Il clone
Libero Tronocozzo (6/9/2015)
“Quello che sto per
chiederle le apparirà forse stravagante” disse il sessantunenne Mortara
guardando negli occhi il suo interlocutore “ma desidero che mi ascolti
attentamente e mi dica se ritiene di essere in grado di soddisfare le
mie richieste. Naturalmente lei sarà compensato più che generosamente”
aggiunse, cogliendo un impercettibile lampo di cupidigia nelle pupille
cerulee del Professor Falsonesi, indiscusso luminare internazionale di
ingegneria genetica.
“Lei è a conoscenza
del fatto che io sono uno degli uomini più ricchi della nazione;
controllo una buona fetta del mercato energetico, alcune tra le più
autorevoli agenzie di stampa sono di mia proprietà, possiedo due
televisioni ed una banca, ho costruito intere città, diversi influenti
uomini politici eseguono le direttive dei miei emissari; sono, come si
dice, un uomo arrivato e potente, in condizione di soddisfare qualsiasi
capriccio; nella mia lunga vita ho potuto togliermi tutte le
soddisfazioni immaginabili: lusso, viaggi, macchine, belle donne,
frequentazione di ambienti esclusivi interdetti ai comuni mortali. Il
mio unico rimpianto è di non avere un erede” disse, osservando la
ragnatela di vene bluastre sul dorso delle sue mani rugose. “Oggi,
giunto a quest’età” continuò dopo una breve pausa ed un penoso sorriso
“sento il bisogno di avere vicino qualcuno con cui confidarmi; una
persona amica con la quale condividere il tempo che mi resta e che,
soprattutto, sia disposta a sopportare la mia compagnia non per
interesse, ma perché la trova piacevole; allo stesso identico modo in
cui io troverei piacevole la sua. Sta cominciando a capire?”
“Forse” disse il
Professor Falsonesi tossicchiando discretamente nella mano chiusa a
pugno; “Ma vada avanti” aggiunse dopo aver cavato da una tasca un enorme
fazzoletto a pois e dedicandosi, con quello, alla laboriosa pulizia dei
suoi occhiali da miope, alitandovi prima sopra ed osservando
sistematicamente il risultato ottenuto ponendoli controluce.
“Io e, mi perdoni la
franchezza, soprattutto lei, che su quest’attività illecita ormai più
che decennale, mi sembra, ha costruito le sue fortune, sappiamo
perfettamente che, sebbene sia proibito dalla demenziale morale
garantista che ispira la legislazione vigente, oggigiorno tutti coloro
che possono permetterselo hanno un clone; si tratta in genere – mi
risulta, pur non avendone mai visto uno - di esseri con uno sviluppo
cerebrale primitivo ed un’intelligenza poco al di sopra di quella di un
protozoo, che servono solo come fornitori di pezzi di ricambio nel
malaugurato caso in cui un organo del proprietario non funzioni come si
deve; tale pratica, grazie soprattutto – bisogna riconoscerlo – al suo
attivismo in questo campo, ha quasi definitivamente soppiantato la
vecchia usanza di espiantare gli organi dai prigionieri di guerra,
assicurando la sanità del donatore ed eliminando del tutto la
possibilità di rigetto; io stesso, come ricorderà, ho in passato fatto
ricorso ad uno dei miei cloni per un trapianto di fegato, essendo il mio
in pessime condizioni”.
“Ricordo
perfettamente” assentì Falsonesi rimettendosi gli occhiali. “Se non
erro, quattro anni fa. O forse cinque?”
“Purtroppo” proseguì
Mortara senza soddisfare la curiosità dell’altro “non siete ancora in
grado di sostituire il sistema nervoso, condannando anche i ricchi ad un
ineluttabile invecchiamento”.
“Ci stiamo lavorando”
assicurò il Professore. “Ma ci vuole del tempo, parecchio tempo ancora.
Io credo però che un giorno sarà realtà ciò che oggi appare pura
fantascienza. Allora saremo simili a Dio!”
“Si, simili a Dio!”
sogghignò l’altro con un moto di stizza. “Ma di sicuro non ci riuscirete
nelle poche manciate di anni che mi restano da vivere!” aggiunse con un
tono di voce teatralmente lamentoso. “Non mi faccio certo illusioni in
proposito. Ma torniamo al motivo per cui l’ho fatta venire qui. Le
dicevo che ho bisogno di un amico fidato; ma dove trovarlo? Tutti coloro
che mi circondano assolvono ai loro compiti stimolati dallo stipendio a
fine mese; a molti sono sicuramente antipatico, l’invidia di tanti
sconfina probabilmente addirittura nell’odio e posso vantare una nutrita
schiera di nemici ai quali non dispiacerebbe sapermi sottoterra; a
qualcuno sarò pure simpatico, ma converrà che c’è una differenza
abissale tra la simpatia e l’amicizia disinteressata; purtroppo non è
possibile comprare i sentimenti degli altri” osservò fissando
intensamente l’enorme diamante che portava al dito “e se anche
ipotizzassi che qualcuno di quelli che mi sono vicini mi vuole
sinceramente bene, come riuscirei a contraccambiarlo, sempre roso dal
tarlo del dubbio che si tratti solo di una ignobile finzione, recitata
all’unico scopo di carpire i miei favori? L’uomo, quando mente, sa
essere un attore straordinario”.
Il Professore approvò
con ripetuti cenni di assenso.
“Io sono il mio
migliore amico” dichiarò Mortara. “Mi fido ciecamente di me, trovo i
miei pensieri intelligenti e gradevole la mia conversazione, non mi
tradirei mai e non farei mai alcuna cosa che potesse recarmi danno. Per
concludere: voglio che lei, caro Professore, mi fornisca un clone; ma
non uno di quei decerebrati che usiamo come magazzino per le parti da
sostituire: voglio una copia perfetta, che possa diventare il mio
migliore amico, perché identico a me nei minimi particolari. Pensa di
poterci riuscire?”
“Ciò che mi sta
chiedendo” rispose il Professore dopo qualche attimo di riflessione
“contrariamente a quanto forse immagina, è meno difficoltoso – almeno
teoricamente – di quello che facciamo abitualmente nella produzione dei
cloni standardizzati; nei casi usuali, infatti” si affrettò quindi a
spiegare assumendo, forse inconsapevolmente, un tono accademico
“dobbiamo prioritariamente inibire il sistema nervoso allo stadio
minimale consentito per la sopravvivenza, allo scopo di mantenere
funzionali soltanto gli istinti primordiali indispensabili; come, ad
esempio, quello di nutrirsi, ma impedendo accuratamente, con
procedimenti mirati, che l’organismo sviluppi contemporaneamente una
coscienza autonoma. Nel nostro caso, invece, il sistema nervoso resterà
libero di evolversi naturalmente – mi sia consentito il termine – ”
ironizzò con un risolino di compiacimento, “ma dovremo studiare apposite
applicazioni che procurino un invecchiamento cellulare estremamente
rapido ed al contempo siano programmate per interrompere del tutto la
loro azione quando il clone avrà raggiunto, approssimativamente, la sua
stessa età; questo mi sembra senza dubbio l’aspetto più problematico di
tutta la faccenda, ma sono più che sicuro che riusciremo a risolverlo
efficacemente. Ovviamente, come immagino supponga, trattandosi di un
percorso sperimentale e dedicato esclusivamente alle sue specifiche
esigenze, le costerà parecchio”.
“Questo lo so
perfettamente, ma le assicuro che costituisce l’aspetto più
insignificante di tutta la questione” disse Mortara gettando al
Professore un libretto di assegni attraverso la lucida scrivania di
mogano. “Scriva lei stesso la cifra. Ma fate presto”.
Per tutta la
settimana successiva a quest’incontro Mortara si sottopose pazientemente
ad un’interminabile serie di esami, analisi, prelievi; circa tre mesi
dopo ricevette l’attesa telefonata del Professor Falsonesi, che lo
informava con malcelato orgoglio del perfetto successo dell’operazione e
lo invitava a verificare di persona la veridicità delle proprie
affermazioni. L’anziano magnate si precipitò immediatamente alla
clinica, con la speranza che le sue ansiose aspettative fossero premiate
dalla piena soddisfazione del risultato.
“Da questa parte,
prego” disse la segretaria, una truccatissima bruna con abbondanti curve
posizionate al posto giusto, introducendo Mortara in un elegante
salottino d’attesa. Dopo una manciata di secondi – aveva fatto appena in
tempo a togliersi il cappello ed accomodarsi in una poltrona - fece la
sua comparsa il Professor Falsonesi; indossava un camice immacolato,
recava sotto il braccio due cartelle cliniche ed ostentava un infantile
entusiasmo. “Guardi qui, guardi qui!” disse sedendo accanto a lui e
sventolandogli ripetutamente le cartelle sotto il naso; “Corrisponde
tutto perfettamente: analisi, indagini stocastiche, dati antropometrici;
abbiamo rasentato la perfezione; il suo alter ego la sta aspettando,
desideroso di conoscerla”.
“Ma com’è? Lei ci ha
parlato? Che impressione le ha fatto?” chiese Mortara, provando una
certa apprensione per l’imminente incontro.
“Che impressione mi
ha fatto? Esattamente la stessa che provo ora, parlando con lei. Gli
abbiamo impiantato la sua memoria, i suoi ricordi, le sue conoscenze; è
una copia perfettamente identica a lei: un clone, appunto, solo con
un’intelligenza superiore a quella di tutti i cloni che produciamo
normalmente, un’intelligenza tale e quale alla sua. Si è
dichiarato più volte impaziente di incontrarla e poterla finalmente
ringraziare personalmente per tutto quello che lei ha fatto. Venga, non
facciamolo aspettare”.
Mortara seguì il
Professore che, uscendo da una porta opposta a quella da cui erano
entrati, aveva imboccato un ampio corridoio sulla destra, dove lo
avevano affiancato due infermieri in attesa; questi ultimi rivolsero un
cordiale e rispettoso sorriso di benvenuto all’importante visitatore,
che ricambiò con un cenno della mano. Il quartetto, giunto ad una
rotonda a vetrate, dalla quale si godeva la vista di un parco
soleggiato, svoltò a sinistra in un altro breve corridoio, al termine
del quale si fermò davanti ad una porta di legno recante una targhetta
con su scritto “privato”.
“E’ qui” sussurrò il
Professore, bussando delicatamente con le nocche delle dita.
“Avanti!” li invitò
ad entrare una voce proveniente dall’interno; una voce, pensò Mortara,
indistinguibile dalla propria.
“Signor Mortara”
esclamò con sussiego il Professore, rivolto al suo cliente, quando
furono tutti nell’ampia e
confortevole suite, “mi permetta di presentarle il signor Mortara”;
pronunciando la frase ad effetto, che aveva probabilmente preparato da
tempo, indicò con un gesto plateale un individuo comodamente adagiato in
un divano presso la finestra, che somigliava in modo sbalorditivo a
Mortara ed indossava una delle migliori vestaglie di Mortara.
“Ciao” disse Mortara
con la voce leggermente esitante per l’emozione.
“Ciao” rispose
Mortara clone esaminandolo con interesse.
“Ma tu sei più giovane di
me!” osservò immediatamente Mortara dopo aver scrutato attentamente il
suo clone, strizzando gli occhi. “Direi che dimostri almeno dieci anni
di meno. Che significa questo?” chiese rivolto al Professore.
“Sei un ottimo
osservatore” disse Mortara clone con un sorriso bonario. “Ma per
l’esattezza sono diciassette. Circa diciassette anni di meno”.
“Che significa?”
ripeté Mortara, sempre rivolto al Professore. “Esigo una spiegazione”.
Il Professore taceva
e Mortara clone spiegò: “Capirai subito. Ma sappi che tutto nasce dal
fatto che, per un banale errore nella programmazione del mio sviluppo
cerebrale, io sono leggermente più intelligente di te; non lo dico per
vantarmi, si tratta solo di un dato risultante da analisi rigorose ma
anche da osservazioni elementari: un nulla, un’inezia, ma sufficiente
per farmi comprendere che stavi per commettere un’idiozia ed indurmi a
porvi rimedio in tempo. Come ti è venuta in mente l’idea di vivere in
compagnia della tua copia perfetta? Te l’immagini che inferno ne sarebbe
scaturito? Cercherò di farti capire con qualche esempio: io voglio
rilassarmi nella mia poltrona prediletta, ma non posso perché è già
occupata da te; tu a tavola adocchi la tua porzione preferita, ma prima
di poterti servire ti accorgi che l’ho già addentata io; uno di noi
vuole spassarsela per una intera serata con una donna che ci affascina,
ma non può farlo senza incorrere nella ire dell’altro, che nutre
esattamente gli stessi propositi. Essendo identici, avremmo sempre i
medesimi desideri, e quelli di uno di noi due sarebbero pertanto
fatalmente destinati a restare inappagati. Senza poi tener conto di
tutte le difficoltà pratiche: dal momento che, godendo di una certa
notorietà, non potremmo mai apparire contemporaneamente in pubblico e
saremmo di conseguenza costretti, a turno, a nasconderci per tutta la
vita. Non sei d’accordo?”
“Ma io pensavo che
avremmo potuto farci compagnia, essere amici, conversare…” farfugliò
Mortara, disorientato.
“Conversare?” rise
Mortara clone, divertito. “Ma se conosco in anticipo tutto quello che
hai intenzione di dire, dal momento che io formulerei esattamente gli
stessi pensieri e parlerei allo stesso modo, dicendo le stesse cose. No,
credimi, sarebbe un’esperienza allucinante. Scusa se ti parlo
francamente, ma devi renderti conto che dopo poco tempo ci odieremmo a
tal punto da pensare seriamente al suicidio; o, forse, all’omicidio”
concluse, seguendo con aria ingenua il volo di una rondine nel cielo
azzurro.
Mortara deglutì.
“Ammettiamo che tu abbia ragione” disse visibilmente deluso ed
affrontando direttamente, com’era sua abitudine, gli aspetti pratici
della situazione “come pensi sia giusto a questo punto risolvere la
questione? Vuoi tornartene nel nulla dal quale sei stato plasmato? O hai
piuttosto delle pretese di qualche tipo? Parla francamente: ti ascolto”
Mortara clone sorrise
con malignità: “Non recitare con me, non è proprio il caso. Tu sai
benissimo come finirà tutta questa faccenda, perché anch’io lo so. Forse
ignori alcuni particolari per mancanza d’informazione, ma provvederò io
stesso ad illustrarti tutto nei minimi dettagli: adesso tu mi darai i
tuoi vestiti, io salirò sulla tua macchina, che ti sta aspettando in
cortile, e tornerò alla tua vita di tutti i giorni; tu, invece, rimarrai
qui, a guardare le nuvole: uno spettacolo interessante, credimi, quando
non si ha nulla di meglio da fare”.
A seguito di queste
parole Mortara ebbe la chiara cognizione, osservando il complice sorriso
di approvazione di uno degli infermieri, di essersi cacciato in una
situazione estremamente complicata; notò anche con dispetto che il
Professor Falsonesi evitava accuratamente di intromettersi nella
discussione, apparentemente distratto dall’attento esame delle sue
unghie. Cominciò a fissarlo irosamente con insistenza ed allora questi,
visibilmente a disagio, facendo mostra di essersi improvvisamente
ricordato di qualcosa, dichiarò: “Signori, poiché alcune pressanti
incombenze richiedono altrove la mia immediata presenza devo ora
salutarvi, augurando a tutti una felice giornata” e senza aggiungere
altro guadagnò velocemente l’uscita, dopo aver scambiato un rapido cenno
d’intesa con Mortara clone.
“Lurido ipocrita!”
imprecò Mortara. “Che il diavolo lo fulmini!” Poi, rivolto a Mortara
clone, continuò: “Ma come farai a giustificare l’improvviso
ringiovanimento? Non può passare inosservato” ribatté, pur essendo
consapevole della debolezza della sua argomentazione.
“Hai ragione” disse
Mortara clone “ma ci abbiamo già pensato; la chirurgia plastica fa
miracoli al giorno d’oggi; basterà spargere in giro la voce che mi sono
sottoposto a vari interventi di restauro; non esistono limitazioni di
sorta per un paziente che abbia parecchio da spendere; questa faccenda,
è bene che tu lo sappia, ci è costata molto più di quanto avevi
previsto: oltre alla cifra concordata, la cessione di un’emittente
televisiva e di una testata giornalistica; ma ne valeva la pena, non
trovi?”
Mortara capì di
essere ormai in trappola e fece per darsela a gambe, ma fu prontamente
afferrato da un infermiere che lo immobilizzò e con l’aiuto dell’altro
cominciò, senza troppe cerimonie e nonostante le sue vivaci proteste, a
togliergli i vestiti, consegnandoli a Mortara clone.
Mortara sulle prime
tentò una disperata difesa, ma dopo qualche tempo smise di opporre
resistenza, rendendosi conto dell'inutilità dei suoi sforzi e, rimasto
in mutande dopo il furto dei pantaloni, giacque accovacciato in terra,
sempre tenuto a bada dai due infermieri.
“Sei messo piuttosto
male!” esclamò Mortara clone mentre si vestiva, guardandolo con
disgusto. “Sembri molto più vecchio della tua età, davvero! Dovrò fare
un po’ di esercizio fisico, se non voglio ridurmi come te, tra una
quindicina d’anni. A proposito, ho per te un’ultima notizia spiacevole,
ma credo che tu la conosca già: al massimo entro mezz’ora tu sarai
liquidato. Lo capisci, non è vero? Non posso rischiare, tenendoti in
vita, che qualcuno venga a conoscere la verità. Tu, del resto, lo so, ne
sono certo, faresti altrettanto. Se vuoi, in bagno troverai tutto
l’occorrente per un decoroso suicidio, la notizia del quale non
oltrepasserà mai queste mura, per i motivi che non ti sarà difficile
immaginare. Ma se ti conosco bene, dubito che troverai mai il coraggio
necessario; credo proprio che saremo costretti ad occuparcene noi” disse
Mortara clone rivolgendo quest’ultima frase ai due infermieri, mentre si
aggiustava con particolare cura, davanti ad uno specchio appeso alla
parete, il nodo della cravatta.
“Sei crudele, molto
più crudele di me” sibilò Mortara, guardandolo con odio non dissimulato.
“Non è esatto, sono
solo più intelligente. E tu lo sai” disse Mortara clone che, dopo
avergli fatto beffardamente ciao con entrambe le mani, troncò la
conversazione, scomparendo oltre la porta.
Poi anche gli
infermieri uscirono, chiudendo a chiave con numerose mandate. Mortara
indossò con lenti movimenti da sonnambulo la veste da camera lasciata
cadere in terra da Mortara clone e dopo aver verificato che le finestre
erano protette da robuste inferriate si accasciò sul divano; sebbene
fuori splendesse il sole sentì penetrare nelle ossa un freddo acuto e
persistente.
La macchina, seguita
da altre due auto di scorta, procedeva veloce attraverso le strade quasi
deserte di quella zona residenziale; grazie al cappello calato sugli
occhi né gli uomini della scorta né il suo autista avevano notato nulla
di strano nel suo aspetto. Mortara clone guardava il gradevole paesaggio
riconoscendo, pur senza averli
mai visti prima, i luoghi familiari grazie alla sua memoria impiantata:
era come esplorare per la prima volta dei posti già noti soltanto
attraverso sogni ricorrenti; ad un tratto si accorse che la vettura
abbandonava il percorso memorizzato nella sua mappa mentale,
inoltrandosi in una traversa laterale alberata, che non ricordava d'aver
mai visto, mentre le auto di scorta proseguivano sulla strada
principale.
“Dove stiamo
andando?” chiese all’autista battendogli ripetutamente una mano sulla
spalla. “Questa non è la strada di casa” aggiunse visibilmente seccato,
in attesa di una risposta che tardava troppo ad arrivare.
“E’ vero, signor
Mortara; una brevissima deviazione, mi perdoni, ma devo fare una
commissione” disse infine l’autista svoltando in una piazzola di sosta
laterale e fermando la vettura.
“Che commissione? Che
significa questo? Dov’è finita la scorta?” sbraitò Mortara clone fuori
di sé dalla rabbia. “Rimetti subito in moto e torna a casa!” ordinò.
“Vede, signor
Mortara” disse l’autista, allungando il collo per inquadrarlo nello
specchietto retrovisore “si tratta della concorrenza; qualcuno a cui
lei, forse, ha pestato troppo i piedi; hanno minacciato di morte la mia
famiglia e mi hanno offerto un mucchio incredibile di soldi: una di
quelle proposte che capitano raramente nella vita e non si possono
assolutamente rifiutare. Mi dispiace, sinceramente” concluse, girandosi
verso di lui e guardandolo in viso. Poi soggiunse: “Diamine, signor
Mortara, ma cos’ha fatto? Sembra ringiovanito di vent’anni!”
Mentre parlava, due
vetture di grossa cilindrata si erano affiancate alla loro; dai
finestrini posteriori abbassati spuntarono le canne di due mitra, che
cominciarono a vomitare una valanga di proiettili contro l’attonito
Mortara clone, il quale prese a sobbalzare come una marionetta mossa da
decine di fili invisibili. Quand’ebbero finito, soltanto l’esame dei
documenti avrebbe potuto consentire, anche a chi lo conosceva bene, di
dare un nome a quell’ammasso di carne sanguinolenta ammucchiata sul
sedile posteriore. Quel giorno stesso, grazie all’edizione serale dei
quotidiani, il mondo apprese, con composta deferenza, la notizia della
sua prematura dipartita. Libero Tronocozzo
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