Italia - Repubblica - Socializzazione

 

Omaggio a

Rino Cozzarini

prima medaglia d’oro della RSI

 

 

Celebrata la memoria di Rino Cozzarini nel 65° anniversario del sacrificio

 

 Una delegazione FNCRSI e dell’Associazione Culturale Marco Furio Camillo di Roma ha reso, il giorno 10 novembre 2008, i dovuti onori alla stele dedicata al tenente Rino Cozzarini nel luogo del suo cosciente sacrificio, avvenuto il 10 novembre 1943, in località Mignano Montelungo, sulla Via Casilina, quasi alle porte di Roma.

Cozzarini era nato a Venezia nel 1918, quindi è morto a 25 anni. La sua morte non è stata soltanto simbolica, perché durante i cruentissimi scontri di quei giorni, era riuscito a procurare un bottino di guerra di 300 prigionieri anglo-americani e quattro carri armati inglesi intatti. Non è roba da poco.

Il tenente Cozzarini, nominato capitano dopo la morte, è stato la prima medaglia d’oro della R.S.I.

La Repubblica Sociale, a fronte delle obiettive difficoltà della conduzione della guerra di resistenza contro l’invasione atlantica, è stata molto parca nell’erogazione di medaglie d’oro, al contrario dello sperpero inflattivo delle medesime da parte dell’Italia post resistenziale, in diretta proporzione alla loro sostanziale insignificanza storica.

Rino Cozzarini deve costituire un riferimento per tutti coloro che non intendono piegarsi a qualsivoglia avversità. In un momento particolare della storia d’Italia, nel quale sarebbe stato giocoforza prendere atto della resa, del tradimento, della defezione, della delazione, dell’ assassinio a tradimento (Ettore Muti), della miseria morale gratuitamente diffusa in tutte le coscienze (leggere, per conferma il libro di interviste di F. Giorgino e N. Rao, "L’un contro l’altro armati", Mursia), compresi coloro che in un secondo tempo, resisi conto del disastro nazionale, avrebbero aderito alla Repubblica Sociale, Rino Cozzarini reagisce d’istinto. Con non poche difficoltà, legate al disprezzo dell’ex alleato tedesco ed alla necessità di rincuorare militari sbandati e depressi, riesce a raccogliere un numero di combattenti pari alla forza di un battaglione, e li guida al combattimento riparatore.

Il rapporto di forze è naturalmente sbilanciato ed il nemico si fa forte di troppo facili vittorie. E nondimeno, pur nell’insufficienza dell’armamento, gli italiani si battono con disperata determinazione.

Rino Cozzarini cade il 10 novembre 1943, a poco più di cento chilometri da Roma, ma gli alleati riusciranno ad entrare nella città eterna solo a giugno dell’anno seguente.

Monito eterno per chiunque pensi di poter risolvere facilmente i personali problemi economico-esistenziali col tradimento, il compiacente servilismo, i compromessi.

 

Giorgio Vitali

 

 


 

Rino

Cozzarini

prima medaglia d’oro della RSI

Venticinquenne capitano, appartenente ad un battaglione “M” bersaglieri, all’indomani dell’8 settembre, rifiutando la resa, raccolse attorno a sé un gruppo di soldati italiani sbandati che trasformò in un battaglione della forza di 700 uomini e condusse al combattimento.

Il 10 novembre 1943 nel settore del fronte Falciano del Massico-Mondragone, località poste a nord-ovest del Volturno, cadde combattendo contro truppe anglo-americane.

Alcuni anni or sono il Generale americano Edward H. Thomas, guidando un gruppo di reduci statunitensi e canadesi che nel 1944 combatterono a Mignano Montelungo, ha reso omaggio a Cozzarini deponendo una corona d’alloro alla base della stele che lo ricorda.

tratto da “Combattenti dell’Onore”

 

 

Il 10 novembre 1943, in un cruento assalto cadeva sul fronte meridionale italiano nel conteso settore di Falciano-Mondragone alla testa dei suoi legionari, il tenente Rino Cozzarini. L'Italia perdeva con lui uno dei suoi figli minori.

Rino Cozzarini era nato a Venezia nel 1918: aveva dunque solo 25 anni. Cresciuto in un'atmosfera di assoluta dedizione ai supremi ideali patriottici, egli rimane un esempio per tutti i giovani.

A 18 anni si arruola volontario e parte per la Spagna martoriata nel nome dell'Idea italiana e fascista che lo spinge laddove sui campi di battaglia si decidono i destini della Spagna cattolica che il bolscevismo tenta di asservire per farne il trampolino di lancio della futura offensiva sovietica contro la civiltà d'Europa.

Rientrato dalla Spagna riprende i suoi studi. Ma il 10 giugno 1940 squilla di nuovo la diana di guerra. L'Italia, rotti gli indugi, prende il suo posto di combattimento.

Rino Cozzarini chiede immediatamente di servire ancora la Patria in armi. Sarà però il suo atteggiamento che segue l'infausta data dell'8 settembre a dargli il carisma purissimo dell'eroismo. In quei tristi giorni egli è veramente un italiano e di nulla si preoccupa se non di salvare la Patria, ferita, mutilata, tradita. E anzi è forse egli il primo fra gli ufficiali italiani che, posto di fronte alla tragedia che sembra afferrar tutti, salta alla riscossa in un impeto supremo di ribellione.

8, 9, 10 e 11 settembre 1943. L'esercito regio non esiste più, disorganizzato dal tradimento dei generali e della monarchia. Su tutte le strade d'Italia hanno l'ordine assurdo e vergognoso di far causa comune con gli anglosassoni e di rivolgere le armi contro i germanici. I reparti italiani abbandonati da ufficiali indegni si liquefanno. Di quello che è stato uno dei più valorosi eserciti del mondo non restano che torme di esseri senza guida né mèta. Non possono affiancarsi al nemico anglosassone e non possono a maggior ragione contro l'alleato. Con l'esercito è l'Italia che crolla.

Soltanto i soldati di Hitler tengono testa al nemico imbaldanzito dai facili successi, turano le falle, organizzano quel nuovo schieramento offensivo contro il quale da mesi cozzano le armate anglo-statunitensi.

È in questo momento drammatico che si forma agli ordini di Rino Cozzarini il primo battaglione volontari italiani avanguardia del nuovo esercito. Il giovane ufficiale che alcuni uomini non hanno voluto abbandonare, trovato un autocarro, comincia a percorrere le strade dell'Italia meridionale per cercare di raggruppare attorno a sé un nucleo di soldati da riportare in linea a fianco dei germanici.

Incontra per primo un motociclista lanciato a velocità pazza.

- Da dove vieni?

- Sono scappato da Roma

- Dove vai?

- A casa no di certo.

- Vuoi venire con me?

- Sì, signor tenente.

- Come ti chiami?

- Mari.

E la corsa dell'autocarro viene ripresa con il motociclista per battistrada. Lungo la via vi sono gruppi di soldati sbandati, avviliti, inutilmente alla ricerca di una guida, di una mèta.

«Volete venire con me?» domanda il tenente Cozzarini «torneremo a combattere contro gli inglesi»

In tal modo si forma quel leggendario battaglione che doveva imporsi all'ammirazione dello stesso avversario e guadagnarsi i più lusinghieri elogi del comando germanico.

Radunati attorno a sé oltre mille uomini, Rino Cozzarini si presenta a un comando tedesco e chiede l'onore di un posto sulla linea del fuoco. Immediatamente si crea un'atmosfera di cameratismo e solidarietà fra volontari italiani e soldati del Reich. Dopo un breve periodo di addestramento, la sera del 29 ottobre i volontari partono per la prima linea.

L'indomani sono schierati nel settore Falciano-Mondragone, posizione dura da tenere. Gli anglo-americani gettano continuamente nuovi contingenti nella fornace per rompere lo schieramento. Riusciti vani i tentativi delle fanterie, il comando nemico sferra un'offensiva con forze corazzate. Ma i volontari non mollano. Si trasformano in cacciatori di carri con la vecchia, ma sempre efficace, tattica della bottiglia di benzina e della bomba a mano. La battaglia non ha soste. La mattina del 31 si sposta su Falciano facendosi più violenta. Gli italiani scattano più volte al contrattacco. Il nemico è fermato e ributtato. Il canto di "Battaglioni M" saluta la vittoria mentre verso le retrovie sono avviati 300 prigionieri e 4 carri armati inglesi.

Sul campo dell'onore giacciono 192 italiani, 192 eroi. Il motociclista Mari rantola in un fosso, ma trova ancora la forza di gridare: «Viva l'Italia. Viva il battaglione!» 

Al sergente Amendola è concessa sul campo la croce di ferro germanica. 

Nei giorni che seguono il battaglione italiano è nuovamente chiamato al combattimento e si copre di gloria. Cozzarini promosso da qualche giorno capitano e insignito della croce di ferro, cade sul conteso campo della lotta nel corso di un cruento assalto. La sua anima eletta raggiunge così quelle dei suoi ragazzi che lo hanno preceduto sulla via dell'onore e della gloria.

 

dal "Secolo d'Italia" del 28 Settembre 1990

 

 

L'aeropoema di Cozzarini

Filippo Tommaso Marinetti   

 

 

Il quadrilatero di chiostri e biblioteche plasmato dal Bramante a guisa di tonsura sul cranio del monte Cassino domina la battaglia dei germanici contro gli anglo-americani e mercenari.

Ne rintuonano tipografie di monaci collane autunnali di vigneti a istrici di fiamma lampeggianti funebri cortei di tarli subiti nei secoli dagli eccelsi volumi del candore filosofico.

Originalissima spiritualità azzurra di quel cielo aperto come un messale tutto miniato di colombe telescopi artiglierie puntate da teologi astronomi matematici consunti nella mistica rilegatura delle costellazioni.

Non raggi di sapienza ma tenebre crudeli piombano giù dalle errabonde lampade funerarie accatastandosi.

Poiché a tradimento compiuto muore l'Italia colpita lacerata il capitano Rino Cozzarini si affanna per soccorrerla ansando col suo volto affilato di scure olivastra occhi di liquirizia sotto grappoli di capelli neri.

- Non riconosco l'infamante capitolazione io che fui un menarista sobbalzante sfera d'avorio sul metallico deserto arancione e nella affocata tenda mimetica della guerra di Spagna scrissi una tragedia che ha per protagonista il tipo ideale perfetto socialmente umano dell'Ufficiale ed ora bisogna incarnarlo sul palcoscenico del mondo.

Dalla cima del monte Cassino si stacca una nuvola rosea di sereno egoismo che dilata i veementi muggiti turchini delle stalle montane.

Ronza romba con traiettoria immensa un rotondo pensiero di grandezza immateriale.

Sganasciandosi si sbellica dalle risate una ragazzaglia di echi a frotte che troppo li divertì l'intoppo trappo del burbero fucile mitragliatore.

Mio buon Gesù aiutami a tamponare il sangue di tante ferite vedi l'Italia non ha più lacrime e fiata male Lei così bella aiutami e recluteremo gente per difenderla nelle università negli ospedali adolescenti vecchi malati parleremo anche a tutti col cuore e bacerò i ginocchi a chi mi dirà di sì purché venga con noi.

Onore e sacrificio onore e sacrificio onore e sacrificio null'altro da offrirvi ma tu presto lascia rancori pianta gli affetti il denaro la miseria vieni.

Italiani perché calpestaste così atrocemente la sublime poesia della Patria nessuno può rispondere a questa mia domanda e sono rimpianti vani.

Ora vi disprezzate e vi coprite la faccia col fango e riconoscete soltanto l'implacabile superiorità del Numero e della Quantità massiccia.

Dalla cima del monte Cassino si spande una macchia oleosa ed è una nuvola viola che tenta covare la battaglia sotto ali membranose di cinismo.

- Eppure io posseggo un fulgente segreto e lo stringo nel pugno fra le mie dita intenerite. Dal fondo del più torbido oceano è venuto miracolosamente a galla.

Sembra l'orologino dell'amore materno dato al figlio che parte per il fronte oppure una tremante bestiola a sguardi umili e flebile tic-tac.

Lo maneggio bene e lo bacio e ribacio ed è l'invocato Istante dell'eroismo assoluto da regalare alla Patria. Prima che muoia.

Ronza romba con traiettoria immensa un pensiero rotondo di bontà caritatevole per i deboli. L'applaudono i settecento combattenti reclutati ferroviariamente all'impazzata e sono contadini che brandiscono vincastri di greggi smarriti forbicioni da vinaiolo trappole sfasciate da volpi beffarde e sdentate forche di inverni senza lupi e pertiche zelanti nell'ammainare irraggiungibili olive di pace. Un aeropoeta di Cagliari trasvolando riesce a raggiungere un blocco nero del nuraghi nativo.

Ma i gruppi futuristi di Reggio Calabria Girgenti Bagheria implorano armi e munizioni.

Come potremo combattere senza fucili né bombe. Abbiamo soltanto questi libri d'aviazione stampati su latta da Mazzotti e Nosenzo per corazzarci il petto. Un itinerario in Palestina di Padre Cesare Angelini. Il futurismo poesia ad ogni costo di Orestano. La vittoriosa architettura di Sant'Elia. L'aeroporto di Scurto. Bombardata Napoli canta di Bellanova la fine della tradizione monarchica Aeropittura contro nature morte di Renato di Bosso. Quando ero pecoraio di Giardina. La poesia dei ferri chirurgici di Masnata Aria madre di Civello. I poeti futuristi repubblicani del 1908. L'essenza del futurismo di Acquaviva Studenti fascisti cantano così di Buccafusca De Marinetti a Maiakowski Histoiredu futurisme Russe di Lehermann. Sopraggiungono ad insaporarli di sale marino il Tirreno e l'Adriatico con l'ampio giro dei loro fiati melodiosi lieti di lambire il declivio soave del petto della fidanzata questo snello campionario delle tinte della felicità. Un blu madonna unoro di aureole in chiesetta alpestre un carminio di labbra un vermiglio di vulcani un argento di ulivi in promontorio un rosa di aurora inbaracca marinara un lapislazzuli di sguardi ritrovatisi in paradiso. Ronza romba con traiettoria immensa un rotondo pensiero di vendetta che addenta l'equità. La battaglia diventa una crepitante rabbia di macchine tipografiche e vi sibila l'inchiostro carbonoso di una rotativa a traffico librario infinito.

- Se vincerò o mia futura sposa ti apparterrà un lembo della vittoria se cascherò dirai ad altri che sono morto e riaccenderai una fiaccola nuova. Alla Patria che mi vuole lascio quanto ho di più caro nella mia vita. In ginocchio s'intrufola nelle linee mitraglianti il capitano Rino Cozzarini con bombe a mano sventagliando morte svincola il suo battaglione accerchiato in un vigneto colmo di vampe e pampini carbonizzati come si libera un sentimento ideale da acredini pessimiste. Nella fattoria presa d'assalto egli entra con i volontari.

- Padrona dammi il secchio del pozzo che la gola ci brucia o Gloria non mi ruberai il magnifico Istante di eroismo assoluto da regalare alla Patria.

In ginocchio strisciando egli introduce fra i due rulli spietati tutto se stesso tipo ideale perfetto socialmente umano dell'ufficiale. Collaudo patetico.

Delicatissima la carta di carne patinata dai più armoniosi baci. Adamantini i caratteri di orgoglio letterario artistico creatore. Mal'angoscia del raffinamento preme il petto di Rino Cozzarini.

- Devo essere il primo fra tutti e guari a voi se qualcuno mi passa avanti ed ora stampami stampami nella storia fuori testo stampami o mestierante nemico.

Un così denso splendore di colori italiani potrebbe ostruire i rulli già li bloccò la rotativa è ferma. Ed ecco in cielo rasserenarsi i cuori degli eroi frementi e senza gioia quando garrisce la serica notizia tricolore. «Forse speriamo preghiamo l'Italia guarirà». E se morisse di chi la colpa. Colpa della numismatica monarchia del passato e della tradizione. Tradizione uguale tradimento gloria quindi a Cozzarini eroe dell'invenzione. Non sia una platonica facezia in gondola la nostra riunione di Venezia. Occorre poetare coi mirini di battaglia. La poesia cannoneggi la mitraglia. O futuristi che invocaste trent'anni fa un'ardente alata repubblica originale pregate il buon Gesù che largisca nella strozza del nemico un buon pesce d'aprile a superdentata lisca e nel mio stremato corpo di volontario del fronte russo l'indiscusso lusso di una buona salute al campo.

 

Filippo Tommaso Marinetti 

dal "Secolo d'Italia" del 28 Settembre 1990    

dal sito dedicato ai Bersaglieri "La corsa infinita"

 http://digilander.libero.it/lacorsainfinita

 

Tenente dei Bersaglieri

Rino Cozzarini

 

Di Rino Cozzarini ho scoperto ben poco, se non che era nato a Venezia nel 1918 e che si era arruolato a 18 anni coi volontari della Guerra Spagnola. Quando ritorna a fine conflitto ha ancora il tempo per dedicarsi ad una parte degli studi che non aveva completato, ma scoppia subito il secondo grande conflitto. Da quale corso ufficiali, in quali reparti sia entrato e uscito non ci è dato sapere. Difficile da reperire e da classificare nel variegato mondo dei volontari della Rsi: di Cozzarini non parla neanche Pisanò ne gli “Ultimi in Grigioverde”. Lo stesso sito “da Cassino al Volturno” lo chiama Cesare Cozzarini.

Quando l’8 settembre 1943 c’è il “tutti a casa”, Cozzarini non è della partita. Chi lo descrive con un camion lungo le strade principali a raccogliere uomini per un suo progetto che, comunque vada, è di continuare la guerra a fianco dei tedeschi, come l’ha cominciata, chi su una moto a recuperare sbandati. L’imprimatur dell’Esercito della R.S.I verrà dopo, perché ora è solo caos e Mussolini è ufficialmente prigioniero sul Gran Sasso. Radunati attorno a sé ca. 500 uomini, Rino Cozzarini si presenta col suo piccolo esercito a un comando tedesco. Chiede l'onore di un posto sulla linea del fuoco per quelli che lui chiama "battaglione Mussolini". Accertate le capacità del complesso, i tedeschi non frappongono difficoltà ad avvalersi di questi uomini nei giorni successivi, alla prima bisogna. Non lo faranno mai di frapporre difficoltà davanti a piccole unità da loro dipendenti in tutto e per tutto. Sono i giorni del Volturno in piena, che gli alleati tentano di forzare con tutti i mezzi. Sulla linea Falciano-Mondragone durante la notte del 29 ottobre, gli alleati tentano di infrangere gli ultimi spezzoni della vecchia linea di resistenza Viktor.

Gli uomini di Cozzarini senza adeguate armi anticarro, riusciranno a respingere un massiccio attacco di una formazione corazzata alleata, utilizzando la tattica delle bottiglie di benzina (Molotov) e delle bombe a mano. Vennero anche catturati 4 carri e circa 300 prigionieri al prezzo di 192 caduti. Per la condotta in combattimento a M. Massico (m. 811), gli viene riconosciuta la promozione a Capitano, che però non figura sulla sua lapide. Non deve stupire che il reparto venga definito Battaglione, anche se forse non ne aveva la consistenza, e sia comandato da un ufficiale inferiore, perché questa era la regola presso i Tedeschi e in particolari circostanze anche degli italiani. Nei giorni che seguono il battaglione italiano è nuovamente chiamato al combattimento e si copre di gloria. Cozzarini viene anche insignito della croce di ferro germanica. Respinti gli attacchi del X C.d’A l’esiguo reparto, aggregato alla 3ª PzGrD, fu dislocato sulla breccia di Mignano, lungo la SS 6 Casilina dominata dalle quote 1170 (M. Cesima*) e 1205 (M. Sammucro), dalla più prossima quota 357 (M. Rotondo) a nord, dalla quota 963 (M.Camino) e dalle vicine quote 588 (M. Maggiore) e 350 (M. Lungo) a sud. La quota 1170 era difesa dalla 3ª PzGrD, formata in buona parte da Volksdeutche polacchi, con i volontari di Cozzarini in postazione avanzata a M. Rotondo.

*Col. Shepperd

"La campagna d’Italia 1943-1945" (pagg. 191-192): «un cedimento dei Panzer Grenadier permise agli americani di entrare in possesso di M. Cesima e di attaccare dal fianco M. Rotondo. Questo attacco fallì, ma un secondo assalto fra la nebbia raggiunse l’8 novembre la cresta che venne difesa nonostante diversi contrattacchi». Ed è qui, nella lotta scatenata dal 5 al 15 novembre 1943 per forzare la stretta e il suo caposaldo S. Pietro Infine, che Cozzarini trova la morte (10 novembre). Il battaglione continuò a combattere e se ne hanno notizie fino al 18 dicembre 1943.