Italia - Repubblica - Socializzazione

 

Il grande inganno 6

Settant'anni dopo

 

Gian Paolo Pucciarelli      

   

«La guerra nasce da un disordine morale, molto prima che da uno squilibrio economico, o da una perturbazione dell'ordine politico.

La guerra nasce dalla colpa»

 

don Carlo Gnocchi

 

Lo strano ruolo dell'URSS

Nell'agosto del 1991 i moscoviti non pensavano di dover maledire Gorbacev e la perestroika per il resto della loro esistenza e tanto meno di ricevere il premio di recessione e miseria per il contributo di sangue da essi preteso, prologo e corollario delle previste esequie del PCUS e, poco più tardi, dell'ingombrante e anacronistica Unione Sovietica. La sommossa popolare di Mosca doveva riprodurre il raccapriccio di Piazza Tienamen e Timisoara, del resto previsto dal cranio calcolatore di Milton Friedman, come effetto collaterale di una vasta manovra, tesa a introdurre l'economia di mercato in estremo Oriente, nell'Est europeo e nel paradiso perduto dei Soviet.

Come le proteste, cinese e romena, quella sollevata al cospetto del Kremlino chiedeva il rispetto che sarebbe stato giusto riconoscere al sacrificio di tre generazioni, disposte a patire fame e carestie e a farsi massacrare in pace e in guerra, ma riluttanti e certamente impreparate ad affrontare la forza d'urto del Capitalismo, quando questo volesse dire disoccupazione e perdita del potere d'acquisto della propria moneta. A tutto ciò si aggiungevano i frammenti di troppi sogni infranti e la convinzione che, tutto sommato, il rigore dispotico di Ceausescu, di Mao e Den Xiaoping e i "benefici" dell'economia pianificata, fossero preferibili a un futuro incerto, per quanto battuto qua e là da soffi di un presunto buon vento democratico.

Allora forse non sfiorava nemmeno le menti di Eltzin e del fido Putin (già pervase da tendenze mondialiste) il sospetto che non bastassero la Glasnost e una rinnovata Duma, né la messinscena di un colpo di stato, per convincere il popolo russo che la prospettiva di una formale indipendenza avrebbe scongiurato il pericolo di un'altra, meno visibile, tirannia. Di quest'ultima i dimostranti moscoviti sopportavano gli effetti, come l'inflazione al 23%, la mancanza di generi alimentari e di prima necessità, l'assenza assoluta di qualsiasi opportunità di lavoro, per cui diventava lecito mandare a quel paese Marx e la teoria del plusvalore.

A quel tempo nessuno si permise dir loro che l'assenza di lavoro crea condizioni di schiavismo e, nel migliore dei casi (secondo gli schemi del Capitalismo Finanziario), quelle del lavoro sottopagato, causa più tardi degli esodi in massa verso Occidente. Evidentemente ignari del fatto che dal 1990 si stavano riversando sulla Russia valanghe di rubli, per farne precipitare la già precaria economia, i russi si sarebbero trovati in mano moneta svalutata e quasi inservibile, senza sapere a chi attribuirne la colpa. Analoghi fenomeni si sarebbero contemporaneamente riscontrati, per citare due esempi, in Ucraina e in Kazakhstan, alle cui rispettive monete (Grivnie e Tenghé) fu riservata la stessa sorte.

L'Unione Sovietica, fra delusioni e sorprese, sarebbe anch'essa diventata… inservibile, perché si riteneva esaurita la carica persuasiva dell'utopia marxista e superflua la funzione che essa avrebbe svolto nel periodo della Guerra Fredda. Anche se reso, sulle prime, illeggibile dalla diffusa retorica del comunismo, destinata, in Russia e altrove, a ottenere il plauso e l'adesione di vaste masse popolari, il piano rivoluzionario proclamato da Marx in realtà avrebbe avuto altri scopi, più tardi emersi, quando sarebbe venuto a mancare il senso stesso di una missione politica dagli esiti improbabili e sempre più incerti. Sfumato anche il proposito di mantenere le promesse di una rivolta planetaria, condotta in nome e per conto di una mera astrazione, si sarebbero moltiplicati i dubbi di chi si chiedeva fin dall'inizio quale antropomorfa dittatura o più definibile sistema autoritario, avrebbe infine sostituito il Proletariato, chiarendo i ruoli di Lenin e dei Bolscevichi, i fini non dichiarati dei piani quinquennali e della stessa tirannia staliniana, propensa a espandere (malgrado le promesse) il sistema sovietico e il comunismo, col solo mezzo che rendesse possibile la realizzazione di un piano globale: la guerra. Lo stesso compito (assunto e dichiarato) di condurre una rivoluzione mondiale (permanente o progressiva?) non avrebbe ammesso, del resto, condizioni di pacifica convivenza, né escluso il sistematico ricorso allo scontro armato e alla guerra di aggressione, pretendendo di attribuire all'uno e all'altra quel valore morale che avrebbe trovato giustificazioni in un grandioso e troppo lungimirante progetto.

 

L'occupazione del territorio altrui, necessariamente connessa al piano di esportazione del comunismo, avrebbe anche previsto lo scaltro uso della guerra degli altri. La strategia adottata, in tal caso, sarebbe stata attendista: qualunque ne fosse stato l'esito, la guerra avrebbe indebolito le forze dei paesi belligeranti, facendone obiettivi delle mire sovietiche e terreno ideale per accendervi focolai rivoluzionari che facilitassero la successiva invasione dell'Armata Rossa.

La storia dell'URSS, fra orrori e repressioni, sembra essersi sviluppata intorno alla rigida segretezza che, oltre a pervaderne l'intera esistenza, avrebbe opportunamente nascosto un dato costante dei suoi bilanci economici dal '23 al '91: il primato assoluto delle spese per gli armamenti. Così si è venuto a sapere, non certo grazie alla glasnost, che la percentuale del prodotto interno lordo dell'Unione Sovietica, destinata alla fabbricazione e all'acquisto di armi, non è mai scesa, dal dopoguerra fino al suo (presunto) decesso, al di sotto del 35% (mentre il budget della "Difesa" degli Stati Uniti si è attestato su posizioni massime del 15%, anche nei tempi della guerra in Vietnam). Un primo "messaggio di pace" ai popoli della Terra lo avrebbero tuttavia lanciato Lenin nel '22 e Stalin nel 1927, quando quest'ultimo, mettendo in pratica le idee del predecessore, inaugurò i tre piani quinquennali (1927-1942) che avrebbero provocato in Unione Sovietica le carestie degli anni Venti e Trenta e portato le spese per gli armamenti a superare talvolta il 50% del PIL sovietico. Chi non credesse attendibili queste cifre, può chiederne conferma al russo Wladimir Rezun, alias Victor Suvorov, (già membro del Comitato Centrale del PCUS, funzionario dell'Intelligence sovietica ed esule, dal 1979, su più tranquille sponde), il quale, documenti di Crenlino e Lubianka alla mano, può provare che corrispondono al vero.

Se spetta ai teorici della cospirazione dimostrare che il ruolo dell'Unione Sovietica fu predisposto in anticipo, nella nota prospettiva di un probabile e futuro governo globale, sembra quanto meno plausibile rilevare l'evidente coincidenza e il modo curioso in cui il pensiero politico europeo, che pur vantava un secolare patrimonio di tradizioni liberali e socialiste, sia stato costretto a ricercare nuovi riferimenti, per superare quella crisi d'identità, probabilmente in gran parte dovuta alla decadenza di un sistema, ma non estranea, in definitiva, all'improvvisa (e, se si vuole, genericamente motivata) dichiarazione d'illegalità del PCUS e alla contemporanea implosione dell'URSS, nella fase conclusiva del critico triennio 1989-'91. Con ciò intendendo che il crollo dell'Unione Sovietica, avrebbe, fra altro, offerto chiare indicazioni di intervenute nuove esigenze, secondo cui sarebbe stato necessario orientare la classe politica europea (e italiana, in particolare) verso meno radicali posizioni, comunque tendenti al centrismo, più idonee a rappresentare un elettorato, evidentemente disposto ad approvare l'improvvisa fine delle tensioni fra Est e Ovest, quando questo non equivalesse a sopportare il peso di maggiori e più gravi inquietudini (quelli derivanti dal terrorismo internazionale) e a dover accogliere disagi e benefici dei cambiamenti che sarebbero avvenuti nel sistema finanziario-monetario europeo (Eurozona). Il che indurrebbe a supporre che il nuovo quadro politico europeo non sia solo il risultato di un compromesso, ma anche l'effetto di un disegno politico internazionale di vecchia data, teso ad avvalersi della polifunzionalità del Sistema Sovietico come strumento bellico (lo proverebbe lo stato di paura derivante dalla minaccia incombente di una guerra nucleare) e come modello economico che avrebbe previsto la costituzione in Europa di una società collettivista, ormai da tempo abituata a rinunciare alla propria sovranità nazionale e monetaria. Da quanto precede si può presumere che ascesa e rovina dell'Unione Sovietica siano prove, se non dell'esistenza di un piano mondialista, di un qualcosa a questo molto simile, se è vero che, nella sua esecuzione, sarebbero stati previsti: il determinante sostegno finanziario da parte di banchieri newyorkesi alla rivoluzione bolscevica nel 1917, la costituzione dell'Unione Sovietica nel 1922, il sostanziale mutamento geopolitico determinato dalla Seconda Guerra Mondiale, che l'Unione Sovietica, avrebbe contribuito in modo decisivo a scatenare, gli aiuti economici ininterrotti all'Unione Sovietica elargiti dagli Stati Uniti fino all'agosto del 1991.

 

Il Complotto

L'ebreo Myron C. Fagan, già membro dell'Organizzazione Sionista Mondiale, commediografo, produttore e regista nella Hollywood degli anni d'oro, in una intervista rilasciata nel 1967 e quasi ignorata dai media americani e internazionali, spiega come e perché l'URSS sarebbe nata per volere e con il sostegno del pool di banche internazionali coordinato dal Gruppo Rothschild-Rockefeller. L'ipotesi, oggi ampiamente condivisa, trarrebbe determinante sostegno dall'analisi retrospettiva che ci propongono autori, come Anthony Sutton (Wall Street and The Bolshevik Revolution), Benjamin Freedman (Zionism -The Hidden Tyranny), Francis Neilson (The Makers of War), Juri Lina (Under The Sign Of The Scorpion), Gary Allen (None Dare Call It Conspiracy), Carroll Quigley (Tragedy and Hope), oltre al già citato Victor Suvorov (The Icebreaker). Le indagini da essi condotte permettono di stabilire con buone ragioni che all'inizio del secolo scorso negli ambienti finanziari newyorkesi furono prese iniziative al fine di pervenire al controllo politico ed economico di una vasta area del Pianeta, nella quale avrebbero trovato giustificazione gli ideali marxisti e il regime idoneo ad imporli al suo interno nonché ad espanderli, nella prospettiva di una costituenda società globale non classista. La realizzazione di questo progetto sarebbe stata direttamente connessa con la fondazione dello Stato di Israele, quando, nel pieno corso della Prima Guerra Mondiale, sarebbero stati decisi e scrupolosamente programmati i futuri esodi, dall'Europa centro-orientale, degli ebrei in Palestina (utili riferimenti sull'argomento sono reperibili nell'opera di Leonid Mlecin dal titolo "Perché Stalin Creò Israele", Mosca 2008)

Per comprendere tuttavia le ragioni della costituzione dell'Unione Sovietica e il ruolo da essa svolto, occorre, secondo Myron Fagan (citato), risalire al 1890, anno in cui nella Russia Zarista avviene qualcosa di atroce e inaspettato che sconvolgerà la politica e l'economia mondiali dell'intero XX Secolo.

Negli anni conclusivi del XIX secolo, una serie impressionante di "pogrom" sconvolge la Russia. Nelle città e nelle campagne si organizza una vera e propria caccia all'ebreo. Squadre di Cosacchi a cavallo, ai quali si uniscono popolani locali, ingaggiati allo scopo, massacrano sistematicamente per intere settimane, migliaia di uomini, donne e bambini ebrei. Il bilancio dell'eccidio dopo due mesi è agghiacciante, oltre diecimila morti. I sopravvissuti trovano rifugio nei centri costituiti col sostegno finanziario di Jacob Schiff, banchiere ebreo, agente dei Rothschilds, emigrato a New York. Costui, sionista e fondatore fra l'altro della Anti Defamation League (ADL), sembra spinto da sentimenti umanitari e allestisce centri di raccolta per gli scampati al pogrom. In realtà ha il compito di costringerli a emigrare negli Stati Uniti. L'ordine in tal senso gli è impartito da Leopold Rothschilds, che del massacro sarebbe stato anche il promotore. Nel giro di pochi mesi si prepara l'esodo di trecentomila ebrei russi, imbarcati nel porto di Odessa su navi che prendono le rotte atlantiche, destinazione New York. Ai profughi ebrei, appena giunti dalla Russia negli Stati Uniti, è immediatamente concessa la cittadinanza americana, a condizione che le loro preferenze elettorali siano dirette al partito democratico, affinché possano formare un sicuro blocco di elettori che permetterà poi di mandare al Congresso, deputati graditi all'American Jewish Council. Secondo Fagan, lo scopo dei pogrom sarebbe evidente e intuibili i motivi, fra gli altri, di quella che più tardi prenderà il nome di Shohà. L'esodo di ebrei russi verso il Nord America continua nella prima decade del secolo scorso, incrementando il numero del blocco democratico, che al momento opportuno servirà fra l'altro a interrompere il malaugurato dominio dei repubblicani alla Casa Bianca, che dal 1897 intralcia non poco l'auspicata riforma monetaria degli Stati Uniti.

Il momento atteso arriva, grazie alle manovre di Paul Warburg, banchiere tedesco, agente Rothschilds, da poco naturalizzato americano, che convince la folta schiera di emigrati germanici a unirsi al blocco di profughi ebrei-russi, per sostenere il candidato democratico alla Presidenza, Woodrow Wilson, il quale, una volta eletto Presidente, si affretterà a varare il Vreeland-Aldrich Act, legge che istituisce il Federal Reserve System.

 

Woodrow Wilson

 

Intanto scoppia la Prima Guerra Mondiale, ma siamo solo agli inizi. Al Presidente Wilson sono assegnati altri delicatissimi e fondamentali compiti, come minimo tre, che egli dovrà puntualmente svolgere, per creare nell'Europa in guerra le condizioni favorevoli all'instaurazione di un sistema monetario, sperimentato con successo negli Stati Uniti. L'obiettivo è nel medio termine, ma per raggiungerlo occorre dichiararsi disposto a perseguirne altri, più immediati e congeniali al ruolo profetico della liberaldemocrazia, cui spetta, sul piano politico almeno, il vasto consenso popolare e il successivo godimento degli effetti della "pax americana".

Quel che si ignora nella circostanza è che la Casa Bianca è fra l'altro un luogo, nel quale si tiene una contabilità particolare, come ci spiega Benjamin Freedman nel già citato "The Hidden Tyranny", cioè quella relativa al debito del Presidente in carica nei confronti del Comitato elettorale, grazie al quale è stato eletto. Il Capo della Casa Bianca sarebbe quasi sempre obbligato a estinguerlo nella sola moneta che un certo generico Gruppo Talmudista, meglio identificato nel World Jewish Council, intende essere ripagato, ed equivale precisamente alla rinuncia all'autonomia e indipendenza che il ruolo di Presidente prevede. Woodrow Wilson in pratica dovrà prendere decisioni politiche di enorme portata internazionale, seguendo le indicazioni del suddetto Gruppo Talmudista, rappresentato da due personaggi, meno noti negli ambienti politici dell'epoca, ma decisamente influenti: il Colonnello Edward Mandel House, (già legato all'industria cotoniera dei Rothschild e da questi imposto in qualità di consigliere del Presidente americano) e l'Avvocato Samuel Untermeyer, miliardario ebreo e socio del potentissimo Studio Legale newyorkese, Guggenheim-Untermeyer-Marshall, in acerrima concorrenza con Sullivan & Cromwell degli antisemiti fratelli Foster e Allen Dulles.

 

Samuel Untermeyer

 

Mandell House e Untermeyer avranno il compito di suggerire al Presidente le decisioni che egli dovrà prendere che, in dettaglio sono le seguenti: fare in modo che il Congresso approvi la dichiarazione di guerra alla Germania da parte degli Stati Uniti (aprile del 1917), agevolare l'operazione di finanziamento di 20 milioni di dollari in oro a favore dei Rivoluzionari Bolscevichi (operazione ordinata da Jacob Schiff, in stretta collaborazione con Casa Rothschilds che, a sua volta, guida il Sistema delle Banche Internazionali), favorire in ogni modo le manovre previste dal segreto London Agreement del '16, fra cui quelle promosse da Lord Walter Rothschilds, in relazione alla costituzione di uno Stato ebraico in Palestina, e richiamate nella Dichiarazione del Ministro degli Esteri britannico, Lord Arthur Balfour (2 novembre 1917).

 

 

Non sembra poco!

Ma il bello deve ancora venire. I due personaggi sopra descritti guidano la delegazione degli Stati Uniti alla Conferenza di Pace di Parigi nel 1919 e imbastiscono il gran pasticcio di Versailles, per il quale il Presidente Wilson verrà celebrato a futura memoria storica; nell'occasione impongono a quest'ultimo di proclamare l'istituzione di un organismo internazionale a tutela della pace, la Società delle Nazioni con sede a Ginevra (da allora detta anche Lake Success), e di definire arbitrariamente i confini d'Europa, applicando criteri che predisporranno precisamente alla guerra. Lloyd George e Daladier esultano alla proclamazione di condanna a morte dell'eterna nemica, la Germania, doppiamente tradita e offesa, perché fu proprio la Germania fin dal 1916 quella che offrì ripetutamente la pace a Gran Bretagna e Francia, senza nulla pretendere. L'Italia non prova rimorsi e piange i suoi caduti, anche se, con sommo disappunto del Re, dovrà ritenersi vittima dell'inganno (il patto di Londra non è riconosciuto da Woodrow Wilson) e dei debiti del Savoia con Casa Rothschild. La Gran Bretagna, pur vittoriosa in guerra, dovrà presto constatare la malaugurata coincidenza dell'irreversibile processo di decadenza, politica ed economica, nel quale sarebbe stata coinvolta, con la perdita di uno dei suoi migliori clienti nel mercato degli scambi internazionali: la Germania del Kaiser.

Il Gruppo Talmudista, promuove attraverso la Federal Reserve Bank di New York i piani Dawes e Young per il pagamento delle riparazioni di guerra imposto alla Germania, nella quale imperversa l'inflazione a quote iperboliche e sonnecchia il governo di Weimar, disattento alla continua predazione del patrimonio pubblico tedesco ad opera di Wall Street, che ingordamente specula sul capitale della Reichbank, posseduto interamente da privati.

In Italia molti protestano, celebrando la vittoria mutilata. Fra questi, qualcuno decide di farsi portavoce del popolo, stanco di sopportare orrori e sventure della guerra, fame e privazioni, insieme al peso dell'incertezza nel proprio avvenire. In Russia si registra il primo effetto della rivoluzione bolscevica e dell'economia collettiva sovietica: tre milioni di morti, bilancio provvisorio della carestia del 1921/23.

 

L'antisemitismo di Henry Ford

Nel giugno del 1919, Henry Ford, magnate dell'industria automobilistica americana, promuove una campagna di stampa tesa a dimostrare che il deterioramento del sistema monetario degli Stati Uniti sarebbe stato determinato dalle manovre politiche della Finanza Ebraica, rea, secondo Ford, di aver causato, fra l'altro, lo scoppio della Prima Guerra Mondiale.

A tal fine, il noto industriale acquista il "Dearborn Independent", settimanale conservatore del Michigan, sul quale pubblica una serie di articoli, di cui si attribuisce la paternità, dal titolo: "The International Jew: The World Foremost Problem". Ford decide, nell'occasione, di rendere di pubblico dominio gran parte dei "Protocolli dei Savi di Sion". Il "Dearborn Independent", registra, dopo la prima pubblicazione, un sorprendente aumento delle vendite (900.000 copie, cifra ragguardevole per un periodico di provincia), anche perché i lettori dimostrano particolare interesse per gli sviluppi del processo per diffamazione a mezzo stampa, immediatamente promosso dalla Anti Defamation League contro Ford e il direttore responsabile del settimanale. Il caso fa scalpore, vista la popolarità di Ford e l'argomento trattato, non solo negli Stati Uniti, ma anche in Europa e in particolare in Germania. Gli articoli pubblicati sul "Dearborn" con la firma di Henry Ford, sono presto tradotti in tedesco e formano il contenuto di un libro,"Der Internationale Jude - Ein Weltproblem", pubblicato a Lipsia nel 1922 dalla Sammer-Berlag, che diverrà fedele "compagno di prigionia" di Adolf Hitler. Durante la sua permanenza nella prigione di Landsberg nel 1924, infatti il futuro Cancelliere e Fuhrer della Germania Nazista studierà ogni riga del libro, a questo ispirandosi per la stesura di Mein Kampf.

Il "Dearborn Independent" avrà comunque breve vita. Nel 1927 un decreto del tribunale del Michigan costringerà Henry Ford a chiudere il settimanale e a smentire quanto avrebbe affermato negli articoli a lui stesso attribuiti, vista anche la massiccia reazione del "Times" di Londra e di gran parte della stampa americana, notoriamente sotto il controllo del World Jewish Congress. Basta ricordare, a proposito dell'influenza che il libro avrebbe esercitato su Adolf Hitler e il Nazismo, il conferimento da parte del Fuhrer della Gran Croce dell'Aquila Germanica a Henry Ford nel luglio del 1938, in occasione del 75° compleanno dell'industriale americano.

La vicenda, subito interpretata secondo diverse logiche, avrebbe creato serio imbarazzo nella storiografia ufficiale, propensa a ritenerla degna di una rapida archiviazione e comunque non idonea alle nitide rappresentazioni del liberalismo democratico americano che già allora si stavano allestendo. A meno affrettate conclusioni sarebbe invece giunto chi avesse inteso trarre dall'antisemitismo di Ford indicazioni utili a chiarire un secolare dubbio: se cioè con antisemitismo fosse giusto intendere una generale e incondizionata ostilità verso un popolo e una razza, oppure una giustificata critica contro l'operato di un'élite finanziaria.

Questa ragionevole distinzione avrebbe permesso di evitare grossi equivoci, se la Lega Antidiffamazione non avesse avuto interesse a imporre il classico bavaglio a un periodico di provincia che avesse pubblicato notizie non vere e suscettibili di inspiegabile smentita. E avrebbe forse ancora permesso di scongiurare enormi tragedie, se la comunità ebraica non fosse stata costretta a trasformarsi in strumento di potere e infine se Hitler e lo stesso Untermeyer non avessero commesso il grossolano e imperdonabile errore di coinvolgere un popolo innocente. Vale la pena ricordare che in Germania restò in vigore, ben oltre l'ascesa al potere di Hitler, la legge di emancipazione del 1822 che attribuiva agli ebrei germanici gli stessi diritti dei cittadini tedeschi.

 

il World Jewish Congress dichiara guerra alla Germania Nazista

 

Secondo Benjamin Freedman, Untermeyer si sarebbe reso protagonista nel 1933, di una spettacolare campagna antitedesca (che egli stesso avrebbe promosso per conto del World Jewish Congress, assumendo compito analogo a quello svolto nel 1916) sfociata di lì a poco (aprile 1933) nella dichiarazione della guerra santa (boicottaggio di merci e prodotti tedeschi) contro l'autonoma "economia del baratto" che la Germania Nazista si accingeva ad adottare. La dichiarazione di guerra sarebbe stata motivata da un presunto atteggiamento vessatorio del regime nei confronti della comunità ebraica tedesca (peraltro ripetutamente smentito da organismi rappresentativi degli ebrei tedeschi e dalla Croce Rossa Internazionale).

Un'onesta analisi dei fatti avrebbe più tardi consentito, secondo Freedman, non solo di intuire le cause della reazione nazista che avrebbero poi innescato l'odio antiebraico e la fase persecutoria vera e propria, ma anche di meglio precisare gli obiettivi che l'Untermeier, e il Gruppo Talmudista, avrebbero inteso perseguire. Nell'elencarli, è forse il caso di rilevarne il principale: indurre Hitler a convertire l'economia del Reich in economia bellica (il probabile disastro economico provocato dal boicottaggio poteva costituire, in altre circostanze, un casus belli?!). Fra l'altro, la guerra santa di Untermeier avrebbe avuto lo scopo di contrastare la valanga di partecipazioni americane al capitale della tedesca I. G. Farben e relative consociate; promuovere un esodo in massa di ebrei tedeschi in Palestina; provocare il crollo delle esportazioni tedesche, (nel quadro di un piano concordato tra Francia e Gran Bretagna, che vedevano nella rinascente Germania un pericoloso concorrente nei settori tecnologico, commerciale e dei trasporti marittimi); e infine evitare che altri Paesi europei, seguendo l'esempio del Reich, si sganciassero dai vincoli dell'intermediazione bancaria, anche allora pretesa dal sistema dei cambi e delle transazioni valutarie internazionali, imposto dal ramo bancario del Gruppo Rothschild-Rockefeller e ben rappresentato nel Federal Reserve System.

Anche se non si può escludere che l'Untermeyer, azionista di maggioranza della Bethlehem Steel Company, (già fortemente interessato all'ingresso degli States nel primo conflitto) non intendesse trasformare al più presto la guerra economica giudaica in una guerra vera e propria, combattuta sul campo, previsto con largo anticipo a Versailles: quello che, nel gergo delle diplomazie segrete, già aveva assunto il nome di "Trappola Polacca".

 

Gian Paolo Pucciarelli      

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