Italia - Repubblica - Socializzazione

 

Pacifico D'Eramo

"L'ospedale di Kamensk"

Occidentale Ed., Roma, 1994

 

 

 

È il titolo del prezioso libricino scritto nel 1994 da Pacifico D'Eramo; prezioso anche perché, mentre sembra parlare del passato, ci invita alla consapevolezza di un presente che si fa subito futuro.
L'attività di D'Eramo si è espressa prevalentemente mediante saggi, interventi giornalistici e dibattiti.
Nel '68 presentammo il suo saggio "La liberazione dall'antifascismo", come un libro importante, ma non potemmo dargli il giusto rilievo. Erano tempi difficili, si combatteva su due fronti: da una parte il missismo sempre più confindustriale e atlantista e, dall'altra, una sinistra giovanile la cui velleitaria carica barricadera, prònubo il sistema, abilitata a contestare tutto e il contrario di tutto. A fatica tentavamo allora di far penetrare nelle fabbriche e nelle università l'idea che il riscatto morale e sociale degli italiani avesse la strada obbligata in quello che era stato definito il «fascismo immenso e rosso».
Tuttavia, quel libro non tanto per la rara freschezza e sobrietà della prosa, quanto soprattutto perché ogni argomentazione vi è sorretta da saldi principî etici, nonché da feconde e rigorose analisi storiche, è un'opera attualissima, degna di essere riproposta ad un più vasto pubblico. Il concetto di libertà, in essa, è pregno di una chiara ed universale coerenza.
Oggi, però, D'Eramo ci sorprende con questo libretto, in cui la breve componente storico-militare è sovrastata da rapidi cenni sull'infelice situazione generale, che recano, con un lirismo quasi celato, l'affermazione di una ineludibile ripresa etica. Persino un appena lambito abbandono ad un attimo di nostalgia per un sentimento nascosto nel cuore come realtà sacra e dolce, virilmente ancorata -senza moralismi- ad una concezione etica dell'esistenza.
La fedeltà vera non può che essere casta.
Tempo fa, avevo scritto che «in fatto di guerra civile, il nostro modello può essere Cesare e non Silla», ma dov'è ora Cesare, se «... gli italiani si sono afflitta l'umiliazione di essere governati da Berlusconi»?
Negli scritti e nei discorsi di D'Eramo ci s'imbatte spesso in frasi quali «pulizia morale», «onestà sociale», «tensione civile», dirette a postulare una non evasiva risposta all'angoscioso interrogativo «saremo vinti per sempre»?
Tali argomentazioni riflettono, a nostro avviso, un'inespressa ma risolutiva volontà di servire ancora, ossia di concorrere alla indispensabile rigenerazione ontologica della gente italica. Egli, inoltre, ha il raro potere di farci ascoltare i severi giudizi degli altipiani del nostro Abruzzo, dai quali scaturiscono imperativi etici universali e immutabili. La verità non va ricercata lontano, essa è in noi e non può esservi libertà senza verità. Dobbiamo quindi «... cercare dentro di noi... le ragioni del mutamento del nostro costume e della conseguente disponibilità ad accogliere ed assorbire il modello statunitense».
E ci consentono di guardare con occhio rasserenato laggiù nelle valli, nelle cento città accanto ai fiumi, dove vivono e operano i nostri fratelli, i figli della «Grande Proletaria», i nostri compagni (cum panen) di lotta e sacrifici, che noi amiamo e che (pochi bastardi a parte) sono come noi assetati di quella giustizia sociale e umana che la nostra Repubblica (la prima Repubblica sociale della storia) potè solo accennare prima di essere schiacciata (non scacciata, come qualche cialtrone va impunemente blaterando) dallo strapotere delle armi straniere.
Anche con "L'ospedale di Kamensk", D'Eramo ci rammenta che ciò accade, ci accade, ci tocca e ci riguarda; che il nostro compito non è mai terminato.
Il panegirico ci è estraneo: legga il libretto chi vuole.
Del resto, D'Eramo non potrà mai sottrarsi alla sua apologia racchiusa in un fascicolo del Comiliter di Bologna, così concepito:
«Non si procede all'interrogatorio dell'ufficiale in oggetto, perché la sua deposizione è esauriente. Considerato:
1) che si è arruolato volontario;
2) che, pur essendo Sottotenente, gli è stato affidato il comando di compagnia;
3) che, benché mutilato, ha prestato servizio in reparti combattenti;
4) che non ha mai collaborato coi partigiani;
5) che, catturato prigioniero da truppe americane, è fuggito dalla prigionia;
in considerazione di queste aggravanti, si conclude che l'ufficiale in oggetto è venuto meno ai più elementari principî dell'onore militare, e pertanto lo ripropone per la radiazione dai ruoli».

 

Fantauzzi F. Gaspare