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Relazione al Comitato di Unità di Azione
approvata nella riunione del 29 - 9 - 68

Terminata la campagna per la scheda bianca e valutatine realisticamente i risultati, la Direzione Nazionale della FNCRSI decideva di dare vita ad una iniziativa unitaria. Convocare cioè quanti -gruppi politici e camerati isolati- avevano dichiarato la propria disponibilità per la lotta al sistema allo scopo di una verifica degli intendimenti e delle linee politiche ed attraverso essa giungere:
1) con la scelta volontaristica del principio della unitarietà, al superamento dello spirito di conventicola e del metodo delle riserve mentali, problema la cui soluzione appariva ed appare prioritaria sulla strada delle manifestazioni dei propositi e delle scelte politiche;
2) alla presa di coscienza, da parte di tutti, che quella unitarietà era da perseguirsi sul piano politico. L'accettazione dei punti universali e non caduchi della Dottrina veniva, cioè, data per presupposta in ciascuno e ciò per ottenere di superare gli impantanamenti nei quali, fino ad oggi, è regolarmente naufragato ogni disegno politico di parte fascista.
Ciò posto tenuto conto degli orientamenti e delle decisioni adottate dall'ultima Assemblea Nazionale della FNCRSI ed in aderenza al documento finale ivi acclamato, venivano individuate le tesi politiche discriminanti sulle quali chiedere l'adesione dei camerati e ciò per porre un primo punto fermo sul quale ancorare lo sviluppo dell'iniziativa unitaria, perché (pag. 3 del documento a stampa presentato nella prima riunione del 13-6-68): «il confronto e la delimitazione dello spazio politico fascista non può verificarsi che sulle volontà politiche dei fascisti e quindi sulle tesi politiche».
Per la prima volta certe aspirazioni, certi sintomi hanno assunto una dimensione comune ed hanno dimostrato la possibilità di essere avvisati verso la dimensione politica. Si sono tuttavia delineate alcune valutazioni critiche, valutazioni che la FNCRSI ha cercato e promuove per fare in modo che tutti possano utilizzare concretamente e costruttivamente il contributo di camerati degni di stima perché pensosi del comune destino. Le riserve sono state poste ma non sono state sviluppate.
Dobbiamo perciò ribadire il concetto informatore fondamentale della nostra iniziativa. Quello di conseguire la delimitazione di una piattaforma politica, con la maggior precisione possibile, perché non si costruisca sulla sabbia e perché la costruzione, lenta e faticosa ma inevitabile, della unità non si frantumi al primo urto esteriore, magari, nel momento di maggiore impegno e di aumentate responsabilità.
Il denominatore comune della volontà politica deve quindi essere effettivo, totale, deve cioè essere senza riserve, specialmente se inespresse. Determinante è quindi la chiarezza delle intenzioni. Ovvia, infatti, appare la conseguenza che più quel denominatore sarà vasto, maggiore potrà essere la latitudine dell'accordo politico perché di accordo politico si ha bisogno, dal momento che occorre partire da una situazione frammentaria, confusa e contraddittoria, per arrivare al risultato della unità.
Sarebbe però pernicioso capovolgere demagogicamente i termini della questione e, per presentare un risultato che non esiste, soffocare o non promuovere il chiarimento delle posizioni politiche reciproche, l'unico mezzo che consente di arrivare ad una prima soluzione, magari incompleta, ma operante in tutti. Affermiamo quindi la necessità che sia respinta la esteriore unità da ottenersi ad ogni costo perché è inutile una somma di incoerenze. Affermiamo invece la necessità che si parta dalle constatazioni che è possibile valutare concordemente subito per giungere, attraverso lo stabilirsi di una chiarificazione spregiudicata ma costruttiva, alla tessitura di una situazione alla quale fare assumere sempre maggiore rilievo.
La prova della validità di queste convinzioni sta in quanto succede a proposito della cosiddetta iniziativa di Valerio Borghese. È bastato l'annuncio di un rapporto ai propri collaboratori da parte di Borghese perché si determinasse la psicosi della aspettazione messianica e si bloccasse lo svolgimento del lavoro impostato. Gli uomini della Federazione intendono reagire a tale stato di animo che giudicano pericoloso perché denunzia una carenza di volontà politica e di chiarezza di propositi, grave tanto da costituire la discriminante per ogni possibilità di intesa unitaria fra i Gruppi nazionalrivoluzionari.
Questa aggettivazione è un neologismo, che in sé e per sé sarebbe privo di significato politico; non è una endadiadi perché se accomunassimo nello stesso significato i due termini che esprime commetteremmo un falso ideologico macroscopico. La fortuna del termine trae origine dalla vessazione e dalla persecuzione politica delle quali siamo oggetto. Nelle nostre intenzioni è sinonimo di fascisti rivoluzionari e così indica con chiarezza:
a) una precisa concezione dottrinaria e politica (Dottrina del Fascismo);
b) la precisa volontà di subordinare, nel rapporto politico, la realtà a quella concezione (rivoluzione) in una posizione critica della passata esperienza tale da infrangere ogni tendenza al culto del passato ed alla mitomania, fino a rifiutare la validità della ricostituzione del PNF, fino a condannare lo stesso concetto di partito, quale strumento di lotta rivoluzionaria.
Sono così assolte de lue condizioni soggettive alle quali soggiace ogni movimento rivoluzionario che intenda assumere prospettive politiche.
In questo contesto gli uomini della FNCRSI negano che l'iniziativa di Borghese possa trovare una sua collocazione nello spazio del fascismo rivoluzionario e negano che il suo successo possa superare il clamore del primo exploit (se ci sarà). Non si tratta di dare o rifiutare patenti. Si tratta di valutare politicamente l'uomo (ed i suoi collaboratori) e le sue possibilità politiche.
Non basta dichiarare la volontà di contestazione del sistema per portare una iniziativa politica sul piano rivoluzionario. Ne abbiamo viste le due condizioni soggettive e Valerio Borghese si trova esattamente ai loro antipodi. Sull'uomo pesa la responsabilità di un passato che lo ha visto, ad ogni svolta, promuovere e fomentare il dissidentismo e la divisione. Non possiamo nascondere il fastidio che ci da il dovere stare a parlarne, ma la serietà del nostro proposito ed il senso di responsabilità che ci guida nel realizzarlo, non ci permettono di non sottolinearlo.
Borghese -si dice- susciterà delle adesioni entusiastiche e sottrarrà necessariamente possibilità umane e strumentali alla nostra iniziativa. Rispondiamo subito che l'affermazione, essendo ben nota la impossibilità di fermare Borghese, è un alibi che va rifiutato. Per restare coi piedi in terra, secondo i canoni del realismo politico ai quali ci reclamano perentoriamente da tante parti, se Borghese acquisterà forza politica nulla vieta di incontrarlo lungo la strada e stringere con lui accordi politici per arrivare a determinati e limitati obiettivi. Questa previsione è realistica perché comunque se Borghese vorrà muoversi sul terreno politico avrà bisogno di mettersi d'accordo con noi -i pazzi della situazione- poco o nulla contando i molti rattatuglia che gli peseranno addosso.
Ma non dobbiamo perdere di vista:
1) che anche noi dobbiamo acquistare forza politica, in linea di assoluta autonomia;
2) che Borghese vuole una cosa e noi un'altra.
Oltre a quella dello scontro frontale che, per ora, accantoniamo, non può esserci una linea di condotta diversa da quella sopra delineata, pena il suicidio politico, per evitare il quale è indispensabile che il distinguo tra noi e Borghese sia operato immediatamente, senza mezzi termini e senza perifrasi, pubblicamente, con ogni possibile mezzo di comunicazione e di propaganda, cosa che ci apprestiamo a fare.
Chi invece è convinto di poter scegliere la soluzione, sulla quale tanti insistono, di dover portare acqua al mulino di Borghese con la propria collaborazione, è invitato a farlo subito ed a lasciarci camminare per la nostra strada, senza creare intoppi con le suggestioni inutili e con le false questioni. Gli saremo grati della cortesia.
Altra posizione che non accettiamo è quella della cosiddetta benevola attesa che pure ci è stata proposta con fervore di convincimento e nobiltà di accenti. In questo momento l'attesa favorisce il disegno altrui ed il nostro silenzio assumerebbe il significato di un consenso che invece neghiamo né ce la sentiamo di avallare col nostro silenzio le dicerie che circolano con insistenza, segno indubbio, per altro verso, della consistenza e precarietà di chi le fa circolare.
Per coloro che concordano con la nostra volontà, la nostra iniziativa resta valida ed aperta per la definizione della piattaforma politica e l'inizio della attività che alcuni fra i 7 del Gruppo di lavoro, nominato 18-9-68, hanno definito ed approvato.