ATTUALITÀ
POLITICHE
1 - il Centro Politico Autonomia Europea
Si è costituito a Roma il Centro Politico
Autonomia Europea.
Esso intende promuovere una iniziativa politica al di fuori di tutti i partiti e
di tutti i movimenti dello schieramento italiano.
Nell'attuale momento storico esso persegue le finalità rispondenti ai valori
della Tradizione civile e politica europea e alle esigenze dello Stato italiano.
Pertanto pone come suoi principali obiettivi:
1) il rinnovamento dello Stato italiano in termini di unità, di personalità e di
missione storica;
2) la ristrutturazione corporativa dell'economia e il ristabilimento del giusto
rapporto di subordinazione di essa al potere politico;
3) la ripresa politica degli Stati europei, fondata innanzitutto sulla loro
autonomia.
Nel prossimo numero di Corrispondenza Repubblicana -che fin da ora diviene
l'organo ufficiale del Centro- sarà pubblicato il programma politico.
Gli organi del Centro sono:
la Segreteria politica, formata da tutti i responsabili degli organi e dei
settori;
il Segretario politico: Maurizio Giraldi;
l'Organizzazione quadri: Ignazio Schirò;
l'Organizzazione propaganda: Fabrizio Riparbelli;
le Informazioni: Pietro Giubilo;
la Stampa: Maurizio Giraldi;
il Settore studentesco: medie: Ernesto Roli - Università : Mimmo Pilolli;
il Settore attività parallele: Gaspare Fantauzzi;
il Settore sindacale: Giorgio Vitali.
Il Centro ha dato vita alla prima manifestazione pubblica il 28 aprile scorso.
Nella sala conferenze della CIPA in Roma. Pietro Giubilo e Maurizio Giraldi
hanno parlato sul tema: «L'irreversibilità del centro-sinistra e la crisi delle
opposizioni, oggi in Italia».
2 - La mozione conclusiva della VII Assemblea FNCRSI
Pubblichiamo di seguito la mozione
approvata dalla VII Assemblea Nazionale della FNCRSI tenutasi a Treviso il
27-4-1967, ritenendo utile sottoporre all'attenzione dei lettori un documento
perfettamente in linea con la nostra tesi.
Premessa
I documenti conclusivi delle due ultime Assemblee Nazionali della FNCRSI ne
hanno solennemente riaffermato natura e funzioni. La mozione acclamata a Firenze
afferma testualmente... «È bene ricordare che la Repubblica Sociale Italiana,
prima di un alto e nobile episodio del combattentismo italiano, ha rappresentato
una rivoluzione istituzionale, una profonda rivoluzione sociale e, prima di
tutto, una rivolta ideale. Nel riprendere oggi la lotta, abbiamo il dovere di
non dimenticare né sottovalutare questi fatti, tenendo nel contempo ben presente
che l'azione della Federazione potrà avere un valore costruttivo unicamente su
di un piano politico ... perché noi non siamo stati i combattenti di una
qualsiasi guerra fatta per difendere soltanto ed unicamente «i sacri confini
della Patria», la «bandiera» e l'«onore militare» ma abbiamo voluto essere -e
siamo stati- i combattenti di una guerra ideologica».
In assoluta coerenza possiamo quindi ribadire che compito della Federazione
resta quello di difendere il patrimonio storico-ideale della RSI e di agire per
la riaffermazione dei principi ideali.
Diciamo subito che a tal fine è stato fatto molto ed è stato fatto poco, da
Firenze ad oggi.
La fedeltà ai princìpi ed il rifiuto di mescolarci con uomini ed ambienti del
sistema costituisce una componente positiva della nostra azione ed un esempio di
ciò che si deve ritenere per intransigenza. Si è trattato di mantenere una
posizione piuttosto scomoda ed i contrasti hanno assunto punte drammatiche
imponendo un sacrificio organizzativo indubbiamente molto pesante. Ma oggi noi
possiamo affermare contro gli scoraggiati, i dimentichi e gli immancabili
detrattori che l'avere tenuto, l'essere riusciti a resistere, ha rappresentato e
rappresenta un saldo punto di riferimento -per noi e per le generazioni future-
ed in questo consiste la nostra vera forza.
Inconsistente appare invece il risultato ottenuto a proposito della
ripresentazione politica degli ideali che la Repubblica Sociale Italiana
nobilitò.
Nell'individuare le cause dell'insuccesso non dobbiamo perderci alla ricerca di
alibi e non dobbiamo nasconderci dietro la crisi organizzativa; contro tale
paravento non vi sono rimedi. È infatti la mancanza di una precisa attività
politica che ha favorito la confusione ed il travaso di forze, una volta attive
in mezzo a noi, verso altre esperienze; non viceversa.
È quindi necessario definire una linea politica intesa alla ripresentazione di
cui abbiamo discorso a ciò anche chiamati dalla norma statutaria che recita...
«educare le nuove generazioni affinché esse siano adeguatamente preparate a
realizzare una lotta ad oltranza per l'affermazione e la difesa dello spirito
contro ogni manifestazione del dilagante materialismo ...». E dobbiamo essere
coscienti che questa norma va oltre le definizioni. Essa ci impegna alla
realizzazione di idonei strumenti perché la linea politica della Federazione
acquisti vitalità e diventi operante.
La linea politica della FNCRSI - Tesi politiche
La linea politica va impostata sulla base di tesi ideologico-politiche le quali
possano operare nell'attuale situazione -italiana ed internazionale- che deve
essere valutata nel modo seguente.
In Italia il ventennio democristiano ha portato a compimento un processo di
sfaldamento dello spirito unitario dello Stato italiano, per conseguire il quale
aveva invece felicemente operato il Fascismo. Gli italiani hanno in sostanza
perduto la ragion d'essere italiani. Gli uomini possono sentirsi uniti per
sangue, per tradizioni comuni, per finalità comuni. Gli italiani di oggi non
sentono nessuno di questi legami. L'individualismo democratico trionfa. Da ciò
il potere dei partiti (è in questo senso che noi critichiamo la partitocrazia,
non nel senso liberale-missino volto a tutelare il parlamento rispetto ai
partiti), di organizzazioni straniere come il Vaticano, dei gruppi di pressione
privati come la Confìndustria, la Fiat, la Montecatini Edison, degli Enti di
Stato, ecc. Il perseguimento dell'interesse particolare ha ormai travolto ogni
residuo perfino del galantomismo d'altri tempi ed è stato eletto a sistema di
vita da amministratori e burocrati di ogni livello.
Il sistema che ha portato a questi risultati è quello della democrazia
parlamentare (regime d'assemblea) in sede istituzionale; della combinazione
liberistico-statalista in sede economica; della piccola borghesia salariata in
sede sociale; del neoilluminismo radicale in sede culturale e dell'alleanza fra
modernismo cattolico e riformismo socialista in sede governativa.
Questo sistema trova il suo punto di forza, cioè la possibilità di reggere, non
nella saldezza della sua struttura ma nell'inserimento in un più vasto e robusto
sistema, che è quello del «mondo libero» o «dell'occidente». Ancora una volta
torna quindi valida la affermazione -e la validità della nostra tesi è nei
fatti- che il sistema democratico è stato imposto all'Italia violentemente dagli
eventi della politica internazionale per cui invano l'esaltazione della
«resistenza» cerca di accreditare un'origine italiana e popolare del sistema
stesso.
L'Occidentalismo è la Santa Alleanza del mondo democratico. I suoi punti
fondamentali sono:
1) la leadership statunitense rispetto ai cosiddetti «alleati»;
2) la negazione dell'autonomia militare e quindi politica degli Stati Europei;
3) il mantenimento delle sfere di influenza occidentali e orientali stabilite a
vantaggio rispettivamente degli USA e dell'URSS a Yalta;
4) La conservazione dei regimi importati nell'ovest e nell'est europeo dopo
Yalta.
Altrettanto dannosi che questi effetti politici sono stati gli effetti etici e
culturali dell'occidentalismo. Esso ha infatti provocato quel processo di
accostamento e di subordinazione del costume e della cultura europea a quella
americana che ormai va al di là delle mode, minacciando di intaccare tradizioni
millenarie. Trattasi di un nuovo cosmopolitismo i cui valori sono esattamente
antitetici a quelli spiritualistici, etici e religiosi che noi affermiamo.
Da ciò consegue che ogni accettazione dell'occidentalismo, anche se limitata ad
uno solo dei punti sopra elencati, conduce inesorabilmente al rafforzamento del
sistema democratico. In particolare, per quanto riguarda l'Italia, si è visto
come l'opposizione, sia di sinistra che di destra, sia stata stemperata nel suo
vigore polemico dall'approccio occidentalista fino ad essere trasformata in
sostegno del sistema.
Il PCI infatti, che dell'occidentalismo accetta la premessa di Yalta, cioè la
divisione del mondo nella sfera sovietica ed in quella americana, ha trasformato
il suo carattere di partito rivoluzionario fino a proporsi ormai esclusivamente
per funzioni di appoggio alle punte avanzate della sinistra democratica
radicale. Vivente Stalin, l'aggressività sovietica faceva considerare in
malafede al PCI gli accordi di Yalta, nel sottinteso che la spartizione nei
termini stabiliti non sarebbe stata rispettata. Da Kruscev in poi si è ridato a
quell'accordo nuova veste (la distensione o coesistenza competitiva) nel timore
che la Cina e la Germania potessero metterlo in crisi, rivendicando la nuova
autonomia politica. Mentre -quindi- nel 1946 si poteva credere che l'appoggio
del PCI alla costituzione borghese italiana fosse di origine tattica, oggi lo
stesso appoggio al sistema democratico (politica unitaria fino ai cattolici,
rinuncia alla ortodossia rivoluzionaria, pacifismo, clientelismo organizzativo,
ecc.) non può che definirsi di carattere strutturale.
Il MSI, che nella leadership militare e politica USA rispetto agli Stati Europei
trova l'unica garanzia di fronte ad una aggressione sovietica è poi costretto ad
accettare gli altri due punti dell'occidentalismo; Yalta ed il sistema
democratico. Ogni prospettiva rivoluzionaria viene in tal modo a chiudersi ed il
problema politico di fondo diventa quello dell'inserimento e della
collaborazione con il sistema, magari con la giustificazione di volerlo
modificare. Tutta l'azione politica del MSI è stata una testimonianza di questo
indirizzo riformista e collaborazionista. La linea di colloquio al vertice con
la DC (culminata con Tambroni e tappezzata di voti «dati e non richiesti» o
addirittura «non graditi» dai vari Zoli e Segni) ne è la prova maggiore ma la
stessa qualificazione di partito di destra sollecitata in mille modi e poi
provocata mediante l'apparentamento coi monarchici hanno fatto assumere al MSI
addirittura la funzione di scialuppa di salvataggio o di valvola di scarico del
sistema democratico. È inutile ripercorrere le tappe di un cammino ignobile che
sta ora per terminare, ma non possono tacersi gli effetti che il sacrificio
dell'indirizzo politico rivoluzionario ha prodotto nella stessa struttura
organizzativa del MSI e che consistono esattamente nella strutturazione di
vertice del partito (la cricca al potere), nell'abbandono della preparazione dei
quadri, nella rescissione di ogni rapporto con una dottrina politica derivante
da una concezione del mondo e nella conseguente adozione di una tematica e di
una prassi politica impostata sulle piccole idee occasionali, più o meno
provocate dalle deficienze altrui.
Una attenta critica deve essere da noi esercitata anche verso gruppi ed uomini
che un comune passato ci fa considerare positivamente sotto l'aspetto umano. La
cosiddetta «sinistra fascista», la quale oltre a questo passato ha avuto anche
il pregio di valutare negativamente l'attività parademocratica del MSI, deve
tuttavia essere considerata criticamente con riferimento ai suoi due classici
errori. Essi consistono:
1) nel piccolo nazionalismo di carattere risorgimentale e con tendenze
geopolitiche, che si conclude nel concetto di Stato italiano ma che non intende
esattamente il concetto di Idea fascista, per cui non riesce poi a stabilire un
rapporto tra Stato ed Idea. Conseguenza dannosa di tale errore è la teoria della
pacificazione nazionale, perseguita per rafforzare (illusoriamente) lo Stato a
scapito della intransigenza sui princìpi ideali;
2) nel sinistrismo economicista che riduce il Fascismo esclusivamente alle
polemiche contro Gruppi di potere economico accettando, su un piano empirico, lo
spirito ed alcune tesi del materialismo storico, che vengono sganciati da quel
preciso e concatenato sistema filosofico.
Conclusioni
Dall'analisi fatta deriva che gli strumenti politici che la Federazione dovrà
realizzare avranno il compito di reagire al sistema democratico negli aspetti e
nelle articolazioni, interne ed internazionali, sopraelencate e nel contempo
affermare un programma politico i cui punti cardinali, fissati nella rispondenza
ai princìpi ideali e nella considerazione del presente momento storico, sono:
1) autonomia degli Stati europei nei confronti dei blocchi;
2) ripresa del disegno unitario dello Stato italiano;
3) sistemazione corporativa dell'economia e subordinazione di essa alla politica
(per evitare scivolamenti di carattere tecnocratico).
La Federazione dovrà in particolare assicurare che venga sempre mantenuto il
giusto rapporto tra programma ed iniziative politiche. A questo fine la
Direzione Nazionale dovrà curare con immediatezza la specificazione delle varie
tesi derivanti da ciascuno dei tre punti programmatici e la elencazione delle
attività che è possibile prendere fin da ora per attuare quei punti stessi.
3 - Grecia: la via militare alla democrazia
Il putsch attuato dai militari in Grecia
ha sollevato speranze negli ambienti della destra sedicente rivoluzionaria
italiana. Si è guardato di nuovo al «golpe» militare come al sistema ideale per
prendere il potere nella presente congiuntura storica.
Noi che abbiamo sempre condannato il golpismo in linea di principio e in linea
di fatto dobbiamo a questo punto definire di nuovo la nostra posizione acciocché
non sorgano equivoci e soprattutto affinché rimanga ben chiara la condanna di
quella che è una falsa prospettiva rivoluzionaria.
In Grecia è avvenuto in sostanza il rafforzamento del potere di una classe
sociale che nei grandi armatori del Pireo trova la sua più forte espressione. Il
prepotere di questi ceti economici sulla vita politica del Paese non è da noi
rilevato in base a suggestioni classiste di carattere marxista, ma è piuttosto
un fatto riscontrabile nella posizione internazionale e nella struttura interna
della Grecia.
Venuto a crollare il quadro internazionale facente perno sull'Inghilterra e
sulla sua politica mediterranea, nel quale si trovava perfettamente inserita,
utilizzata come uno dei tanti mandati inglesi nel Medio Oriente, la Grecia ha
dovuto affrontare l'adattamento ad un altro quadro internazionale, quello
imperniato sugli Stati Uniti. Le classi dirigenti greche, che nell'Inghilterra
trovavano la massima garanzia per la loro stabilità, hanno subito l'attacco di
nuovi gruppi facenti riferimento a correnti di pensiero e a centri di potere
statunitensi. In altri termini la monarchia greca, classica pupilla
dell'Inghilterra, ha dovuto fare i conti con i gruppi radicali che in Andrea
Papandreu, noto frutto di Harvard e di Berkeley, avevano trovato il loro capo.
All'interno i motivi di critica radicale al sistema monarchico si alimentavano
con le condizioni di sottosviluppo della Grecia, del suo ritardato progresso
industriale e nello stesso tempo della sua ottocentesca agricoltura.
La funzione della monarchia e il peso della sua dipendenza e filiazione dalla
Gran Bretagna si fecero sentire in modo negativo soprattutto riguardo alla
formazione di un vero movimento rivoluzionario greco. La Grecia fu uno dei pochi
paesi che negli anni trenta non sentì il soffio potente e suggestivo dei regimi
autoritari d'Italia e Germania, alla pari in questo con l'Olanda, la Danimarca e
le altre classiche dependences inglesi.
Quando il movimento radicale greco facente capo ai Papandreu mise in difficoltà
la monarchia, questa non reagì cercando di socialdemocratizzare il radicalismo,
cioè di trovare una formula di compromesso analoga a quella che nei Paesi
scandinavi è data dalle monarchie socialdemocratiche; pensò invece di poter
reggere il confronto irrigidendosi e contando sul mantenimento dell'adesione
popolare. Vari fenomeni di politica internazionale, massime fra tutti la
distensione kennediana, dettero invece intorno al 1960 una prospettiva politica
più ampia per i radicali, e soprattutto consentirono a questi di poter osare
l'attacco diretto sulle piazze e all'interno stesso di un gruppo di potere come
quello militare (affare dell'ASPIDA) contro il regime monarchico.
La vittoria sui comunisti di Markos aveva fatto credere alla monarchia greca che
nessun avversario avrebbe potuto più contestare la legittimità del trono e la
garanzia delle libertà democratiche che esso rappresentava, senza con ciò
esporsi all'accusa di essere o di fare il gioco dei comunisti. Invece i
Papandreu nella mutata situazione internazionale, forti dell'appoggio
kennediano, concepivano e iniziavano ad attuare una strategia basata
sull'utilizzazione dei comunisti e su una contestazione da parte democratica e
di sinistra, cioè radicale, del sistema monarchico.
Quando nell'aprile scorso fu chiaro, con la mancata fiducia al governo
Canellopulos, che i rapporti di potere in Grecia erano mutati a danno della
monarchia e nella certezza che nuove elezioni avrebbero confermato quel
mutamento, i militari scelsero la via dell'azione.
Da quanto precede, consegue chiaramente che il golpe militare è stato attuato
nella sola prospettiva di restaurare il potere minacciato dai radicali, fino a
mantenere con opportuni correttivi il sistema democratico parlamentare.
Si è trattato in sostanza di una variante greca e caporalesca della legge truffa
di scelbiana memoria. Hanno concorso alla riuscita del putsch le passate
esperienze rivoluzionarie comuniste in Grecia che in sostanza hanno dato una
sorta di giustificazione al colpo, consentendo ai militari di presentarlo come
la prevenzione di un male imminente.
L'azione dei militari va giudicata per quello che essa è: positiva per essi e
per i ceti da essi sostenuti. Non lo è altrettanto per noi, che rifiutiamo di
essere confusi o di appoggiare i movimenti conservatori e borghesi.
Possiamo compiacerci da un punto di vista esclusivamente sentimentale della
sconfitta inflitta ai radicali di Papandreu ma nello stesso tempo siamo ben
consci che essa non scalfisce minimamente le posizioni di potere del radicalismo
al livello mondiale.
Avvertiamo invece un grosso pericolo nella vittoria dei militari; esso consiste
appunto nella suggestione che essa può avere verso gruppi politici di altri
paesi. Nella grande confusione fra vari movimenti di centro e di destra che è
sorta all'insegna dell'anticomunismo e quindi dell'occidentalismo, queste
suggestioni possono aprire false prospettive a movimenti anche seriamente
rivoluzionari. Lo abbiamo visto in Italia con la questione del SIFAR, allorché,
in luogo della strategia che concepisce il gruppo rivoluzionario come il centro
e il motore delle varie iniziative, si è preferita da parte di vari gruppi
quella che li pone a servizio e in funzione dell'organismo militare. In altri
termini riteniamo valida la via del golpe se tenuta sul piano tattico, falsa se
accettata sul piano strategico, poiché mentre nel primo caso rimangono i fini
rivoluzionari, nel secondo subentrano quelli dei militari che sono sempre di
carattere conservatore.
In Grecia questo carattere si palesa sempre più evidente non solo agli occhi di
chi come noi riconosce immediatamente la mancanza di un superiore disegno
rivoluzionario, ma anche agli occhi di chi ha visioni più parziali.
Una ventilata riforma agraria a carattere demagogico non pare che si distacchi
da provvedimenti come quello con cui in Italia Tambroni decise il ribasso del
prezzo della benzina o come quello con il quale Fanfani concesse ai contadini di
poter vendere direttamente i loro prodotti senza passare attraverso
intermediari. Non è neppure il caso di evidenziare la differenza corrente tra
l'annunciata riforma e quella a carattere veramente organico con la quale
Stolipyn pensava di poter fermare in Russia agli inizi del secolo la crescita
dei movimenti di sinistra.
Pittoresche e nulla più sono altresì le proibizioni (…) non pare che si
distacchi da provvedimenti come aspetti di un costume che è uno dei frutti della
supremazia USA nel cosiddetto mondo libero piuttosto che colpire e rifiutare
quella supremazia. Anzi una delle prime dichiarazioni è stata quella di fedeltà
alla Alleanza Atlantica, la quale fa bene il paio con il placet concesso dagli
ambasciatori inglese e americano, a Re Costantino.
Il grande pericolo in sostanza dei colpi di Stato come quello greco è di offrire
nuova validità alle tentazioni deviazioniste che sempre allignano nei movimenti
rivoluzionari e che finora trovavano in Franco e in Salazar due viventi modelli.
Oggi c'è anche la Grecia.
A queste tentazioni opponiamo tre tesi che definiscono la nostra posizione verso
esse:
1) i regimi conservatori borghesi non hanno nessuna reale affinità ideologica e
politica con i movimenti della destra rivoluzionaria per cui credere in essi è
un errore di ottica politica, dovuto a confusione ideologica o a qualunquismo
dottrinale;
2) la loro maggiore caratteristica è quella di svilupparsi su un piano
nazionalistico e settoriale incapaci di potere influire sulla vita politica
internazionale, anzi da questa influenzati e determinati, per cui essi
precludono un discorso politico svolto in termini di civiltà (cfr. isolamento
franchista nell'ultimo conflitto mondiale);
3) il loro maggior pericolo consiste nell'uso di alcune tecniche comuni ai
movimenti rivoluzionari e nella contrapposizione alla sinistra radicale e
comunista, alla stregua dei predetti movimenti, per cui facilmente si
accreditano parentele che non esistono e che portano in realtà allo snervamento
delle classi dirigenti e alla distorsione delle tesi rivoluzionarie.
POLITICA INTERNA
4 - SIFAR: De Lorenzo al Consiglio di Stato ovvero la rivoluzione per via
gerarchica
Deludendo le aspettative di molti
estimatori, il gen. De Lorenzo ha preferito affidare il suo futuro ad un buon
avvocato piuttosto che... fare la rivoluzione! In mancanza di un programma
politico si sono ancora una volta dimostrate valide per la classe dirigente
militare italiana le vecchie ma sicure e tranquillanti norme dello «stato
giuridico dei pubblici dipendenti».
Le vicende del SIFAR ci trovano ancora una volta in contrasto con altri ambienti
politici a noi apparentemente affini, per cui, a parte la facile ironia per
l'operato di De Lorenzo, riteniamo necessario precisare brevemente ancora una
volta la nostra posizione riguardo a quelle vicende e più in generale al
rapporto fra militari e politici.
La storia dei movimenti rivoluzionari ci ha insegnato che è il partito politico
e solo esso a fissare strategia e tattica, a decidere e a promuovere ogni
iniziativa. Il partito è il centro dell'azione politica. Ogni dottrina che tenda
a proporre altri centri ha carattere riformistico o deviazionistico, sia essa di
sinistra e pertanto proponga il sindacato in luogo del partito sia essa di
destra e pertanto proponga analogamente l'organismo militare.
La lunga polemica di Lenin contro il sindacalismo aziendalista e l'azione di
Hitler per distinguere prima il suo movimento dalle innumerevoli organizzazioni
militari di destra e per subordinare poi al partito lo Stato Maggiore tedesco
sono a tale proposito esemplari. Sindacalisti sono, a sinistra, i capi della II
internazionale che nel '14 votano i crediti di guerra e militari sono, a destra,
i venticinqueluglisti in Italia e i ventiluglisti in Germania.
L'organismo militare può essere valido soltanto se strumentalizzato dal
movimento politico così come a sinistra il sindacato è utile, secondo Lenin,
soltanto se funge da «cinghia di trasmissione» del partito. Mentre per il
sindacato però ciò avviene abbastanza spesso, per l'organismo militare avviene
rarissimamente, in quanto su di esso agiscono due classiche componenti
antirivoluzionarie: il legalismo e il conservatorismo.
In Italia poi un terzo elemento, cioè l'origine badogliana della classe
dirigente militare, ci impedisce di poter seriamente pensare ad una sua
strumentalizzazione. Lasciamo che essa sia strumentalizzata dai vari Segni, come
nel luglio del 1964, per manovre e ricatti ad entrambi congeniali. Crediamo
infatti che ormai sia chiaro a tutti che nel '64 non si sia trattato neppure di
un colpo di stato, sia pure a carattere democratico borghese, progettato da
democristiani e acclamato dalla solita povera destra nostrana. Si trattò più
semplicemente di un meccanismo ricattatorio con il quale la DC riuscì a
sconfiggere gli estremisti radicali del PSI e ad imporre al centrosinistra
l'indirizzo moderato che tuttora trionfa. Fatto cadere il governo Moro il 25
giugno, la DC, ormai in mano al gruppo moderato cioè ai dorotei, Rumor, Colombo
e Piccoli, ricattò il PSI dicendosi disposta a riprendere la collaborazione di
centrosinistra soltanto sulla base del programma esposto con la famosa lettera
di Colombo del maggio precedente.
Se i socialisti non avessero ceduto, mettendo con ciò ai margini i radicali
lombardiani oppositori del programma moderato, la DC avrebbe trovato soluzione
alla elisi o con un governo di centro destra o con una riforma costituzionale. I
carabinieri avrebbero garantito l'esecuzione di questa nuova linea. L'ex capo
della corrente dorotea, cioè Antonio Segni, al momento Presidente della
Repubblica, appoggiava intanto la manovra chiamando a frequenti consultazioni i
maggiori capi militari.
I socialisti così cedettero, anzi più precisamente cedettero i radicali del PSI
sia rispetto alla DC sia rispetto ai nenniani che, in nome della salvezza della
repubblica parlamentare, si erano accodati al ricatto doroteo e avevano preso la
guida del partito.
Oggi i radicali, di fronte al rafforzamento crescente del moderatismo italiano,
tentano di riprendere l'iniziativa e per prima cosa dalle colonne de
"l'Espresso" giustificano la loro sconfitta con il ricatto subìto e nel contempo
lo addebitano in pari misura a Segni e a Nenni.
De Lorenzo e i militari rappresentano, come si vede, solo l'occasione per la
ripresa di quella vecchia polemica.
5 - La proposta di Legge del SINAPS per i collaboratori scientifici
dell'industria farmaceutica
Si è svolto a Firenze il congresso
nazionale dell'ANCSIF, organismo che raccoglie i collaboratori scientifici
dell'industria farmaceutica. L'ANCSIF in sostanza è un pre-albo professionale in
attesa della legge che regolerà questa moderna ed utile professione. Nell'ANCSIF
sono riconosciuti tutti i sindacati, per cui il collaboratore scientifico, che è
un dipendente, è invitato all'atto della iscrizione a segnalare a quale
sindacato intende aderire o ha già aderito.
Al congresso ha presenziato il ministro della sanità il quale, a nome della
comunità nazionale, ha sancito l'importanza ed il valore di questa professione
che collega direttamente la società produttrice del farmaco con il medico.
Il congresso è durato tre giorni ed ha avuto come presidente il senatore Lessona
il quale si era precedentemente adoperato ed aveva in brevissimo tempo ottenuto
il riconoscimento della figura giuridica del collaboratore scientifico.
In notevole considerazione è stata presa dalla industria farmaceutica, di cui un
rappresentante era presente durante i lavori congressuali, la proposta di legge
per la regolamentazione della attività del collaboratore scientifico, presentata
dal SINAPS, sindacato riconosciuto dall'associazione. Questa nuova legge, di cui
è già stata data notizia su "Corrispondenza Repubblicana", ha superato la grave
impasse di altre leggi presentate da altri sindacati, che erano ferme perché
giudicate in apposita sede non costituzionali. Le speranze ora di una rapida
soluzione del problema sono di molto aumentate.
POLITICA ESTERA
6 - Il Protettorato USA sugli Stati
dell'America Latina:
1 - Da Monroe alla II Guerra Mondiale
I Paesi latino-americani rivestono, nel
sistema di alleanze degli Stati Uniti, un ruolo particolare per motivi
geografici e politico-economici, dal punto di vista della sicurezza, del
commercio estero e degli investimenti. Gli Stati Uniti hanno mostrato questo
loro «speciale interesse» dagli anni di indipendenza del Sudamerica fino ai
giorni nostri in vari modi, attraverso interventi di tipo economico,
finanziario, politico e militare. Ora, se questa condizione di sudditanza
dell'America Latina è ormai un fatto evidente che solo pochi osano negare, i
termini nei quali si è manifestata e le conseguenze che ne sono derivate sono
meno noti e meritano, per l'interesse che suscitano e che valica l'ambito
continentale, una certa analisi.
L'intervento militare
Il rapporto coloniale tra Stati Uniti e America Latina ha inizio con il 1823,
l'anno nel quale il Presidente Monroe, ponendosi contro ogni tentativo di
intervento della Santa Alleanza nel continente americano, proclamava il diritto
degli Stati Uniti sull'area di influenza sudamericana. Questo fatto, d'altra
parte, dimostrava gli stretti legami esistenti tra la massoneria e i circoli
politici ed economici nordamericani e quindi l'influenza diretta e indiretta
degli USA sugli sconvolgimenti anticristiani che caratterizzarono a lungo le
lotte civili in alcuni Paesi latino-americani.
Nei primi anni successivi alla promulgazione della «dottrina Monroe», gli Stati
Uniti si danno alle prime sistemazioni territoriali: ne fa le spese il Messico
che paga duramente il peccato di trovarsi «troppo lontano da Dio e troppo vicino
agli Stati Uniti».
Tra il 1835 e il 1853 in tre guerre successive il Messico perde il Texas e la
California e deve «vendere» agli Stati Uniti l'Arizona Meridionale.
Sempre nel quadro della conquista del subcontinente gli Stati Uniti affrontano
la guerra con la Spagna che rivela il carattere laicista ed economicista della
volontà colonizzatrice degli Stati Uniti. La guerra si conclude nel 1898 con
l'annessione di Porto Rico e la riduzione di Cuba allo stato di
semiprotettorato.
Nei primi anni del '900 con la famosa teoria del Grande Bastione (Big Stick),
gli Stati Uniti si pongono come gendarmi dell'ordine interamericano e si danno
ad una globale sistemazione della zona dei Caraibi: nel 1903 viene creata la
Repubblica di Panama sotto il tiro dei cannoni della corazzata Nashville; negli
anni successivi fino al 1933 gli Stati Uniti collezioneranno ben trenta sbarchi
nella zona (Nicaragua, Haiti, San Domingo, Cuba, Panama).
Anche negli anni successivi, come vedremo, l'intervento militare resterà uno dei
mezzi più efficaci della politica americana verso l'America Latina (Guatemala,
San Domingo), e porrà in evidenza la diminuzione continua delle possibilità di
autonomia politica della zona anche in una fase di provincializzazione della
regione, rispetto all'area d'influenza degli Stati Uniti nel mondo.
I caratteri del colonialismo americano
Oltre che sul piano dei valori civili e religiosi il carattere negativo del
colonialismo americano si rivela anche sul piano strettamente economico.
Rispetto alla precedente subordinazione la condizione dell'America Latina
subisce un sostanziale abbassamento di livello.
Infatti il colonialismo britannico si era orientato nei suoi investimenti verso
i valori pubblici e il potenziamento del settore infrastrutturale, esercitando
sì una azione predatoria con gli esosi tassi d'interesse composto, ma aveva
anche permesso ad alcune nazioni (Argentina soprattutto, ma anche Brasile,
Messico e Cile) di sviluppare una propria struttura nazionale. Da parte sua,
invece, l'intervento americano tende a orientarsi unicamente nei settori di più
facile redditività quali quelli estrattivi e agro-commerciali, tralasciando
quello infrastrutturale, mentre la diversa sensibilità dell'economia americana
alle importazioni, rispetto a quella inglese, e la presenza della stessa
produzione statunitense negli stessi settori dell'esportazione sudamericana,
pone quest'ultima ad un valore assai basso e soggetta alle condizioni economiche
americane.
In queste situazioni, come vedremo, l'unica via di uscita per i Paesi
latino-americani è rappresentata dalla possibilità di trovare nuovi mercati
(soprattutto Europa e Estremo oriente), via che non potrà essere percorsa da
quelle economie prima per il controllo diretto delle compagnie americane sulle
materie prime e poi per le condizioni stesse che accompagneranno gli aiuti
finanziari degli USA negli anni successivi.
In queste condizioni mentre la situazione economico-industriale della maggior
parte dei Paesi permane in uno stato di «pre-decollo industriale permanente», la
esasperazione della mono-cultura e mono-esportazione fa sì che lo stesso
sviluppo di questi settori aumenti lo stato di servaggio economico nei riguardi
degli Stati Uniti.
La politica del buon vicinato
Alla fine degli anni venti termina il primo ciclo della politica americana nei
riguardi dell'America Latina caratterizzato, come abbiamo visto, dall'intervento
diretto militare e dal controllo e l'accaparramento delle materie prime.
La crisi del ventinove si ripercuote sull'economia latino-americana.
Innanzitutto fa discendere il valore delle esportazioni verso gli Stati Uniti a
meno di un terzo, l'eccedenza delle materie prime così formata provoca
un'ulteriore discesa dei prezzi, mentre i prezzi dei beni durevoli si mantengono
ad un livello alto, riducendo le possibilità di importazione di questi Paesi.
Il fatto provoca un risveglio in senso nazionalistico nel continente. In alcuni
Paesi (Messico, Argentina, Brasile) si inizia una politica economica di tipo
autarchico: intervento dello Stato, protezione delle nuove industrie,
nazionalizzazioni (che si dimostrano comunque sostanzialmente inefficienti
venendo facilmente raggirate dai trusts USA).
Si attua il più importante tentativo di rafforzamento delle istituzioni statali,
con interventi sul piano dell'economia che arriveranno in alcuni casi a mettere
in pericolo la presenza americana nel continente.
A indirizzare questo processo nazionalistico sono le oligarchie militari cioè,
in assenza di una forte borghesia industriale locale, il gruppo sociale più
forte.
In Argentina dove una oligarchia militare produrrà poi il peronismo si impone al
Paese una politica protezionista con forte sviluppo del capitale nazionale. Nel
1939 l'Argentina stringe un accordo economico con il Brasile, primo sostanziale
esperimento di una integrazione economica tra i Paesi dell'America Latina. Nel
1938 Cardenas in Messico nazionalizza il petrolio.
Il movimento indipendentistico che prende piede trova delle condizioni oggettive
favorevoli: lo stato di prostrazione dell'economia americana dopo la grande
depressione, con la conseguente diminuzione degli investimenti nella zona, e
soprattutto l'impegno della politica americana, nella imminenza della seconda
guerra mondiale, volta ad influire e a orientare la situazione europea.
Nel Sudamerica tende a formarsi una coscienza politica nazionale e a questo
proposito il contributo più forte sarà dato dal peronismo, che alla fine della
guerra opererà politicamente molto più in là delle varie dittature di tipo
militare.
La inconsistenza politica del movimento indipendentistico sudamericano si rilevò
particolarmente nei confronti del nuovo orientamento statunitense: la cosiddetta
politica del buon vicinato (good neighbour policy) portata innanzi
dall'Amministrazione Roosevelt.
Gli Stati Uniti si accorgono che hanno a che fare con alcune realtà nazionali e
statali, quindi comprendono che non basta più il singolo investitore privato o
la compagnia mineraria a comprare intere regioni, a metter su governi e a fare
guerre. Questo tipo di penetrazione non può più imporsi anche perché gli
investimenti dei privati hanno perso la capacità iniziale di attuare il
condizionamento politico.
All'investimento privato (che tuttavia continua a sussistere in una forma
tutt'altro che moderata) si sostituisce l'aiuto finanziario.
Nello stesso tempo l'area di controllo degli Stati Uniti si allarga. Non basta
più metter ordine tra le piccole repubbliche dell'America Centrale e spedire
qualche battaglione a occupare basi, occorre considerare l'intero continente
sudamericano, nella sua totalità.
Nel 1933 si abbandona il Nicaragua, nel 1934 Haiti e Cuba, nel 1936 perfino
Panama ottiene migliori condizioni di vita. Nel 1936 a Buenos Aires ha luogo la
famosa "Conferencia de Consolidacion de la Paz". Agli interventi militari locali
l'America preferisce porre le basi per una politica di condizionamento globale.
I gruppi nazionalistici non comprendono gli effetti a lungo termine della
politica radicale del «buon vicinato». Le apparenti concessioni, e revisioni dei
rapporti di sudditanza che sul piano economico saranno particolarmente generose
durante la seconda guerra mondiale e che comportano il prezzo politico per
questi Paesi di schierarsi con gli Stati Uniti nella guerra (occasione più che
unica per questi Paesi di porre una contestazione rivoluzionaria al protettorato
americano) vengono accettate perché presentate sul piatto d'oro dei rapporti
paritari. Numerose conferenze, riunioni interstatali caratterizzano questo
periodo e sembra che Roosevelt si diverta a dare l'impressione ai dirigenti dei
Paesi sudamericani di trattare sul piano di parità.
Nel momento nel quale sembrano aver raggiunto la massima indipendenza politica
gli Stati Sudamericani si trovano di nuovo pesantemente subordinati agli Stati
Uniti.
Con la fine della seconda guerra mondiale e con l'affermarsi degli Stati Uniti a
potenza mondiale egemone i Paesi Latino-americani che credevano di aver
raggiunto una sostanziale indipendenza politica ed economica si accorgono di
avere la «catena misurata».
Il rapporto di subordinazione risulta sostanzialmente invariato e le economie
sudamericane subiscono un peggioramento delle condizioni. Il crollo dei prezzi
delle materie prime, e soprattutto la diminuzione del valore delle esportazioni
agricole imposto dai programmi di esportazione delle eccedenze agricole degli
Stati Uniti impoveriscono di nuovo quelle regioni. Nello stesso tempo gli Stati
Uniti approfittano della loro condizione di fornitori principali dell'America
Latina praticando prezzi assai superiori a quelli di mercato, come il caso
dell'acciaio che il Trust Betlehem Steel vendeva nel 1948 all'America Latina a
un prezzo tre volte superiore a quello del mercato mondiale.
La situazione postbellica mostra il fallimento della politica del nazionalismo
delle dittature militari tra le due guerre.
Prima di esaminare i caratteri della nuova situazione di subordinamento che si
apre nel dopoguerra varrà bene fare un rapido esame dei motivi del fallimento
della politica indipendentistica, motivi che ritroveremo sempre nei continui
tentativi indipendentistici e negli errori strategici dei gruppi nazionali
rivoluzionari locali:
1) l'inesistenza di una contestazione che propugni una rottura con gli Stati
Uniti, essendo al più ognuna di esse un mero tentativo di miglioramento del
rapporto di subordinazione, di mutamento delle condizioni di sudditanza, sempre
però nel quadro dei rapporti interamericani;
2) l'incapacità di comprendere i termini di soggezione imposti dai gruppi
radicali rooseveltiani che operano con sistemi diversi da quelli usati fino alla
fine degli anni venti; e questo per la ignoranza dei profondi termini
politico-ideologici del radicalismo;
3) l'inesistenza di strumenti politici (partito) atti ad impostare una autentica
politica rivoluzionaria (unica eccezione per qualche tempo il peronismo) e
quindi continua ispirazione e sottomissione alle direttive dei gruppi militari
facilmente corrotti dal dollaro, concezione superficialmente rivoluzionaria che
per non riuscire ad impostare tesi politiche e incapace di porsi una strategia
politica finisce per lo più verso le note forme delle congiure di palazzo.
(Continua nel prossimo numero con l'articolo «Dalla II guerra mondiale a
Punta del Este»)
POLEMICHE
7 - Perché non siamo finiti nella scuderia Volpe.
Lettera aperta all'ing. Giovanni Volpe, editore e mecenate in Roma
Egregio Ingegnere,
la recensione del libro del Quaroni "Il Patto Atlantico", apparsa sul numero 10
di "Corrispondenza Repubblicana", Vi ha fatto prendere cappello, come si dice, e
nel contempo Vi ha indotto ad usare espressioni che si addicono più ad un emulo
di Trimalcione che di Mecenate. Vuol dire che in futuro staremo più attenti a
dare patenti di signorilità a chi è a mala pena sul piano del perbenismo.
Vi siete in particolare indignato per il nostro comportamento, da Voi definito
come quello di chi «con una mano chiede e con l'altra offende», comportamento
che, sempre secondo il Vostro dire, è tipico di chi non vuol colloquiare.
In verità ci sembra che in questo caso Voi reclamiate trattative più che
colloqui, secondo un costume mercantilistico che, neppure esso, era proprio di
Mecenate. Comunque, noi siamo per principio contro i colloqui e i dialoghi e
siamo per natura estremamente esigenti nella trattativa per cui è da escludere
che, dovendo trattare, dovendo scendere a compromessi, dovendo dare le
contropartite da Voi reclamate sceglieremmo quale controparte la Casa Editrice
Giovanni Volpe.
È vero peraltro che abbiamo tentato l'approccio alla Vostra borsa, al punto che
già avevamo annunziato agli aderenti e ai lettori l'uscita di una collana di
"Quaderni politici" da noi curata e da Voi pubblicata. La collana uscirà
ugualmente ma è bene che chi ci segue conosca le ragioni per cui essa non farà
parte delle Vostre edizioni. Perciò questa è una lettera aperta.
I motivi della rottura sono esattamente questi: l'editore Volpe era stato da noi
ritenuto un oppositore del sistema politico e culturale vigente in Italia,
unicamente intenzionato a promuovere e sostenere sul piano editoriale tutte le
iniziative avverse a tale sistema e praticamente indifferente alla parte
positiva e costruttiva delle stesse. La reazione suscitata con l'articolo
sull'opera del Quaroni ha mostrato invece che l'editore Volpe promuove e
sostiene solo un certo tipo di opposizione al sistema, esattamente quello del
conservatorismo di destra. La Casa Volpe è per l'appunto il pendant editoriale
della diplomazia occidentalista (Quaroni), dei patiti del «golpe» (Beltrametti),
del lealismo militare e atlantista (Liuzzi), del liberalismo di destra (Bon
Valsassina, Panfilo Gentile), del venticinqueluglismo (De Stefani), del
corporativismo parolaio, missista e parlamentare (Delfino), dell'hispanidad dei
Matarazzo, del franchismo e del salazarismo.
Pertanto essa svolge un'azione parallela alle edizioni de "il Borghese", ma più
negativa in quanto meno legata all'attualità politica e tutta operante sul piano
delle impostazioni tematiche. In modo analogo essa agisce sul piano propriamente
culturale quando ripresenta il pensiero di destra in modo indistinto senza
operare né facilitare una scelta fra Sorel e Ploncard d'Assac, fra Schoeps e
Thiriart, fra Jünger e Marcel.
A dire il vero una scelta viene fatta: è quella che esclude dalle edizioni Volpe
ogni opera ancora feconda capace cioè di aprire prospettive e luci e di fornire
parametri dottrinali ad una azione politica rivoluzionaria. Sotto questo profilo
la Casa Volpe è una specie di cimitero degli elefanti: vi si trovano
puntualmente le opere riferibili ai movimenti di destra che fecero unicamente
combattimenti di retroguardia, che agirono nelle pieghe della storia, parziali,
settoriali, frammentari e che pertanto non ressero di fronte ai movimenti
modernisti e progressisti. Sociologi cattolici, Action Francaise, sindacalismo
nazionalista: ecco alcuni dei cadaveri riesumati. Stona tra essi Julius Evola,
ma solo apparentemente, basta che si guardi alle due opere finora pubblicate:
"Il Fascismo" in cui esso è appunto criticato in quanto movimento rivoluzionario
e "Gli uomini e le rovine" in cui molte pagine sono spese a sostenere la
necessità delle alleanze occidentaliste. Sui limiti di J. Evola e sui guasti che
egli ha prodotto rispetto alla formazione di una nuova classe politica è
peraltro opportuno aprire un più ampio discorso, cosa che faremo in futuro.
Egregio Ingegnere, non Vi facciamo tuttavia il torto di ritenere la Vostra
attività editoriale sprovvista di precisi riferimenti ideologici: sappiamo bene
che la Vostra concezione della vita è grande-borghese e che di conseguenza in
termini di dottrina politica e sociale vale per Voi la potenza e la competenza,
secondo l'accezione tecnicistica (ma non spirituale o etica) che si ritrova in
Machiavelli, Pareto, Mosca, Michels, Prezzolini e Burnham.
Questo significa in sostanza che le nostre posizioni ideologiche sono
inconciliabili con le Vostre e perciò siamo grati alla recensione del libro del
Quaroni che ci ha consentito di evitare una collaborazione che nasceva
evidentemente su un equivoco e che ci avrebbe condotto proprio... nel campo di
Agramante.
Messa la sordina al nostro antioccidentalismo, anche la linea dell'autonomia
politica degli Stati europei e infine la stessa critica del sistema
parlamentare, vanto e orgoglio del mondo libero, si sarebbero ridotte ad un
sussurrio. Avremmo con ciò indubbiamente confortato i Vostri sforzi tesi a
proporre una sola forma di opposizione al sistema, la quale ci sembra che sia
però più una variante che una alternativa ad esso. Avremmo insomma indossato la
Vostra divisa.
A tale proposito Vi confessiamo, Egregio Ingegnere, che il nostro maggior timore
al momento dell'approccio era quello di finire con la nostra collana nei Vostri
magazzini (dove trova immeritata collocazione la maggior parte delle opere da
Voi pubblicate) mentre a ben guardare il vero pericolo era quello di finire
nella Vostra scuderia!
Prima di lasciarvi alle Vostre fatiche editoriali Vi dobbiamo ancora alcune
precisazioni, sempre in relazione al lamentato articolo sul Quaroni.
Innanzitutto Vi confermiamo il nostro disgusto, tale da darci il voltastomaco,
per l'opera in questione. Voi trovate ridicola la delicatezza dei nostri
stomachi come se la sensibilità politica fosse una pecca. E invece è proprio
tempo di risvegliarla dove è addormentata, di suscitarla dove manca e di
alimentarla dove già c'è.
Il libro del Quaroni contiene, da un punto di vista europeista, tesi e idee
talmente sconce che soltanto un antieuropeo e un occidentalista come l'autore
stesso (o come Voi) può rimanere indifferente leggendole. Vi sareste dovuto
augurare mille e mille lettere di condanna del libro ed invece lo avete
sostenuto nonostante che contenesse ignobili idee come queste:
«Possiamo soltanto cercare di diventare un elemento di cui l'America tenga conto
nelle sue decisioni»; «A Hiroshima Truman non aveva gettato la bomba atomica
contro i giapponesi ma in realtà l'aveva gettata contro i russi»; «Non c'è
nessuna combinazione che possa togliere agli USA la decisione suprema»; «Il
pericolo della proliferazione atomica è grande, di nuovo sarebbe necessario che
Russia e USA si impegnino a sanzioni nucleari congiunte contro i refrattari»;
«Gli europei si rendano conto che essi possono discutere, consigliare, difendere
i loro interessi ma che la decisione ultima non può che restare agli americani».
Dinanzi a frasi come queste, ribadiamo il nostro impegno di lotta per impedire
che chi la pensa in tal modo abbia diritto di cittadinanza o, peggio, potere
politico in Europa.
A parte il dissenso dalla nostra critica, Illustre Ingegnere, non siamo riusciti
a capire le ragioni della Vostra irritazione. Forse il Quaroni è per Voi
qualcosa di più che un amico, forse fra Voi e lui esiste più di una comunione di
idee; per questo abbiamo maliziosamente pensato che l'accusa di «vecchio
massone» rivolta al Quaroni abbia fatto scattare la molla della Vostra
solidarietà...
Infine, Ingegnere, Vi dobbiamo invitare a rileggere a mente fredda la suddetta
recensione perchè, mentre Voi l'avete definita «leggera e malfatta», noi la
troviamo molto ben argomentata. L'ira, come si sa, offusca la vista e distorce i
giudizi. Insistiamo in particolare nel sostenere che gli unici argomenti
effettivamente «europei» sono quelli da Noi portati a sostegno delle nostre
tesi, cioè quelli per l'appunto usati nella recensione che ci riguarda.
Voi ci avete invece preannunciato, quasi a sfida, un libro del Ministro bavarese
Strauss, in cui sarebbero addotte ben altre argomentazioni che le nostre a
sostegno di una posizione diversa di quella del Quaroni. Conosciamo Strauss,
sappiamo della «cotta» presa per lui dai vari Pacciardi, Michelini, Tedeschi,
Nelson Pagè, Giovannini, né ci meravigliamo che Voi lo abbiate accaparrato per
la Vostra casa Editrice, ma proprio per questo riteniamo le sue idee collaterali
ed affini a quelle del Quaroni, anche se su una linea apparentemente più
avanzata. Sono anni che Strauss combatte il radicalismo tedesco da una posizione
sbagliata, cioè da quella occidentalista. Sono anni che pertanto va di sconfitta
in sconfitta fino a ridursi ora a sostenere il governo che fa fare la politica
estera tedesca al signor Willy Brand e che all'interno è solo preoccupato di
escogitare un nuovo meccanismo elettorale per vanificare le affermazione del
NPD. Ecco, Ingegnere, la differenza tra noi e Voi sta tutta qui: trasferiti in
Germania, Voi stareste con Strauss, noi staremmo con il NPD. Voi stareste
affannosamente cercando come fa Strauss di ricucire la livrea atlantista e
occidentalista strappata dal nuovo corso post-distensionista mentre noi staremmo
impostando la lotta per conseguire l'autonomia degli Stati europei affossata a
Yalta dagli USA e dall'URSS. Ma di Strauss parleremo meglio all'uscita del
preannunciato libro. Intanto abbiatevi, Ingegnere, i nostri saluti che, per
ovvie ragioni e in deroga alla solidarietà di cui parlavamo sopra, Vi potete
esimere dal trasmettere al signor Pietro Quaroni.
Corrispondenza Repubblicana
MISCELLANEA
L'occidentalista vecchia maniera
«Se le richieste comuniste fossero accolte e se Londra, Parigi, Bonn, Roma,
Oslo, Lisbona e Bruxelles si privassero della garanzia americana nella loro
politica di equilibrio con Mosca, quale possibilità avrebbero di salvare la loro
indipendenza, anzi la loro esistenza?».
Il sen. Ugo D'Andrea nell'articolo di fondo de "Il Tempo" del 10-5-1967.
L'occidentalista dernier cri
«La nostra azione non è antiamericana, essa è allineata con le forze più vive
della democrazia americana le quali vogliono evitare la perdita di prestigio
mondiale degli Stati Uniti derivante dalla prosecuzione di una guerra che non
possono vincere senza lo sterminio del popolo vietnamita».
L'on. De Martino nel discorso di Napoli del 16-3-1967.
L'occidentalista di complemento
«Dimenticare che Europa e Stati Uniti devono essere uniti nella salvaguardia
della civiltà occidentale è quanto mai pericoloso».
"Il Secolo d'Italia" del 27-4-1967
Per la Grecia la parola d'ordine è: ripristinare
«Spetta a queste due forze (monarchia ed esercito) estranee alla lotta delle
fazioni, di far sì che presto le garanzie costituzionali possano essere
ripristinate e che, nel rispetto del gioco democratico, il popolo possa
manifestare liberamente, senza indebite pressioni e minacce di violenza, la
propria volontà»
Emanuele Bonfiglio su "Il Tempo" del 22-4-1967
Kennedy round: come volevasi dimostrare
«Negli ambienti del MEC si afferma che per i "sei" gli accordi di Ginevra non
sono dei più equilibrati e si ha l'impressione che la comunità economica europea
abbia finito per pagare più di quanto abbia effettivamente ottenuto».
Guido Tonella su "il Corriere della Sera" del 16-5-1967. |