il sistema, a (ri)agitare in mala fede il tema
fascismo-antifascismo.
Questa volta ancora la partitocrazia è forse riuscita nel suo intento, ma è
sembrato chiaro che questo giuoco le va diventando sempre più difficile.
Rimane il fatto che si stanno da un po' di tempo e con frequenza crescente
manifestando, specie nei giovani, fermenti di rivolta, atteggiamenti di
repulsione contro quello stesso mondo contro cui allora nelle file della
Repubblica Sociale Italiana prendemmo le armi incuranti del poi.
Quando noi andiamo nei paesi e nelle città a propagandare la nostra Fede, a
gettare volantini per la «scheda bianca», ad attaccare manifesti, a tenere
discorsi sui motivi della nostra ininterrotta opposizione al sistema, cerchiamo
di risvegliare quei fermenti, di incontrare quei giovani.
Ci da il diritto ed il dovere di farlo proprio quella nostra disperata
ribellione che, a vittoria oramai non più raggiungibile, stava a testimoniare la
fede nell'inevitabile affermazione di una nuova civiltà contro il mercantile
mondo social-borghese.
Ed allora, la nostra azione «scheda bianca» non è atteggiamento comodo e
negativo: intanto noi andiamo in giro per l'Italia a riconoscere quegli uomini,
e soprattutto quei giovani che sentono l'esigenza di condurre la nostra stessa
lotta, con la sola promessa -per primo- di rischi, sacrifici e di alcuna
ricompensa; poi li chiameremo a collaborare per preparare insieme un avvenire
pulito.
La via da seguire, gli strumenti per l'azione da condurre a ludi cartacei
conclusi, li studieremo e verificheremo appunto durante questa campagna per la
«scheda bianca», la cui caratteristica essenziale è quindi in definitiva:
incontrare quei giovani forti e liberi -e ce ne sono, in ogni angolo della
penisola, molti più di quanto non si immagini- con i quali edificare insieme una
società legionaria.
Gli squalificati
Un certo numero di poveri diavoli, riuniti
a Roma e a Milano, rispettivamente intorno a J. V. Borghese e a Vincenzo Costa
-entrambi a suo tempo espulsi dalla FNCRSI- hanno recentemente stilato e fatto
diramare dal quotidiano antifascista e paragovernativo "Il Secolo d'Italia" una
circolare nella quale accusano di viltà quei camerati che, non riconoscendo per
fascista nessuno dei partiti attuali, voteranno scheda bianca.
Votiamo Scheda Bianca. Oggi, niente di più naturale, di più ovvio, di più
opportuno, di più pulito.
Non è comprensibile quindi l'infamia di tanto scomposto agitarsi, se non nel
voler rendere un servigio al MSI, movimento che non si vede come possa essere
ancora considerato fascista dal momento che la patente rilasciata dagli
antifascisti è un falso ideologico.
Ma torniamo alla viltà.
Poiché ci è noto che tra la sullodata brava gente si muovono ancora una decina
di vecchi ex-generali e colonnelli (che hanno avuto il pessimo gusto di
installare un sacrario in una via nota a Roma solo ed unicamente per gli infimi
postriboli ubicativi per lungo tempo), è lecito pensare che qualcuno di essi
rammenti ancora l'esistenza del codice cavalleresco.
Il "Codice cavalleresco italiano" (J. Gelli, Hoepli 1938) al capitolo "Norme
Generali" oltre alla nozione di «gentiluomo» reca quella di «squalificato».
Anche a chi non fossero troppo familiari le consuetudini cavalleresche è
certamente noto che le offese arrecate da individui squalificati cadono
regolarmente nel vuoto.
Ma non è il caso di drammatizzare! Come si può pensare a qualcosa di serio che
provenga da Via Cimarra?
Quella gente ha perduto definitivamente la testa ed è bene che continui ad
aiutare il MSI, il quale, peraltro, forse in funzione di certi aiuti, continua a
calare di voti... e di brache.
Ahi serva Italia ...
Dal "Messaggero Sud" settimanale di Lecce
del 12-3-68, riportiamo:
«La stampa nazionale, in questi giorni, si è interessata al ritrovamento di
"resti umani" in un fosso nei pressi di Modena. L'ipotesi più convincente è
quella per cui quei resti umani siano appartenenti alla Repubblica di Salò;
donne, bambini, giovani non ancora ventenni, che partiti in corriera da Brescia,
in un giorno di maggio del 1945, sparirono nella notte tra il 19 e il 20 dello
stesso mese. Conosciamo tutti la storia di quei tristi periodi, tanto
disgraziati per la nostra Italia; gente che usciva da casa per non più tornare;
uccisioni e massacri da una parte e dall'altra; il popolo italiano, diviso da
una guerra fratricida, che avrebbe lasciato pesanti strascichi, vivi ancora
oggi. Di quei giorni fatali hanno pagato le conseguenze un po' tutti: vincitori
e vinti. Entrambi, con le mani lorde di sangue fraterno, sono rimasti con un
sapore amaro in bocca, insoddisfatti, nella propria coscienza, per quanto
accaduto; ancora oggi, infatti, alla base di tutti i discorsi, apologetici e
non, retorici o meno, ci sembra di avvertire quasi una ricerca di scusanti per
l'operato di quei giorni, in cui l'uomo dimenticò la sua "humanitas". Sono
passati venti anni, l'Italia ha cambiato aspetto radicalmente, si è alquanto
risollevata dalle distruzioni della guerra, eppure, ancora oggi, un solco
profondo divide la penisola in due: fascisti e antifascisti. Ancora queste due
fazioni cercano di dilaniarsi a vicenda, quasi dimentiche di un passato affatto
remoto. Ma ora basta! Finiamola tutti e con tutto. Basta con queste lotte, anche
se incruente. Basta con le discriminazioni! Anche su questi resti si è voluto
speculare e discriminare, riaprendo la piaga mai cicatrizzata, mentre il velo
del dolore avrebbe dovuto coprire tutto ed unire gli uomini nel lutto comune.
Invece no! Si è fatta la necroscopia a quei resti, si è scoperto che sono "resti
fascisti" e quindi il fosso che li ha contenuti è una foiba. No! Ora facciamola
finita, sono solo dei resti umani, che siano di fascisti o meno non importa,
diamo loro una degna sepoltura».
SoLo
Francamente, il discorso del "Messaggero Sud" non ci convince. Lo potrebbe se
non provenisse da una fonte così sospetta da essere legata ad ambienti che fanno
capo a chi, in nome della «resistenza» e quindi della fazione, ha assunto la
presidenza della Repubblica Italiana.
Di quella «resistenza» che è «NAUFRAGATA» -secondo la recente asserzione di
Ferruccio Parri- «per l'adesione ad idee vecchie e per l'accettazione della
corruzione nuova».
Il discorso del "Messaggero Sud", oltre ad un certo non disprezzabile spirito
pacificatore, dimostra che in vaste plaghe del Meridione non è sentito come nel
Centro-Nord il problema della «resistenza» in genere e quello dell'antifascismo
in particolare. Dopo un quarto di secolo di provvedimenti faziosi e di profonde
discriminazioni che hanno inciso negativamente sull'esistenza di milioni di
cittadini, lontani da ogni forma di sentimentalismo riaffermiamo il nostro
giustificato sospetto nei confronti di chi parla di pace e di pacificazione,
senza fare alcunché perché finalmente, oltre la fazione, trionfi la giustizia.
I resti degli allievi ufficiali della GNR e di tanti altri militari e civili che
servirono la Nazione sotto le insegne della RSI, non attendono solo una degna
sepoltura, ma che venga fatta giustizia. Giustizia per loro, per le loro
famiglie, per l'Italia tutta. Giustizia, unico valido supporto per la
pacificazione nazionale e per la pace mondiale.
Carlo Scorza
L'intervista-processo concessa alla
"Domenica del Corriere" da Carlo Scorza, ultimo segretario del PNF e uno dei
superstiti protagonisti del 25 luglio, è terminata, così com'era iniziata, nel
più desolante squallore.
Nessuna rivelazione. Nulla di attendibile. Lo Scorza ancora accusa per
discolparsi. Nessun contributo alla storia quindi, ma solo pettegolezzo.
La riunione del Gran Consiglio del Fascismo aveva carattere di mera
consultazione e questo lo sapevamo per il disposto della legge 9-12-1928.
Vero è che la sporca congiura fu possibile solo per la presenza al vertice del
PNF di un uomo come Carlo Scorza e al Comando Generale della MVSN di un uomo
come Enzo Galbiati. Insipienza o tradimento? Questo l'interrogativo che riguarda
gli storici. Noi, troppo vivamente interessati a quelle vicende, siamo per la
seconda ipotesi.
Basterà pensare ai 10.000 squadristi caduti sulle varie fronti di guerra e gli
altri 50.000 tenuti lontani dalla madre patria con la complicità anche di Scorza
e di Galbiati, per rendersi conto della facilità della «Operazione 25 luglio».
La presenza di forti e decisi contingenti della MVSN e dell'apparato del partito
vigilante e completo avrebbero certamente sconsigliato ogni manovra
massonico-savoiarda.
Lo Scorza è tra gli scampati del processo di Verona per clemente volontà del
Duce, il quale non conosceva con esattezza la condotta dell'ultimo segretario
del PNF.
Sfuggito alle ondate di eventi che seguì alla congiura di palazzo con la
complicità di alcuni Ufficiali superiori dei Carabinieri (leggasi solidarietà
massoniche), dopo due giorni di inoperosa e tranquilla residenza presso un
amico, il 27-7-1943, lo Scorza sente il bisogno di indirizzare «per acquistarsi
un merito», come egli stesso commenta, la seguente lettera a Pietro Badoglio:
«Dopo due giorni di silenzioso lavoro, ritengo di poter considerare esaurito il
compito di persuasione e di disciplina fra i fascisti impostomi dalla mia
coscienza come sacro dovere di soldato, in seguito al cambiamento del Governo.
Vi rimetto copia delle due dichiarazioni da me presentate al gran consiglio e
resto in attesa delle decisioni circa il partito. 27-7-43. - C. Scorza».
I superstiti del 25 luglio sono: Scorza, Acerbo, Albini, Balella, Bignardi,
Cianetti, De Marsico, De Stefani, Frattari, Galbiati e Grandi.
Nei confronti di taluni di essi è ancora operante il verdetto del tribunale
della RSI: passaggio per le armi.
In attesa che possa essere fatta giustizia essi hanno e avranno il nostro più
profondo disprezzo.
Carnevale
democratico e sanità pubblica
Nell'imminenza delle democratiche
battaglie il regime clerical-socialista, consapevole di lasciare tutto come e
peggio di prima in materia di pubblica amministrazione, scuole, ferrovie, ecc.,
cerca di arrogarsi dei meriti vantando successi mirabolanti nel campo
dell'assistenza sanitaria, successi che poi consisterebbero nel varo della così
detta riforma ospedaliera. L'approvazione di questa legge è stata perorata con
zelo ambizioso ma anche con duttile malleabilità dal ministro competente che ha
finito per consentire, purché una «sua» legge venisse comunque attuata, a quasi
tutti gli emendamenti proposti dai vari ed influenti gruppi di potere che hanno
facoltà di esprimersi e di prevalere in libere assemblee di galantuomini: in
omaggio alla vecchia regola di tanti laboriosi travagli democratici, uno
strumento di innovazione è venuto cosi trasformandosi in uno strumento di
conservazione.
In pratica, l'unica grossa novità consiste nel fatto che l'ordinamento degli
enti ospedalieri verrà ancorato alla futura istituzione delle regioni cosicché,
tanto per scegliere il male minore, c'è da augurarsi che gli ospedali rimangano
il più a lungo come sono. Trascurando i veri interessi dei malati, del personale
sanitario, ecc., la regolamentazione più importante, in concreto, viene inoltre
demandata alla formulazione di leggi delegate che, con il ritmo di produzione
che è vanto dei nostri consessi legislativi, sarà difficile veder realizzate
prima del 2000 d.C. Intanto, scherzi a parte e nonostante la cronica penuria di
posti-letto ed il disagio che ne deriva ai malati, c'è da constatare che dal
1945 a Roma non è stata ancora iniziata la costruzione di un vero ospedale
moderno, del tipo di quelli che si possono visitare oggi anche nei centri
popolati dell'Africa equatoriale. Esempio invero «qualificante» di funzionalità
democratica e di «civile progresso» cui, ne siamo certi, non mancherà il rituale
conforto del laido suffragio popolare grazie al quale, mentre tutto il resto va
in malora, si permette ad omuncoli insignificanti di immortalarsi come promotori
di leggi purchessia e, dietro le quinte, ai baroni di questa nostra turpe
società di gestire impunemente il potere effettivo.
Ma, si dirà, il cittadino italiano che non si sente così male da dover chiedere
ricovero in ospedale potrà sempre ricorrere alle cure del medico in una delle
cento e cento mutue che succhiano annualmente migliaia di miliardi ai
contribuenti distribuendo, in cambio, fior di emolumenti, liquidazioni, pensioni
ai loro benemeriti presidenti, direttori, consiglieri d'amministrazione, ecc. e
garantendo dovizia di supposte per le emorroidi o di sciroppi per la tosse al
popolo lavoratore. Infatti, grazie all'opposizione intransigente delle
organizzazioni sindacali (battagliere ma non abbastanza integerrime per
resistere alla tentazione di fornicare con alcuni industriali farmaceutici), in
quest'Italia di centro-sinistra non è stato finora possibile disporre nemmeno
ciò che si è attuato persino in paesi di laburistica scelleratezza e cioè
l'esclusione dal rimborso dei farmaci destinati alla cura di lievi eventi
morbosi o addirittura di uso voluttuario. Sarà interessante perciò stare a
vedere a quali espedienti ricorreranno i nostri democratici reggitori se
proveranno ad unificare le cento e cento mutue, a ridurre le spese esorbitanti
per le piccole malattie, ad aumentare le rette ospedaliere, a perequare le
pensioni, ecc. ecc.
Bisogna proprio essere affetti da idiozia incredibilmente grave per credere
ancora che dall'attuale sistema possa un giorno uscire, come per sortilegio, la
soluzione di questi problemi. In realtà, non occorre faticare molto per capire
che si possono percorrere solo due strade per arrivare alla soluzione: o quella
della liberalizzazione totale (per cui le mutue, gli ospedali, ecc.
diventerebbero istituzioni industriali o commerciali private) o quella della
socializzazione attuata da uno Stato che sia sufficientemente autoritario per
mantenersi efficiente e per non sprofondare nella palude della prostituzione
alla « sovrana volontà popolare » con tutto quel che segue e precede.
La prima strada è puramente utopistica perché significherebbe un salto
all'indietro di 50 o 60 anni, mentre tutti sappiamo che indietro non si può e
non conviene quasi mai tornare. La seconda è quella della socializzazione, che
noi vogliamo realizzare corporativisticamente anche a costo di vederci costretti
a ridurre drasticamente i superprofitti dei grandi industriali, dei grossi
professionisti e dei burocrati parastatali.
Umanità di
piagnoni
Per quasi un mese il mondo -tramite gli
organi e le radio-tv- ha pianto sulla sorte di alcuni «boveri negri» condannati
a morte dal governo della Rhodesia per attività terroristiche. Alla fine i
«boveri negri» sono stati graziati. Tralasciamo di accennare agli scopi politici
di questo pianto universale, tralasciamo il paragone coi milioni di persone che
con dignità e silenzio, tra l'ipocrita bonomia dei più, scontano, con prigionie
e torture inumane, peggiori della peggior morte, pene non meritate.
Vogliamo solo sottolineare come questa umanità sia tanto imbastardita da far si
che le centrali di propaganda utilizzino il sistema del piagnisteo per veicolare
le loro idee. Ed i comunisti sono i primi a piangere: quelli che vengono dipinti
come i diavolacci, coloro che assassinando inermi e violentando ragazze si erano
fatti il nome di duri, oggi van condendo di lagrime ogni loro richiesta
politica. Piangono sui diari di Anna Frank, piangono sui poveretti vittime di
Hitler o di Stalin; piangono sui «boveri negri» d'Africa e d'America, impostando
la loro politica sul Viet-Nam a base di pianti per quelle popolazioni, incapaci
di cogliere l'aspetto eroico della lotta dei Viet-Cong, versano lugubri lagrime
sul boy scout Paolo Rossi, morto incolume un anno fa all'Università di Roma.
Insomma: un diluvio di pianto. I clericali, piagnoni per tradizione, hanno
trovato degni compari.
Cinema di regime
Stiamo assistendo al rilancio del cinema
resistenziale.
È un fatto non casuale. È difficile trovare oggi in queste manifestazioni la
sola volontà dell'autore, la sua fede politica o l'attrattiva del mercato.
E infatti viene a proposito per riscaldare una atmosfera elettorale da sbadiglio
provocando risentimenti che tornano a vantaggio dei partiti al parlamento.
E infatti in occasione della presentazione di un film sui fratelli Cervi, il MSI
ha risbandierato il drappo antiresistenziale con un manifesto, peraltro
doveroso, sui fratelli Govoni. Manifesto che non dovrebbe competere al MSI
avendo questo partito nessun legame con l'eredità di quei morti.
Prendiamo lo spunto dalla faziosità resistenziale per annotare brevemente che
gli unici temi politici capaci di riscaldare gli Italiani sono quelli del
fascismo-antifascismo, cioè a dire: del lascismo, perché un gruppo di terroristi
al servizio degli anglosassoni, gli sbandati che non volevano combattere e si
davano alla montagna ed una popolazione agnostica, in altre epoche chiamata
giustamente plebe, non hanno mai fatto la storia. Soprattutto se dall'altra
parte c'era gente che stava combattendo per una precisa e completa concezione
della vita, per la giustizia e la libertà, contro un mondo di sopraffattori ed i
loro schiavi. Con ciò non si vuol dire che la guerra civile italiana non ha la
sua logica. Essa portò alla luce le due anime del nostro popolo: quella piccina
e servile, sempre pronta a disprezzare se stessa per prosternarsi allo
straniero; quella gretta, chiusa, parassitaria, avara, regionalista; e quella
virile, attiva, generosa, nazionalista, propensa al «far grande». E va dato atto
a Mussolini se una popolazione stagnante quale era quella dell'Italietta
prefascista, preda come oggi di politicanti maneggioni, è stata vivacizzata
all'impegno politico, dando prima una presenza effettiva nel mondo e poi
affrontandosi mitra alla mano fra i vicoli dei nostri paesi e i boschi dei
nostri monti.
Ma con la fine della guerra ed il bagno di sangue di coloro che ebbero la
capacità di capire quale doveva essere l'impegno civile e storico di un
italiano, affidato, dai vincitori, il governo d'Italia a moribondi che erano
andati strascicando la loro inutile persona a mendicare pane e vendette, si
presentò all'Italia il vuoto politico di oggi.
E il disinteresse degli Italiani per le cose politiche che essi sanno rette da
mani altrui, rotto ogni tanto da brevi attimi di furore, non scomparirà che
quando verranno posti sul tappeto problemi reali riguardanti la nostra comunità
che possano venir risolti dagli Italiani.
Cioè, quando verrà ripreso politicamente il fascismo.
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