Anno 1973 - N° 2
Via Pasquale Villari 27 - 00184
Roma
Stampato fronte
e retro - dimensioni: 22 X 33 cm. |
VIETNAM
L'annuncio dell'avvenuto accordo di
tregua fra gli USA ed il Vietnam del Nord ci induce a trarre alcune
considerazioni.
Innanzi tutto occorre dire che chi ha veramente da rallegrarsi per
l'accordo raggiunto sono proprio gli USA i quali nell'attuale situazione
di nè pace ne guerra hanno tutto da guadagnare.
È la vittoria dell'amministrazione Nixon che vede realizzarsi le tappe
della propria strategia il cui avvio si ebbe con il viaggio di Nixon a
Pechino e a Mosca; in poche parole si può dire che gli USA sono riusciti
a stornare una situazione estremamente pericolosa per loro, congelandola
nel contempo sul piano militare e mantenendo la minaccia di riaprire le
ostilità in modo di avere in mano una arma di ricatto e di mercanteggio
nei confronti della Russia e della Cina, le quali, e in particolare
l'URSS, hanno collaborato brillantemente alla riuscita dell'operazione
nello spirito della distensione e della coesistenza, a cui la Russia ha
votato tutta la sua politica internazionale.
Alla luce di queste considerazioni appare evidente la malafede degli
ambienti di sinistra i quali hanno fatto passare la tregua indocinese
per una vittoria dei vietnamiti del nord, scordando tra l'altro il fatto
che è praticamente venuto meno uno dei fronti militari dove la potenza
americana ha registrato insuccessi e pesanti sconfitte, il che ha
costituito uno stimolo ideale per tutte le forze rivoluzionarie del
mondo.
Il fatto che persino la sinistra extraparlamentare sia passata dagli
slogans «vietcong vince perchè spara» degli anni '67-'68,ai recenti
«viva la pace nel Vietnam» ci dimostra come certa tematica
radicaleggiante, che ha già influenzato tutto il PCI, abbia fatto
breccia anche nella sinistra più estrema.
Gli elementi positivi a nostro avviso possono intravvedersi unicamente
in prospettiva e si possono così riassumere:
1) L'accordo di tregua è stato concertato in modo tale da rendere
praticamente impossibile una pace duratura, il che rende concreta la
possibilità del sorgere di un sempre più ampio fronte vietnamita e
vietcong favorevole alla guerra fino alla vittoria totale; interessante
a tale proposito sarebbe conoscere l'atteggiamento futuro dei vari Giap.
2) La strategia dell'amministrazione Nixon, votata alla conquista di
vaste aree di ingerenza economica (vedi Cina, paesi dell'Est europeo e
persino la stessa Russia), ed imperniata sui presupposti distensivi fin
qui pienamente realizzati, alla lunga potrebbe risolversi in un
pericoloso boomerang per gli USA stessi stante lo spazio che viene ad
aprirsi in Asia da un certo ridimensionamento del ruolo militare
americano.
In definitiva concordiamo con quanto detto dal principe cambogiano
Sihanouk attualmente in esilio a Pechino, il quale in una recente
intervista ha appunto affermato: «Le cose andranno di male in peggio
dopo il cessate il fuoco, un giorno bisognerà pure ricominciare da
capo».
UN'INTERNAZIONALE PER IL SISTEMA
La conferenza dell'Internazionale socialista (14-15/1/73 a Parigi)
tenuta dai maggiori rappresentanti dei partiti socialisti
internazionali, si è svolta in concomitanza di avvenimenti nel campo
politico mondiale di primario interesse e rilievo.
Dopo due giorni di discussione a "camera chiusa" non è stato possibile
però trarre una conclusione finale; infatti non sono state rilasciate
dichiarazioni di alcun genere e le uniche indiscrezioni sono quelle che
risalgono al segretario del partito socialista francese Mitterrand, il
quale ha sottolineato che il problema più importante discusso è stata la
questione vietnamita.
Su questo problema i pareri sono stati discordi; i rappresentanti
scandinavi e francesi hanno condannato la politica USA nel Vietnam, gli
altri hanno espresso pareri più sfumati o discordanti. È importante
notare come tutti i partiti e gruppi socialisti e comunisti non anelino
alla vittoria definitiva e totale dei Vietcong ma si esaltano per un
raggiunto accordo (non si tratta di pace), frutto di un compromesso che
segna la vittoria della linea Nixon.
Basterebbe ciò a dimostrare come il socialismo internazionale agisca in
funzione occidentalista.
Se confrontiamo la posizione dei partiti socialisti oggi con quella del
1967, quando si riunirono a Roma per il congresso dell'Internazionale
socialista, troviamo che tale modo di essere del socialismo è coerente
da tempo nell'assolvere a quella funzione.
Allora si evidenziavano le seguenti situazioni, strombazzate come
conquiste dei lavoratori: unificazione in Italia (centrosinistra),
partecipazione al governo in Germania, leadership politica in Gran
Bretagna, imminenti elezioni in Francia.
Per i socialisti italiani la rottura tra PSI e PSDI, ha significato
l'estromissione dal governo del PSI. Se il PSDI è su posizioni
centro-reazionarie, a seguito della vittoria dei moderati (De
Martino-Nenni) nell'ultimo congresso socialista, lo stesso PSI questua
oggi il rientro in un governo di netta marca reazionaria.
La socialdemocrazia tedesca, guidata da Brandt, con l'affermazione della
Ostpolitik ha rafforzato la posizione occidentalista. Interessante
notare la assenza di Brandt a Parigi. I motivi ci sembrano palesi.
Primo, non fare un torto all'amico Pompidou, data l'imminenza delle
elezioni politiche in Francia dove i socialisti rappresentano i diretti
antagonisti del Presidente al timone della politica francese. Secondo,
non subire i rimproveri di Golda Meir per i fatti di Monaco.
Per quanto riguarda i socialisti francesi, nonostante la verbale
condanna della politica USA, basta leggere il "programma di governo"
sottoscritto col PCF il 27 giugno '72, per rendersi conto della non
volontà di abbandono dell'area atlantica e dei trattati truffa dei
padroni del mondo (USA-URSS).
Il socialismo dei laburisti inglesi,sebbene rappresenti un modello che è
troppo poco esportabile e rientri in un contesto politico istituzionale
del tutto particolare e differente rispetto ai sistemi politici
dell'Europa continentale, ha sempre rifiutato ogni possibile autonomia e
non ha mai negato la sua fedeltà agli USA.
Basterebbe d'altronde esaminare la storia dei partiti socialisti per
rendersi conto di quanto essi non rappresentino oggi una alternativa
politica e di come agiscano in funzione occidentalista e reazionaria.
L'abbandono di ogni programma rivoluzionario e l'accettazione dei
termini di base del sistema democratico-parlamentare con la conseguente
scelta di operare unicamente entro lo spazio del sistema formano la
caratteristica di fondo che accompagna ed accompagnerà sempre l'azione
politica dei gruppi socialisti.
Rotto il legame con il socialismo rivoluzionario, essi sono arrivati a
negare qualsiasi validità al pensiero del profeta, assorbendo
completamente l'interpretazione bernsteiniana, secondo la. quale la
critica di Marx è insufficiente di fronte agli sviluppi del capitalismo.
Supereranno la crisi assumendo come riferimento, come modello al quale
ispirarsi, l'esperienza tradeunionista, cioè l'operaismo liberale
inglese.
Ritornando alla politica italiana, è stata certamente la completa
acquisizione del partito socialista al regime che ha permesso alle forze
più retrive di riprendere saldamente in mano le redini della politica
italiana.
Da questa analisi non sfuggono i partiti comunisti, tanto è vero che se
qualcosa si muove nei rapporti tra socialisti e comunisti, vi è uno
spostamento di posizioni, una convergenza, essa è senz'altro da parte
comunista verso la socialdemocrazia, ed è su questa base che si sta
tentando l'utilizzazione dei partiti comunisti in Europa (Francia, il
già citato "programma di governo"; Italia, la scomunica di Berlinguer e
del CC del PCI al Movimento Studentesco).
Per quanto riguarda la partecipazione di Golda Meir alla conferenza, che
i partiti socialisti avessero giurato fedeltà al sionismo è cosa
risaputa da tempo. Con il loro accorrere a Parigi hanno dimostrato
ulteriormente anche la loro funzione sionista.
A Parigi giovani d'ispirazione rivoluzionaria hanno violentemente
manifestato contro il premier israelita, bruciandone un ritratto e
gridando slogans a favore dei rivoluzionari palestinesi e contro il
sionismo.
Che nessun giornale delle sinistre italiane abbia dato il dovuto risalto
all'avvenimento e tutti lo abbiano mimetizzato, rientra nella logica del
soldo sionista.
Sconcertante rimane il fatto che i quotidiani dei gruppi
extraparlamentari di sinistra "il Manifesto" e "Lotta Continua" abbiano
quasi del tutto ignorato il fatto. "Lotta Continua" lo ha addirittura
camuffato in un articolo sul medioriente. È davvero strano che un
giornale tacciato spesso di trascinante trionfalismo abbia dato tanto
poca evidenza ad un avvenimento dal significato qualificante.
Evidentemente "Lotta Continua", braccio extraparlamentare del PSI e
amplificatore di certo radicalismo neogiacobino, non poteva andar contro
contemporaneamente ai padroni diretti e ad uno dei tanti padroni dei
loro padroni.
Ed anche questo dimostra che il socialcomunismo rimane sempre.il fedele
servitore dell'Occidentalismo in Europa.
POLITICA INTERNA
A diversi mesi di distanza dalla vittoria elettorale democristiana («al
centro con la DC») possiamo dire che l'equilibrio dell'immobilismo sul
quale si era retto il centrosinistra ha finito col ridurre all'impotenza
anche l'efficientismo centrista di Giulio Andreotti. Tale prospettiva
del resto era nella logica delle cose, e da la conferma che il regime è
sostanzialmente incapace a qualsiasi azione di governo volta a risolvere
almeno i problemi più urgenti, sui quali pesano negativamente interessi
di forze extranazionali (USA-URSS-Vaticano) che sono evidentemente più
grossi delle false problematiche dietro le quali si nasconde.
In tale quadro il partito cattolico è sempre stato in grado di sostenere
la situazione, trovando come antagonisti da una parte il PCI, in realtà
fedele sostenitore del sistema, nel cui ambito ha il preciso ruolo di
imbrigliare e smorzare i fermenti delle masse lavoratrici,
convogliandoli verso strade non pericolose per la stabilità del sistema
stesso, e dall'altra parte la destra, che certa mente non rappresenta
un'alternativa di regime, prospettandone al massimo la cristallizzazione
su basi d'ordine (in senso bottegaio e retrivo).
Nella realtà le,opposizioni di destra e di sinistra, apparentemente in
antitesi, cooperano al mantenimento del regime, che è stabile nella
misura in cui provoca lo scontento e lo convoglia verso i partiti che lo
debbono amministrare. Ciò aggrava ulteriormente il naturale disimpegno
politico degli italiani, perchè consente loro di scaricarsi di un
disagio con il voto e di acquisire la falsa convinzione liberatoria di
aver fatto tutto ciò che poteva essere fatto. La antinomia
antifascismo-anticomunismo non fa che riprodurre lo stesso quadro,
mentre essa è solo la misura dello stato di asservimento delle forze
politiche al potere alle direttive americane e vaticane.
Gli stessi extraparlamentari di sinistra, nati con la volontà di creare
nuove forme di lotta, hanno finito col sostenere, seppure
indirettamente, i giochi di potere della sinistra tradizionale, con
l'adesione ad una logica esclusivamente antifascista, che li cattura
alla antinomia di cui sopra, divenuta così un alibi per alienati. I
gruppi extraparlamentari assolvono per di più al compito di estremizzare
le tensioni senza uno sbocco, dando modo al moderatume che governa di
rilanciare la tesi degli opposti estremismi.
Il compito di Andreotti è stato quello di tenere cucita attorno alla sua
linea centrista tutte le mummie della destra e della sinistra DC,
bloccando ogni possibilità crisi all'interno del partito. Il governo
deve durare comunque fino al Congresso Nazionale democristiano, fissato
a maggio.
Le manovre di vertice (polemica Moro-Orlandi, intervista di Rumor,
sortite di Fanfani, dimissioni di De Mita, polemica Mancini-De Martino
all'interno del PSI) non hanno un sostanziale significato politico;
segnano soltanto le tappe della corsa ai posti chiave e di preminenza
nei pascoli del sottogoverno, pascoli che Andreotti si vuole assicurare
con le scadenza di aprile (Consigli di Amministrazione del Parastato) e
che i suoi interlocutori vogliono, invece, spartire.
La risoluzione dei problemi aperti nella nostra società non. è certo
nell'adozione di questa o quella formula di governo, che sarà sempre il
frutto di un disegno moderato. Occorre prendere coscienza che il disegno
moderato deve essere sconfitto e che ciò comporta non l'adesione ad un
qualunque programma parziale e riformistico ma il totale abbattimento di
tutte le componenti del regime.
CILE
Insieme a Peròn, nella metà degli anni
'50, cadono nell'America Latina diverse dittature personali che in
passato avevano goduto dell'appoggio e della protezione degli USA.
Il succedersi di tali mutamenti delle aree di potere dei paesi
latino-americani, favorì la formazione di un ceto medio borghese, che,
già sviluppato in Argentina, in Brasile, in Messico, si diffuse
sensibilmente anche in Cile.
La dialettica del gruppo di potere, di conseguenza, non si pose più nei
termini degli anni tra le due guerre, nei quali, per l'inesistenza o per
l'incapacità della borghesia locale, i gruppi militari o i grossi
proprietari terrieri detenevano il potere. La soluzione militarista
quindi, si presentò come una soluzione intermedia e provvisoria.
Gli Stati Uniti, a loro volta, imbastirono la politica della "Alleanza
per il Progresso", appoggiando i vari mutamenti che si erano verificati
alcuni anni prima e favorirono l'espansione dell'industria nel tentativo
di adattare alle proprie strutture in America Latina l'integrazione
delle economie locali.
Il Cile fu uno degli stati che maggiormente accusarono l'ingerenza
colonialistica USA. Difatti, il piano dell'Alleanza per il Progresso, se
offri maggiori possibilità di commercio da parte del Cile con l'Europa e
con gli altri paesi del subcontinente, lo fece nell'ambito delle dure
condizioni dell'intervènto statunitense contro le quali Allende ha
impostato la sua politica.
Là sostanziale crisi economica che sta attraversando oggi il Cile,
constatata più volte anche nel programma di Unidad Popular oltre ai ceti
più bassi della popolazione (contadini, operai, ecc.), ha coinvolto
anche quei ceti medio-borghesi che vanno dagli impiegati agli
imprenditori piccoli e medi, e che costituiscono oggi l'ossatura del
sistema politico cileno.
La crisi, data senza dubbio dà una situazione interna detèriorata, sia
dal punto di vista economico sia da quello politico, ha invitato
l'opposizione ad un serio attacco per piegare il governo di Allende.
Nella prima metà di dicembre, l'opposizione -Democrazia Cristiana e
Partito Nazionale ormai riuniti- sferrò, com'è noto, un duro attacco al
governo di Salvador Allende. La Democrazia Cristiana, appoggiata dai
partiti omologhi europei, istigati a loro volta dagli USA, riuscì a
coordinare un'ondata di scioperi che paralizzarono la vita economica é
politica del paese.
In concomitanza gli USA misero in atto contro il Cile un sottile
boicottaggio economico e finanziario (niente pezzi di ricambio,
sospensione degli investimenti, tentativo di Washington di ancorare il
negoziato sul debito esterno all'impegno di Santiago di indennizzare
l'Anaconda e la Konnecott).
Del resto l'esportazione del rame, di cui il Cile è tra i primi
produttori del mondo aveva subìto la paralisi voluta, come diretta
conseguenza delle note misure protezionistiche annunciate da Nixon la
notte di ferragosto del '71.
Lo sciopero che ha maggiormente danneggiato la popolarità di Allende è
stato tuttavia quello dei proprietari dei mezzi di trasporto. Anche i
comunisti sono scesi in sciopero contro il governo, sia perchè
spaventati dalla progettata costituzione di un Ente statale che avrebbe
dovuto monopolizzare tutti i tipi di trasporto, sia perchè, visto che i
centri più colpiti erano quelli delle poblaciònes in conseguenza
all'aumentata scarsità dei generi alimentari, sono stati i primi a
rendersi conto che la Democrazia Cristiana controllava largamente tali
centri, hanno preferito non troncare tutti i rapporti con una forza
politica che, quale sia stata la strumentalizzazione, è stata ritenuta
indispensabile alla riuscita dell'esperimento socialista.
Scioperi della borghesia - ha affermato Salvador Allende, ma lui stesso
è stato tacciato di mal borghese da parte del MIR (Movimiento de la
Izquierda Revolucionaria) che è l'organizzazione più estremista
esistente in Cile.
Le destre avevano fatto molto affidamento sull'appoggio dei militari per
fare fallire l'esperimento di Allende. Questi ha compreso
tempestivamente che le cose volgevano al peggio e decretava lo stato
d'emergenza. Il braccio di ferro con la destituzione del Ministro delle
Finanze Orlando Millas si concludeva in favore di Allende il quale
stroncava ogni velleità degli avversari e portava ben tre militari
nell'area di governo (Interni: gen. Carlo Pratz, Lavori Pubblici:
contrammiraglio Ismael Huerta, Miniere: gen. d'aviazione Claudio
Sepulveda Donoso) e dopo l'accordo concluso dai rappresentanti sindacali
delle varie categorie con l'oligarchia così installatasi al potere,
Allende si è così messo praticamente le spalle al sicuro.
Questo per l'immediato futuro. E poi? La situazione appare senza sbocco
essendo ritornata alle origini di tutto il processo. La soluzione
militarista è infatti sempre intermedia e provvisoria. Qualunque nuovo
equilibrio non potrà che passare attraverso nuove tensioni sociali. |