Italia - Repubblica - Socializzazione

 

Dalla storia alla politica e dalla politica alla storia

   
Giorgio Vitali    

   

L'esito prevedibile delle elezioni, conferma, se ce ne fosse ancora bisogno, la concretezza della POLITICA come luogo di verifica di presupposti teorici realisti e razionali, finora già ampiamente studiati e verificati dalla scuola italica (Machiavelli, Guicciardini fino al Pareto ed a Prezzolini). Vedasi "Il Principe" di Machiavelli con il preludio di B. Mussolini, Nastasi ed., 1967; ed i "Pensieri sugli uomini" dello stesso pubblicati nel 1911 da G. Papini per Carabba nella famosa serie "Cultura dell'Anima".

E proprio da questo volume è d'uopo ricavare una frase che si attaglia alla perfezione all'Italia d'oggi.

«Bisogna che i giudici siano assai, perché pochi sempre fanno a modo dei pochi».

Infatti, una delle ragioni dello stallo civile nel quale si trova il nostro paese è proprio la crisi della Giustizia, dovuta in gran parte al numero molto basso (quindi voluto!) dei magistrati in funzione giudicante. Tutto ciò comporta, ovviamente, l'allungamento dei tempi di qualsiasi giudizio, la vanificazione del procedimento penale, (polemica di questi giorni, ma scatenata troppo in ritardo), le scelte politiche di buona parte dei magistrati.

In questo elenco, per ragioni di opportunità geopolitica, è necessario aggiungere i due fondamentali maestri della prassi politica anglosassone, il Bodin (francofono) e l'Hobbes.

Mettendo in relazione il pensiero di questi e la storia del pensiero politico italico, si nota con chiarezza che, mentre nei nostri pensatori, grazie all'immanenza della cultura classica (Platonico-Aristotelica) persiste una valutazione etica del ruolo politico, [lo stesso Machiavelli, nell'intera sua opera, non ha mai inteso giustificare il comportamento amorale, anzi, lo ha sempre denunciato], in quelli anglosassoni questa è del tutto assente. Il Bodin, in particolare, pur mostrandosi favorevole alla tolleranza religiosa, si è sempre espresso per la "sovranità assoluta". Non va peraltro dimenticata, nel panorama culturale politico italico, la presenza a lungo ignorata di Marsilio da Padova, che agli inizi del trecento, poggiando sul pensiero aristotelico, difendeva il governo delle maggioranze, il concetto di governo rappresentativo e la distinzione netta fra potere esecutivo e quello legislativo, per questa ragione "oscurato" per secoli.

Per quanto riguarda Hobbes, sappiamo bene che la sua filosofia ha sempre orientato il comportamento delle classi egemoni anglo-americane. Se a queste associamo la nuova classe sionista e fondamentalista, che egemonizza il potere statunitense da oltre un secolo, e che basa i propri comportamenti sul diritto di origine biblica del popolo ebraico al dominio sul mondo, possiamo comprendere facilmente il "contenuto etico" della geopolitica statunitense.

Per completare ilo concetto, è doveroso riportare una frase di Hobbes, scritta nella prefazione a Tucidide: «Sono assai più numerosi quelli che amano leggere le storie di grandi armate, di sanguinose battaglie, di sterminate turbe massacrate in un istante, anziché quelli che indagano le vie onde portare a buon fine le vicende civili e militari».

Per quanto riguarda l'ipocrisia puritana che ha sempre dominato la politica estera statunitense è sufficiente la lettura della seguente frase di Bryce, (Studies in History and Jurisprudence, 1901): «Non v'ha dubbio che la tendenza dell'opinione pubblica americana, dal Padre della Costituzione in poi, attribuisca la suprema sovranità al popolo degli Stati Uniti considerato nella sua totalità. Ma ogni Stato in particolare è ritenuto regolarmente sovrano entro la sfera di giurisdizione concessagli».

 

La Questione italiana

 

«Se siamo dei dogmatici diciamolo subito: così non faremo delle discussioni.

Ma se siamo cervelli pensanti e non cervelli ruminanti, allora possiamo discutere»

Benito Mussolini, (28 ottobre 1914)

 

Sono molti ormai a pensare che, come ha scritto Bruno Vespa nella sua Storia mondadoriana, la storia dell'Italia contemporanea sia iniziata nell'anno 1940. A corollario c'è l'interesse sempre crescente sulle vicende mussoliniane, morte compresa. Non si spiegherebbe diversamente la ragione dei molti libri scritti sull'argomento, nonché degli articoli che si susseguono su periodici di varia estrazione. Il mistero della morte del Duce peraltro sottintende il mistero strettamente legato alle vicende del secondo conflitto mondiale, le cui origini nonché lo stesso svolgimento, mostrano un numero crescente di lati oscuri, numero che si allunga sempre di più man mano che la conoscenza dei documenti finora rimasti secretati acuisce invece che diminuire il mistero. Insomma dal vecchio e sempre determinante "Tecnica della sconfitta" pubblicato da Franco Bandini nel 1968, e fino ad oggi, le cose si sono complicate ed obbligano tutti coloro che vogliono fare seriamente politica a non perdersi dietro ai miti del XX secolo, ma ad approfondire con grande lena le verità del passato, perché proprio da quelle verità discende l'attuale presente, mentre prendere per buona la retorica, tanto nella versione favorevole quanto in quella contraria porta alla situazione di stallo nella quale ci troviamo.

Scrive Bandini «… So di positivo che una diversa condotta militare italiana, quand'anche non avesse spostato di un capello tutto quello che poi successe, avrebbe almeno avuto il potere di classificarci tra quelle nazioni che hanno ancora diritto ad un avvenire …».

Ecco perché non basta interrogarsi sui misteri della morte di Mussolini se non ci si riesce a spiegare le ragioni di una condotta bellica così umiliante. Ma basterebbe fare un piccolo riferimento al "Mein Kampf" per capire qualcosa di più. Scrive infatti Hitler, ancora negli anni trenta: «Le condizioni preliminari sono la lotta all'ovest. Il problema vero, la conquista di territori all'Est». D'altronde, il problema, visto nell'ottica geopolitica, è sempre lo stesso, così come espresso dagli scrittori che, anche se in maniera criptica, hanno saputo interpretare il XX secolo. Non a caso Orwell, lo scrittore di "1984", pur partendo dalla tragicità delle purghe staliniane degli anni trenta, situa le sue angoscianti vicende all'interno di una situazione conflittuale fra Oceania ed Eurasia.

È per questa ragione che riteniamo giusto il parere espresso da Stendhal, nelle sue Memorie su Napoleone: «Tutti riconoscono che lo storico deve dire la verità chiaramente. Ma per far questo è necessario avere il coraggio di scendere fino al più piccolo dettaglio. Io credo che questo sia, o almeno mi sembra, l'unico mezzo per dare risposta alla diffidenza del lettore».

Da parte nostra ci limitiamo ad aggiungere che di sicuro la storia è piena di segreti. Le ragioni dei quali a noi sono oscure. Ci sembra un vero perditempo costringere tante persone a fare congetture quando i fatti, o quel che resta dei fatti, potrebbero illuminare le persone e non indurre l'umanità a fare errori. Ma tant'è. La Storia risulta ampiamente costituita da passi falsi, e tuttavia, se qualcuno vuol fare politica e non limitarsi a sciogliere sciarade, è giocoforza che s' inoltri nei meandri delle segrete cose. Tuttavia il risveglio d'interesse in Italia per i risvolti segreti degli avvenimenti storici è proprio la prova che c'è un notevole bisogno di politica realista.

Si tratta di un avvertimento preciso verso coloro che intendono seriamente "fare politica", affinché si cominci a programmare come creare una o più brecce nel muro compatto del Sistema, costituito dalla politica spettacolo e dalla falsa opposizione.

Alcune considerazioni sull'interpretazione del passato sono a questo punto necessarie.

Uno dei primi punti fermi dovrebbe essere la Questione Massonica. A tutt'oggi ci dobbiamo scontrare con persone che nelle loro valutazioni socio-politiche non riescono ad uscire dal presupposto culturale antimassonico di stampo vuoi religioso vuoi tradizionalista. È una preclusione aprioristica che non permette di cogliere la realtà, soprattutto gli avvenimenti più recenti se è vero, come presumibile, che Berlusconi si muove nell'ambito del progetto politico della P2, della quale la sua adesione è più che nota mentre Gelli è ancora attivo, a dispetto del silenzio mediatico che lo circonda. Va da sé che l'ascesa dell'«unto del signore» come lo chiamano Ferruccio Pinotti e Udo Gumpel nel loro recente libro dallo stesso titolo non avrebbe potuto verificarsi senza un accordo stretto con gli esponenti politici temporalisti della Sede Apostolica. Si tratta di un accordo evidente nei fatti, anche se i veri e propri termini dell'accordo in atto non sono palesi.

Il fatto che tanto questo governo quanto l'opposizione, nella quale una magna pars è costituita dai cattocomunisti, mostrano palesemente di essere frenati e condizionati nei loro comportamenti, è la prova che c'è sempre una superpotenza dietro le quinte. Che poi questo potere derivi dagli accordi stabiliti negli anni 1943-45 con la Massoneria statunitense, come dimostrato nel fondamentale testo "Fratelli d'Italia" dello stesso Ferruccio Pinotti, è altra cosa ancora, ma indicativa di quanto siano poco attendibili e men che meno spontanee le manifestazioni folkloristiche che si susseguono durante le campagne elettorali. Diciamo questo per dissuadere tutti coloro che pensano di ottenere qualche risultato rivolgendosi al "popolo elettore". Non c'è nulla di più controllabile e controllato!

Scriveva Gaetano Salvemini: «La differenza non è fra paesi governati da minoranze e paesi governati da maggioranze. La differenza è fra minoranze chiuse e minoranze aperte, fra minoranze rigide e minoranze fluide, ed in ultima analisi fra minoranze inette e minoranze capaci di farsi valere».

È evidente pertanto che l'apparente inettitudine della classe dirigente politica, peraltro sempre la stessa, (De Mita, Mastella, De Lorenzo etc.. Berlusconi compreso, a parte alcune comparse subito rimosse), che si palesa attraverso incredibili ed illegali inefficienze, è una conseguenza diretta di esecuzione di ordini tendenti a garantire l'immobilismo politico.

Unica deroga apparente è l'individualismo edonistico che si presenta sotto la forma di rivendicazioni di pseudo-libertà, tollerate perché si prestano a far credere nell'esistenza di una libera dialettica politica.

 

Fascismo, Massoneria, Ebraismo, Cristianesimo

 

«Una cosa è diecimila cose»
Proverbio giapponese
 
«Lo scopo della battaglia viene in seconda linea. Il premio per noi sta nel lottare, anche senza vittoria»
Benito Mussolini

 

Qualsiasi persona voglia dedicarsi alla politica viene in ogni caso a contatto con forze ideologico-politiche che agiscono da secoli all'interno della società italiana. Ciò non significa che questa persona sia un adepto né che debba eseguire imposizioni di una Sètta; così come è molto difficile poter distinguere fra le linee guida nazionali ed internazionali delle varie e disparate e spesso confliggenti obbedienze. Ne consegue che i rapporti con i membri di una di queste obbedienze non significano nulla se non vengono accompagnati da progetti comuni. Anche perché le organizzazioni citate non mancano di conflittualità interna.

Tutto ciò premesso, ci sembra piuttosto fuorviante quanto finora scritto sui due cruciali anni durante i quali l'Italia è stata governata dal sistema politico socialrepubblicano. Si tratta per lo più di memorialistica individuale, cronache di guerra civile, atti di governo, relazioni militari inerenti operazioni belliche, ed ora, grazie a Pansa, anche documentazione di stragi e violenze postbelliche ad opera di singoli delinquenti o gruppi di essi; pochissimi libri trattano della vita civile durante quegli anni difficili. Ma è proprio l'assenza di conoscenze diffuse sulla vita di tutti i giorni, che potrebbero essere ancora attinte dalla memoria di qualsiasi cittadino d'una certa età, che ha permesso la diffusione del mito resistenziale.

Per mito resistenziale intendiamo una sequenza di azioni, per lo più inventate o aggiustate a posteriori, utilizzate dialetticamente dai governi italiani post-bellici, che si svolgono su un palcoscenico vuoto, inanimato. In questo vuoto pneumatico è molto facile coprire l'assoluta mancanza di cooperazione e collaborazione della popolazione locale con i cosiddetti resistenti. A parte singoli atteggiamenti dovuti per lo più alla paura d'imminenti punizioni. Che in ogni modo ci sono state, in Padania ed in Liguria, ancora per anni. È un film ad episodi scollegati, nel quale le memorie degli attori principali non coincidono mai con una sequenza logica. Come il caso davvero esemplare dell'arresto di Ferruccio Parri da parte delle SS di Wolff. Tale arresto era avvenuto nell'ambito del gioco sotterraneo dei servizi segreti tedeschi, che operavano secondo le due direttive provenienti dai vertici politici e militari, che si scontravano da tempo (vedi attentato del 20 luglio 1944) sulla direzione da dare alla politica estera del Terzo Reich. In Italia, paese cruciale per la geopolitica mondiale, la linea himmleriana filo occidentale era gestita da Wolff, il quale a sua volta era spiato e tallonato, per conto della polizia di sicurezza di Kaltenbrunner, dal generale Harster, comandante della SD in Italia. Queste vicende, che videro anche la diretta partecipazione di Edgardo Sogno, furono commentate nel dopoguerra da Franco Maria Servello e da Ugo Franzolin, e diedero l'avvio ad un processo per diffamazione, e la conseguente pubblicazione di un libro di grande interesse, scritto da Renato Carli Ballola: "1953. Processo Parri", Ceschina, 1954.

Citiamo questi casi per far capire quanto fosse complessa la situazione italiana e quanto poco potesse incidere la cosiddetta resistenza sui destini del nostro paese. Infatti, come scrive Carlo Nordio, ("il Tempo", 8/6/1999) «… nelle loro memorie Eisenhower, Bradley, Patton, Clark e gli altri non ne fecero che vaghi cenni generici, Liddel Hart, e Chester Wilmont, che coi generali non furono teneri, dei partigiani non parlano proprio». Non è il caso di continuare su questo terreno, ci basti precisare che, dopo l'8 settembre, dai campi di concentramento situati in Italia fuggirono 80.000 prigionieri di guerra, in specie slavi, e molte carceri si svuotarono di delinquenti comuni. Ciò spiega la condotta particolarmente feroce della "guerra partigiana" da costoro condotta nell'Italia del Nord.

Inoltre è bene ricordare, soprattutto a coloro che parlano di unità fra gli italiani in occasione del 25 aprile, che di resistenza non si può parlare per una gran parte del paese, cioè fino alla Linea Gotica, che vuol dire Linea dei Goti, linea di massima resistenza nazionale, collaudata nei millenni. Spartiacque fra le due Italie di sempre (Asse Roma-Ravenna). Strada ancora oggi di valenza geopolitica eurasiatica. Non si capisce pertanto cosa dovrebbe unificare gli italiani. La contrapposizione fra repubblichini e partigiani è del tutto falsa, e alcune organizzazioni di ex combattenti socialrepubblicani, intervenendo sull'argomento, sia pure per contrastare operazioni demagogiche governative, hanno prestato il fianco ad una speculazione retorica, sempre secondo la vecchia tattica missista, consistente nell'avvalorare tesi governative con l'apparenza di contrastarle. L'entità della falsificazione è imponente, come dimostrato nel libro di Ferruccio Lanfranchi "La resa degli 800.000", Rizzoli, 1948.

Ottocentomila militari in armi. Si tratta di una forza notevole, capace di controllare puntigliosamente l'intero territorio padano, che si arrende a Caserta con la firma dei plenipotenziari tedeschi von Schweinitz e Wenner il 29 aprile 1945. È ovvio che si tratta di una resa provocata da altre ragioni e non dalla sconfitta sul territorio italiano. Anzi. Tale sconfitta non c'è mai stata, essendosi le truppe dell'Asse ritirate ordinatamente fino, appunto, all'ultima linea di difesa. La pace entra ufficialmente in funzione il due maggio seguente con l'obbligo per le truppe repubblicane di consegnare le armi. E qui avviene la strage di socialrepubblicani ad opera di sparuti gruppi di "partigiani", per lo più comunisti, molti dei quali slavi, che temono la saldatura in chiave anticomunista delle forze armate della RSI con quelle degli alleati, mentre i tedeschi defluiscono liberamente verso la Germania minacciata dalle truppe di Stalin. Che questi gruppi di partigiani siano del tutto sparuti lo si nota dalle non molte fotografie dell'epoca, che costituiscono un vero contrasto con l'abbondanza di foto e di filmati dedicati alle forze armate, realizzati dall'apparato propagandistico della RSI. Molte di queste foto sono anche false, essendo state scattate su commissione molto tempo dopo i fatti che dovrebbero illustrare. Come i partigiani fatti sfilare per Milano a guerra già conclusa da tempo, con divise approntate in tutta fretta per la comparsata.

 

La morte di Mussolini

Abbiamo scritto di un paesaggio vuoto. Di un palcoscenico senza attori. In questo quadro spettrale si muove una colonna di automobili, che trasportano parte del Governo assieme al Capo. Intenzione di Mussolini è, come preannunciato pochi giorni prima al giornalista Cabella, organizzare l'ultima resistenza in Valtellina. Ma la colonna diventa una carovana a causa della presenza di familiari, mogli e parenti vari, con bagaglio appresso. Già questa è la classica situazione all'italiana. Una fila di auto che arranca su stradine di montagna, appesantita da un'infinità di cose inutili, mancano solo i cammelli, tant'è che la vettura più importante, la topolino zeppa di documenti, fa presto a sparire... La resa avverrà il due maggio. Quindi siamo ancora in territorio controllato dalle forze armate della Repubblica, e queste sono: Esercito, GNR, Polizia repubblicana, Brigate Nere, SS italiane, Muti, Guardia di Finanza, GNR di confine. Molti sono i fascisti che accorrono a Como al richiamo di Pavolini, ma disorientati dal "tipico" frastuono d'ordini e contrordini, lentamente si diradano.

C'è di più. Nelle stesse giornate reparti del Gruppo Corazzato Leonessa, al qual è aggregata la compagnia d'assalto del Btg. Perugia, combattono nelle vicinanze di Lecco contro partigiani improvvisati. A non poca distanza, a Poschiavo, Tirano, Grosio, vicino a Sondrio, stanno combattendo i francesi della Milice, (23 caduti), e gli squadristi della BN "Gentile", (13 caduti). A Ponte in Valtellina circa 300 camicie nere si arrendono il 29 aprile, ed il loro capitano Martino Cazzola è ripetutamente torturato ed arso vivo il 6 maggio. Altre scaramucce e battaglie sono in corso ovunque in quella zona, con ampia partecipazione di missioni USA, e tuttavia Mussolini si ritrova solo come Robespierre all'Hotel de Ville in quella fatidica notte fra il 27 ed il 28 luglio 1794. A questo punto della vicenda il fatto non ci stupisce. Ci stupisce che nessuno, in quella circostanza, non ci faccia caso, e cerchi di reagire in qualche modo. Forse la rassegnazione depressiva subentra in tutti i morituri con la tragica sequenza che conosciamo, perché accadde anche all'incorruttibile ed ai suoi fedeli. Ma c'è una differenza: quelli del Comitato di Salute pubblica sono sopraffatti dall'esercito della Convenzione (in due giorni ne saranno ghigliottinati 92) questi di fronte hanno il vuoto, o almeno una banale mitragliatrice. Fatto è che questi si arrendono ad un gruppetto di individui che, per semplificare, chiameremo partigiani. Fra i tanti studiosi ed estensori dei retroscena della morte di Mussolini, nessuno ha notato che nella vicenda entrano pochissimi nomi. Ritornano sempre gli stessi nomi, vuoi con un ruolo vuoi con l'altro. Ma i nomi sono pochissimi. Ciò significa, in termini molto semplici, che in tutta questa vicenda non esiste coralità. Non ci sono partigiani che accorrono agitando fucili, schioppi, tromboni o semplici forconi con bandiere rosse; non ci sono ribelli anelanti la libertà, ma solo alcune persone che non si sa bene cosa ci stiano a fare. L'attenzione spasmodica indirizzata al solo Mussolini ed al suo destino fa glissare sul panorama circostante. E ciò provoca la tipica illusione cinematografica per la quale, centrando la cinepresa sul personaggio principale, lo spettatore è indotto ad immaginare il restante. Il generale Custer circondato da nugoli di pellirosse ululanti. Il garibaldino che si difende nel convento, protetto dalle educande.

L'assenza della descrizione dell'ambiente e la mancanza di notizie dettagliate sulle vicende contemporanee confluiscono nell'unico risultato di rendere credibile il mito resistenziale. Quando si conoscerà la verità, cadrà il velo per l'intera società nazionale. È la tipica situazione che rende attuale il detto: «La Verità vi renderà Liberi!»

Ma non è tutto. Quando Mussolini si reca all'Arcivescovado per trattare con i membri del CLN, con l'intenzione di lasciare ai socialisti l'eredità della RSI, è costretto ad aspettare a lungo assieme al vescovo perché… costoro non sapevano quale autorità attribuirsi. Tant'è vero che alcuni esponenti di spicco di quest'organismo arrivano alla riunione proprio quando Mussolini sta scendendo lo scalone. Pertini dirà di non aver riconosciuto il Duce, (che era anche in divisa!) altrimenti gli avrebbe sparato. Il generale Cadorna, che avrebbe dovuto essere il capo di quella congrega, dirà in seguito di non aver mai avuto alcun potere. Eppure, in mezzo a questa confusione, da questo scontro di impotenze, parte l'unica operazione capace di dare un senso rivoluzionario alla cosiddetta resistenza, tale da giustificare la costruzione del mito.

Ci riferiamo al blitz che ha portato alla strage di Dongo ed all'assassinio di Mussolini.

Siamo sempre in assenza di una trattativa di pace, perché la firma da parte dei plenipotenziari tedeschi è del 29 aprile, mentre il cessate il fuoco entra in funzione solo il 2 maggio.

Durante la notte è effettuata una sola telefonata da un bar (nota patetica: la linea telefonica era stata socializzata), che avverte qualcuno, presumibilmente esponente del partito togliattiano. Subito parte una pattuglia molto striminzita che nel giro di una giornata fucila platealmente la quasi totalità del governo repubblicano, Duce compreso. Quanti erano questi partigiani? Pochissimi. Cosa hanno fatto i partigiani locali, oltre a cercare di nascondere Mussolini? Nulla.

Si tratta, dobbiamo ammetterlo, di un atto di grande rilevanza politica e storica che dimostra, contemporaneamente, l'insignificanza della resistenza ufficiale, quella che il mito vuole nobilitare, ma anche la costante presenza nel nostro paese di forze in parte occulte (meglio dire oscure), in parte rivoluzionarie, perché è una forma dell'agire rivoluzionario imprimere con un solo atto una direzione alla storia. Infatti, e siamo sempre in periodo antecedente il cessate il fuoco, con la morte di Mussolini e con la successiva esposizione pubblica del cadavere (i romani esponevano le teste ai rostri) cade ogni istinto di resistenza nei fascisti.

Nota aggiuntiva: i cronachisti dell'avvenimento scrivono di partigiani della "Brigata Garibaldi", evidentemente per dare importanza a queste persone. In realtà la parola Brigata si presta a qualsiasi utile interpretazione numerica, specie se accompagnata dal nome dell'eroe dei due mondi.

Per rendere comprensibile la faccenda, occorre aggiungere che le Brigate Volontarie Garibaldi furono create in epoca post-risorgimentale per istituzionalizzare le organizzazioni volontarie che sempre hanno accompagnato l'esercito italiano in guerra. Vale la pena di ricordare l'apporto dato dai garibaldini alla nostra guerra in Balcania al comando del generale Ezio Garibaldi. Va da sé che rivendicare l'appartenenza ad una "Brigata Garibaldi" comporta la possibilità di usufruire di un'adeguata pensione di guerra. E ciò spiega molte cose, perché, quando il governo dell'epoca decise di assegnare una pensione ai "Mille", arrivarono 100.000 domande, ma non ci giustifica il comportamento di coloro che si son fatti fucilare senza reagire. I miti si costruiscono così.

 

Ulteriori considerazioni

Da uno studio approfondito di Paolo Zanetov, ("Strategia ed esiti criminali dell'intervento militare alleato in Italia dal 1943 al 1948", in "Convegno di studi storici", Napoli, 5 marzo 2005) si evince con chiarezza che la scelta della Mafia siculo-americana per il governo della Sicilia scelta di cui continuiamo a subire le conseguenze, fu determinata dall'esigenza di contrastare il secolare progetto inglese di controllo dell'isola-perno del Mediterraneo, che invece si concentrava sull'utilizzo degli esponenti monarchici e isolazionisti. Scrive Zanetov: «Il laboratorio siciliano, perché di questo si trattava, fece assoluto perno sulla Mafia, utilizzandola nella fattispecie dell'anticomunismo come asse d'equilibrio dapprima nei confronti del separatismo e successivamente nei rapporti con badogliani e moderati».

Queste considerazioni sono importanti perché ci consentono di ipotizzare che l'esclusione dal controllo della Sicilia abbia costretto la dinastia inglese a ripiegare sul controllo della Sardegna, da tempo legata alla dinastia savoiarda. La cosa spiegherebbe la persistenza di dinastie sarde al comando della cosa pubblica nazionale, spesso in contrasto col potere di provenienza siculo-napoletana, eredi del notabilato isolano: i Segni, i Berlinguer, i Cossiga, i Pintor.

Un altro importante aspetto, quasi mai sottolineato dalla pubblicistica post-bellica, è la sostanziale adesione al fascismo di buona parte della vecchia dirigenza socialista, a fronte dell'esigua minoranza di fuorusciti e dei combattenti della guerra di Spagna, ai quali si deve lo scoppio della guerra civile in Padania. Fra gli esponenti del socialismo collaboratore è utile ricordare Arturo Labriola, morto nel 1959, che fu assiduo collaboratore di Nicola Bombacci, e Nullo Baldini, mitico fondatore delle cooperative romagnole, delle quali mantenne la presidenza durante il periodo socialrepubblicano, morto nel 1945. Non sarebbe mancato se non fosse stato eliminato per tempo da mano assassina della quale s'individuano con facilità i mandanti, anche se non è possibile ancora stanarli.

 

Un falso storico: il Secondo Risorgimento

Si tratta di una frase ad effetto, priva di qualsiasi significato. Il Risorgimento autentico fu fatto da uomini che esprimevano una visione politica originale e nuova (Mazzini), innestata su una percepibile necessità di cambiamento (unificazione nazionale). La presenza degli interessi legati al conflitto anglo-francese per il controllo del Mediterraneo è sicuramente imponente, ma non cambia l'essenza della questione. Ci hanno tediato fino all'esasperazione con la storia dei Mille aiutati dall'Inghilterra. Nel caso particolare della spedizione del 1860, peraltro già programmata dal governo piemontese nel 1859, l'interesse prioritario inglese era costituito dalla necessità di prevenire eventuali disturbi alla costruzione del Canale di Suez che avrebbe permesso dipoi il controllo dell'Africa, nell'asse Nord-Sud. I patrioti erano naturalmente antiaustriaci perché identificavano nell'Austria la componente più conservatrice del Congresso di Vienna, vale a dire quella Santa Alleanza che aveva vinto a tradimento contro il disegno imperiale napoleonico dopo il disastro della campagna di Russia, e tuttavia questa è l'unica ragione che abbia giustificato l'avversione degli italiani contro gli austro-tedeschi, croati inclusi. Se il tema risorgimentale è stato rispolverato in occasione dello scoppio del primo conflitto mondiale, nel quale il nostro paese si è trovato coinvolto per ragioni di sudditanza più che per necessità geopolitiche, oggi il mito postrisorgimentale non ha alcuna ragione di sussistere, per la semplice ragione che il processo d'integrazione europea, anche se criticabile nella sua attuazione (Ida Magli) è irreversibile, come lo furono nel XIX secolo i processi integrativi d'Italia e di Germania. Occorre aggiungere inoltre che l'Impero austro-ungarico, dal punto di vista geopolitico, era valutato soltanto come antemurale dell'impero marittimo britannico verso l'Impero russo, e che il retaggio napoleonico, primo tentativo unitario italiano, è stato il vero humus culturale che ha mosso i ribelli, molti dei quali avevano militato nelle truppe napoleoniche, almeno fino alla metà dell'ottocento. In seguito, e precisamente dopo l'epopea della Repubblica Romana del 1849, ha iniziato ad agire il Mito di Roma, che permane ancora oggi vivo nelle coscienze dei nazionalisti italici. Tutto quanto espresso, solo per ricordare che la Storia è costituita da un intreccio inestricabile d'elementi differenti sui quali agiscono componenti geografiche, morali, culturali e sociali. Il politico velleitario che rinuncia ad una di esse è destinato al fallimento.

Il primo accenno all'unificazione nazionale è costituito dalla nascita della Guardia Nazionale, voluta dal Bonaparte a Milano il 18 maggio 1796 (29 fiorile), con l'adozione del motto <«Libertà, Uguaglianza, Sicurezza della proprietà» e la consegna della bandiera bianca, rossa e verde.

La nostra attuale. Il fatto stesso che a 200 anni di distanza persistano ancora tanto il simbolo quanto il motto come base lungimirante sulla quale sono costruiti quasi tutti gli statuti dei partiti nazionali, sarà considerato del tutto naturale dagli storici del futuro, mentre a questa terna è fuor di dubbio che costituisca naturale complemento la nostra «Italia, Repubblica, Socializzazione». Tornando alla memoria storica, il 19 maggio seguente Napoleone pubblica un proclama in cui promette l'indipendenza degli italiani, mentre il primo ottobre dello stesso anno (10 vendemmiaio) abbiamo il discorso di Ranza, sacerdote e professore di lettere, piemontese e giacobino, alla Società Patriottica di Milano in favore dell'unità d'Italia.

La coscienza nazionale, il concetto di "patria italiana" è presente in uomini di religione come il Rosmini ed il Gioberti. Esprime questi concetti infatti il Rosmini, in una lettera del 1 agosto 1848, indirizzata al governo subalpino che gli affidava un importante incarico presso Pio IX: «… Sostegno della cara Patria italiana… suprema causa della Nazione e dello Stato …». Ed il Gioberti (1801-1852), in una lettera al marchese Ricci «… L'idea di tenere un Regno d'Italia, che si stenda dal Tirreno all'Adriatico, è così bella e grande che deve vincere la protervia di tutte le fazioni…».

Negli uomini che, a dire degli storici ingabbiati del dopoguerra, si opponevano alla RSI, non agiva alcun'idea nuova. Nessun progetto politico innovativo, come abbiamo constatato nel mezzo secolo di oppressione anglosassone. L'unica innovazione di rilevanza internazionale essendo stato il fascismo negli anni 20 e la RSI negli anni 40. Il CNL era un organismo dovuto nei confronti del conquistatore, ma privo di autonomia, come riconosciuto dal generale Cadorna, che avrebbe dovuto esserne il capo. Un'autentica nullità, mentre nelle varie Province del nord era la borghesia locale che si stava organizzando per il dopoguerra adottando, in mancanza di meglio, vecchie sigle politiche ormai prive di significato. Questa è la ragione, ampiamente documentata da Pisanò, della serie di attentati contro esponenti socialrepubblicani, che avrebbero portato a ritorsioni su membri di questa borghesia di provincia, persone per lo più innocue. Esemplare, nella sua tragicità, il caso di Ferrara.

 

Appendice geopolitica

 

«La guerra si decide solo dopo la guerra, vinto è colui che pensò troppo lentamente»
A. Zischka
 
«Non oggi, ma nel prossimo futuro potremo far sibilare sulla testa degli europei uno scudiscio, da far tremare anche i più forti (…) Se le potenze europee debbono continuare ad avvelenarsi l'una l'altra. È necessario che l'America si garantisca la propria sicurezza e si espanda indisturbata»
Thomas Jefferson
 
«Dal punto di vista inglese, stan meglio i Russi al Reno che i Tedeschi al Volga. Anzi, meglio forse i Russi al Reno che i Tedeschi al Reno»
"The Nineteenth Century and After", London, april, 1942
 
«Bisogna amare la Rivoluzione come la sola forza che potrà riscattare il nostro passato e decidere del nostro avvenire»
 B. Mussolini, 1908


«La nostra età è eroica più delle antiche. Il mercantilismo non ha soffocato lo spasimo angoscioso ma salutare della ricerca; oggi, come ai tempi mitologici degli Argonauti, l'Uomo sente la nostalgia del grande pericolo e della grande conquista»
 B. Mussolini
 
«Gli Stati Uniti stanno diventando per il mondo un problema, mentre eravamo piuttosto preparati a vedere in essi una soluzione. Garanti della libertà politica e dell'ordine economico per mezzo secolo, appaiono sempre più come un fattore di disordine internazionale, alimentando l'incertezza ed il conflitto. Assistiamo ad un continuo degradarsi dei rapporti tra europei ed americani, tanto misterioso in apparenza nelle sua cause profonde, quanto inesorabile nel suo sviluppo. La guerra americana contro il terrorismo, brutale ed inefficace nei suoi metodi, oscura nei suoi scopi reali, ha finito col rivelare un vero antagonismo tra l'Europa e l'America»
Emmanuel Todd

 

La dimostrazione dell'importanza della conoscenza approfondita della geopolitica ci è data, nell'immediato dopoguerra, dall'errore culturale di coloro che in un modo o nell'altro, si erano opposti al potere sovietico nel centro d'Europa. Si tratta del governo polacco in esilio a Londra, naturalmente anticomunista, il cui esponente di punta muore in un incidente aereo proprio nel momento in cui più acuta è la crisi con l'URSS, ma si tratta anche dei russi di Vlassov, dei Cosacchi, dei nazionalisti serbi e sloveni, romeni, ungheresi, degli ustasha. Arresisi agli inglesi, questi li consegnano tranquillamente ai bolscevichi o, nel caso della Yugoslavia, a Tito. Molti potrebbero pensare a tradimento degli accordi. In realtà si tratta d'errore di valutazione basato sulla scarsa conoscenza delle regole della geopolitica. Perché è vero che l'interesse primario della classe dirigente inglese è combattere il comunismo, ma è anche vero che, una volta che la Russia possiede metà del Continente, conviene che permanga questa separazione. D'altronde, fu proprio la Russia che permise al Regno Unito di sconfiggere Napoleone. E la resa russa di Brest-Litowsk, trattata da Lenin, a permettere agli USA d'intervenire in Europa agli sgoccioli del disastroso primo conflitto mondiale.

Alain De Benoist, su "Diorama" n. 292 (gen-febr. 2009) scrive: «L'universale, per la modernità scaturita dall'Illuminismo, è stato parallelamente sancito non come ciò che si raggiunge a partire da una specificità concreta, come ciò che getta radici in un suolo particolare, ma come ciò che si manifesta a partire da uno sradicamento radicale. Jacques Attali, nella sua "Breve storia dell'avvenire", assimilando la modernità all'ascesa di un "ordine mercantile" che "parla il linguaggio universale della moneta", annuncia con un giubilo non dissimulato l'avvento di un "iper-impero", abitato da "iper-nomadi", che sarà il risultato dell'arrivo al potere di una "iper-classe" transnazionale e della generalizzazione dell'Era dell'effimero e dello zapping diffuso. Il "capitalismo" scrive Attali, "andrà fino in fondo: distruggerà tutto quello che non è lui. Trasformerà il mondo in un immenso mercato, il cui destino sarà disconnesso da quello delle Nazioni e liberato dalle esigenze e servitù di un "cuore"… porterà a compimento ciò che il mercato ha iniziato sin dalle origini: fare di ogni minuto della vita un'occasione di produrre, di scambiare, di consumare valore mercantile...»

Già agli inizi del XX secolo, Benito Mussolini sposa il socialismo proprio perché questo grande movimento di idee contrasta il principio essenziale del mercantilismo. Egli scrive: «Un movimento d'idee che ha le sue basi nelle condizioni della società attuale, e rappresenta, nella sua negazione, uno stadio superiore di civiltà, troverà sempre dei militi, degli apostoli, dei propagatori». Attualmente, il messaggio mussoliniano resta ancora uno strumento socio politico contro la degenerazione del Sistema. La sintesi fra socialismo e nazione è l'esatta antitesi del mercantilismo capitalista, perché affonda la sua azione proprio nella realtà sociale da cui parte. E proprio partendo dalla realtà concreta è possibile anche comprendere le ragioni sociali dell'esaurimento della vecchia visione del mondo. L'analisi dello scontro fra ideologia astratta mercantile e realtà dei popoli è possibile soltanto se si utilizza lo strumento analitico fornito dalla geopolitica.

Scrive Giacinto Auriti: «Quando un popolo ha perso la consapevolezza del perché deve vivere, tutte le sue scelte ed i suoi comportamenti non essendo finalizzati, finiscono per essere egoisticamente strumentalizzati dai gruppi di potere» ("L'occulta strategia della guerra senza confini", Centro Studi Politici e Costituzionali, 1972). Entriamo così nel vortice della politica spettacolo, del gossip come sistema comunicazionale, nell'assenza totale di partecipazione, nella richiesta del consenso tramite referendum ad ulteriore riduzione di spazi di libertà.

E tuttavia, proprio dalla geopolitica ci giungono notizie confortanti La scomparsa del mito dell'onnipotenza inglese, ad opera congiunta dell'Asse e degli USA, viene a coincidere con l'ascesa lenta ma graduale delle grandi potenze non atlantiche: Cindia, Islam, Indonesia, Latinoamerica. La «guerra del sangue contro l'oro» acquista connotazioni sempre più coinvolgenti, tali da costringere il nostro paese, ma anche l'UE, organismo nato da poco, a scelte ineludibili. Il risveglio del Mediterraneo, con il protagonismo dei popoli nordafricani, è destinato ad escludere Israele come testa di ponte statunitense. Lo sviluppo degli accordi per il trasporto energetico (gas e petrolio), assieme allo sviluppo dei corridoi destinati ad intensificare l'unione fra europei e fra l'Unione ed i paesi d'Eurasia, è destinato a fare il resto. Il ripristino del ruolo anatolico, già intuito dalla romanità, che grazie ad esso poté garantire la persistenza imperiale per un millennio e mezzo, giustifica la geopolitica delle nostre Repubbliche marinare, e le nostre proiezioni geopolitiche degli anni venti. Nonché il significato della nostra partecipazione alla guerra di Russia di Hitler. (Ma già la nutrita partecipazione italiana alla campagna napoleonica è indicativa degli interessi peninsulari verso quelle terre. La propensione dei popoli europei verso i grandi spazi gestiti finora dall'impero russo si esprime tanto in termini bellici quanto pacifici. Durante il secondo conflitto mondiale, sia pure sotto forma di volontari anticomunisti, operavano su quegli spazi, oltre agli alleati dei Reich: Spagnoli, Portoghesi, Francesi, Belgi, Olandesi, Balcanici, Svedesi, Norvegesi, Danesi. (Gustavo Corni, "Il sogno del grande spazio. Le politiche d'occupazione nell'Europa nazista", Laterza)

 

Crisi della prospettiva neoliberista dell'ultraimperialismo

[Vernon: "Fine della sovranità", New York, 1967] I fautori della prospettiva neoliberista di sviluppo dell'economia mondiale pensano che il mercato, le Corporations Transnazionali, le banche e gli istituti internazionali siano in grado di governare l'economia mondiale in modo molto più efficace di quanto possono farlo i numerosi e spesso impotenti Stati Nazionali. Essi ritengono che il principale soggetto dell'economia cosmopolita sia la Corporation. Quale sia il mondo governato da queste sovrastrutture ci viene però descritto in un recentissimo libro. [Marco Pizzuti, "Rivelazioni non autorizzate. Il sentiero occulto del Potere", Ed Il Punto d'Incontro, 2009]

Ma sono ormai moltissimi i libri in circolazione anche in Italia che descrivono la realtà mondiale nei suoi aspetti più squallidi dei rapporti di potere. D'altronde lo stesso Lenin scriveva agli inizi del XX secolo che l'opinione secondo la quale i cartelli internazionali offrono la possibilità di sperare nella pace tra i popoli sotto il capitalismo è teoricamente assurda e praticamente un sofisma.

Aggiungiamo che se è ben vero che, come auspicato dagli ultraliberisti, le Corporations in Africa sono oggi governate da computers situati a Londra o a Bangalore, i cui operatori vivono a Honolulu, è altrettanto vero che l'istinto d'indipendenza si rafforza sempre con la presa di coscienza del possesso e della capacità tecnica di gestione delle tecnologie innovative. Tale era la situazione dei coloni americani all'epoca dello sganciamento dal Regno d'Inghilterra.

Questo cambiamento è ben visibile ai giorni nostri. Tanto per fare alcuni esempi: Benetton, latifondista argentino e marito della "politologa" Salomon, assidua di Aldo Forbice nella trasmissione gestita da costui alla Rai, è costretto a cedere davanti alle rivendicazioni d'alcune famiglie Mapuche, in Perù le Comunità native dell'Amazzonia hanno vinto la battaglia contro la "privatizzazione" della loro Terra, legata al "Trattato di Libero Commercio con gli USA", nella città russa di Ekaterinburg si sono tenuti di recente due Summit: quello dell'Organizzazione di Shangai (SCO) e quello del BRIC (Brasile, Russia, India, Cina); nel frattempo prosegue l'azione di cooptazione degli Stati eurasiatici nell'OTSC (Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva) che già comprende: Armenia, Bielorussia, Russia, Kazakstan, Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan.

Nel frattempo, il tentativo di eliminare dalla competizione in Medio Oriente l'Iran sta andando in fumo. Anzi, un recente sondaggio ha rivelato che il 30% della popolazione ebrea d'Israele è pronta a fare le valigie qualora Teheran entri in possesso dell'energia atomica. Ci auguriamo che optino tutti per gli USA. Tutto ciò detto, ci appare del tutto fallimentare il tentativo di destabilizzazione dell'Iran, falsi mediatici a parte, dopo la clamorosa affermazione del precedente governo, con deplorazione da parte degli USA, come se non si sapesse che le elezioni "vinte" dall'ultimo Bush, nipote di quel Prescott Bush, stretto collaboratore economico della Germania nazista, furono in realtà "comprate" ad Al Gore, con l'assegnazione del premio "Ignobel", apparentemente assegnato per l'aiuto mediatico dato alla conversione di parte dell'industria pesante americana dalle armi agli impianti "ecologici".

Se pensiamo che, solo un secolo fa l'Inghilterra dominava quasi tutto l'Orbe terracqueo, e con poche migliaia d'uomini controllava Cina, India, Indonesia, Malesia, guardandosi bene del bloccarne ogni possibilità di sviluppo tecnologico; che la rivolta nazionalista dei Boxer vide alleati, contro la Cina d'allora, tutti i paesi industrializzati, che sempre l'Inghilterra del 1857 mise fine alla rivolta dei Cypais con un'orrenda carneficina, e agli inizi del XX secolo attuò una delle prime manifestazioni mondiali in Sudafrica di pulizia etnica, abbiamo il quadro esatto delle trasformazioni in atto sotto nostri occhi.

 

Confronto col passato e affermazione della scienza geopolitica

 

«La Geopolitica è il dato immutabile che condiziona la vita dei popoli»
B. Mussolini

 

Franco Cardini storico cattolico, in una recente intervista a Pietrangelo Buttafuoco su Rai2 il venerdì in seconda serata, dopo aver ammesso il fallimento delle religioni e delle ideologie che nel XX secolo avevano sostituito le religioni, ha dichiarato che gli unici parametri di riferimento per uno studioso dei nostri tempi sono quelli a suo tempo tracciati dai creatori della scienza geopolitica, in particolare MacKinder, Haushofer, ai quali noi aggiungiamo Karl Schmitt ed il padre della geopolitica italiana, Ernesto Massi, scomparso di recente. (Vedi: P. Lorot, "Storia della Geopolitica", Asterios, 1997)

Quest'importante dichiarazione di uno degli storici più seguiti nel nostro paese ci conferma che, dopo secoli d'ubriacature ideologico-religiose è subentrata nel pensiero europeo l'esigenza di una visione concreta dei rapporti sociali alla luce delle relazioni internazionali. E ciò riguarda in particolar modo il nostro paese a causa dei noti condizionamenti esterni che ne determinano le politiche interne ed estere.

È d'uopo, pertanto, ritornare alla "grande politica" che fu di Roma. [Vedi: "Quaderno Speciale di Limes", supplemento al n. 3 del 2009]

A tal proposito, proprio per sottolineare il realismo mussoliniano contro le denigrazioni gratuite ed ignoranti, è bene ricordare che il termine «Mare Nostrum» coniato dal capo del fascismo non era un'approssimazione propagandistica, ma la fotografia di una realtà incontrovertibile, essendo abitate da quasi un milione d'italiani le sponde meridionali del Mediterraneo ed essendo l'italiano, prima della guerra di Libia, lingua franca in Turchia.

A completamento di quanto affermato finora sull'uso della geopolitica nelle analisi socio-politiche, occorre ricordare che sono proprio questi studi che ci permettono di valutare le "reali intenzioni" delle classi dirigenti d'ogni paese.

Ad esempio, la prima spedizione "militare" statunitense in Mediterraneo avvenne al comando del capitano W. Francis Lynch (1801-1865) nel 1847, circa vent'anni prima del conflitto interno agli States, per ricercare il petrolio nel Mar Morto. Questa conoscenza dovrebbe far riflettere i sionisti e gli amerikanisti nostrani, anche perché fu proprio in conseguenza di questa intrusione americana che l'Impero Russo invase la Cecenia spingendosi verso il Mediterraneo. La rivolta islamico-cecena fu definitivamente domata nel 1859, mentre la guerra di contenimento dell'Impero zarista da parte di Francia, Inghilterra e Piemonte in Crimea si era conclusa nel 1856.

 

Conclusione: crisi definitiva della sinistra internazionalista

Il noto filosofo e politologo Costanzo Preve scrive ("Italicum", Marzo-Aprile 2009): «Lo spirito del tempo ha un oggetto ed un soggetto. L'oggetto è il tipo umano (o idealtipo in senso weberiano) conformista, identitario e politicamente corretto, pienamente inserito nel gioco di simulazione della protesi manipolatoria "Destra contro Sinistra", sacerdote del Politicamente Corretto Unificato con tutte le sue ormai notissime determinazioni (religione holocaustica di colpevolizzazione eterna dell'occidente, antifascismo in palese assenza del fascismo, teologia dei diritti umani, amerikanismo progressismo, etc.). Il Soggetto è invece l'interprete critico e problematico di questa situazione. Egli non può che aspettarsi la diffamazione, l'emarginazione ed il silenziamento».

In altra pagina ("Italicum", nov-dic 2008) egli scrive, descrivendo con poche parole l'involuzione fatale di una sinistra che, identificandosi nel mito fasullo della resistenza al fascismo, si autodissolve: «…il puro progressismo modernistico porta solo prima al relativismo e poi al nichilismo, e da Teresa Noce si arriverà ad Emma Bonino, e da Antonio Gramsci a Marco Pannella. In una prospettiva storica cinquantennale possiamo dire che il keynesismo in economia adempiva alla stessa funzione simbolico-illusoria della modernizzazione liberalizzata dei costumi in sociologia. Sia Keynes che Luxuria erano visti come "momenti" d'avvicinamento ad una società più giusta».

Gli eventi più recenti hanno puntualmente confermato il fallimento di tutta la sinistra italiana, che nel mentre propone Luxuria come elemento di modernizzazione imposta la battaglia elettorale contro Berlusconi accusandolo puritanamente di peccati carnali contro adolescenti.

La fine della sinistra internazionalista non può che rilanciare la Sinistra Nazionale.

Giorgio Vitali