Italia - Repubblica - Socializzazione

 

Vincenzo Fratta

Anauê: La tentazione fascista nel Brasile degli anni Trenta

Edizioni Settimo Sigillo, Roma, 2011 - € 20,00

 

 

 

Fascisti in camicia verde:

Plínio Salgado e l'Ação Integralista Brasileira

 

Giuseppe Biamonte 

 

Quello a cui stiamo oggi assistendo è lo spirito di Roma che si eleva col suo eterno senso di equilibrio e di simmetria, la sua capacità di totalizzazione degli elementi individuali e sociali, di concezione del mondo sotto un criterio integrale nel quale non vi sono né atrofie né amputazioni, né scontri né tendenze dissociative. Roma fascista così calunniata dai demagoghi ebbri di cocaina libertaria, costituisce attualmente la suprema garanzia della libertà.

 

Plínio Salgado,

 "Como eu vi a Italia"

Società Editora Latina, São Paulo s.d. (1930).

Trad. di Ferruccio Rubbiani

   

Che negli anni Trenta il Fascismo, all'apice della sua popolarità internazionale, fosse divenuto un modello politico universale per gli indiscussi primati culturali, economici e sociali raggiunti in pochissimi anni dall'insediamento di Mussolini alla guida dell'Italia -un modello attentamente studiato, stimato, imitato e persino invidiato, non solo in Europa e financo dai suoi seriori detrattori e nemici giurati (Churchill e Roosevelt ne sono l'esempio paradigmatico)- è ormai un dato storicamente acquisito e inoppugnabile. Grazie alla più aggiornata ricerca storica e alla crescente e coraggiosa metodologia storiografica revisionista, nonostante il tintinnar di manette, molti tabù e falsità alla base dell'astiosa vulgata, strumentalmente preconfezionata dai vincitori della II guerra mondiale e dal più becero settarismo pseudo-resistenziale, sono rovinosamente caduti.

Nel contesto dei nuovi e fecondi apporti storiografici su questo periodo va sicuramente annoverata la recentissima pubblicazione di Vincenzo Fratta, "Anauê, La tentazione fascista nel Brasile degli anni Trenta", per i tipi delle edizioni Settimo Sigillo. Un libro che, a nostro avviso, ha un duplice pregio: porta all'attenzione del pubblico italiano un argomento pressoché sconosciuto qui da noi; getta le basi, grazie alla meticolosa ricerca storica fatta dall'autore, per ulteriori indagini e approfondimenti riguardanti i rapporti tra il Fascismo italiano e il magmatico mondo politico brasiliano degli anni 1930-1945.

Dopo una sintetica e opportuna introduzione alla storia del Brasile, a partire dalla sua scoperta ufficiale ad opera del portoghese Pedro Cabral il 22 aprile del 1500 (va detto, comunque, che molto controversa resta ancora oggi l'attribuzione della prima esplorazione delle coste brasiliane al fiorentino Amerigo Vespucci), l'autore entra nel vivo dell'argomento. Alla vigilia delle grandi trasformazioni economico-sociali del Novecento, che avrebbero gradatamente determinato il vigoroso sviluppo del Brasile, oggi assurto a grande potenza economica emergente, vivissimo appare il tessuto civile nel quale si vanno innestando i nuovi fermenti politici, culturali e sociali che sfoceranno nella cd. Rivoluzione liberale del 1930. Evento che porterà al potere, come vedremo più avanti, uno fra i più scaltri e spregiudicati uomini politici brasiliani di tutti i tempi: Getúlio Vargas. Nel rapido divenire degli accadimenti alcuni fra i più qualificati intellettuali brasiliani dell'epoca guardano con grande favore al modello italiano, in particolare all'innovativa legislazione sociale introdotta dal Fascismo e al nuovo sistema economico corporativo, dove è prioritario l'interesse collettivo e forte la presenza dello Stato nei settori vitali e strategici dell'economia nazionale.

Il 1930 sarà anche l'anno clou per Plínio Salgado, il fondatore dell'Ação Integralista Brasileira. Il viaggio in Italia e l'incontro con Mussolini saranno, infatti, eventi decisivi per il suo ingresso nell'agone politico brasiliano, che negli anni precedenti aveva visto ribellioni militari, insurrezioni popolari e, nel 1922, la nascita del Partito Comunista Brasiliano.

Lasciando l'Italia per tornare in patria, il futuro Chefe Nacional mette in rilievo le positività italiane in fatto di economia e di organizzazione sociale da lui attentamente indagate e analizzate durante il suo soggiorno: «… Il lavoro è perfettamente organizzato. Il capitale è ammirevolmente ben controllato (…) Torno in Brasile disposto ad organizzare le forze intellettuali sparse, coordinarle, darle una direzione, iniziando un apostolato» e concluderà in tutta franchezza: «Ho studiato molto il Fascismo; questo regime non è esattamente quello del quale abbiamo bisogno, ma ci si avvicina molto».

Due anni dopo, nel febbraio del 1932, istituirà, coadiuvato da un gruppo di giovani intellettuali, un organismo di studi politici che sarà propedeutico alla fondazione del Movimento Integralista. Fiore all'occhiello e motore del Movimento, nel quale confluiranno varie formazioni politiche che abbracceranno il programma integralista, saranno le adesioni di personaggi di grande statura morale e culturale (quanto di meglio potesse esprimere allora la società brasiliana) che ne costituiranno la classe dirigente: a partire dallo stesso fondatore. Di formazione cattolica, apprezzato letterato, fecondo romanziere, giornalista e ideologo a tutto tondo, a Salgado mancheranno però capacità decisionale, fiuto politico e azione. Qualità indispensabili soprattutto nei momenti critici. E tali gravi lacune saranno esiziali per il Movimento e ne causeranno la totale rovina.

Gustavo Barroso, capo della Milizia e numero due del Movimento, aderirà allo stesso dopo aver ascoltato le idee di Salgado durante una conferenza all'inizio del 1933. Scrittore affermato, fondatore del Museo Storico Nazionale (da annoverare ancora oggi fra i più importanti musei del Brasile) e Presidente dell'Accademia Brasiliana di Lettere negli anni 1931, 1932 e 1950, Barroso si caratterizzerà ideologicamente per la sua posizione antigiudaica.

Una scelta di natura politica, non razziale come quella nazionalsocialista. È lui stesso a precisarlo «… non è, come molta gente pensa, e come molti ebrei si sforzano di far credere, una questione religiosa o razziale. È una questione politica. Nessuno combatte l'ebreo perché è di razza semita o perché segue la religione di Mosè. Ma perché egli agisce politicamente all'interno delle nazioni, secondo un piano prestabilito e portato avanti nel tempo».

Tale posizione all'interno del movimento resterà però isolata e sarà lo stesso Chefe Nacional, che prendendo le distanze dalla «guerra che si è fatta a questa razza in Germania» puntualizzerà che «Il problema del mondo è etico e non etnico». Allo stesso modo anche Miguel Reale, nelle sue memorie, stempererà l'antigiudaismo di Barroso, precisando che tale posizione era dettata dalla lotta al comunismo che «egli inseriva nel quadro di un combattimento universale contro la cospirazione giudaica».

Reale, per l'appunto: il terzo grande protagonista dell'Ação Integralista Brasileira e il teorico dello Stato integrale. Di origine italiana (il padre era emigrato dalla Puglia in Brasile), laureatosi molto giovane in giurisprudenza, diverrà un filosofo del diritto di fama internazionale e un insigne giurista. Il suo percorso politico, professionale e umano è ben tratteggiato dal Fratta nell'appendice al volume. Ciò che riteniamo possa particolarmente colpire il lettore è la valenza culturale e professionale del personaggio, che ricoprirà nel dopoguerra prestigiosi incarichi nel governo nazionale e in organismi internazionali, e si distinguerà nello studio del diritto (suoi testi saranno tradotti in italiano e introdotti nelle nostre università). Nella sua famosa pubblicazione "Noi e i fascisti d'Europa", Reale illustra l'essenza dello Stato integralista, con particolare attenzione alla storia del diritto, rimarcando le differenze tra la Liberal-Democrazia e la Democrazia Corporativa. Nel pragmatismo mussoliniano coglie la sintesi socialismo-nazionalismo, mentre, pur criticando la politica razziale del Nazionalsocialismo, ne addita i grandi successi in campo economico: «Dall'Hitlerismo possiamo trarre alcune lezioni in materia di organizzazione politica finanziaria …», anticipando i giudizi positivi che, nonostante la demonizzazione della Germania nazionalsocialista, hanno dato personaggi politici americani di tutto rilievo, come J. K. Galbraith, o storici affermati, tra cui persino l'ebreo Richard Grunberger.

Evan Burr Bukey, docente all'Università americana dell'Arkansas, nel suo libro "Hitler's Austria" pubblicato nel 2000, definì la miracolosa ripresa economica austriaca e l'abbattimento del tasso di disoccupazione, dopo l'Anschluss hitleriano del 1938, «one of the most remarkable economic achievements in modern history» (riguardo all'argomento testé citato cfr. l'eccellente saggio di Mark Weber, "How Hitler tackled unemployment and revived Germany's economy", pubblicato dall'Institute for Historical Review e reperibile in http://www.ihr.org/other/economyhitler2011.html. Traduzione di Gian Franco Spotti, in http://www.rinascita.eu/?action=news&id=13667).

Almeno altre due figure, fra la dirigenza eterogenea del Movimento Integralista, sono particolarmente messe in rilievo dal Fratta per originalità e attivismo politico. La prima è quella di Olbiano de Melo, fondatore del "Partido Nacional Sindicalista", studioso del sindacalismo e del corporativismo fascista, destinato a diventare la terza anima del Movimento, quella attenta alle dinamiche sindacali e sociali. Tra i suoi sodali per sintonia di ideali, oltre a Reale e ad altri personaggi di spicco dell'Ação Integralista, troviamo la figura singolare di Dom Helder Pessoa Câmara, un prete che abbraccia la politica a mo' d'apostolato, a dispetto dei richiami e delle censure della curia brasiliana. Resterà, come osserva l'autore del libro in esame, «un prete in camicia verde fino al termine dell'esperienza integralista con la messa fuorilegge del Movimento del 1937 e la fallita insurrezione del 1938».

Contraddittorio e ambiguo, a nostro giudizio, rispetto alle esperienze politiche precedenti sarà il suo percorso "ideologico" post-bellico all'interno della Chiesa. Divenuto dapprima assistente generale dell'Azione Cattolica Brasiliana, poi, nel 1950 ideatore della Conferenza Episcopale Brasiliana, lo troviamo nel 1952 come vescovo ausiliario di Rio De Janeiro, fino a capeggiare la corrente modernista del Concilio Vaticano II e ad impegnarsi per la diffusione della cosiddetta "Teologia della Liberazione". Un'inversione ad "U", probabilmente dettata dal suo sincero impegno, sin dal tempo della sua militanza nell'Integralismo, contro la povertà del suo popolo, che lo porterà però a condividere le idee radicaleggianti, pseudo ecumeniche e mistificatorie alla base del cosiddetto "rinnovamento" della Chiesa, contro la plurisecolare tradizione cattolica. I guasti post-conciliari di tali lobby di potere che dall'ora governano la Chiesa sono oggi ben visibili a tutti i livelli (teologico, liturgico, politico).

Strutturato gerarchicamente, radicalmente anticomunista, nemico del capitalismo finanziario internazionale e legato ai valori tradizionali della storia patria, il Movimento di Salgado si ispirerà agli insegnamenti della Dottrina Sociale della Chiesa e al Fascismo italiano, oltre che per l'organizzazione economica e dello Stato (sovranità politica, economica e culturale), anche per alcune manifestazioni esteriori riguardanti ad esempio simboli e rituali (camicia verde al posto della nera, saluto romano, ecc.), nonché per l'organizzazione della gioventù, per la sua elevazione fisica e culturale, per l'alfabetizzazione degli adulti, per l'assistenza alle famiglie, per il coinvolgimento delle donne nella vita politica attiva e per l'intrinseca carica rivoluzionaria volta al rinnovamento della società brasiliana.

Una curiosità del cerimoniale è il saluto tra militanti proferito con un sonoro «Anauê», parola indigena che significa «tu sei mio fratello», «un mio uguale», «un mio camerata».

Anche se schierato a destra, il Movimento di Salgado, all'apice del successo, si distingue per le forti connotazioni sociali del suo programma politico (l'assemblea costitutiva del Movimento annoverò studenti, operai e rappresentanti della classe media), ma anche per la sua onestà intellettuale. Una destra, insomma, molto distante, ad esempio, da quella conservatrice, reazionaria, golpista e filo-atlantica dei regimi di Salazar in Portogallo e di Franco in Spagna, regimi ai quali guarderà invece con grande nostalgia e ammirazione -guarda caso- proprio la destra nostrana neofascista del MSI e satelliti vari.

Un capitolo tutto da approfondire, soprattutto riguardo all'effettiva cognizione della situazione politica brasiliana da parte dello stesso Mussolini, è quello sui rapporti tra l'Italia fascista e l'Integralismo brasiliano, che annoverò tra le sue fila molti italiani appartenuti alla folta comunità di immigrati. Rapporti curati dallo stesso ministro Ciano, tramite suoi fiduciari, con contributi economici, anche se modesti, che l'Italia concesse nel momento di maggior successo del Movimento. Le cose muteranno quando il vero Deus ex machina della politica brasiliana, quel Getúlio Vargas a cui abbiamo già accennato, riuscirà con grande abilità a mettere fuori gioco tutti i potenziali rivali politici e con il colpo di stato del novembre 1937 consoliderà definitivamente il suo potere e annuncerà la nascita dello Estado Novo, che governerà ininterrottamente fino al 1945.

Dopo lo scioglimento del partito comunista e l'arresto dei suoi quadri e militanti, stessa sorte subiranno nel 1938 anche il Movimento integralista e la sua classe dirigente (l'immobilismo e l'indecisione del suo Chefe saranno determinanti per la sua sconfitta politica). L'Italia, a sua volta, compirà un doppio errore: abbandonato al suo destino Salgado e il suo Movimento, si schiererà con la "rivoluzione" di Vargas, credendo di aver trovato un alleato fedele e un sincero amico del Regime. Ma nell'agosto del 1942, Vargas passerà con gli Alleati e dichiarerà guerra alle potenze dell'Asse, inviando in Italia addirittura un contingente brasiliano d'invasione, armato ed equipaggiato dagli statunitensi.

Grande interesse geopolitico hanno, infine, gli avvenimenti post-bellici, che l'autore ha ben delineato nel capitolo conclusivo del volume. Così lo stesso Vargas, col suo tragico destino (si suiciderà nel 1954 prima che fosse deposto per la seconda volta da un colpo di mano ispirato dagli USA, intolleranti dell'indipendenza economica del Brasile caparbiamente inseguita dal fondatore dell'Estado Novo), esce di scena dal dramma della storia brasiliana come un personaggio shakespeariano, mentre molti dei protagonisti dell'Integralismo si ricicleranno nella politica o si dedicheranno alle loro carriere professionali.

L'accurata nota bibliografica, le note a piè di pagina e l'apprezzabile inserimento della bibliografia integralista, con particolare riferimento alle opere dei principali protagonisti del Movimento (Plínio Salgado, Gustavo Barroso, Miguel Reale, Olbiano de Melo), fanno di questo volumetto un manuale completo, utile sia agli studiosi che ai cultori e agli appassionati di storia contemporanea.

 

Giuseppe Biamonte       

 

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