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La X Flottiglia Mas e gli ascari di Jalta
FNCRSI e dintorni, una postilla
Giuseppe Biamonte ("RInascita",
giovedì 23 aprile 2010)
Il vivace dibattito dalle colonne di "Rinascita" sul saggio "La Storia della
FNCRSI" necessita, a mio avviso, di un'ulteriore puntualizzazione sulla discussa
figura del comandante Junio Valerio Borghese e sulla diaspora politica di molti
ex della Decima, sebbene le ben documentate e condivisibili note critiche di
Maurizio Barozzi (11 marzo) e di G.A. (18 marzo) abbiano già fornito in
proposito sufficienti e inequivocabili elementi di chiarezza.
Come più volte ribadito in varie sedi e in molti studi e saggi storici di
studiosi e cultori della materia, nulla quaestio per quanto attiene al valore
del capo della leggendaria X Flottiglia Mas, alla coerente scelta di campo dopo
l'8 settembre, al carisma, all'eccezionale personalità, al coraggio e alla
generosità dell'uomo e del comandante. In altre parole onore al militare,
all'intrepido condottiero e a tutti i combattenti della Decima.
Il discorso però cambia se si analizzano le scelte politiche che,
consapevolmente e in prima persona, Borghese e un nutrito gruppo dei suoi uomini
operarono nell'immediato dopoguerra schierandosi chi col neofascismo sanfedista,
filo atlantico e filo sionista, chi col blocco comunista filo sovietico. Non si
trattò, in ogni caso, di "mutamento ideologico" rispetto alla linea "apolitica"
e "autonoma" del periodo socialrepubblicano, tutta dedicata alla salvezza
dell'onore d'Italia. Perché, come è ben risaputo, soprattutto per il caso
Borghese, il principe romano fascista non lo fu mai, né tanto meno fautore di
quella rivoluzione sociale alla quale aveva dato il suo apporto determinante,
usque ad effusionem sanguinis, il "comunista" Bombacci.
Altrettanto ben nota fu la sua avversione verso il «caporale di merda
Mussolini», il quale ricambiava il complimento definendo il comandante «il
buffone dalle enormi stellette e dalla baiadera» (P. Buchignani, "Fascisti
rossi", Milano, Oscar Storia Mondadori, 2007, p. 236).
Se la sacrosanta difesa del suolo patrio orientale, Trieste in testa,
dall'invasione iugoslava delle bande partigiane titine, supportate -è bene
ricordarlo- dalle formazioni comuniste italiane, aveva favorito i contatti
strategici tra Borghese e l'OSS, il servizio segreto americano, che annoverava
tra i suoi dirigenti quel James J. Angleton, la cui missione in Italia avrebbe
fortemente contribuito al "recupero", in chiave filo occidentale e
anticomunista, della galassia del neofascismo post-bellico, la successiva,
acclarata deriva atlantico-sionista del leggendario comandante e di taluni marò
l'avrebbe definitivamente annoverato tra gli ascari del blocco occidentale
(glissiamo per carità di patria sulle vicende del golpe-farsa), contrapposto, si
fa per dire, a quello sovietico.
Nel buco nero di Jalta finirono anche molti reduci della Decima, come ad esempio
Luca Scaffardi, Giampaolo Testa, Alvise Gigante, Spartaco Cilento, che nel '49
aderirono al PCI, illudendosi che quella fosse la scelta giusta per continuare
la battaglia sociale iniziata nella RSI. Scelte, dunque, apparentemente opposte
ma, in ogni caso, tutte ugualmente funzionali alle strategie dei vincitori della
seconda guerra mondiale e del sistema nato a palazzo Livadia.
Solo la Federazione romana dei combattenti della RSI, sotto la guida degli
indimenticabili Bruno Ripanti e Gaspare Fantauzzi, mantenne salda la barra della
coerenza e della fede politica negli ideali del socialismo fascista, oggi più
che mai unica alternativa sociale al capitalismo mondialista. Altrettanto valido
e attuale mi sembra oggi l'ammonimento ai giovani militanti della federazione
romana dei primi anni '70 che il duo Ripanti-Fantauzzi, respingendo
sdegnosamente ogni profferta di "collaborazione politica" del principe romano
(non a caso a quel tempo già espulso da oltre un decennio dalla stessa
federazione), non si stancava mai di dare: non lasciarsi ammaliare -mai- dalle
sirene del destrismo missista e dei suoi agenti extraparlamentari.
Monito che, a distanza di tempo, risuona quasi profetico nello squallore
politico contemporaneo.
Giuseppe Biamonte
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