Italia - Repubblica - Socializzazione

 

 

 febbraio 2012

 

Contro l'Hollywoodismo, il Revisionismo

(Relazione di Robert Faurisson nella Conferenza a Teheran d'inizio febbraio 2012)

   

Lo scorso 11 febbraio, a Teheran, il presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad ha dichiarato che «l'Iran ha rotto l'idolo dell'Olocausto», riferendosi alla persecuzione ebraica diventata il mito di legittimazione dello Stato sionista di Israele. Nel suo discorso, in occasione del 33° anniversario della Rivoluzione islamica del 1979, Ahmadinejad ha esplicitamente così dichiarato: «L'Occidente e i colonialisti, per dominare il mondo, hanno creato un idolo che hanno chiamato "regime sionista". L'anima di questo idolo è l'Olocausto... e la nazione iraniana, con coraggio e chiaroveggenza ha rotto quest'idolo, preparando così la liberazione degli stessi popoli occidentali».


Hollywood ha avuto, insieme al cinema britannico e alla propaganda sovietica, una terribile e diretta responsabilità sia nelle menzogne sia nel processo di Norimberga.
Il termine Hollywoodismo designa la trasformazione, spesso menzognera, della realtà tramite lo spirito e le pratiche di tutto un cinema americano. In un primo tempo, descriverò in termini generali la malvagità dell'Hollywoodismo. In un secondo tempo, descriverò i misfatti dell'Hollywoodismo nella formazione dell'impostura dell'"Olocausto", vale a dire nella costruzione del mito del genocidio, delle camere a gas e dei sei milioni di ebrei uccisi durante la Seconda Guerra mondiale dai Tedeschi. Infine, in un terzo ed ultimo tempo parlerò del Revisionismo come antidoto par excellence contro l'Hollywoodismo e la sua incessante, aggressiva campagna pubblicitaria in favore della religione dell'"Olocausto".

L'Hollywoodismo e la sua malvagità
Secondo l'American Heritage Dictionary, "Hollywood" può designare «l'industria cinematografica americana» ma anche «un'atmosfera od un tono appariscente e volgare, che si ritiene associato all'industria cinematografica statunitense". Usato come aggettivo, la parola significa sia «riguardante l'industria cinematografica americana: un film di Hollywood, un produttore di Hollywood», sia, secondo la citazione data: «appariscenti e volgari, i loro vestiti erano puro Hollywood». Un esempio ben noto dell'ideologia diffusa da questa industria del film è che il mondo si divide essenzialmente in Buoni e Cattivi. I Buoni sono gli Stati Uniti ed i Cattivi tutti coloro che gli Stati Uniti decretano essere tali. I Buoni sono fondamentalmente Buoni ed i Cattivi fondamentalmente Cattivi. Gli Stati Uniti sono sempre nei loro diritti e vincono mentre i Cattivi sono sempre dalla parte del torto e perdono. Non si può né si deve dunque avere nessuna pietà per i vinti: la loro sconfitta prova che essi erano davvero dei criminali. I vincitori si arrogheranno il diritto di giudicare o di far giudicare i vinti. Tutti hanno in mente quelle che vengono chiamate le "atrocità naziste", in particolare le immagini di cadaveri ambulanti, o di cadaveri propriamente detti. Ora, sono 67 anni che Hollywood ce li presenta come la prova che i Tedeschi possedevano delle officine della morte: fabbriche dove le SS passavano il loro tempo ad uccidere prevalentemente degli ebrei. In realtà, questi cadaveri erano la prova che, a causa della distruzione sistematica da parte degli Alleati delle città tedesche, la Germania nel 1945 era in piena agonia: gli abitanti che erano sopravvissute al diluvio di ferro e di fuoco vivevano fra le macerie o in buche, esposti al freddo e alla fame; spesso non vi erano più né cibo, né medicine; gli ospedali e le scuole erano distrutti, i treni ed i convogli non circolavano praticamente più; i rifugiati dall'Est, terrorizzati dai crimini e dagli stupri dell'Armata Rossa, si contavano a milioni. Nel 1948 il regista italiano Roberto Rossellini ha onestamente descritto questa situazione in "Germania Anno Zero". Perciò non ci si dovrebbe sorprendere che nel 1945, nei campi di lavoro o di concentramento regnassero la mancanza di viveri e le epidemie di tifo, di febbre tifoide, di dissenteria mentre i medicinali ed i prodotti di disinfezione come lo Zyklon B venivano drammaticamente a mancare. Hollywood ha avuto, insieme al cinema britannico e alla propaganda sovietica, una terribile e diretta responsabilità sia nelle menzogne che hanno accompagnato la cosiddetta scoperta dei campi di concentramento tedeschi (1945) sia nel vergognoso lynching party (l'espressione è di Harlan Fiske Stone, all'epoca presidente della Corte Suprema degli Stati Uniti) del processo di Norimberga (1945-1946) dove i vincitori coalizzati si sono eretti a giudici e a giuria dei vinti. È ben vero che nel 1945, anche un campo di concentramento privilegiato come quello di Bergen-Belsen offriva una visione da incubo. Ma gli orrori che vi si sono scoperti allora non erano stati creati dai Tedeschi. Essi erano imputabili alla guerra e, in particolare, ad una guerra aerea condotta spietatamente, proprio fino alla fine, da parte degli Alleati contro... i civili. Occorreva un bel cinismo per mostrare questi orrori puntando un dito accusatore in direzione dei vinti, mentre i principali responsabili erano l'US Air Force e la Royal Air Force. Nell'aprile del 1945, non potendo più resistere, il comandante del campo di Bergen-Belsen, il Capitano delle SS Josef Kramer, aveva inviato degli uomini incontro alle truppe del Maresciallo britannico Montgomery per informarle che esse si avvicinavano ad un terribile focolaio di infezione, e che non bisognava quindi rilasciare immediatamente i prigionieri, per il rischio che questi ultimi contaminassero la popolazione civile ed i soldati britannici. Questi ultimi hanno accettato di collaborare con la Wehrmacht. Giunti sul posto, hanno trattenuto gli internati cercando di curarli, ma la mortalità è rimasta per molto tempo spaventosa. I Britannici hanno voluto sapere quante persone erano state sepolte nelle ampie fosse comuni. Hanno estratto i cadaveri, li hanno contati e poi un ufficiale britannico, con l'aiuto di un bulldozer, ha fatto spingere i cadaveri in direzione di sei grandi fosse, dove i suoi soldati hanno costretto alcune guardie SS a gettarveli a mani nude. Ma, ben presto, questa realtà è stata trasformata dai servizi di propaganda cinematografica. Si è fatto credere che questi cadaveri fossero quelli di gente uccisa nell'ambito di un presunto programma di sterminio. Una fotografia scattata da un aereo e che mostra da lontano il bulldozer ha permesso di far credere che il veicolo fosse guidato da un soldato tedesco, nello adempimento del suo quotidiano lavoro di impiegato di una fabbrica della morte. In un caso, una foto presa da vicino mostrava la base della macchina che spingeva dei cadaveri, ma lo scatto "decapitava" il conducente in modo tale che, non potendo vedere che si trattava di un Britannico, s'immaginava che il conducente fosse tedesco. In generale, gli Americani hanno moltiplicato le falsificazioni di questa natura.
Il generalissimo statunitense Eisenhower è stato il grande organizzatore di questo Hollywoodismo esacerbato. Si è fatto venire sul posto, in uniforme da tenente colonnello, il famoso regista di Hollywood George C. Stevens. La sua equipe ha girato 80.000 piedi (24.400 metri circa) di pellicola di cui egli ha selezionato per il sostituto procuratore Donovan 6.000 piedi (1.800 metri circa, ovvero il 7,5% del totale). Sono questi spezzoni, scelti accuratamente dall'accusa americana che, il 29 novembre 1945, all'alzarsi del sipario del famigerato "Processo di Norimberga", sono stati proiettati per stupire il mondo intero; alcuni degli imputati tedeschi, sconvolti, ne hanno dedotto che Hitler aveva perpetrato, alle loro spalle, un enorme crimine. È in questo senso che si può dire del "processo di Norimberga" che esso ha suggellato il trionfo dell'Hollywoodismo.

L'Hollywoodismo nella costruzione del mito L'"Olocausto" degli ebrei è diventato in seguito una sorta di religione di cui le tre principali componenti sono lo sterminio, le camere a gas e i sei milioni di martiri. Secondo un articolo di fede di questa religione Hitler avrebbe ordinato e pianificato il massacro sistematico di tutti gli ebrei d'Europa; così facendo, avrebbe commesso un crimine senza precedenti, un reato specifico, chiamato più tardi genocidio. Poi, al fine di perpetrare questo specifico crimine, avrebbe fatto notoriamente mettere a punto un'arma specifica, un'arma di distruzione di massa, la camera a gas, funzionante nello specifico con un potente insetticida, lo Zyklon B, un prodotto a base d'acido cianidrico. Il risultato finale di questo enorme crimine sarebbe stata la morte di sei milioni di ebrei europei. Il campo di Auschwitz-Birkenau sarebbe stato il punto centrale, il punto culminante, il Golgota di questo orrore. Dopo la guerra si è sviluppata intorno a questa santa trinità dell'"Olocausto" tutta una propaganda, tutta un'industria dell'"Olocausto", tutto un commercio, lo "Shoah-Business".
Negli Stati Uniti, l'industria cinematografica si è nutrita di questa credenza e l'ha propagata in tutto il mondo occidentale. È soprattutto a partire dal 1978, che una simile propaganda si è sviluppata, in particolare con i quattro episodi della miniserie americana "Holocaust" che raccontava la saga della famiglia Weiss. Non è affatto esagerato dire che la proiezione di questo romanzo d'appendice è diventata, a partire dal 1979, quasi obbligatoria in tutta una parte del mondo. Essa ha scatenato una valanga di film, tra i quali "Schindler's List" di Steven Spielberg, "La vita è bella" di Roberto Benigni, "Il pianista" di Roman Polanski. In Francia, nel 1985, Claude Lanzmann ci ha gratificati con un documentario-documenzognero di oltre nove ore: "Shoah".
Il numero di Emmy Awards, di Oscar o di altre ricompense-premio attribuite a film di questo genere è davvero stupefacente. Un magnate dell'Entertainment Industry, Andrew Wallenstein, ha dichiarato una volta nel "The Hollywood Reporter": «Diciamolo, semplicemente: la vera ragione per cui vediamo così tanti film sull'Olocausto è che essi sono delle esche per pescare premi». È da tali constatazioni che è nata la formula «There's no business like Shoa Business» («Non c'è business come lo Shoah business»), ispirato al refrain, notoriamente cantato da Liza Minnelli, della canzone "There's no business like Show Business".

Il revisionismo è un antidoto al veleno dell'Hollywoodismo
Il revisionismo non è un'ideologia ma un rimedio alla tentazione dell'ideologia. È un metodo. Che si tratti di letteratura, di scienza, di storia, dei media, che si tratti di una qual si voglia attività umana, esso sostiene che si stabilisca la realtà di un fatto preliminarmente da ogni considerazione su di esso. Ciò che si crede d'aver visto, inteso, o letto, bisogna nuovamente vederlo, comprenderlo, leggerlo. Bisogna diffidare delle prime impressioni, delle emozioni, delle voci, non fidarsi di nulla e di nessuno, fintantoché non si sia condotta a fondo la propria indagine, e ciò a maggior ragione se si studia una diceria di guerra, perché, non dimentichiamolo, in tempo di guerra la prima vittima è la verità. Il poco tempo che mi resta non mi permette, sfortunatamente, di descrivere qui come ed a quale prezzo, in una cinquantina d'anni di ricerche, io sia giunto, con molti altri revisionisti, alla conclusione che "l'Olocausto" non sia decisamente altro che una gigantesca impostura, come del resto avevo potuto convincermene dopo qualche anno.
Già il 17 dicembre 1980 riassumevo questa conclusione in una frase in francese di sessanta parole di cui oggi non ne cancellerei neppure una. Ecco la traduzione in italiano: «Le pretese camere a gas hitleriane ed il preteso genocidio degli ebrei formano una sola e medesima menzogna storica, che ha permesso una gigantesca truffa politico-finanziaria di cui i principali beneficiari sono lo Stato di Israele ed il sionismo internazionale, e le cui principali vittime sono il popolo tedesco -ma non i suoi dirigenti- e l'intero popolo palestinese».
Per farsi un'idea delle spettacolari vittorie riportate contro questa impostura, grazie ai lavori dei revisionisti, ci si potrà riferire a due studi che compaiono nel mio blog: "Le Vittorie del revisionismo" (carta della conferenza per Teheran dell'11 dicembre 2006) e "Les Victoires du revisionisme (suite)" (11 settembre 2011). Non è esagerato dire che attualmente in Francia, ed altrove nel mondo, gli autori che difendevano la tesi dell'"Olocausto" sono pienamente allo sbando. Il guaio è che la censura e la repressione impediscono ancora al grande pubblico di conoscere questa buona novella; ma con Internet, i tempi cambiano e lo fanno velocemente. Conclusione La credenza generale del mondo occidentale nell'"Olocausto" è stata per lungo tempo la spada e lo scudo del sionismo. Ma oggi il revisionismo mette in pericolo questa credenza. Questa conferenza sull'Hollywoodismo segnerà, io penso, un'ulteriore tappa nella nostra lotta comune, una lotta per i diritti di tutti -in particolare dei Palestinesi- una lotta affinché il mondo si liberi da una tirannia fondata sulla Più Grande Menzogna dei tempi moderni.


Robert Faurisson (2012-02-21 12:00:00)


* Fonte:
http://robertfaurisson.blogspot.com - (Relazione di Robert Faurisson con l'occasione della Conferenza a Teheran d'inizio febbraio 2012) "L'Iran ha rotto l'idolo dell'Olocausto".
 

 

Il sito Romaebraica.it, ha inteso elevare una protesta contro "Rinascita" rea di aver diffuso l’intervista con le «menzogne di Faurisson».

Siamo oramai in un vero e proprio clima da Santa Inquisizione.

 

Rinascita” pubblica l’intervento di Robert Faurisson che oltraggia la Shoah

 

Non è la prima volta che “Rinascita”, giornale diretto da Ugo Gaudenzi, ospita un articolo di Robert Faurisson. Lo aveva già fatto il 13 maggio del 2010 offrendo lo spazio delle proprie colonne alle menzogne del negazionista francese.

D’altronde la testata, che si richiama a un non ben chiaro «socialismo nazionale», si è resa negli ultimi anni protagonista di una campagna di odio contro Israele e non ha esitato a dare voce anche a negazionisti italiani.

Gli attacchi puntano non solo contro lo Stato di Israele, ma si estendono al mondo ebraico nel suo complesso e a quelli che con disprezzo vengono chiamati gli «israeliani d’Italia». Agli articoli di politica estera si sommano così quelli di politica interna, un contesto nel quale “Rinascita” si è scagliata contro la proposta di una legge contro il negazionismo. Ma non vanno sottovalutati neppure gli interventi con pretese pseudo-culturali o le accuse dallo sfondo teologico, come quelle affidate a Alain de Benoist.

Scorrendo dunque pagine che, lungi dal promuovere un dibattito, istigano all’odio e alla violenza, non dovrebbe quasi stupire imbattersi in un articolo di Faurisson. Eppure lo stupore resta e si mescola all’amarezza di dover constatare che in Italia sia consentito al negazionista francese pubblicare la relazione tenuta solo qualche giorno fa a Teheran e intitolata: Contro l’Hollywoodismo, il Revisionismo. In Francia o in Germania non sarebbe possibile. Perché si tratta di oltraggio alle vittime e istigazione all’odio.

Faurisson ripete infatti che la Shoah sarebbe un «mito» creato dall’industria cinematografica di Hollywood, nelle mani degli ebrei che ne hanno approfittato per sacralizzarlo facendone «una sorta di religione». Il modo per arginare il complotto ebraico sarebbe il «revisionismo», etichetta con cui Faurisson pretenderebbe di camuffare la propria negazione. Nulla di nuovo, dunque. Ma perché si deve sopportare questo reiterato oltraggio alle vittime che non ci sono più? Questo insulto ai sopravvissuti e ai loro parenti? Questo veleno che si diffonde e minaccia la democrazia?

Fa riflettere, da ultimo, un occhiello non firmato che compare sotto l’intervento di Faurisson. Il titolo del trafiletto è l’Iran ha rotto l’idolo dell’Olocausto. La notizia è fornita senza neppure l’ombra di un commento che denoti una distanza dalle parole di Ahmadinejad. Chi scrive dunque le condivide? E chi è a scrivere? La redazione? Chi si assume, dentro “Rinascita”, la responsabilità politica e etica di parlare di «idolo» della Shoah? D’altronde un giornale che più volte è caduto nell’apologia di fascismo non dovrebbe essere già chiuso?

Ecco il comunicato di risposta di "Rinascita" in data 21 febbraio 2012.

il direttore
 

Come è nostro costume, e naturale deontologia giornalistica, non censuriamo gli articoli che ci vengono proposti. Tantomeno le notizie…
È una linea di condotta costante, anche quando a proporre contributi siano esponenti di scuole di pensiero differenti dalle nostre.
Nell’occasione che ha tanto sconcertato romaebraica.it ovviamente non abbiamo censurato né il professor Robert Faurisson, già docente all’Università di Lione, 83 anni, né Mahmud Ahmadinejad, presidente della Repubblica islamica dell’Iran.
È strano che romaebraica.it non abbia avuto di recente nulla a ridire, ad esempio, sugli articoli di Serge Thion (sulla nazificazione di Israele), di Franco Morini (sull’inquadramento sionista nei ranghi del III Reich, argomento sul quale comunque l’on. Fiamma Nirenstein, quantomeno, ha espresso «volontà di riflessione»), o su quelli di Israel Shamir e di altri pensatori ebrei.
Che a romaebraica.it non piacciano le mie personali idee panteistiche piuttosto che monoteistiche, o il mio rispetto per il Mussolini socialista e socializzatore, o sulla predazione della Palestina ai Palestinesi, si tratta di opinioni che il sito ha diritto di esprimere. Non a caso su tali posizioni, non certo pro-sioniste, assunte da questo stesso quotidiano da me diretto -allora si chiamava "l’Umanità"- già avemmo un colloquio-confronto personale, nella sede della direzione, con l’ex rabbino capo di Roma Elio Toaff.
Che il sito di fatto chieda a gran voce la chiusura di un quotidiano perché "fascista", perché pro-palestinese, perché non ama le censure della storia, o perché fruitore di provvidenze pubbliche (ma fino al 2009, non il 2010…) indigna me e tutti quelli che si ritengono degli uomini liberi e che credono ancora sopravvissuta, in Italia, la libertà di stampa e di pensiero.   


Ugo Gaudenzi      


N. B. - L’11 febbraio scorso, in occasione del 33° anniversario della Rivoluzione islamica del 1979, e della conferenza alla quale hanno partecipato sia il prof. Faurisson che intellettuali e rappresentanti di ogni credo politico e religioso, ebraismo incluso, il presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad ha esplicitamente dichiarato: «L’Occidente e i colonialisti, per dominare il mondo, hanno creato un idolo che hanno chiamato "regime sionista". L’anima di questo idolo è l’Olocausto… e la nazione iraniana, con coraggio e chiaroveggenza ha rotto quest’idolo, preparando così la liberazione degli stessi popoli occidentali». Dovevamo censurarlo?

      

  Condividi