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Testo integrale (pubblicato su "Rinascita" in forma ridotta il 16 settembre 2011)

 

"Il golpe inglese"
Oltre due secoli di ingerenza britannica nel nostro paese
 

Maurizio Barozzi    


È apparso in questi giorni nelle librerie, edito dalla milanese Chiarelettere, un importante lavoro sviluppato dal giornalista storico Giovanni Fasanella e dal ricercatore Mario Josè Cereghino: "Il golpe inglese" (pag. 354, € 16,00) che riassume circa due secoli di ingerenza e prepotenza britannica nei confronti del nostro paese. Un'ingerenza di carattere strategico e con presupposti geopolitici, quindi ineliminabili.
Quanto viene ricostruito dai due autori, ovviamente, non ci ha sorpreso e del resto è proprio quello che da anni cerchiamo di illustrare, ma il fatto che ora queste "informazioni" siano accessibili al grande pubblico non può che essere utile.
Tuttavia il libro della Chiarelettere necessita di alcune osservazioni e precisazioni che riteniamo doveroso dover formulare.
Per prima cosa, devesi mettere in guardia che le ricerche negli Archivi desecretati o negli schedari abbandonati da qualche parte all’estero, ricerche che hanno reso possibile il libro in questione, non sono tutt’oro. Di certo sono importanti e consentono, anche per via deduttiva, di ricostruire spaccati di storia altrimenti nebulosi, ma quel che si trova in questi archivi, ci si perdoni il termine, è più che altro spazzatura storica, perchè le documentazioni veramente importanti, o non ci sono affatto ovvero non sono accessibili.
Quel che resta in giro negli archivi e negli uffici di Stato sono i rapporti, le lettere, i cablogrammi, più o meno ufficiali o confidenziali, scambiati dalla diplomazia, da personalità di stato, della politica, dell’economia, ecc., e le informative delle varie Intelligence. Ma i movimenti e le decisioni che contano, quelli che si svolgono dietro le quinte della Storia, non le troveremo di certo in questi Archivi, di Stato o meno che siano.
La ricerca di archivio, nel nostro caso trattasi degli archivi di stato britannici di Kew Gardens nei pressi di Londra, infatti, non ci dice e non ci mostra il lavorio dietro le quinte degli esponenti della grande massoneria mondialista; come e perchè vennero realizzate varie Istituzioni e Organizzazioni trans e over nazionali (dal CFR, alla Banca Mondiale, al FMI, per citarne solo alcune) preposte al controllo e condizionamento dei singoli Stati; del come e perchè queste entità mondialiste riuscirono ad imporre una strategia bellica che, alla fin fine, costò ai britannici la perdita dell’Impero; come certe lobby agevolarono la nascita dello stato israeliano, anche in barba agli interessi geopolitici inglesi; del come fu possibile che Churchill, conservatore, anticomunista viscerale e razzista, nello stesso momento in cui lavorava per il proprio paese, era condizionato da certe consorterie internazionali e non era alieno dai progetti mondialisti che portarono a Jalta ed alla spartizione dell’Europa in due aree di influenza di cui una sotto controllo sovietico, ecc.
Senza parlare poi di cosa c’era veramente dietro quel conflitto non dichiarato che si sviluppò in Europa nel periodo della guerra fredda, anche con mezzi estremi, determinando le relative contromisure messe in atto per impedire lo straripamento dell’Urss dalle aeree che gli erano state assegnate o una ascesa al potere dei partiti comunisti, come quello italiano, che si trovavano nel campo occidentale.
Anche in questo caso, infatti, dagli archivi potremo avere solo i riscontri di facciata, quella più apparente (la guerra fredda in cui furono impegnati uomini, uffici e Servizi), non della vera realtà storica, perchè l’attuazione della spartizione dell’Europa decisa a Jalta era un qualcosa, sia pur transitorio (è durato quasi 40 anni), di carattere strategico che trascendeva gli aspetti nazionali e che vedeva la cooperazione a vari livelli delle due grandi super potenze USA-URSS nel gestire la spartizione del continente, ed aveva a monte un disegno strategico di lungo respiro che andava a configurarsi in un progetto mondialista di dominio planetario.
Per portare un esempio, dagli archivi consultati dagli autori emergono i problemi che sorsero per i britannici quando si palesò il ruolo del comunismo sovietico in Europa, un nuovo concorrente, come giustamente essi lo definiscono, ma non di certe estraneo o inviso alle strategie mondialiste a cui anche Churchill era condizionato. E questo ovviamente non si può trovarlo negli archivi.
Tutte vicende che non si possono di certo ricostruire solo con i memorandum, i rapporti e i documenti d’archivio, anche se confidential o top secret, inerenti le singole realtà nazionali.
Per entrare negli argomenti del libro pubblicato dalla Chiarelettere, vi troviamo che i due autori hanno ricostruito molto bene le paure, le minacce, le pressioni e gli atti bellici che i britannici, per oltre due secoli, progettarono e spesso attuarono nei confronti dell’Italia (portaerei naturale nel mediterraneo) un aerea geopolitica per loro determinate, rispetto al controllo delle fonti energetiche e a quello strategico politico militare rispetto al nord Africa e al Medio Oriente.
Un paese il nostro formatosi attraverso un Risorgimento di stampo massonico, in cui l’influenza e la partecipazione anglo francese fu determinante, tanto che poi, la nostra finanza e la nostra grande industria, sviluppatesi a cavallo dell’800 e del 900, erano nate proprio dietro quegli interessi e quella influenza, anche culturale, anglofila.
Nel libro, comunque, potremo anche seguire le vicissitudini delle grandi compagnie petrolifere inglesi tese ad accaparrarsi, difendere e sviluppare la loro egemonia nel campo energetico, boicottando o distruggendo qualsivoglia pericolo per i loro interessi che poteva provenire dall’Italia soprattutto iniziative di indipendenza e autonomia da parte del nostro paese come si verificarono durante il fascismo e nel dopoguerra con Enrico Mattei..
Al contempo sarà anche ricostruita la sorda e sottile lotta che si ingaggiò tra gli inglesi e gli Stati Uniti, nel momento in cui questi, con la seconda guerra mondiale, assurti a grande potenza, si affacciarono in Europa, nel Mediterraneo e in Africa contendendo agli inglesi l’egemonia dell’Italia.
Detto questo è necessario aggiungere anche un altra osservazione che scaturisce dalla lettura di un precedente lavoro, edito da Chiarelettere e sempre del giornalista Fasanella, realizzato in condominio con il giudice Rosario Priore. Parliamo del libro "Intrigo Internazionale" del 2010, laddove nelle varie considerazioni che, a parere degli autori, causarono in Italia il tragico e cruento periodo della strategia della tensione, a partire dalle bombe di Piazza Fontana, ci sarebbe l’ingerenza inglese, quale reazione agli aiuti forniti sottobanco dai nostri governi dell’epoca, al colpo di Stato di Gheddafi in Libia, un evento che praticamente estromise i britannici da quella importante area geografica e consentì invece all’Italia di rientrare dalla porta di servizio nel grande gioco degli interessi energetici.
Queste ricostruzioni sono senz’altro veritiere e sicuramente gli inglesi fecero del loro meglio per incentivare e prolungare la strategia stragista nel nostro paese, ma non furono la causa, o comunque la sola causa, di quella strategia. La causa vera, viceversa, va ricercata negli equilibri mediterranei e mediorientali che si andarono ad alterare quando Israele prese a mettere in atto i progetti di abnorme espansione territoriale, che si concretizzarono nella guerra dei sei giorni del giugno 1967.
Quegli sconvolgimenti, infatti, provocarono un lungo periodo di crisi in aree vitali di pertinenza Nato, facendo anche affacciare il pericolo che i Sovietici potessero approfittarne per infilarsi nel mediterraneo. In previsione di questo gli atlantici predisposero subito le contromisure a cominciare dal golpe dei colonnelli in Grecia, made Cia, dell’aprile 1967.
Era, infatti, per gli atlantici di vitale importanza evitare che nei paesi mediterranei e del Sud Europa, non si verificassero, in quel momento di crisi, spinte centrifughe dalla Nato. In Italia, paese più socialmente e politicamente evoluto della Grecia, vennero invece applicate le tecniche della guerra non ortodossa, cosicché il nostro paese divenne il laboratorio sperimentale di ogni abominio: bombe, turbolenze sociali, manifestazioni violente e quant’altro, che potesse contribuire a ingessare la classe di governo impedendogli di assumere iniziative divergenti dalla stretta aderenza alla Nato. Altri casi Mattei, con la sua tentata autonomia nel settore energetico, per esempio, non dovevano essere consentiti, soprattutto in quel periodo.
I governi di centro sinistra, seppur da tempo in crisi, e la presenza dello stesso partito comunista italiano, il più forte in Europa, erano fonte di preoccupazione per gli occidentali per via che potevano attuarsi iniziative o prese di posizione che alterassero gli equilibri esistenti.
Questa strategia si poteva sintetizzare nel semplice "destabilizzare per stabilizzare" attraverso il terrore. Fu una strategia che andò avanti almeno fino alla strana guerra del Kippur (1973) dopo di che, potendosi Israele ritenere strategicamente al sicuro, e in conseguenza dei grandi cambiamenti che si manifestarono in America (1974, lo scandalo del Watergate) la strategia della tensione continuò a perpetuarsi nel nostro paese, perchè ora subentrò un altra sottile strategia che partiva da lontano: quella di accelerare in Italia un processo di ammodernamento culturale e politico di stampo progressista e neoradicale e quindi, quelle bombe, dovevano continuare ad esplodere, ma ora dovevano apparire come "bombe fasciste", mentre nel precedente periodo stragista, che possiamo far partire, sia pure incorrettamente, dal famigerato convegno Pollio all’Hotel Parco dei Principi di Roma nel maggio 1965, bombe ed atti di violenza dovevano apparire come il prodotto della violenza anarchica dei "rossi".
Tutto questo per dire che i britannici entrarono nello stragismo ed ebbero sicuramente la loro parte di sangue, ma questa strategia della tensione nacque essenzialmente da esigenze atlantiche.
Così come Moro, che venne assassinato in quanto ciò era utile non solo agli inglesi, per via della sua politica "autonoma" in campo internazionale, ma anche ai sovietici (contrari al compromesso storico) e soprattutto agli americani ed agli israeliani.
I due libri della Chiarelettere, invece, ponendo l’accento sulle responsabilità britanniche danno l’impressione di voler mettere in secondo piano le responsabilità USA e soprattutto quelle israeliane del Mossad. Gli americani, quali colonizzatori del nostro paese, ruolo che si erano assicurati scalzando gli inglesi nel dopoguerra (grazie anche all’alleanza con il Vaticano) e il Mossad israeliano (che lo ritroviamo un pò in tutte le vicende terroristiche), sono le due entità che ad oggi, guarda caso, si possono ritenere le veri vincitrici di quella occulta guerra di basso, ma cruento profilo che ha sconvolto e insanguinato il nostro paese.
Nel libro, Il golpe inglese, il sospetto di una accentuazione del ruolo britannico e di una riduzione (da dopoguerra ad oggi) di quello USA-Israel diviene poi ancor più consistente perchè, nel leggerlo, mentre da una parte ci si indigna nella descrizione di tutta la perfidia britannica nei confronti dell’Italia, al contempo si trae quasi la convinzione che gli USA furono nostri amici.
In realtà, inglesi e americani si contendevano il nostro territorio per opposte esigenze geopolitiche e con un diverso comportamento: gli inglesi direttamente interessati al controllo brutale del nostro paese per proteggere i loro interessi nel mediterraneo e nel Vicino Oriente e gli americani invece che miravano a subentrarvi, intanto attraverso l’invasione culturale (la american way of life) e poi attraverso i finanziamenti (piano Marshall) che dovevano determinare il controllo della nostra economia, quindi l’inglobamento nelle strutture Nato, e via dicendo.
Si può dire che passammo dalla padella alla brace: allentati i condizionamenti britannici venimmo letteralmente colonizzati in ogni campo dagli statunitensi. Ma tutto questo non traspare dal libro di Fasanella e Cereghino perchè si ferma solo alle ingerenze britanniche.
Insomma gli inglesi nel nostro paese, dal dopoguerra ad oggi, fecero e disfecero, tramarono, boicottarono, destabilizzarono, sparsero sangue e quant’altro, ma certamente non da meno di quanto fecero gli americani, che in definitiva risultarono i veri vincitori della partita.
Gli autori del libro ci illustrano e mostrano anche un bel campionario di personaggi, giornalisti, scrittori e intellettuali, che furono in qualche modo "clienti" di sua maestà britannica (da Arrigo Levi a Mario Missiroli, da Luigi Albertini a Gaetano Afeltra, da Luigi Barzini a Domenico Bartoli e Paolo Murialdi. E Inotre Jader Iacobelli e Norberto Bobbio). Tutti negli elenchi dei «clienti» dell’IRD, l’Information research department, un organismo segreto alle dipendenze del ministero degli Esteri britannico, preposto a veicolare "idee" per condizionare la cultura e l’informazione nel nostro paese. Direttamente coinvolti e collusi avremo poi vari politici, miliari, economisti e gli ex partecipanti (ma veramente ex in tutti i sensi!) alla RSI, assieme a vari elementi della destra neofascista, o uomini come Valerio Borghese e il suo golpe da operetta che, come ci mostrano gli autori, erano tutti da tempo collusi con l’intelligence inglese.
E qui si viene a scoprire che il famigerato James Jesus Angleton dell’OSS americano, colui che "salvò" e prelevò Borghese con lo scopo di metterlo a disposizione della politica americana e che si mise in tasca tutti quegli eterogenei piccoli gruppi del neofascismo dell’immediato dopoguerra, era anche segretamente in servizio per l’Intelligence britannica dietro la regia del suo illustre genitore Hugh, ricco imprenditore e tenente colonnello dell’OSS, ma anche un potente massone della loggia di "Rito Scozzese Antico e Accettato", l’ala più filo britannica della massoneria americana.
In tutto questo contesto Fasanella e Cereghino ci ricostruiscono anche la posizione di Mussolini, definito una "creatura" degli inglesi ai tempi della prima guerra mondiale, ma che poi si barcamenò in posizioni ambigue durante il ventennio, per finire di "tradirli" scegliendo l’alleanza con la Germania. Un profilo, questo del Duce, del tutto errato e gratuito, che già avemmo modo di confutare su queste stesse pagine con il nostro articolo: "I finanziamenti britannici nel 1917 a Mussolini " del 20 ottobre 2009.
Non possiamo che ripeterci: Mussolini rivoluzionario di razza e spregiudicato politico, mentre per sè stesso ha sempre manifestato un certo disinteresse per il denaro, tanto che, durante la RSI, causò più di una volta le rimostranze della moglie alle prese con una famiglia allargata e con un marito che non pretendeva il dovuto dallo Stato, per i suoi scopi politici, invece, venne sempre a prendere finanziamenti da chi aveva interesse al suo "agitarsi". Quando dopo Caporetto gli anglo francesi, preoccupati per un cedimento del fronte interno italiano, elargirono finanziamenti a tutti quei personaggi e movimenti che sostenevano lo sforzo bellico italiano, finanziarono anche Mussolini con il suo "Il Popolo d’Italia", da tempo impegnato a sostenere una guerra alla cui partecipazione anche lui aveva lavorato. Erano due posizioni storico-politiche e due interessi che andavano a collimare.
Mussolini, dunque, prese finanziamenti da un alleato del nostro paese e per un fine comune: la vittoria in guerra, una cosa questa, evidentemente, ben diversa da quei giornalisti, intellettuali, politici, militari e quant’altro che furono foraggiati dai britannici per i loro interessi geopolitici e quindi contro gli interessi italiani, di fatto un vero e proprio tradimento della patria!
Infine un ultima questione: il delitto Matteotti.
Lo ripetiamo ancora una volta: quel delitto ebbe una triplice finalità: 1. eliminare un uomo (Matteotti) in procinto di denunziare una serie di scandali che avrebbero coinvolto vari settori dell’industria e della finanza, e soprattutto casa Savoia;
2. sbarazzarsi di un capo di governo (Mussolini) che con il suo dirigismo nella prassi di governo, non consentiva ai grandi gruppi speculativi, alcuni sorti anche all’ombra della Presidenza del consiglio, di trafficare in ogni campo. Gruppi finanziari e speculativi, a cominciare dalla Commerciale di Toeplitz, che pur avevano investito forte sul fascismo e nella marcia su Roma;
3. far saltare certi progetti, che già nel 1923 si delineavano nella mente di Mussolini, circa una apertura ai socialisti e ai confederali e verso la Chiesa, prospettiva quest’ultima alquanto temuta dalla massoneria.
Non a caso tutti coloro che in qualche modo si trovarono implicati in quell’affaire, risultarono avere la tessera massonica in tasca ed ora, ci indicano gli stessi autori del libro "Il golpe inglese", proprio gli Amerigo Dumini, i De Bono (trait-d’union con casa Savoia) e compagnia bella erano tutti al servizio dei britannici. E i britannici (Anglo Persian Oil) erano direttamente interessati ad una certa sorda lotta che si svolgeva sul nostro territorio, in concorrenza con altre compagnie petrolifere, in particolare quelle statunitensi, per assicurarsi l’egemonia in questo campo.
Interessi petroliferi questi, di enorme portata, che tra il 1923 e il 1924 costrinsero Mussolini a barcamenarsi in vari modi.
Intanto bisogna sapere che Mussolini una volta asceso al potere (fine ottobre 1922) si ritrovò tra le mani alcune grosse situazioni ereditate dal passato. La prima era quella di un enorme debito (circa 2 miliardi di dollari) per spese di guerra contratto con gli Stati Uniti, che ora lo esigevano e non ci si poteva esimere dal pagarlo. Col tempo Mussolini ci riuscì magnificamente contraendo un mutuo con l’americana Morgan Bank a tassi agevolati.
L’altro inghippo fu un "regalino" dei Savoia, una Casa che da tempo aveva interessi e traffici con Londra. Ma avevano anche raggiunto un accordo segreto con la Sincleir Oil per certe grosse concessioni petrolifere (dietro la Sincleir, lo si seppe dopo, c’era o subentrò in corso di avvenimenti la Standard Oil dei Rockefeller). Il governo di Mussolini non potè fare altro che inghiottire il rospo e ratificare gli accordi.
Nel 1923 però cercò anche una via di indipendenza nel campo energetico conseguendo accordi con i sovietici (1923), infrangendo certi impegni internazionali che avevano messo il paese comunista in quarantena e determinando soprattutto le ire degli inglesi.
La faccenda delle concessioni alla americana Sinclair Oil, però, oltre che un grosso giro di tangenti aveva anche determinato varie reazioni da parte degli inglesi che non volevano perdere l’egemonia petrolifera sul nostro paese anche per la realizzazione di raffinerie che gli avrebbero consentito una rotta notevolmente ridotta per il petrolio del Vicino Oriente.
Mussolini, non potendo spingere oltre certe iniziative, avendo per di più vasti settori del paese e dello stesso fascismo su posizioni fortemente anglofile, fu anche costretto a sciogliere nel 1923 la Direzione Generale Combustibili, tenendo così aperte alla Gran Bretagna le porte del mercato italiano e le vie del petrolio dal Medio Oriente attraverso il nostro paese.
In questo guazzabuglio di intrecci di interessi e potentati economici, l’ordine di assassinare Matteotti, va quindi cercato in altre direzioni al di fuori di Mussolini.
Oltretutto non è poi tanto campata in aria una ipotesi clamorosa che sta prendendo ultimamente corpo e che spetterà ai ricercatori storici suffragare con le dovute documetazioni. Sappiamo infatti che Matteotti, doveva parlare alla Camera l’11 giugno ’24 e si presume che era in procinto di mettere in serie difficoltà non tanto il governo, svelando il giro di tangenti per gli accordi con la Sincleir Oil, ma soprattutto il sovrano, Vittorio Emanuele III, per certi intrallazzi con i britannici rispetto alle concessioni sul petrolio libico, che nel frattempo, seppur scoperto in qualche modo, doveva essere tenuto segreto.
Sembra però che sotto, sotto, si fosse una segreta intesa, udite, udite, proprio con Mussolini, da parte sua interessato a scrollarsi di dosso certe egemonie e condizionamenti.
Il Duce, infatti, da tempo stava portando avanti un processo di affrancamento del nostro paese da varie ingerenze, rientrando in quest’ottica gli accordi con i sovietici, ma anche una prospettiva politica, come accennato, finalizzata a inglobare nel suo governo i socialisti moderati, i popolari privati da don Luigi Sturzo (consenziente il Vaticano) e uomini della Confederazione Generale del Lavoro. Tutti quindi, al di là delle apparenze, giocavano su più tavoli.
L’assassinio del deputato socialista invece fece saltare tutto e per poco non fece saltare anche il governo di Mussolini.
Matteo Matteotti, il figlio del deputato socialista, nel dopoguerra varie volte ministro e negli anni ‘50 anche segretario nazionale del PSDI, ebbe ad esprimere pubblicamente il parere che il Duce fosse estraneo all’omicidio del padre ed adombrò, sia pure come sola ipotesi, la possibilità che dietro a quel delitto ci fosse anche la mano del Re. A novembre del 1985 sulle pagine della rivista Storia Illustrata rilasciò una intervista dove, tra l’altro, disse:
<<Mussolini voleva fin dal 1922, subito dopo la marcia su Roma, riavvicinarsi ai socialisti. Il 7 giugno 1924, quando già il delitto era in piena fase di progettazione, pronunciò un discorso che era un appello alla collaborazione rivolto proprio ai socialisti.
Per questo l’attacco fattogli da mio padre pochi giorni prima fece infuriare il Duce: è un fatto innegabile. Ma è altrettanto vero che quel 7 giugno Mussolini pensava, nonostante mio padre, di poter avere i socialriformisti D’Aragona e forse Turati al governo ... No il Duce non aveva alcun interesse a far uccidere mio padre, si sarebbe alienato per sempre la possibilità di un’alleanza con i suoi vecchi compagni, che non finì mai di rimpiangere. Lo stesso Pietro Nenni, nel 1929 affermò che quello era stato un delitto affaristico>>.
E che in questo Affaire c’entravano anche gli inglesi, come gli autori del libro "Il golpe inglese" indicano lo dovette sospettare anche il Duce.
Non a caso, infatti, sul Popolo d’Italia, il giornale di Mussolini, apparve questo trafiletto: <<Non mi meraviglierei che dovesse risultare domani che la mano stessa che forniva a Londra all’on. Matteotti i documenti mortali, contemporaneamente armasse i sicari che sul Matteotti dovevano compiere il delitto scellerato>>.
Ma l’omicidio del deputato socialista rischiava ora di far saltare tutto il banco.
Si da il caso, infatti, che la cosiddetta Ceka implicata nel sequestro Matteotti, ovvero i vari Dumini, i Viola, i Volpi ecc., era di casa alla Presidenza del Consiglio e al Viminale e Mussolini stesso se ne era spesso servito per vari "servizi di genere squadristico".
Il Duce, inoltre, nella sua spregiudicata gestione del potere, gli era tornato utile consentire a che uomini e ambienti del fascismo si impinguassero di tangenti, quali anche un modo per finanziare il partito e il giornale.
Non c’è da meravigliarsi o scandalizzarsi, visto che il potere, soprattutto se scaturito da una mezza insurrezione incompiuta (come fu la marca su Roma) si tiene anche in questo modo, altrimenti l’alternativa sono i plotoni di esecuzione! E’ una legge storica immutabile e ricorrente.
E ancora, il Duce aveva oltretutto uno scheletro nell’armadio, quello del fratello Arnaldo non alieno da infilarsi in traffici finanziari sembra anche quelli nel campo delle case da gioco e del settore petrolifero (di portata comunque di gran lungo minore da quella degli scandali che si volevano denunciare) che si poteva supporre giravano attorno alle documentazioni che erano state date a Matteotti (il cui scopo, da parte di chi gliele aveva date era quello di far saltare l’ingerenza americana nel campo energetico e far saltare al contempo Mussolini)
Gli autori del libro ci dicono però che Mussolini, travolto dalla vicenda Matteotti, venne poi salvato anche dagli inglesi, ovvero da Churchill, che aveva un certo interesse a che Mussolini restasse in sella e probabilmente anche un altro interesse nell’affaire Matteotti.
Fu per questo che nel 1941, quando in Africa gli inglesi sequestrarono a Dumini importati documentazioni, che potevano mettere in difficoltà il "nemico Mussolini", Churchill ordinò di insabbiare tutto.
La faccenda però non è ben chiara perchè in effetti Matteotti aveva avuto la documentazione da utilizzare in Italia, proprio in Inghilterra: gli autori dicono dai Laburisti al governo mentre i conservatori erano all’opposizione, ma più realisticamente ebbe quelle documentazioni dalla massoneria di Londra, in virtù di una comune "fratellanza".
Gli stessi autori notano anche la stranezza contenuta in questa contraddizione: come è possibile che in Inghilterra forniscono a Matteotti le prove di uno scandalo (tangenti che hanno girato durante i precedenti contratti petroliferi, ecc.) che in definitiva, una volta esploso, dovrà agevolare le mire della Anglo Persian Oil (in buona parte in mani statali) e poi invece fanno ammazzare Matteotti dagli uomini che loro controllano (i De Beno, i Dumini, ecc.)?
Evidentemente erano entrate in gioco anche altre forze e interessi che è difficile individuare e non basta spiegare la contraddizione con le differenze tra laburisti e conservatori.
Insomma un imbroglio generalizzato, con aspetti contraddittori, tra interessi petroliferi strategici e anche massonici e quindi con cointeressenze e interferenze di ogni tipo.
Andò comunque a finire che Mussolini, rimasto in qualche modo al governo, dovette accantonare i progetti petroliferi per il nostro paese, sottostando ai desiderata britannici.
Ma non passarono molti anni che, già nel 1926, con la nascita dell’Agip, il Duce riprese il discorso della nostra indipendenza energetica. Prospettiva che poi dovette di nuovo accantonare, quando tutto proiettato nella conquista dell’Ethiopia, fu costretto di nuovo a ridimensionare il ruolo dell’Agip in medio oriente, avendo segretamente avuto in cambio il "passi" inglese per le operazioni beliche, tanto che questi trasformarono le sanzioni e i paventati blocchi navali, in una ininfluente dimostrazione di facciata che oltretutto tornò comoda alla propaganda di regime.
Con l’approssimarsi della seconda guerra mondiale, infine, Mussolini non potè che scegliere la strada unica e definitiva della difesa dei nostri interessi geopolitici che erano diametralmente in contrasto con quelli britannici.
Anche qui non potè che farlo con varie contraddizioni e ambiguità perché la nostra situazione di estrema debolezza non poteva che farci paventare una vittoria britannica, ma anche una straripante vittoria tedesca e soprattutto un accordo globale, su scala mondiale, tra inglesi e tedeschi, come da sempre auspicato e cercato da Hitler, che sarebbe stato sicuramente deleterio per i nostri interessi nel mediterraneo, nei Balcani e in Africa.
Quella di Mussolini quindi è la storia di un rivoluzionario, un politico ed uno statista che si mosse, per necessità di cose ambiguamente, ma sempre e comunque in difesa dei nostri interessi geopolitici. Non a caso Mussolini finì per configurare la sua strategia internazionale in un progetto Euro Asiatico in contrasto con quello britannico e anche con quello euro atlantico dei tedeschi.
Raccomandiamo comunque la lettura del libro della Chiarelettere, perchè mette a fuoco, con una certa precisione, l’influenza decisiva dei britannici nei confronti dell’Italia, a partire proprio dal Risorgimento. Al contempo si riscontra anche molto bene il ruolo da perfetti traditori degli interessi italiani, per tutti quegli uomini e quegli ambienti che furono in collusione con i britannici. Un ruolo abietto soprattutto per gruppi, partiti e uomini della destra, neofascista o meno che fosse, che si riempivano la bocca di nazionalismo e retorica di patriottismo, quando poi invece servivano gli interessi dei peggiori nemici dell’Italia.
 

Maurizio Barozzi