Italia - Repubblica - Socializzazione

.

da  

 

"Furbi, anzi furbissimi"

 

Vincenzo Vinciguerra    www.marilenagrill.org
 
Opera, 1 maggio 2010

 

Dopo quasi 41 anni dalla strage di piazza Fontana, a Milano, il 12 dicembre 1969, il muro eretto dal regime inizia a sgretolarsi non per merito della magistratura ma per il coraggio, la tenacia e la costanza di pochi.
Nel caso specifico, si riferiamo a tre giornalisti ed un editore: Andrea Sceresini, Nicola Palma, Maria Elena Scandaliato e Aliberti che, insieme, hanno prodotto un libro, "Piazza Fontana. Noi sapevamo", che riporta le risposte del generale Gianadelio Maletti, ex responsabile dell'ufficio "D" (sicurezza interna) del SID dal 5 giugno 1971 al 30 ottobre 1975.
Gianadelio Maletti dice poco rispetto a quello di cui è a conoscenza, ma è quanto basta ad illuminare la scena di un crimine contro il popolo italiano perpetrato dalla classe politica e dai vertici militari.
Sulla strage di piazza Fontana, Maletti sa tutto, anche se nel servizio segreto militare è entrato un anno e mezzo dopo i fatti, assumendosi l'onere di "coprire" la verità, non certo per scelta personale, ma in ossequio agli ordini ricevuti.
Sa da dove veniva l'esplosivo, chi lo ha piazzato all'interno della Banca dell'Agricoltura, in quanti erano e come erano disposti, insomma conosce la verità, come i suoi predecessori nell'incarico di responsabile del controspionaggio, i ministri della Difesa, degli Interni, i presidenti del Consiglio, i capi di Stato maggiore della Difesa e dell'Esercito.
Incalzato dalle domande pertinenti ed intelligenti dei tre giornalisti, Maletti non si limita a confermare le responsabilità degli esecutori materiali alcuni dei quali identificati per nome e cognome, ma pone l'accento sulle responsabilità dei servizi segreti americani, dell'allora presidente della Repubblica Giuseppe Saragat, delle formazioni di destra che erano - e lo sono sempre state - parte integrante di quell'apparato politico-militare che, fin dai primi anni del dopoguerra, era stato costituito per contrastare l'avanzata elettorale del Partito comunista italiano, non per scongiurare una invasione sovietica che i patti di Jalta rendevano impossibile.
Delinea, Maletti, uno scenario nel quale appare preponderante il ruolo del ministero degli Interni, in particolare di quella divisione Affari Riservati che è stata promotrice di tanto disordine in questo Paese in cui la stabilità politica valeva la vita di tanti italiani che sono stati prima uccisi e poi, da morti, utilizzati per rivendicare alla classe politica il "merito" di aver sconfitto il "terrorismo nero" e quello "rosso".
Invece, c'erano loro, i politici democristiani, socialdemocratici, liberali, missini, parte dei socialisti dietro il "terrorismo nero" e, in parte, dietro quello "rosso".
Già Paolo Emilio Taviani, in un libro pubblicato dopo la sua morte, aveva dimostrato di conoscere tutta la verità, chiamando implicitamente in causa i "servizi paralleli" del ministero degli Interni, di quell'organizzazione segreta, che riuniva tanti cosiddetti "neo¬fascisti" fra i quali Taviani indica esplicitamente Mario Tuti.
Ora, Gianadelio Maletti conferma che a sapere tutto c'era anche Arnaldo Forlani, con il quale l'ammiraglio Mario Casardi, direttore del SID, si reca a parlare della "crisi" che attraversa, nel 1975 il confidente del servizio, Gianni Casalini, di Padova, e gli "prospetta le ripercussioni" nel caso che 1'ordinovista decida di parlare.
Appare lapalissiano che se il direttore del SID si reca a conferire con Forlani è perchè quest'ultimo è a conoscenza di ogni cosa. Del resto, Arnaldo Forlani era il segretario nazionale della Democrazia cristiana il 12 dicembre 1969. È lui a telefonare al segretario provinciale della DC milanese, nell'immediatezza della strage, per dirgli «sentiamoci ogni mezz'ora» palesando il timore evidente di quello che avrebbe potuto accadere.
È sempre a Forlani che si rivolge Giorgio Almirante, quando informato da Pino Rauti, che la responsabilità dell'attentato di Peteano di Sagrado ricadeva sul sottoscritto e che ad esso aveva, preso parte Carlo Cicuttini, segretario della sezione del MSI di Manzano del Friuli, ritenendo quell'operazione un provocazione contro il suo partito e la destra, sente il bisogno di confidarsi, in segreto, con il potente democristiano.
Non sappiamo esattamente cosa Giorgio Almirante raccontò ad Arnaldo Forlani nel mese di ottobre del 1972, ma possiamo parzialmente ricavarlo dal discorso che Forlani fece a La Spezia il 5 novembre 1972, ancora oggi oggetto di interrogativi senza risposta.
La conferma data dal generale Gianadelio Maletti ad Andrea Sceresini ed ai suoi colleghi che lo intervistavano, dell'incontro fra l'ammiraglio Mario Casardi e Arnaldo Forlani avente per oggetto le possibili conseguenze, evidentemente sul piano giudiziario, del "crollo" di Gianni Casalini rende l'idea del livello morale dei politici democristiani, dei loro colleghi degli altri e dei vertici degli apparati militari e di sicurezza, come di tanti magistrati che hanno concorso, consapevolmente, ad occultare la verità che pure avevano scritta negli atti in loro possesso.
Il libro di Sceresini, Palma e Scandaliato riporta con forza, in primo piano, la questione morale che non è quella di un classe politica corrotta e corrompibile bensì quella della sua responsabilità nella morte di tanti cittadini italiani, un crimine che non ha ancora trovato riconoscimento e, quindi, sanzione.
Anzi, fra risarcimenti finanziari, medaglie d'oro, celebrazioni, commemorazioni, monumenti, gli assassini continuano a sfruttare a loro vantaggio il sangue che essi stessi hanno fatto versare pur di mantenersi al potere e di non modificare lo stato di dipendenza dagli Stati uniti.
Parecchi anni fa, ad una giornalista che gli chiedeva un parere sui politici italiani, l'ex responsabile dei servizi segreti francesi, Alexander de Marenches, rispondeva in maniera lapidaria e sprezzante:
«Furbi, anzi furbissimi».
Il libro di Sceresini, Palma e Scandaliato che, con intelligenza, hanno saputo intervistare il generale Gianadelio Maletti ricavandone risposte che rappresentano il più rigoroso atto di accusa nei confronti della classe politica italiana, può -e deve- essere posto alla base di una rilettura, non giudiziaria ma storica, politica ed etica del dopoguerra italiano che non appartiene al passato perchè i protagonisti di quel massacro ed i loro complici sono ancora ai vertici della politica italiana, continuando a ritenersi, oggi più che mai «furbi, anzi furbissimi».
L'arma della verità può incrinare questa loro certezza ed essere posta, alla base della loro rovina che, sola, può segnare l'inizio di un processo di rinascita dell'Italia e del suo popolo.


Vincenzo Vinciguerra

Opera 1 maggio 2010