da "Rinascita"
(Sabato 5 e Domenica 6 settembre 2009)
L'atto politico primordiale
consiste nella lotta contro le menzogne del Potere.
Il Falso percorre tutta la storia nazionale, supportato dalla funzione
soporifera della Religione di Stato
Geopolitica, mafia e
massoneria
Giorgio Vitali
Ho letto con molta attenzione gli interventi
pubblicati su "Rinascita", tra i quali anche quelli di Rutilio Sermonti,
dedicati alla sentenza relativa all'omicidio Sandri.
In questi interventi, il motivo del contendere è scivolato fra un'accusa
generica allo Stato (o ritenuto tale) che ha tutelato per complicità un suo
"servitore" che ha sbagliato, ed una più incisiva denuncia dell'assenza dello
Stato, che assume degli squilibrati senza alcuna garanzia per i cittadini.
E tuttavia, alla luce della documentazione che è possibile ottenere leggendo
quanto finora pubblicato su giornali, riviste, media e libri destinati al grande
pubblico, è possibile, ed anzi doveroso, formulare un'altra ipotesi molto più
pertinente, che il giannizzero in questione abbia sparato "nel mucchio" in
esecuzione di "ordini superiori". Casi relativamente recenti, come quelli di
Esposti e di Giaquinto, inducono a più serie riflessioni sulla "reale"
situazione in cui si trova il nostro paese. Infatti, senza un occhio attento
alla vera matrice degli eventi non si può svolgere un'azione politica
consistente e tanto varrebbe accodarsi al coro gaudente di intrallazzatori,
gossipisti, sostenitori dell'orgoglio omosex, con codazzo di pedofili, sadici e
quant'altro. Né sembri questa nostra supposizione il frutto di un complottismo
ad oltranza. Al contrario, è proprio il non voler vedere i retroscena sempre
presenti nella scenografia italiana, almeno dal processo unitario in poi, che
dimostra un atteggiamento succubo di pressioni psico-politiche ben indirizzate.
Non a caso un giornalista di "Avvenire", Domenico Delle Foglie, ha scritto il 23
luglio scorso: «Di una cosa purtroppo possiamo stare certi: nel 2011 l'Italia
celebrerà i suoi 150 anni dell'unità e dovrà prendere atto che la sua più grande
questione nazionale, ovvero il divario Nord-Sud sarà ancora lì a denunciare il
fallimento politico-sociale-culturale d'intere generazioni».
È chiaro che una frase di questo taglio, oltre a segnare una precisa presa di
posizione e denunciare un eterno rapporto di sudditanza nord-sud che riguarda
tutto il mondo, (esempi inequivocabili: Nord America e Sud America, Stati
Unionisti e Stati Confederati, Nord Europa ed Europa del Sud), sta anche a
sottintendere un secolo e mezzo di abusi e malversazioni, violenze, stragi
genocidi tenuti nascosti finora ad opera di coloro che considerarono
l'unificazione come una campagna di conquista. Infatti, contrariamente a quanto
avviene nel resto del mondo, l'Italia è il paese che non ha ancora reso pubblici
i documenti relativi alle campagne contro i cosiddetti "briganti".
Non meravigliamoci pertanto se esiste uno strettissimo rapporto di interesse
prevalentemente geopolitico fra Mafia (o Massomafia) siculo-americana e
strategie statunitensi mediterranee.
Non a caso, proprio in un momento come l'attuale, nel quale si stanno
trasformando sotto i nostri occhi ed in conseguenza dei modificati rapporti di
forza a livello globale, gli assetti nel Mediterraneo, emergono notizie di varia
provenienza tendenti a modificare radicalmente le nozioni che fino ad oggi erano
state impartite agli italiani, circa gli ultimi ottant'anni di storia patria ed
il suo intreccio con quella dei nostri partner mediterranei ed atlantici. Non è
qui il momento di riscrivere la storia ma è tuttavia necessario fare qualche
breve cenno agli avvenimenti più interessanti.
Un noto filosofo americano del nostro tempo ha dichiarato: «Non c'è una ragione
a priori per supporre che la verità, una volta scoperta, risulti necessariamente
interessante». Dichiarazione senz'altro condivisibile proprio perché il tipo di
verità che andiamo scoprendo di questi tempi, grazie anche alla pubblicazione
(negli USA) di documenti finora secretati, è molto utile ai soli che potrebbero
farne un uso politico di tutto rilievo, cioè coloro che finora non hanno mai
accettato le imposizioni ideologiche atlantiche. Questi però dovrebbero usare
una maggiore intensità di applicazione sulle notizie che con maggiore frequenza
vanno apparendo, di pari passo con quelle che cercano di edulcorare il
fallimento della politica globalista ed unipolare degli USA.
Ecco quindi alcune prese di posizione di Cossiga, abituato ad anticipare i
tempi, sia pure di solo qualche anno, la riabilitazione di Craxi e della sua
politica mediterranea e di tutoraggio, presso l'ONU, dei paesi più poveri del
terzo mondo, ecco apparire, sui Media più allineati, qualche ipotesi alternativa
sulla stagione degli attentati e degli "anni di piombo", rispetto a quella
diffusa fino ad oggi dai Media. (Il grande Stendhal, in un'opera su Napoleone,
scriveva che, se la stampa non fosse stata inventata sarebbe stato bene non
inventarla).
Ecco apparire in edicola ed in libreria una sequenza di libri scritti da
giornalisti de "L'Europeo" sulla cronaca nera degli ultimi sessantanni italiani,
ecco apparire un libro come "Lupara Nera" di Casarrubea e Cereghino, edito da
Bompiani, che spiazza tutti coloro che finora hanno creduto alle favole
resistenziali nonché proprio quelli che su tali invenzioni hanno basato le
proprie fortune, per la verità più esistenziali che politiche, perché la
politica continua a rimanere ben altra cosa. E solo in pochi sono in condizione
di attingere alla fonte dell'«atto politico».
Certamente bisogna anche saper mettere i fatti e le notizie entro un casellario
mentale, o virtuale, per poter estrarre al momento opportuno la carta giusta da
giocare per arrivare alla comprensione dell'evento.
Scriveva il grande scienziato Henry Poincaré: «La scienza si fa con i fatti come
una casa si fa con i mattoni, ma l’accumulazione dei fatti non è scienza più di
quanto un mucchio di mattoni non sia una casa».
Di recente, la pubblicazione di un libro italiano, che si discosta in maniera
piuttosto significativa da quanto sinora scritto sull'argomento, ha sconvolto le
opinioni dei pochi che finora l'hanno letto. Si tratta del libro di Piero
Baroni, "Otto Settembre, il tradimento", edito da Greco & Greco.
Questo testo fa seguito ad un altro di grande importanza, almeno ai nostri
occhi, scritto da Matteo Pizzigallo, per i torchi di FrancoAngeli, dal titolo
"La Diplomazia italiana ed i paesi arabi dell'Oriente Mediterraneo", 1946-1952.
Secondo il libro di Baroni, lo sfondo della guerra d'Italia 1943-45 è stata la
lotta fra USA intenti a togliere al Regno Unito i suoi vecchi terreni di caccia
e quest'ultimo teso a difenderli ad oltranza.
Si tratta di una tesi che siamo prontissimi ad accettare essendo anche per noi
l'ultimo conflitto un aspetto della secolare lotta a sfondo geopolitico fra le
due potenze atlantiche, iniziata con la guerra d'indipendenza statunitense e
proseguita con la grande conflagrazione chiamata guerra di secessione.
I fatti d'Italia dal 1945 ad oggi sono palesemente ricollegabili a quella che a
torto è stata definita guerra civile italiana. Una guerra civile si ha,
abitualmente, quando si assiste a scontri di non lieve potenza tra fazioni
palesemente rivali. Nell'Italia del '43-'45 invece, abbiamo registrato solo
alcuni attentati, compiuti da professionisti legati al partito togliattiano,
reduci dalla guerra civile spagnola.
A questi attentati, operati contro esponenti socialrepubblicani che rischiavano
la morte con estrema superficialità (un uomo politico ha il dovere di proteggere
la propria vita) per dimostrare il loro sprezzo del pericolo, si rispondeva
abitualmente con rappresaglie di lieve intensità, data anche l'insignificanza
del fenomeno ai fini della prosecuzione del conflitto. Alcune eccezioni sono
costituite da Marzabotto e dalle Ardeatine. Ma proprio le Ardeatine dimostrano
che l'attentato di via Rasella non ha smosso più di tanto l'atteggiamento dei
romani. Ben altra situazione si verificò all'epoca in Ucraina, quando Kruscev
diede il via alla guerriglia antitedesca per combattere l'atteggiamento
antisovietico della popolazione (quello su cui fanno ancora leva gli USA) o al
giorno d'oggi in Iraq ed in Afghanistan, ove gli attentati si susseguono
giornalmente contro gli invasori ed i loro accoliti.
A questo punto è necessario stabilire con chiarezza le terminologie utilizzabili
per definire i conflitti in corso. I combattenti per l'indipendenza dei paesi
islamici presi di mira ed invasi per le loro ricchezze in materie prime non
possono essere definiti terroristi. Sono combattenti di una guerra asimmetrica.
Terroristi sono coloro che invadono la loro terra usando metodi terroristici,
come il bombardamento di civili con aerei automi senza pilota. I combattenti
islamici che difendono i loro costumi unitamente all'indipendenza del territorio
però non possono essere definiti combattenti di una guerra rivoluzionaria.
Combattenti di una guerra rivoluzionaria potevano essere le popolazioni che nel
dopoguerra si ribellavano, anche in nome di un marxismo reso molto nazionalista,
contro i residui colonialisti. Tale definizione possiamo anche accreditare a
quei combattenti socialrepubblicani che lottavano per un nuovo assetto (nuove
rapporti di forze) a livello nazionale ed internazionale.
Tutto ciò ci permette di aggiungere che a fronte della sorda lotta USA-GB, di
cui cadde vittima anche Mussolini, dobbiamo annoverare quella fra gli uomini di
Himmler e quelli di Kaltenbrunner, che rispecchiava nel nostro paese le due
linee fondamentali della geopolitica tedesca, in atto ancora oggi. Senza nulla
togliere al disprezzo per i traditori della Marina e gli otto-settembrini, una
ragione del loro comportamento o della cattiva prova militare del nostro paese
potrebbe ravvisarsi proprio nella presa d'atto di questi conflitti. «Una guerra
sarà perduta per aver ostinatamente rifiutato di combatterla», scrive Franco
Bandini ("Tecnica della sconfitta", Longanesi).
Fra queste forze in gioco non faceva di certo difetto la polizia segreta
italiana, quella, per intenderci, di Bocchini e di Senise, senza dimenticare
l'OVRA, peraltro mai state fasciste, come ampiamente documentato nei libri
chiave di Eugenio Dollman, "Roma Nazista", ed Longanesi e di E. Moellhausen, "La
carta perdente", ed Sestante, delle quali sappiamo tuttora ben poco, ma potremmo
seguirne le tracce anche negli avvenimenti contemporanei, senza dimenticare
alcuni indizi, che qui possiamo esaminare rapidamente.
Intanto, una storia, fra le moltissime pubblicate su quel periodo, dedicata alla
Polizia Repubblicana, non è stata ancora esaurientemente scritta e poi c'è il
fatto che, dopo le stragi indiscriminate d'aprile-maggio, tra i non pochi
condannati a morte dalle corti d'assise post belliche, molti erano membri di
questure e prefetture.
L'impressione che nel nostro paese ben pochi avvenimenti passino inosservati
stride non poco con la constatazione di come siano stati lasciati morire, tanto
per fare qualche esempio, personaggi del calibro di Moro, Dalla Chiesa, Falcone,
Borsellino, Tarantelli e Biagi. Tant'è vero che proprio su alcune di queste
morti si stanno riaprendo indagini. Un osservatore non superficiale dovrebbe
chiedersi il perché di così tanti facili bersagli.
Anche perché ogni atto terroristico è un messaggio scritto col sangue, e
strettamente legato alle caratteristiche simboliche dell'obiettivo colpito.
L'Italia è il paese europeo che maggiormente ha dovuto fare i conti con una
violenza giammai domata e costituente tutte le varianti della violenza armata
novecentesca. Dal terrorismo irredentista altoatesino degli anni sessanta, al
terrorismo internazionale e transnazionale degli anni settanta ed ottanta, al
terrorismo politico (di destra e sinistra) degli anni sessanta-duemila, fino
alle sofisticate forme di violenza politica e di ribellismo anarchico degli anni
novanta. Senza dimenticare che gli anni di piombo sono costati 460 trucidati,
4.500 feriti, 5000 attentati (e la chiamano... pace!).
Il nostro paese ha subito per secoli un'emarginazione storica provocata dagli
stessi italiani.
Gli errori della classe dirigente della Repubblica di Venezia, che per aver
rifiutato la sfida atlantica si è ridotta a scontrarsi col sultano per difendere
i possedimenti balcanici e procurarsi un numero sufficiente di schiavi per le
galere, mentre gli altri costruivano vascelli a vela, e la mancata
collaborazione fra le repubbliche marinare che, ricche com'erano, avrebbero
potuto costituire il primo solido embrione di uno stato nazionale realmente
unitario, perché solidale su un livello di parità, (e pensare che, more solito,
l'inventore delle corazzate veloci monocalibre alle quali si sono ispirate fino
ad oggi le marine di tutto il mondo fu il nostro Cuniberti nel 1903!) furono un
peccato originale difficilmente perdonabile per un paese che aveva dato al mondo
la scoperta dell'Oceano Atlantico, con uomini come Toscanelli, Colombo e
Vespucci.
Fortunatamente, il caso ha riportato l'Italia nel centro della geopolitica
mondiale, almeno per quanto riguarda gli interessi delle potenze marittime.
L'apertura del Canale di Suez nel 1869, seguita a breve scadenza da quella del
Canale di Panama, ci ha ridato la posizione sul meridiano economico: queste
portentose opere del genio umano hanno ribaltato di novanta gradi l'asse
commerciale del mondo che correva in Atlantico da un polo all'altro, e lo ha
sdraiato lungo i paralleli secondo la direttrice
Panama-Gibilterra-Suez-Singapore-Formosa-Panama.
Questa è la ragione per la quale la Sicilia ha iniziato a costituire uno dei
semafori fondamentali della grande arteria, centro d'interesse dell'Inghilterra
durante il nostro risorgimento nazionale, luogo d'arrivo dei Mille garibaldini e
di sbarco degli Alleati nel 1943, ed infine centro d'intrecci geopolitici per il
controllo dell'Egitto e delle vie dell'Africa, portaerei mediterranea messa
sotto la giurisdizione della Massomafia siculo-americana.
È evidente, pertanto, che qualsiasi avvenimento nazionale più o meno traumatico,
ivi compresa la costruzione del famoso ponte sullo stretto, deve essere visto
anche attraverso il ruolo che in esso è destinato a svolgervi il sud d'Italia,
mai come in questo momento espressione geografica.
In questa situazione d'obiettiva difficoltà e conflittualità permanente,
possiamo affermare con orgoglio che nel primo cinquantennio del novecento, prima
dell'invasione americana, è nata in Italia una cultura solare, costituita da
scrittori, artisti, poeti, saggisti, che sarebbe facile elencare, ma capace di
dare conforto a chiunque le si avvicini.
Di contro ad essa, abbiamo nel mondo una cultura della decadenza che ci proviene
tanto dall'Est europeo, asservito al bolscevismo ed alle sue angosce, quanto
dall'ovest americano, con i suoi conati di crisi esistenziale unita a propositi
fondamentalisti di dominio mondiale. Di questa forma mentis sono i libri scritti
di recente, per lo più non ancora tradotti in italiano, forse a causa della loro
esplicita o mal nascosta brutalità.
Questi sono: Gary Alien, "None dare cali it conspiracy"; Robert Kagan, "The
return of History and the end of dreams"; Robert Conquest, "Il secolo delle idee
assassine", Oscar Storia; Al Gore, "The assault on Reason", New York Times
Bestseller.
Giorgio Vitali
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