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Commento a due articoli di Vincenzo Vinciguerra pubblicati nel sito: www.marilenagrill.org

 

Il Fascismo, la Destra ed Evola  

   
Maurizio Barozzi    

 

Nel sito web www.MarilenaGrill.org (non a caso dedicato alla splendida figura dell'Ausiliaria RSI Marilena Grill assassinata-fucilata dai partigiani nelle "radiose giornate" del '45), si possono leggere due nuovi articoli a firma di Vincenzo Vinciguerra riguardanti il fascismo, il destrismo e Julius Evola, titoli: "l'antifascista Evola" e "il mistificatore". Due articoli diversi, ma collegati e consequenziali, praticamente un tutt'uno tra loro.
Come noto l'autore, nei suoi scritti mai banale e senza mezzi termini, risulta ancora rinchiuso nelle patrie galere perché sempre rifiutatosi di chiedere o usufruire condoni, benefici, ecc. (brigatisti e altri terroristi di ogni colore, pentiti o dissociati che siano, svolazzano invece all'aria aperta ed hanno anche il loro bravo posticino di lavoro). La FNCRSI ovvero, giova puntualizzarlo, I COMBATTENTI DEL FASCISMO REPUBBLICANO, già molti anni addietro ebbero modo di scrivere su Vinciguerra apprezzandone la posizione assunta ed il suo comportamento umano e politico di fronte a tutto un ambiente falsamente ritenuto "fascista". Non a caso qui nel sito FNCRSI è presente una recensione dell'importantissimo e fondamentale libro scritto dal Vinciguerra "Camerati addio!".
In questi due articoli, anche se molti possono non condividere alcune valutazioni in merito alla figura complessiva di Julius Evola, ci sono affermazioni e concetti estremamente interessanti e utili anche per comprendere quanti inganni a suo tempo furono perpetrati sulla pelle dei fascisti.
Rimandiamo pertanto al Sito in oggetto ed alla lettura integrale di "l'antifascista Evola" del 18 ottobre 2009 e "il mistificatore" del 1 novembre 2009.
Qui per darne un accenno riassuntivo possiamo dire che l'autore esprime una giusta e netta separazione tra quello che fu e doveva essere il Fascismo repubblicano e la Destra pseudo neofascista.
Detto questo, egli ricorda i vari marchingegni che furono messi in atto per spostare, a poco a poco, fraudolentemente, su posizioni di destra i fascisti e quindi utilizzarli per una politica conservatrice e reazionaria, oltre che strumentalizzarli per gli interessi americani e della NATO.
In questo grande inganno, in questa mistificazione, non ci sono dubbi, rientrò anche l'opera di Julius Evola il quale, afferma Vinciguerra:
«Durante il Ventennio fascista, Evola non rappresentò un punto di riferimento culturale e politico. Fu uno dei tanti che visse la sua esistenza di studioso senza infamia e senza lode. Alla Repubblica Sociale Italiana, Evola non aderì. L'avventura dell'ultimo fascismo, il più vero ed autentico, Evola non la visse preferendo lasciare ad altri l'affermazione di quello spirito legionario di cui tanto amerà parlare negli anni successivi».
Ed infatti, nettamente avverso alle riforme socializzatrici della RSI e alla stessa istituzione Repubblicana realizzata da Mussolini (che pur mantenendo alcuni princìpi gerarchici intendeva però anche eliminare le disfunzioni e le iniquità delle cosiddette "nomine dall'alto"), di fatto Evola, volente o nolente, si poneva su posizioni "antifasciste", seppur non quelle stesse dell'antifascismo militante, anche se allo stesso tempo andava propugnando un richiamo allo spirito legionario del fascismo e ai valori gerarchici che questo aveva rappresentato.
Dei richiami questi fatti però in un ottica politica e culturale di "destra", finalizzata ad una "rivoluzione conservatrice" che avrebbe dovuto restaurare antichi "valori" andati perduti nella società moderna.
Ma tra il dire e il fare c'è di mezzo il mare, e questo mare oltre che dai mutamenti verificatisi nel divenire della storia umana, nel contingente era rappresentato dalla situazione conseguente alla fine della seconda guerra mondiale ed alla divisione del mondo in due sfere di influenza apparentemente contrapposte: il cosiddetto "mondo libero" e la "cortina di ferro".
Ed ecco allora che la visione conservatrice di Evola e la sua opera culturale e letteraria, assunse una subdola posizione politica finalizzata a "difendere" e solidarizzare con tutte quelle posizioni e quelle forze che si oppongono al comunismo, alla Russia sovietica, alla Cina di Mao.
E quindi di fatto, secondo Evola, pur non dichiarandosi entusiasta, bisognava sostenere gli USA, quando questi si contrappongono al comunismo in ogni parte del mondo, così come si doveva solidarizzare con l'OAS, il Sud Africa, i colonnelli greci, ecc., ritenuti ultimi baluardi di civiltà (ma quale?) ed ovviamente lo Stato e le FF.AA. italiane quando vengono aggrediti dalle sinistre sovversive.
Uno Stato, quello italiano da difendere, non certo uguale a quello del 1919, quando pur con tutte le sue storture borghesi e monarchiche era pur sempre lo Stato e l'Esercito della Vittoria comune, di una nazione relativamente libera e indipendente, ma che invece ora nel secondo dopoguerra, ironia della sorte, era quello nato dalla sconfitta militare del 1945, pregno di valori e di vendette antifasciste ed un Esercito nato dal tradimento badogliano dell'8 settembre i cui vertici militari erano (e sono tutt'ora) subordinati a quelli stranieri della NATO come un qualsiasi paese colonizzato.
Come si vede una visione politica assurda, che nulla ha compreso di quanto accadeva nel mondo, laddove il comunismo, una concezione materialista della vita chiaramente al di fuori della portata umana era più che altro utilizzato come nomenclatura, come simbolo da quei popoli che cercavano di ribellarsi al colonialismo americano. La Russia sovietica, al contempo, non era altro che un partner, spesso in rivalità e in competizione con l'America, ma sostanzialmente interessato allo sfruttamento delle sue aree di influenza e occupazione in accordo con gli USA (coesistenza pacifica).
Non era quindi il "comunismo" il vero pericolo dell'uomo, ma proprio le democrazie occidentali, quelle del cosiddetto "mondo libero", con il loro liberismo economico, la way of life americana, ed in primis gli Stati Uniti d'America che si avvalgono, e quando serve promuovono, anche la costituzione di stati conservatori e reazionari, ma il cui vero scopo è quello di difendere gli enormi interessi che gli consentono di sottomettere e sfruttare quasi tutto il pianeta, al contempo diffondendo ed esportando le ideologie neo radicali, le società multi etniche e tutto quel bell'esempio di modernismo, che pur Evola stesso tanto aveva criticato.
I golpe targati CIA, il regime dei colonnelli in Grecia e quello di Pinochet in Cile, ecc., non erano altro che "Stati canaglia", utili per lo spietato sfruttamento di interessi privati e corporativi ai danni del popolo e soprattutto utili, transitoriamente, alle strategie internazionali degli yankee. Servi sciocchi da imporre, in momenti di emergenza a certi popoli, da utilizzare e poi gettare a mare quando non più necessari. Altro che ultimo baluardo di certi "valori"!
Per tornare agli articoli di Vinciguerra, l'autore rileva che:
«Evola, quindi, svolge all'interno del MSI un'azione di destra in grado di portare all'emarginazione quelle componenti di "sinistra" che ancora ai primi degli anni Cinquanta erano presenti in questo partito. Non è un'ipotesi. Lo dice proprio Evola: "La vera azione che io volevo esercitare sui giovani del gruppo 'Imperium' e di altre correnti giovanili era nel senso di una contrapposizione e tendenzialità materialiste e di sinistra presenti nel MSI"».
L'autore giustamente rileva che la Destra politica in Italia, nel secondo dopoguerra, non ha avuto nulla a che spartire con i valori e lo spirito del mondo della tradizione, ma solo con «con banche, capitalisti, baciapile, servizi segreti, mafie varie, ipocrisia, perbenismo formale, rinuncia alla dignità ed alla indipendenza nazionale, morale pubblica ed immoralità privata».
Ed è a questi valori, a questi interessi che, anche grazie all'atteggiamento politico di Evola, vennero soggiogati i fascisti repubblicani e venne compiuta una grande mistificazione che ha finito per stravolgere l'immagine del fascismo di fronte all'opinione pubblica.
È anche in conseguenza di questo contesto umano e culturale che, notiamo noi, nacque, demenzialmente in contrapposizione al trasandato figuro sinistrorso in "esckimo" e capelli lunghi, il "neofascista pariolino" o "san babilino" in kascmir e camperos, che un Pavolini o Colombo avrebbero preso a calci nel culo appena li avessero visti, e che invece le cronache del passato ce li hanno mostrati spesso con un immagine rivoltante ed immorale etichettata come neofascismo. Al contempo, inoltre, si gettarono al massacro migliaia di giovani sull'altare di un anticomunismo viscerale, come in una contrapposizione da stadio, tanto assurdo, quanto utile ai giochi politici del sistema ed alla conservazione dell'asservimento italiano all'Occidente.
Scrive ancora Vinciguerra:
«Se il "maestro" disprezzava il fascismo in quanto dottrina, ammirando in esso solo la capacità di aver risvegliato in tanti italiani la volontà e la capacità di combattere dalla parte destinata alla sconfitta, i suoi allievi non potevano essere che peggiori di lui. Fedeli allo Stato, in quanto fonte di autorità, i Rauti e compari finiranno tutti, pochissimi esclusi, per divenire confidenti dei servizi di sicurezza e delle questure con lo scopo ufficiale di combattere la "sovversione rossa". Peccato che Evola ed i suoi seguaci non hanno spiegato quale sia la fonte divina dalla quale lo Stato italiano democratico ed antifascista ha tratto la sua autorità. Forse, nell'ansia di distruggere il fascismo sovversivo, si sono dimenticati che l'autorità di questo Stato viene dalla Vª armata americana e dall'VIIIª armata britannica che hanno conquistato la penisola dal 1943 al 1945, e sulle loro baionette hanno issato i padri dell'attuale repubblica italiana».
E per finire, l'autore traccia il suo giudizio su Evola:
«Un piccolo borghese, mai processato per collaborazionismo perchè nulla aveva avuto a che vedere con il fascismo, Julius Evola viene utilizzato, con la sua consapevole adesione, per favorire l'integrazione dei reduci fascisti nello Stato antifascista e, quindi, come vedremo in seguito, l'arruolamento come confidenti e bombardi dei giovani neofascisti nelle strutture segrete dello Stato. Si passa così dalla storia onorevole di quanti hanno combattuto per un'Idea e per una Patria, alla storia disonorata di spioni, stragisti, bombaroli e stupratori scritta dagli allievi di Julius Evola».


Maurizio Barozzi
 

Abbiamo riassunto qui solo alcuni passaggi dei due articoli di Vinciguerra ai quali però rimandiamo e raccomandiamo per una lettura integrale nel sito "www.MarilenaGrill.org", sezione "nuovi articoli". Articoli che meritano di svilupparne il discorso.

La Destra e il Fascismo
Questo della Destra e del Fascismo è comunque un discorso che merita di essere approfondito una volta per tutte, affinchè ogni mistificazione ed ogni dubbio sia definitivamente spazzato via.
Una breve premessa storica sulla degenerazione destrista di un certo ambiente, definito neofascista, è opportuna, anche per rendersi conto di come possa essere accaduto che il Fascismo, un movimento rivoluzionario, innovatore, pregno di profonde spinte ed ideali di giustizia sociale, da realizzarsi senza utopie e tenendo conto dei limiti della condizione umana e delle naturali differenze tra gli uomini, geloso custode dell'indipendenza nazionale, sia stato trasformato nel dopoguerra in una aberrante parodia di sé stesso, in un partito gretto e meschino, bigotto, al servizio dei peggiori interessi di classe e per giunta sottomesso alle direttive di chi ci aveva colonizzato.
Il fatto è che l'assimilazione "destra = fascismo", degenerata nel secondo dopoguerra nella subordinazione agli USA, ha cause lontane nel tempo.
Sommariamente si può ricordare che il Fascismo, un fenomeno politico in effetti nuovo, veniva da una esperienza storica nella quale, dopo una nascita interventista e di sinistra socialista nazionale, era anche compresa una parentesi conservatrice e di destra, quella antecedente la marcia su Roma (causata dalle necessita di conseguire la presa del potere) ed il successivo Regime del ventennio. Furono periodi questi nei quali nel fascismo stavano, per amore o per opportunismo, e vi si riconoscevano quasi tutte le sfaccettature politiche e culturali della nazione.
Mussolini, il Duce, con il suo carisma e la sua abilità politica era il collante che tutto teneva insieme e faceva girare nell'interesse di una nazione che si era assegnata alcuni obiettivi di crescita e grandezza.
Fu così che dietro questi interessi nazionali (e dopo che con il delitto Matteotti, perpetrato anche contro ogni apertura di Mussolini verso i socialisti, si chiusero tutte le porta "a sinistra"), il Regime venne strutturato e condotto in senso conservatore, comunque contemperato da profonde riforme sociali e grandi opere di interesse popolare, tanto da poter dire che se non ci fosse stato il regime fascista, probabilmente l'Italia sarebbe rimasta un paese estremamente arretrato come certi paesi balcanici e del sud Europa.
Insomma il Regime, sia pur conservatore di Mussolini, non aveva nulla a che spartire con quello di Franco in Spagna, dove invece ogni risorsa, ogni iniziativa era finalizzata agli interessi di potere di preti, reazionari e capitalisti, senza alcuna prospettiva, neppure ideale, di riscatto materiale e morale o di giustizia sociale per il popolo.
Questa è storia e possiamo anche concedere che una certa figura del "fascista di destra" è figlia di quel periodo, se non di tradizioni "franco anglo occidentali" antecedenti al fascismo stesso (per altri versi, basta sfogliare una rivista del ventennio per notare come sia naturale e presente quella "pubblicità" liberista e quella emulazione hollywoodiana, solo in parte stemperate dall'etica e dalle direttive del regime, molto simili alle attuali); del resto una cultura popolare, un modo di vivere non si cambiano dall'oggi al domani.
Ma se questo è vero, è altrettanto vero che, fuori dalle necessità e i compromessi del tempo, dopo l'8 settembre '43, Mussolini da vero rivoluzionario e con la Chiesa, la Corona e la grande Industria fuori gioco, non si era fatto sfuggire la irripetibile possibilità di portare a compimento il lungo percorso ideologico del fascismo, finendo per realizzare quelle meravigliose riforme sociali prospettate dal Manifesto di Verona e che a veder bene, nonostante tutto, erano sempre state presenti, almeno negli intenti ed in embrione, nel corporativismo del ventennio (pur piegato ad esigenze padronali) e nel pensiero socialista del Duce.
La nascita del Fascismo repubblicano rappresenta quindi uno SPARTIAQUE con tutto il passato ed il fatto stesso che i fascisti repubblicani erano in guerra con il mondo Occidentale, affermando quella concezione dello Stato che sempre era stata al centro della politica del Duce, ovvero uno Stato dove l'etica e la politica avevano la prevalenza su ogni altro aspetto di ordine economico o finanziario, mostra chiaramente come liberismo, conservatorismo, destrismo, stanno da una parte e il fascismo è dall'altra.
Ma una parte di quelle scorie borghesi e di destra, che purtroppo avevano albergato nel ventennio, non potevano scomparire dall'oggi al domani. La maggior parte di costoro, mezzi monarchici o mezzi bigotti, borghesi e qualunquisti in genere, si squagliarono, ma altri, per varie ragioni, tra le quali le esigenze del Duce e di Graziani di rimettere in piedi uno Stato ed un Esercito liquefatti dal tradimento, ce le ritroveremo nelle strutture della RSI e perfino nel PFR. Del resto molti degli "800.000" aderenti alla RSI lo furono anche perché si trovarono dalla parte centro nord della penisola dove potevano proseguire attività, servizi ed impieghi sotto la Repubblica.
I fascisti repubblicani, convinti e partecipanti, come la storia sempre insegna, non potevano che essere una minoranza, comunque non esigua.
Il risultato fu che quando si approssimò la fine, questi "destristi", questi "moderati", pensarono bene di defilarsi o di provvedere al loro domani, magari con la speranza di riciclarsi come anticomunisti e antisovietici, se si fosse verificata una spaccatura tra i sovietici e gli Alleati.
Non a caso al Direttorio del PFR di Maderno del 3 aprile 1945, presieduto da Pavolini, quando si cercarono di buttare giù le indicazioni per le basi operative di una lotta da proseguire in Italia, una volta finita la guerra e determinatasi la sconfitta militare, Pino Romualdi, il vice segretario del PFR, quello che poi sarà tra i responsabili della "tregua" o meglio "resa" di Como, non si trovò d'accordo sulle linee programmatiche indicate da Pavolini, Zerbino, Solaro, Porta ed altri che prospettavano per i fascisti nel dopoguerra, anche in clandestinità, una lotta contro l'occupante e a difesa delle innovazioni sociali della RSI contro ogni restaurazione monarchica e liberista (sottolineiamo non a caso queste frasi, perché i neofascisti proprio queste realtà antitetiche alla RSI furono invece indotti a difendere).
Mano a mano che si avvicinava la fine della guerra e la inevitabile sconfitta, gli approcci e i contatti in tutte le direzioni, Chiesa, circoli industriali, ecc., per trovare una soluzione al prevedibile bagno di sangue si intensificarono, così come si agganciarono contatti anche con l'OSS americano.
Molti dirigenti del fascio e soprattutto delle Istituzioni della RSI avevano infatti inteso le direttive di Mussolini di sondare le possibilità per un «passaggio indolore dei poteri», tra una Repubblica che inevitabilmente si ritirava ai confini del nord incontro alla sua fine, ed una Resistenza, fino ad allora militarmente inesistente, ma che con il ripiegamento tedesco e fascista avrebbe avuto il criminale contributo dei cosiddetti partigiani "dell'ultima ora", come un via libera per "arrangiarsi" in qualche modo con i settori moderati e conservatori della Resistenza e con gli Alleati, proponendosi magari come anticomunisti; e proprio in questo senso agirono più o meno sottobanco.
E pensare che Mussolini voleva lasciare l'eredità socializzatrice e repubblicana ai socialisti e, come scrisse Ermanno Amicucci, far trovare agli Alleati il fatto compiuto di un Italia socialmente riformata.
Fu così che mentre Mussolini la sera del 25 aprile 1945 pensa bene di allontanarsi dalle zone dove stanno per arrivare gli alleati, rifiutandosi di trincerarsi a Milano o Como per salvare la vita, come gli propongono i Graziani e i Borghese (che infatti la vita salvarono), ritirandosi invece verso la Valtellina non avendo alcuna intenzione di consegnarsi al nemico senza condizioni e soprattutto senza la possibilità di poter trattare una resa onorevole per l'Italia, al contempo i cosiddetti "fascisti moderati", i "fascisti tendenzialmente di destra" ed altri indefinibili come per esempio quell'Almirante, non lo seguirono affatto o lo seguono malvolentieri, in cuor loro speranzosi di conseguire al più presto la resa con gli Alleati, magari con la scusa di «salvare anche il Duce» o di espatriare nella vicina confederazione elvetica.
Andò a finire che Mussolini, sempre caparbiamente rifiutatosi di espatriare, come da più parti lo sollecitavano a fare (e molti ci provarono come Tarchi, Buffarini, ecc.), rimase solo e isolato in quel di Menaggio e venne poi catturato poco più avanti, mentre 30 chilometri prima, a Como, non si riuscì a mettere in piedi una colonna armata per portagliela di soccorso.
Chiusa la guerra il dovere primo di ogni vero fascista, una volta scampato ai massacri e ripresa la vita civile, sarebbe stato quello di ingegnarsi a combattere, su ogni campo della vita politica e sociale, coloro che ci avevano colonizzato ed imposto le clausole vessatorie, mai revocate, del Diktat. Ed altresì avrebbe dovuto battersi per quelle scelte socializzatrici della Repubblica sociale in conseguenza di una ristrutturazione capitalista e liberista dell'economia nazionale imposta dagli Occidentali.
Ed invece tramite il nefasto operato di un gruppetto di pseudo ex fascisti e non fascisti, oramai legati mani e piedi al carro americano e conservatore, dietro un sottile affaccendarsi di massoni, con la benedizione del Vaticano e avallati dagli USA e dal Ministero degli Interni democristiano dell'epoca, venne dato vita ad un partito di destra, il MSI, il cui scopo fondamentale era quello di traghettare sulla sponda filo atlantica e filo americana i combattenti e reduci fascisti repubblicani e i giovani che, con molto coraggio ed idealismo si riconoscevano ancora negli ideali del fascismo.
Vari marchingegni vennero escogitati per realizzare questa infamia, tra i quali quello, come ricorda Vinciguerra, di collocarsi a destra del parlamento, con la scusa che «a sinistra c'erano i comunisti».
Ma questa collocazione, già di per sé stessa ignobile, rispetto ai valori e ai contenuti del fascismo repubblicano, non fu di convenienza, fu strategica, ideale e integrale, come testimonierà un percorso pluriennale di atti parlamentari e iniziative politiche in cui deputati e senatori del MSI non faranno altro che propugnare e difendere bassi interessi di classe, posizioni codine e reazionarie, asservimento dell'Italia alla NATO, e via dicendo.
Gli atti parlamentari e quelli negli Enti Locali, nonchè la collezione del "Secolo d'Italia", il giornale del MSI creato dall'agiato senatore missista Franz Turchi, sono lì ad archivio testimoniale di tutto questo.
Oppure, come confessò un giorno Caradonna, altro espediente per spingere i fascisti a destra, fu quello di «far menare il più possibile i giovani missini con i rossi» visto che, più ci si menava e più si concretizzava quell'anticomunismo viscerale utile al destrismo.
Oppure ancora quello di mettere in giro la storiella giustificativa, buona per ogni uso, del «non rinnegare e non restaurare», una evidente barzelletta visto che il restaurare era un consolatorio privo di significato, mentre per rinnegare si era rinnegato abbastanza.
Già nel 1947 con i primi eletti al Consiglio Comunale di Roma, si ebbe un anticipo di quello che sarebbe stato il cammino di questo partito missista, cioè la ruota di scorta dei governi democristiani. I primi consiglieri del MSI, infatti, votarono a favore del sindaco democristiano Rebecchini.
A poco a poco inoltre presero a pubblicarsi vari giornali, riviste, alcune molte belle e con belle foto, ma quasi tutte con la stessa impostazione di fondo: la guerra fredda e lo spauracchio del "pericolo rosso", un nazionalismo che si conciliasse con la collocazione occidentale dell'Italia, l'annacquamento e l'oblio verso le riforme socialiste della RSI, e via di questo passo. Insomma un apertura mentale verso la rivalutazione di un fascismo moderato, di destra, conservatore, filo atlantico e il definitivo oblio della RSI.
Giustamente scrive Vinciguerra:
«Un poco alla volta, quindi, già alla metà degli anni Cinquanta la definizione del MSI come partito di destra non suscitava più alcuna reazione negativa negli iscritti e nei simpatizzanti, molti dei quali giovani e giovanissimi che poco o nulla sapevano dell'ideologia fascista».
Non tutti i fascisti repubblicani, comunque, accettarono questo andazzo, molti si ritirarono disgustati nel privato, alcuni finirono nei partiti di sinistra, anche nel PCI, altri si strinsero nella Federazione Nazionale Combattenti della RSI che, finchè ha potuto, mantenne viva e immacolata l'immagine del fascismo, anche grazie alle sue direttive: scheda bianca o astensione alle elezioni, politica socializzatrice, antiamericanismo, lotta alla NATO, avversione per tutti quei «MSI fuori dal MSI», quali le varie AN, ON, e Fronti nazionali vari.
Gli altri, i destristi, i filo americani, i "moderati", i conservatori, perfino gli ex vengiciqueluglisti, tutti recuperati al MSI, contribuirono invece alla crescita del partito più bigotto, più reazionario, più ributtante del panorama politico nazionale, quello che dopo aver lustrato le scarpe agli americani, tifato per Israele, ecc., aveva finito negli anni '70 per adornare le sue sezioni con le bandiere cilene di Pinochet e della sua macelleria targata CIA.
Chi ancora oggi ritiene che Fini sia stato un traditore è uno sprovveduto ai limiti della deficienza, visto che quello che era il MSI lo è, sotto vesti e linguaggi consoni ai tempi, il pensiero e l'agire di Fini & c.
Ma ATTENZIONE, questi destristi, attuarono anche un vero e proprio tradimento della Patria, perché lo schierarsi con l'Alleanza Atlantica, con chi aveva colonizzato l'Italia, strutturandola economicamente e finanziariamente in funzione dell'occidente liberista, ponendo degli evidenti limiti alla liberta nazionale, e subordinando i nostri vertici militari alla autorità della NATO, significava tradire gli interessi nella Nazione.
I veri oppositori della NATO e della way of life americana, avrebbero dovuto essere, avendone tutti i diritti e le opportune scelte politiche, sociali ed ideologiche, i Fascisti repubblicani, non le sinistre che si muovevano dietro le direttive sovietiche del tempo.
Oltretutto, anche un bambino avrebbe capito che la spartizione del mondo decisa a Yalta era di livello strategico, sia pur transitorio (è durata 40 anni) e che i dissidi della "guerra fredda" non erano altro che una esigenza contingente finalizzata a contenere l'URSS nei confini che gli erano stati assegnati e a non disturbare troppo, nel mediterraneo soprattutto, l'abnorme già prevista espansione di Israele, con tutte le conseguenze che avrebbe causato.
Ma la vera finalità di Yalta era la "coesistenza pacifica" USA-URSS e quindi questa necessità di appoggiare la NATO, in quanto "pericolo minore", come dicevano i destristi, o di stare con Israele perché gli Arabi erano amici di Mosca, non era altro che una sciocchezza profusa in malafede.
Appoggiare e sodalizzare invece si doveva con tutti i popoli che, per un motivo o per l'altro, dalla Cuba di Castro e Guevara, al Vietnam, ai paesi arabi e ai palestinesi, ecc., lottavano per la propria indipendenza contro l'imperialismo sionista-americano, proprio come un tempo fecero il Giappone e le nazioni dell'Asse.
Fin qui la nostra puntualizzazione storica.

La posizione di Evola
Un più articolato e pacato commento meritano invece i drastici giudizi espressi dall'Autore verso Evola, che a nostro avviso, oggi a distanza di tempo, dovrebbe essere compreso in un dibattito più ampio, separando fin dove è possibile gli aspetti meta storici da quelli storico politici e l'opera culturale di Evola dalla sua poca e negativa sostanza politica.
Noi riteniamo che in Evola ci sono meriti e demeriti, aspetti positivi ed altri deleteri e negativi, ma comunque il "barone" non si può certo definire "piccolo borghese". Pur con tutti i suoi difetti egli si attenne sempre ad un suo atteggiamento esistenziale e si rifiutò di metter su famiglia a differenza di tanti suoi "allievi" che vagheggiavano attitudini "magiche" e sacerdotali, oppure da "guerrieri" ritrovandosi poi con tanto di moglie, figli e nipotini. Anche l'incidente in cui incorse durante un bombardamento e che lo inchiodò su una sedia a rotelle, seppe affrontarlo con dignità e stoicismo
I meriti di Evola, come del resto quelli di Guenon e altri, sono stati quelli di aver indicato, anche sotto l'aspetto razionale e intellettuale (come i "tempi ultimi" purtroppo richiedevano) i contenuti di una certa Sapienza antica che si riallaccia ad una concezione della vita e del mondo, per così dire a-temporale e metastorica (la Tradizione). Egli ha anche giustamente mostrato che certi riti, certi simboli, erano preesistenti alla Massoneria (e al Cristianesimo) e che questa setta aveva invece dato un evidente impulso negativo alla nascita del mondo moderno.
Altro merito di Evola è stato anche quello di aver posto il problema massonico senza mezzi termini e di aver subito smascherato quelle posizioni culturali e pseudo esoteriche che potevano tendere verso una infatuazione "satanista" (vedi: "Maschera e volto dello spiritualismo contemporaneo"), pericolo reale e corrente quando, nell'età moderna, ci si gingilla con certe pratiche "magiche".
Ma il pensiero Tradizionale, come ebbe ad osservare Giorgio Vitali con il suo acume intellettuale, sempre teso a separare il polemico e il contingente dall'essenziale, «è una sincresi fra elementi disparati, non contaminati dal cristianesimo che, anzi, è nato e si è sviluppato proprio in antitesi a quel mondo (meglio: alla interpretazione integrale di quella cultura), ci ha messo in condizione di vivere pensando in profondità, e pertanto, di capire ciò che realmente avviene nella società che ci circonda. Ma Evola non è il solo maestro al quale avremmo potuto attingere. Se si ha il "barone" come riferimento è perché in un certo momento abbiamo potuto avere i suoi scritti sotto mano, così come l'umanità per millenni è stata messa in condizione di leggere soltanto i vangeli nell'interpretazione più sottomessa alla dottrina elaborata durante il millennio di creazione del pensiero cristiano. Se invece, come è successo ad alcuni di noi, la scoperta del barone è servita ad aprire nuove strade alla conoscenza, queste strade hanno portato alla scoperta di tanti altri personaggi che sono serviti per comprendere non solo l'ampiezza della prospettiva (penso a Schuon, allo Steiner, allo Junger, a Goethe, a Nietzsche), a quei pensatori che, partendo da basi massoniche, non perché fossero massoni, (...) la massoneria per me corrisponde al cristianesimo (...) si sono elevati alla comprensione della sapienza (...) Zolla, Eliade, Eliphas Levi, il gruppo di Ur, Reghini, Armentano, Giuliano Kremmerz (...) allora vedi Evola in prospettiva e, vedendolo in prospettiva, la visione non è così esaltante come si crederebbe. (…) Evola in politica è stato un banale uomo di destra, della destra più stucchevole, inconcludente, oserei dire "monarchica", di quei monarchici che affiancarono il MSI e condizionarono la sua politica così come i nazionalisti (tradendo peraltro Corradini, che era molto più a sinistra di quanto si possa credere) rovinarono il Fascismo nato mussoliniano. Questo continuo compromesso di Evola, prima durante e dopo la guerra non è piaciuto e continua a non piacere a molti. Lo stesso si può dire di quel gruppo di suoi seguaci che furono detti "figli del sole" e che, forse escluso Accame, si sono impegnati nella politica culturale in periodici della destra più banale. Moltissimi dei quali finirono al Borghese, non a caso diretto da un massone a capo della congiura di destra che voleva destabilizzare il MSI più di quanto non lo fosse quel partito stesso. Viste queste cose col senno del poi, e ripensando a quanto avrebbe potuto rappresentare per l'Italia e per il mondo una linea politica improntata realmente al retaggio della RSI, (d'altronde è stato Evola a scrivere quel libro sul fascismo visto da destra) si resta piuttosto interdetti, se non incazzati».
In ogni caso, ripetiamo, ideologicamente parlando, il discorso è alquanto complesso e non può essere liquidato con un articolo.
È però indubbio, aggiungiamo noi e qui entriamo nella sua opera deleteria, che politicamente Evola era rimasto a Metternich, anzi ancora più indietro, alle antiche caste, e questa sua visione politica, aveva già ostacolato nel ventennio, come del resto fecero i cattolici, la nascita di una Tradizione italica e Romana, di cui c'erano tutte le premesse affinchè prendesse corpo.
Una Tradizione italica e Romana che avrebbe potuto comprendere anche quel fascismo, incorrettamente definito di "sinistra" che da Mazzini, passa per Fiume e finisce a Mussolini, che avrebbe potuto considerare la rivoluzione francese non solo come frutto nefasto della massoneria, ma anche come inevitabile cambiamento di un epoca storica e umana che andava verso quello che sarà definito, poco più di un secolo dopo, "il secolo delle masse" con cui bisognava fare i conti.
Un secolo in cui le vecchie aristocrazie, tanto care al "barone", oramai trascorrevano il loro tempo, tra uno scandaletto e l'altro, nei casinò e nelle stazioni termali.
E la stessa cosa valeva per il Risorgimento, pur con tutte le sue devianze massoniche: senza il Risorgimento non ci sarebbe stato l'Interventismo e senza l'Interventismo non ci sarebbe stato il Fascismo, perché il Fascismo, come tutti i movimenti nuovi e vincenti, tutto tende a comprendere e sintetizzare, ma abbisogna di una tradizione storica viva e operante nel popolo per realizzarsi.
Ed invece il pensiero politico evoliano, sospeso nel vuoto di un miraggio di un epoca oramai scomparsa, ha finito per fornire, nel secondo dopoguerra, ai "destristi", ai partigiani della NATO e ascari simili, una impalcatura ideologica ed una scusante politica che poi, volenti o nolenti, ha portato alcuni di questi destristi di vario colore, a rifluire (i più) nel tran tran piccolo borghese (di fronte al quotidiano la loro equazione personale ovviamente non reggeva a certi "compiti") e altri, come dichiarazioni di "pentiti", inchieste e sentenze della magistratura hanno dimostrato, a farsi strumentalizzare dai "servizi" occidentali, soprattutto nell'infame periodo della strategia della tensione.
Del resto i passaggi consequenziali per esaltati, imbecilli o mascalzoni in mala fede, erano tracciati e insiti nella stessa "filosofia" politica evoliana: "rivoluzione conservatrice" per un èlite di figli del sole a cui tutto è concesso, anticomunismo e antisovietismo visti come opportuna reazione al maggior pericolo del momento (il comunismo), filo americanismo visto come male minore, simpatia per le strutture quali l'OAS, i berretti verdi americani, i corpi sani, i nuclei per la difesa dello Stato, ecc., e ovviamente per la "guerra non ortodossa" teorizzata dalla NATO, e così via.
Ebbe a far presente uno studioso della tradizione italica e Romana, quanto segue;: «Nonostante la sua abilità di scrittore, riconosciutagli anche dagli avversari, il suo filo-germanesimo non poteva che trascinare i suoi seguaci verso il Sacro Romano Impero della nazione germanica e verso tutte le posizioni politiche e filosofiche anti-italiane e anti-romane che discendono da questa fonte. Da questo nucleo di pensiero, inoltre, fluiscono le conseguenze che come torrenti in piena hanno sospinto Evola e gli evoliani verso le posizioni politiche (atlantiste e reazionarie) della destra missista».
Ma è anche vero, come ci fece presente un altro ricercatore storico, che al di fuori degli studiosi di formazione guenoniana, il cui maestro però non era così avverso ad Evola, i più critici verso Evola stesso sono stati proprio alcuni suoi "discepoli", così come i più insulsi e noiosi estimatori sono stati molti suoi esaltati seguaci.
Il discorso quindi, lo ripetiamo ancora una volta, è molto articolato e complesso e del resto noi non abbiamo neppure la qualifica e la preparazione atta ad addentrarci in riflessioni esoteriche e metastoriche, per cui è meglio interromperlo qui.

Evola e la FNCRSI
Per quanto riguarda la posizione dei fascisti repubblicani della FNCRSI, rispetto alla posizione "politica" di Evola, bisogna fare una premessa.
Da tempo infatti, mentre tutta la destra di ogni gruppo o colore, propugnava l'esaltazione del destrismo, il filo americanismo o comunque l'anticomunismo viscerale e retrivo, la FNCRSI, come si può costatare semplicemente leggendo il suo "Bollettino", la sua "Corrispondenza Repubblicana" o i suoi Volantini dell'epoca (anni '60 e '70, in questo stesso Sito riportati nell'Archivio), difendeva e propugnava la politica socializzatrice, attaccava la NATO, si schierava con Guevara e i Vietcong, con la lotta del popolo arabo e denunciava, con tutte le sue forze, ogni ridicola prospettiva e speranza riposta in un Golpe militare.
A questo proposito è bene ricordare cosa scrisse la FNCRSI nel suo Bollettino dell'ottobre 1970:
«Poiché molti camerati si sono rivolti a noi per saperne qualcosa, rispondiamo a tutti in unica soluzione. Il fantomatico schieramento, al quale è stata imposta l'ampollosa denominazione di "Fronte", è sorto dalle ceneri dei comitati tricolore, pateracchio paragovernativo, sfasciatosi dopo la ridicola marcia su Bolzano di qualche anno addietro. Si tratta, in sostanza, di un fronte di cartapesta, che si regge (non si sa fino a quando) a suon di ottima carta moneta. Portatore di nessuna idea, né vecchia né nuova, esso vorrebbe riesumare uomini ed ambienti logori e squalificati, nel tentativo di allestire un contraltare all'attuale classe dirigente. Siffatto coacervo di interessi, di velleitarismi e di mal sopite libidini di potere raccoglierebbe adesioni nei più disparati ambienti: da certo social-pussismo, a certi ambienti curialeschi, al solito comandante, ai residui circoli monarchici, al MSI ed alle sue organizzazioni parallele, alle varie avanguardie, gli ordini nuovi, le vere Italie, certi militari a riposo, una certa loggia; sarebbe nelle grazie di non poche cosche mafiose e della destra DC. Gli sarebbe stato assegnato il ruolo di sobillatore e coordinare il malcontento popolare allo scopo di predisporre la giustificazione ad un eventuale colpo di stato a favore di quelle forze conservatrici che ostacolarono i programmi sociali del ventennio fascista e che crearono, al tempo della RSI la cosiddetta resistenza che oggi pompano a copertura dei propri interessi. E le stelle -come farebbero gli agenti della CIA e del KGB- stanno a guardare. L'iniziativa -che non può ovviamente avere nulla a che fare con il Fascismo- ha galvanizzato numerosi ex-fascisti da tempo abbandonati a se stessi in quanto ormai idealmente logori e sfiduciati e pronti quindi ad abbracciare l'ignobile professione dei lazzari. Sarà certamente l'ultima loro lazzaronata; l'iniziativa infatti è destinata ad abortire per intrinseca incapacità politica degli eterogenei ispiratori e propugnatori. Ove però, per una eccezionale quanto improbabile concomitanza di interessi interni ed esterni, il "Fronte" riuscisse a dare qualche frutto, questo risulterebbe più antifascista del sistema attuale. Starsene lontani quindi, oltre che ad una imprescindibile opportunità politica, risponderebbe ad un preciso imperativo morale».
È ovvio che la posizione dottrinale e politica della FNCRSI non poteva star bene ad Evola, colui che con il suo "Fascismo visto da destra", "Gli Uomini e le Rovine" (non a caso con prefazione di J. V. Borghese) e "Orientamenti", aveva propugnato e disegnato un altro pensiero ed un altro percorso e atteggiamento politico per i neofascisti. Fu così che dalle pagine di giornali conservatori quali "il Borghese" e "il Conciliatore", Evola attaccò la FNCRSI.
Riportiamo allora quanto ricorda il libro "Storia della FNCRSI" (di imminente pubblicazione) circa una breve, ma intensa polemica che si aprì tra la FNCRSI ed il "barone" a cavallo degli anni '60/'70.
A questo proposito sarebbe stato anche necessario ricordare un articolo, al tempo scritto, da Giorgio Vitali per la FNCRSI, proprio in risposta alle critiche di Evola, purtroppo andato oggi perduto. L'articolo sarebbe stato interessante perché Vitali contestava Evola proprio da una visione per così dire "evoliana", impostazione questa che si decise all'ultimo momento di non pubblicare per non dare alibi ad alcuno.
Ecco invece quanto riporta il libro sulla storia della FNCRSI:
«In un articolo pubblicato ne "il Conciliatore" (vedi "il Conciliatore", 15/2/1971, N.d.A.), Evola accusava senza mezzi termini la Federazione Nazionale Combattenti RSI, mettendo in dubbio il fatto che la Federazione raccogliesse combattenti del fascismo repubblicano, contestando la scelta di affidare la presidenza a Giorgio Pini, che era un "sinistrorso" -per riprendere le parole del tradizionalista neo-monarchico siciliano- contestando Mussolini poiché si era avvalso, durante il periodo della Repubblica Sociale Italiana, della collaborazione di Pini, che aveva posizioni simili a quelle di Ugo Spirito, "fascista gentiliano" poi diventato comunista, come ricordava Evola con malcelato disprezzo.
Evola, ancora, ribadiva che l'unico dato significativo positivo dell'esperienza storica della RSI era da vedersi "nel suo aspetto legionario", non nella socializzazione, aspetto legionario che poneva, secondo una visione evoliana che probabilmente non rendeva adeguata giustizia ai martiri fascisti repubblicani, i fascisti repubblicani alla stregua dei militanti dell'OAS.
Dunque Evola sviluppava un paragone, effettivamente arbitrario, tra un movimento di liberazione nazionale, quello fascista repubblicano appunto, dall'imperialismo occidentale, ed un movimento, viceversa, di affermazione dell'imperialismo occidentale. Evola sosteneva poi che "quel che il Pini dice (…) fa semplicemente allibire".
Pini, nel corso delle sue affermazioni, specificava che, essendo stato il fascismo un movimento socialista e rivoluzionario, non controrivoluzionario, i militanti della FNCRSI sostenevano naturalmente la legittimità delle lotte di liberazione dei popoli oppressi dall'imperialismo anglo-americano; il dirigente della Federazione sottolineava ancora che l'essenza totalitaria e popolare del fascismo era chiaramente antitetica alla sostanza autoritaria e conservatrice dei regimi di destra reazionaria difesi e sostenuti dall'estrema destra italiana.
Evola, invece, di contro alle affermazioni di Pini, difendeva l'imperialismo americano contro la lotta di liberazione nazionale del popolo vietnamita, contestava l'affermazione del Presidente della Federazione contro Franco definito da Pini "sacrificatore della nobile Falange di Josè Antonio Primo de Rivera", difendeva, in funzione antitetica rispetto ai principi del Fascismo Repubblicano, i regimi militari reazionari ed anti-fascisti della Grecia, della Spagna, del Portogallo, concludendo, infine, con la difesa del "razzismo" del Sud-Africa e della Rhodesia (tutti sistemi, aggiungiamo noi, oggi spazzati via dopo averli utilizzati per gli interessi americani, perché le vere finalità del mondialismo erano quelle di spostare l'Europa su posizioni neoradicali e progressiste, non di mantenerla su posizioni conservatrici, N.d.A.).
In un documento della Federazione ("Quali uomini su certe rovine?", Roma 1971, N.d.R.), scritto come risposta alle accuse formulate dall'aristocratico siciliano, si precisava che «Evola non ha avuto cariche ufficiali nella RSI, né politiche, né militari; né può essere considerato in alcun modo un combattente per la RSI in quanto rifiuta lo Statuto costitutivo di quella Repubblica. Quindi non ha alcuna autorità su di noi che gli permetta di insegnarci qualcosa».
Si specificava, rispetto alle accuse evoliane, che Pini non era un semplice giornalista, ma medaglia d'argento della Iª Guerra Mondiale, combattente in Africa Settentrionale nella IIª; durante la RSI ebbe incarichi ufficiali, di cui assunse la piena responsabilità e di cui affrontò le conseguenze dirette ed indirette, avendo peraltro avuto un figlio il quale, appena quindicenne, fu vilmente ucciso dai cosiddetti "partigiani". Rispetto all'affermazione evoliana dell'unico valore legionario della RSI, si chiarificava che:
«Certamente i 18 punti di Verona non vanno presi alla lettera, ma è lo spirito di quelli, la volontà di realizzarsi pur nelle enormi difficoltà, tra bombe, nemico avanzante, alleato opprimente e contrario, assassini al servizio del nemico sempre pronti, è quella spinta globale su tutti i piani della vita civile, non solo quello legionario militare, di cui è espressione la RSI».
Sintesi di tutte le aspirazioni dei Fascisti Repubblicani era comunque il "Manifesto di Verona".
Riguardo lo spirito legionario, la Federazione rimproverava ad Evola di degradare questo spirito a "convenzionalismo retorico", fondato sul mito dell'OAS e della Legione Straniera, "fieramente nemica" dell'Italia fascista nell'ultima guerra.
La difesa dei regimi di destra asserviti all'America nell'area mediterranea fatta da Evola, rientrava, nella visione della Federazione, nell'occidentalismo e nell'atlantismo di fondo difesi dalla destra.
Già in precedenza, peraltro, nel 1968, si erano avuti "scambi di idee" tra Evola e la Federazione Nazionale Combattenti RSI; ne "il Borghese", 18/7/1968, compariva un articolo evoliano dedicato al tema de "L'infatuazione maoista", in cui Evola sottoponeva a radicali critiche il pensiero di quanti vedevano nel maoismo non l'affermazione di una via marxista ortodossa, ma la realizzazione di una via nazionale e popolare cinese al comunismo; puntuale appariva la risposta della Federazione Nazionale, in "Corrispondenza Repubblicana", mediante un articolo dal titolo significativo: "L'infatuazione atlantista".
La Federazione, tramite la sua "Corrispondenza Repubblicana" (Anno III n. 18, 10 ottobre 1968, N.d.R.), sosteneva che il famoso libretto rosso di Mao racchiudeva «tutti gli ideali e le aspirazioni di un popolo; è l'espressione materiale di una fede; è diventato un vessillo, una bandiera, e le masse acclamanti ed entusiaste lo sventolano come si fa appunto con una bandiera. I russi del tempo di Stalin agitavano le bandiere rosse con la falce e martello; i fascisti innalzavano al sole i loro gagliardetti neri; è con lo stesso spirito, con la stessa fede in un ideale, che il cinese d'oggi stringe in una mano, agitandolo, il suo libretto color fuoco».
La Cina maoista, nella visione della Federazione, superava la tradizione materialista del marxismo-leninismo, in quanto andava concretizzando una via nazionale e popolare cinese al comunismo, cercando di sviluppare il problema della rivoluzione a livello umano e non semplicemente tecnico.
La Cina praticava la via della modernizzazione e dell'industrializzazione, ma, al tempo stesso, poneva le basi per una "nuova civiltà", contrassegnata dal richiamo ai valori eroici, volontaristici, morali della tradizione cinese e non del materialismo marxista».
Fin qui il libro "Storia della FNCRSI".
Da parte nostra concludiamo ricordando che purtroppo in Italia, proprio in quegli anni '60 e '70, è accaduto qualcosa di spaventoso ed obbrobrioso: il nostro paese cioè, al fine di tenerlo tenacemente ancorato all'Alleanza Atlantica (visto che si succedevano governi instabili di centro sinistra, che da noi c'era il più forte partito comunista europeo e che pur si era dovuto assassinare Enrico Mattei ed Aldo Moro, per una loro politica che timidamente tendeva all'equidistanza negli schieramenti internazionali ed ad un minimo di autonomia del paese), fu teatro di quella "guerra non ortodossa" di occidentale matrice, una guerra di basso profilo, ma con enorme dispendio di sangue innocente.
Una strategia finalizzata a "destabilizzare per stabilizzare" l'asse politico italiano, in modo da renderlo timoroso, immobile e inconcludente, soprattutto nei periodi in cui era previsto o in atto l'abnorme espansione di Israele con le conseguenze belliche e para belliche che avrebbe determinato in tutto il settore del mediterraneo e medio orientale che sarebbe entrato in ebollizione.
Fu la strategia della tensione, in cui scoppiarono bombe e furono praticati attentati e provocazioni di vario tipo e dove, volenti o nolenti, se ne addossarono buona parte delle gesta ai neofascisti.
Ed ironia della sorte, quanti si erano fatti strumentalizzare dai "servizi" con l'illusione di spostare il paese a destra, attraverso la promessa di una proclamazione dello stato di emergenza (bella prospettiva!), una volta terminate le esigenze internazionali che avevano spinto a quella strategia sanguinosa (poco dopo la guerra mediorientale del Kippur e i successivi accordi di Camp David, Israele si era strategicamente "sistemato" e non correva più pericoli), tutto il ciarpame e le truppe cammellate del destrismo vennero buttate a mare, così come in Portogallo, nella Spagna alla morte di Franco ed in Grecia per i Colonnelli: USA & GETTA!, perché in prospettiva i veri fini ideologici dell'americanismo e del mundialismo, come detto, erano quelli di spostare su posizioni moderniste e progressiste le nazioni.
E così (1974) le bombe continuarono a scoppiare, Brescia, Italicus, ecc., ma ora non c'era più la necessità di addossarle agli anarchici, ai "rossi", ora si potevano benissimo addossare ai fascisti e del resto a Brescia, poco prima dell'attentato al comizio sindacale era saltato in aria un esponente di destra, Silvio Ferrari, ed un altro, Nico Azzi si farà scoppiare addosso un detonatore mentre viaggiava in treno ostentando giornali di sinistra. Chi non avrebbe creduto alle "bombe fasciste"?
La strategia stragista era sempre la stessa, quella della guerra non ortodossa targata Alleanza Atlantica e non è un caso che mandanti ed esecutori non si siano mai trovati, ma si sono scoperti e ne sono rimasti coinvolti a vario titolo tanti soggetti di quella destra neofascista, compresa quella così cara al "barone".
Dopo la strage del treno Italicus, ad agosto del 1974, nella regione emiliana, persino nelle località balneari, centinaia di migliaia di persone scesero in piazza per manifestare contro le bombe e contro il fascismo. Ecco un altro perfido e voluto risultato della strategia della tensione.
Prima le bombe addossate agli anarchici al fine di destabilizzare per stabilizzare il paese, poi quelle da addossare ai fascisti per accelerare il processo di trasformazione del paese in senso progressista e per un neo capitalismo illuminato: ma sempre e comunque la stessa mano dei servizi occidentali.
Se ancora oggi, nell'immaginario collettivo, sono in uso come luogo comune le equazioni:
"Fascismo = reazione", "Fascisti = servi degli americani", "Fascisti = bombaroli", le responsabilità sono anche di tutti i destristi, evoliani e non evoliani che siano, e questo crimine, i veri fascisti repubblicani, non devono e non potranno mai più perdonarlo!

Maurizio Barozzi