postato su internet, 28 maggio 2011
Il Mullah morto sei volte
Massimo Fini
Lunedì
tutte le televisioni del mondo, dalla CNN alla Tv di Stato iraniana alle nostre,
hanno dato come notizia di testa la morte del Mullah Omar avvenuta in uno
scontro coi servizi segreti pakistani.
Poichè ho pubblicato un mese fa un libro sul Mullah
delle televisioni e delle radio (private, io non ho accesso alla TV pubblica,
sono un cittadino di serie B) mi hanno chiesto un parere. Mi sono messo a
ridere. È esattamente la sesta volta che si dà il Mullah Omar per morto,
catturato, arrestato, ucciso, accoppato, ferito, in fin di vita. Anche la
notizia di lunedì era una bufala. Non era necessario essere degli esperti per
capirlo.
(...)
Se fosse morto sarebbe stato un duro colpo. Per l'occidente. E per gli Stati
Uniti in particolare. Nell'insurrezione afgana contro gli occupanti, il nucleo
dei Talebani 'duri e puri' delle origini è ridotto all'osso. Molti sono morti in
battaglia, alcuni sono stati fatti prigionieri. Alla guerriglia si sono aggiunti
(oltre ai 'giovani leoni', ragazzi dai venti ai trent'anni che, a differenza di
Omar e dei suoi compagni della prima ora, non hanno fatto l'esperienza della
jihad contro i sovietici), i gruppi più svariati che più che un obbiettivo
ideologico ne hanno uno molto pratico: cacciare lo straniero. Solo una
personalità fortissima col prestigio di cui gode Omar può tenere insieme questa
variegata galassia. Ma questo vuol dire anche che il Mullah Omar è l'unico
interlocutore possibile per quella 'exit strategy' cui gli Stati Uniti pensano e
lavorano da un paio di anni senza cavare un ragno dal buco proprio perchè,
finora, si sono rifiutati di trattare col capo dei Talebani su cui hanno messo
una taglia di 25 milioni di dollari senza trovare nessuno che fosse disposto a
tradirlo. Ma se Omar non ci fosse, se morisse, qualsiasi accordo non potrebbe
essere che parziale, con frammenti della guerriglia, mentre gli altri
continuerebbero a combattere e si sarebbe punto e a capo.
Ma anche il Mullah Omar, oggi, ha interesse a trattare. Si è ripreso il 75 per
cento del territorio ma più in là non può andare.
Le grandi città, Kabul, Herat, Mazar-i Sharif,
restano fuori dalla portata della guerriglia per l'enorme disparità degli
armamenti. Tanto è vero che quest'anno i Talebani hanno rinunciato
alla consueta 'offensiva di primavera' limitandosi a consolidare le proprie
posizioni e a liberare, con un colpo magistrale, 500 loro militanti rinchiusi
nella prigione di Kandahar.
La situazione è quindi di stallo. Per gli uni e per gli altri. Ma non può andare
avanti all'infinito. Gli afgani hanno il tempo dalla loro, come sempre,
gli Stati Uniti no, perchè per quella «guerra che non si può vincere» spendono,
in un momento di crisi economica, 40 miliardi di dollari l'anno e immobilizzano
130 mila soldati (più i 40 mila degli alleati) mentre i bubboni del terrorismo,
con tutta evidenza, sono altrove.
Trattare con il Mullah Omar? È possibile. Purchè ci si convinca che non è, e non
è mai stato, un terrorista, che non è un criminale, nè un pazzo, nè un cretino
e, a parte certa sua cocciutaggine, un uomo con cui si può ragionare. Ma se si
continua a considerarlo un sodale di Bin Laden, quale non è mai stato tanto che
quando nel 1998 il presidente Clinton gli propose di ucciderlo era d'accordo, se
lo si bolla, come ha fatto la disinformatissima Tv di Stato Italiana, come
'genero di Bin Laden' (che ne abbia sposato una figlia è una, non innocente,
fandonia occidentale), allora non si va da nessuna parte. E saranno gli afgani
col tempo, con pazienza, come han fatto con gli inglesi nell'800 e con i
sovietici trent'anni fa, a cacciare anche gli arroganti occidentali, senza
nessuna 'exit strategy' ma con una fuga a rotta di collo tipo Vietnam.
Da
Bufale sul Mullah Omar, di
Massimo Fini.
[grassetto nostro]
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