da Il Foglio - Foglio Quotidiano on-line
C'è un club di paesi che accelera la corsa del
regime iraniano verso la bomba atomica
Chi si arricchisce con le
sanzioni
Il tentativo del presidente americano, Barack Obama, di "globalizzare" le
sanzioni economiche contro l'Iran, per costringere Teheran a negoziare sul suo
programma nucleare, si sta scontrando con la determinazione delle potenze
emergenti di sfruttare il vuoto lasciato dagli occidentali. Cina, India e Russia
-ma anche paesi alleati degli Stati Uniti come Turchia e Corea del sud- stanno
firmando contratti con la Repubblica islamica e elaborando strategie per
aggirare le sanzioni internazionali e americane. C'è chi lo dice apertamente:
Pechino intende continuare con il "normal business" con l'Iran, ha annunciato il
ministero degli Esteri cinese; «non siamo obbligati» a rispondere positivamente
alla richiesta di misure supplementari contro l'economia iraniana, ha spiegato
il governo di Ankara. C'è chi elabora "meccanismi creativi": Nuova Delhi ha
ipotizzato la creazione di società di copertura, che non facciano affari negli
Stati Uniti, per evitare rappresaglie americane. C'è chi esita di fronte al
dilemma iraniano: «Stiamo studiando l'impatto sulle nostre imprese», ha detto
Seul. La corsa per conquistare l'Iran, le sue risorse energetiche e il suo
mercato, è lanciata.
Il Congresso americano ha da poco approvato una legge che prevede misure
punitive per le imprese straniere che investono più di 20 milioni di dollari in
progetti che «contribuiscono al rafforzamento della capacità dell'Iran di
sviluppare risorse petrolifere». È finito il «business as usual», ha detto alla
Bbc PJ Crowley, il portavoce del dipartimento di stato. Secondo Stuart Levy, lo
zar delle sanzioni del dipartimento del Tesoro, le società straniere hanno una
scelta: «Fare affari in Iran oppure con gli Stati Uniti». Negli ultimi mesi, i
colossi petroliferi europei -Eni, Total, Royal Dutch Shell, Bp, Repsol- hanno
volontariamente rinunciato a sviluppare nuovi progetti nel settore energetico. I
governi del Vecchio continente hanno tagliato le garanzie alle esportazioni e
spinto le loro multinazionali -come la tedesca Siemens o i Lloyds di Londra- a
ridurre o annullare le loro attività in Iran. Il 26 luglio l'Unione europea ha
adottato sanzioni unilaterali «senza precedenti», che colpiscono le banche
iraniane e i settori energetico, marittimo e aereo, oltre ai leader dei
Guardiani della Rivoluzione. Anche Australia e Canada si sono adeguati alle
richieste americane. Ma il "business as usual" delle potenze emergenti in Iran
continua e si rafforza, a cominciare dalla Cina.
Robert Einhorn, il consigliere del dipartimento di stato per la non
proliferazione, è stato inviato in missione in Asia, medio oriente e Sud America
per convincere il resto del mondo a globalizzare le sanzioni. Finora, ha
spiegato Einhorn, «i nostri sforzi hanno portato risultati significativi: almeno
50-60 miliardi di dollari in accordi petroliferi e di gas sono stati congelati o
interrotti negli ultimi anni, grazie alle nostre pressioni con le imprese sulla
minaccia di sanzioni americane». Martedì a Seul, prima tappa del suo viaggio,
Einhorn ha chiesto alla Cina di essere «uno stakeholder responsabile nel sistema
internazionale. Questo significa cooperare con le sanzioni del Consiglio di
sicurezza e non riempire il vuoto, non approfittare del comportamento
responsabile di altri stati». La risposta della Cina è arrivata ieri, in
coincidenza con una visita del ministro del Petrolio iraniano Massoud Mirkazemi
e appena prima che Einhorn si imbarcasse sul suo aereo diretto a Pechino: «Il
commercio cinese con l'Iran è business normale, che non danneggerà gli interessi
di altri paesi e della comunità internazionale», ha scritto la portavoce del
ministero degli Esteri, Jiang Yu sul "China Daily".
Massoud Mirkazemi è arrivato in Cina accompagnato da un viceministro delle
Finanze e da un'ampia delegazione di funzionari. Secondo l'agenzia di stampa del
ministero del Petrolio, Shana, Pechino ha espresso il desiderio di investire nel
settore della raffinazione, quello preso di mira da Stati Uniti e Europa. Pur
essendo il quarto produttore al mondo di petrolio, l'Iran è costretto a
importare il 40 per cento della sua benzina. Per gli occidentali, una penuria di
carburante e la fine dei sussidi del governo per l'acquisto di benzina
potrebbero rafforzare lo scontento popolare contro il regime di Mahmoud
Ahmadinejad e costringere la Repubblica islamica a negoziare sul programma
nucleare. Lo scorso anno, la cinese Sinopec ha firmato un memorandum con la
National Iranian Oil Refining and Distribution Company per investire 6,5
miliardi di dollari nella costruzione di raffinerie. Ma l'obiettivo di Teheran è
di convincere i cinesi a investire in sette nuovi impianti, per un valore totale
di 23 miliardi di dollari. In cambio, l'Iran aumenterà le sue forniture di
petrolio alla Cina e l'accesso ai suoi giacimenti.
Anche se la crisi economica ha ridotto le esportazioni energetiche iraniane
verso la Cina -meno 30 per cento in un anno- Pechino rimane assetata di petrolio
e gas. Nella prima metà del 2010, l'Iran ha esportato nove milioni di tonnellate
di greggio: il terzo fornitore cinese, dopo Arabia Saudita e Angola. Nelle sue
memorie, l'ex ambasciatore cinese a Teheran, Hua Liming, ha ammesso che la sua
diplomazia in Iran è stata dedicata quasi esclusivamente alla politica
energetica. Negli ultimi anni, la Cina ha investito circa 40 miliardi di dollari
nel settore petrolifero e del gas. Secondo il viceministro per il Petrolio,
Hossein Noqrehkar Shirazi, «il volume dei progetti di estrazione è di 29
miliardi di dollari», a cui si aggiungono contratti per altri dieci miliardi nei
progetti legati alla petrolchimica, alla raffinazione e alle pipeline. Così,
sostituendosi ai paesi europei anche in altri settori, la Cina è diventata il
primo partner commerciale dell'Iran, superando la Germania, con uno scambio da
21,2 miliardi di dollari nel 2009, rispetto ai 10,1 miliardi del 2005 e ai 400
milioni di soli 15 anni fa. Nei primi sei mesi del 2010, c'è stata un'ulteriore
crescita del 33,9 per cento. Almeno cento gruppi cinesi sono presenti in Iran,
dove hanno contribuito alla costruzione della metropolitana di Teheran, di
centrali elettriche e di industrie per riciclare i materiali ferrosi. Con un
aumento delle esportazioni della Cina del 48,6 per cento nel primo semestre
dell'anno, l'Iran si sta rivelando un mercato importante per i prodotti di
consumo cinesi.
Pur partendo svantaggiata, l'India è in diretta competizione con la Cina per
approfittare delle sanzioni occidentali. Il ministero degli Esteri indiano ha
appena pubblicato un documento -"International Sanctions on Iran and Way Forward
for India-Iran Relations"- in cui sancisce che «l'engagement economico con
l'Iran è necessario e contribuisce alla nostra sicurezza energetica,
connettività e apertura di nuovi mercati, e a realizzare i nostri obiettivi
politici». Per Nuova Delhi la partita è doppia: oltre agli interessi economici,
occorre arginare l'influenza geopolitica della Cina, che ha preso la «decisione
cosciente di riempire il vuoto creato dalle imprese occidentali». In risposta,
l'India pensa a "meccanismi creativi" per isolare le imprese iraniane
dall'impatto negativo delle sanzioni ONU e americane. Un'ipotesi prevede la
creazione di consorzi con società russe, cinesi e del Kuwait, più difficili da
sanzionare. Un'altra opzione è di creare nuove imprese indiane, che non siano
presenti negli Stati Uniti e nell'Ue e che operino esclusivamente con l'Iran,
per evitare il rischio rappresaglie. Nella finanza Nuova Delhi immagina un
accordo rupia-rial per gli scambi monetari, in modo da evitare ritorsioni
americane contro le banche indiane. Nel frattempo si stanno elaborando progetti
bilaterali nei settori non oggetto di sanzioni: investimenti indiani
nell'estrazione di minerali e nell'industria dei fertilizzanti, dell'alimentare,
della farmaceutica e dell'automobilistica; depositi indiani nelle Free Trade
Zone in Iran; investimenti nel porto iraniano di Chabahar; una ferrovia che
colleghi la Repubblica islamica all'Afghanistan e all'Asia centrale. Intanto, la
scorsa settimana, il governo di Nuova Delhi ha avvicinato l'Amministrazione
americana per chiedere di applicare all'India la clausola di esenzione sulle
sanzioni indirette alle imprese straniere che fanno affari con Teheran.
Nell'ambito della sua nuova dottrina neo-ottomana, la Turchia non solo ha votato
contro le sanzioni ONU, ma sta offrendo anche una rete di sicurezza economica
all'Iran. Ankara «implementerà pienamente le risoluzioni ONU, ma quando si
tratta di richieste di singoli paesi per sanzioni extra, non siamo obbligati»,
ha detto il ministro delle Finanze turco, Mehmet Simsek, in un'intervista al
"Financial Times" a fine luglio. La Turchia -attraverso la società di
raffinazione Tupras, che ha ripreso le consegne in giugno dopo una pausa di 18
mesi- sta vendendo all'Iran metà delle importazioni di benzina di cui ha bisogno
(il resto arriva legalmente dalla Cina e illegalmente dal Kurdistan iracheno).
Nel momento in cui gli Emirati arabi stanno riducendo i loro legami con Teheran,
Ankara propone i porti di Mersin e Trabzon in alternativa a quello di Dubai come
hub per i commerci iraniani. La Turchia spera di attrarre gli investimenti dei
risparmiatori iraniani per alimentare il suo mercato immobiliare. Martedì
scorso, Iran Air ha annunciato la creazione di un consorzio aereo con Turkish
Airlines. Il premier turco, Recep Tayyip Erdogan, si è posto l'obiettivo di
triplicare gli scambi commerciali entro il 2015 portandoli a 30 miliardi di
dollari. Intanto una società turca semisconosciuta -Som Petrol- ha firmato un
accordo da 1,3 miliardi di dollari con la National Iranian Gas Export per la
costruzione di un gasdotto che dovrebbe alimentare la pipeline progettata dagli
europei, Nabucco. "Il gasdotto riguarda molto più la politica che le transazioni
commerciali di gas", spiega Paul Stevens, ricercatore alla Chatham House di
Londra: «Sospetto che la Turchia voglia irritare gli israeliani». Erdogan ha
appena nominato a capo dei suoi servizi segreti l'ex ambasciatore turco
all'Agenzia internazionale per l'energia atomica, Hakan Fidan, considerato da
Israele come un "sostenitore dell'Iran".
La Corea del sud è oggetto di particolari pressioni da parte americana.
«Suggeriamo al governo (di Seul) di dare un'occhiata a ciò che hanno fatto gli
europei come un esempio molto positivo e di considerare l'adozione di misure
analoghe», ha detto Robert Einhorn durante la sua tappa sudcoreana. Il
consigliere del dipartimento di stato avrebbe chiesto di chiudere la sussidiaria
sudcoreana della banca iraniana Bank Mellat. Ma la posta in gioco economica è
molto più alta. L'Iran è il maggiore partner commerciale mediorientale della
Corea del sud. Lo scambio tra i due paesi lo scorso anno ha raggiunto i 10
miliardi di dollari. I colossi sudcoreani -LG, Hyundai Heavy Industries,
Samsung, Daewoo, GS Engineering and Construction, Daelim Industrial Company-
sono ben impiantati in Iran. Nei primi cinque mesi del 2010, in coincidenza con
la riduzione della presenza europea, le esportazioni della Corea del sud verso
l'Iran sono raddoppiate. A Seul è ancora vivo il ricordo del 2004 quando, dopo
il voto positivo a una risoluzione dell'Agenzia internazionale per l'energia
atomica, Teheran vietò tutte le importazioni dalla Corea del sud fino al marzo
del 2005. «Stiamo studiando l'impatto (della richiesta americana) sulle nostre
imprese»", ha detto un funzionario del ministero degli Esteri alla Reuters.
Secondo Alon Levkovitz, professore all'Università ebraica di Gerusalemme, le
sanzioni unilaterali hanno «un prezzo economico che Seul non è pronta a pagare».
La Russia ha condannato come "inaccettabili" le sanzioni unilaterali adottate
dall'Unione europea il 26 luglio. In quegli stessi giorni, il ministro russo del
Petrolio, Sergei Shmatko, riceveva a Mosca il suo omologo iraniano Massoud
Mirkazemi. L'annunciata «cooperazione attiva nei settori del petrolio, del gas e
del petrolchimico» si concretizzerà con la partecipazione di Gazprom nello
sviluppo dei giacimenti di Azar e Pars Sud, abbandonati dagli europei. La Russia
si prepara a supplire anche per la benzina: a fine luglio, Rajab Safarov, capo
della commissione Iran della Camera di commercio di Mosca, ha dichiarato che la
prima fornitura «potrebbe avvenire alla fine di agosto o settembre. Stiamo
parlando di forniture serie». Nonostante i molti ritardi, la Russia dovrebbe
completare la costruzione dell'impianto nucleare di Bushehr entro la fine del
mese. Le pressioni americane e israeliane hanno invece bloccato la consegna alla
Repubblica islamica dei missili russi terra-aria S-300, necessari all'Iran per
dotarsi di uno scudo aereo contro un eventuale attacco sulle sue installazioni
militari. L'ultima risoluzione ONU vieta alla Russia di vendere i missili, ma
mercoledì l'agenzia Fars ha annunciato che l'Iran ha ricevuto due S-300 dalla
Bielorussia e altri due da un fornitore sconosciuto. Secondo l'oppositore
bielorusso, Stanislav Shushkevich, la consegna dei missili da parte della
Bielorussia all'Iran «sarebbe stata assolutamente impossibile senza l'assenso
della Russia». Bielorussia e Russia hanno smentito.
In un briefing a un gruppo ristretto di giornalisti mercoledì alla Casa Bianca
-raccontato dal Lexington notebook dell'Economist- Obama ha spiegato la sua
strategia sulla Repubblica islamica, sottolineando che le varie componenti della
sua politica non devono essere viste in modo isolato. Una «diplomazia ben
eseguita», ha detto Obama. Tutte le opzioni sono sul tavolo -compreso l'uso
della forza- ma l'America è ancora disponibile a dialogare. Poi alcuni alti
funzionari dell'Amministrazione si sono vantati del loro successo nello
schiacciare economicamente e diplomaticamente l'Iran. Per l'Economist, è stato
un successo riuscire a convincere russi e cinesi a votare la risoluzione
dell'ONU. Ma «rimane da vedere se tutti questi elementi di pressione
convinceranno l'Iran ad abbandonare le sue presunte ambizioni di diventare una
potenza nucleare militare. Potrebbe essere rivelatore il fatto che lo stesso
Obama stia minimizzando le aspettative e inizi a parlare sempre più di altre non
specificate opzioni sul tavolo».
© - Foglio Quotidiano
Il
commento di Giorgio Vitali
L'articolo sopra è di estrema importanza perchè, come abbiamo da
tempo sostenuto, le sanzioni proclamate da organismi che stanno
perdendo potere (mi riferisco a usa/israel) non possono che
provocare ritorsioni. Questo è il classico comportamento umano:
tanto singolo quanto collettivo. In una situazione complessa ed
articolata come l'attuale, dove domina solo l'incertezza e la
COMPLESSITÀ inevitabile della GLOBALIZZAZIONE, con tante potenze
emergenti, chi si espone di più è colui che perde di più. NOTA
SUPPLETIVA. Poichè occorre sempre osservare tutto quello che avviene
per comprendere appieno il significato degli avvenimenti, ho notato
l'importanza dei film indiani messi in onda su RaiUno. Intanto
l'"apertura" al cinema indiano è di per se un avvenimento
significativo, poi i valori che questo cinema ispira costituiscono
l'ANTITESI PIENA dell'individualismo cinico amerikano, già
ampiamente criticato da Woody Allen. L'India è più vicina di quanto
si pensi. (Interessante è anche vedere come il processo di
modernizzazione della società indiana, lasciando intatti i valori di
sempre, si avvale del contributo dei tanti giovani formati nelle
Università dell'India già da una quarantina d'anni, e con grande
lungimiranza. Proprio mentre in Italia si dava mano allo
smantellamento delle strutture portanti della istruzione e della
formazione).
Giorgio
Vitali |
|