Italia - Repubblica - Socializzazione

 

da Archivio Guerra Politica  

http://www.archivioguerrapolitica.org/?p=2662

      (27/9/2012)

 

Il "principe nero"

 

Vincenzo Vinciguerra (Opera, 22 settembre 2012)  

 

la NOTA di Maurizio Barozzi

 

Il saggio di Vincenzo Vinciguerra: "Il Principe Nero", qui appresso riportato e ripreso dall'ottimo sito Archivio Guerra Politica (http://www.archivioguerrapolitica.org/?p=2662) è una eccellente rievocazione del profilo storico e politico di Valerio Borghese il cosiddetto "principe nero" (nero forse per i connubi con l'aristocrazia pretesca, non certo per una sua dimensione e valenza di fascista).

Il saggio aiuta a far chiarezza nella storia del nostro paese, inculcando a martellate nella testa di certe persone quelli che sono i fatti oggettivi, evidenti e le malefatte di quanti si sono spacciati per fascisti o vicini al fascismo o comunque tali sono stati ritenuti da un ambiente che in molti casi definire "ingenuo" è riduttivo.

Non c'è dubbio che noi per inclinazioni naturali, forma mentis e convinzioni ideologiche, abbiamo sempre ammirato e considerato i valori eroici e combattentistici superiori alle qualità intellettuali. Di conseguenza non possiamo che inchinarci alle imprese belliche di Valerio Borghese ed alla sua figura di combattente, tra l'altro uno dei pochi che fece seriamente la guerra agli inglesi.

Ma queste doti, questi valori, non possono assolvere tutto il resto, non possono farci solidarizzare con chi, da un certo momento in poi si è prodigato con ambienti e con politiche che non soltanto non hanno nulla a che vedere con il fascismo, ma che soprattutto erano funzionali agli interessi dei nostri colonizzatori.

Quindi, a parte l'ambiguo comportamento di Borghese durante la RSI, per il suo ruolo svolto nel dopoguerra, per NOI Borghese è un nemico, un agente nemico dell'Occidente americanizzato e giudaizzato e come tale va trattato!

Purtroppo la politica ha una forte portata emotiva, intrisa di risvolti sentimentali, come ben sanno tutti quei farabutti che con la politica e il raggiro dei gonzi e degli ingenui ci fanno affari e commercio di voti, di conseguenza rimuovere questi orpelli e convincere la gente di come effettivamente stanno le cose non è un impresa da poco, nè da potersi esaudire in pochi anni.

Riguardo a Borghese chissà come sarebbero cambiate le cose se durante la RSI il colonnello F. Albonetti (prefetto di palazzo a Villa Feltrinelli fino alla destituzione di Renato Ricci da Comandante generale della GNR), appurati gli strani connubi tra questi e gli emissari dell'ammiraglio badogliano De Curten, dopo averlo catturato paventò seriamente di fucilarlo. Come sappiamo, invece, Mussolini si limitò a farlo sorvegliare, al fine di valersene come fonte di notizie riguardanti il Governo del Sud.

Purtroppo Mussolini doveva anche tener conto non solo dei rapporti di forza che gli impedivano di sostenere uno scontro con gli uomini di Borghese, poi del prestigio della X Mas per la sua Repubblica che non poteva essere incrinato da una impopolare fucilazione di Borghese, infine degli interessi dei tedeschi i quali agivano solo in base alla loro economia di guerra. Il risultato fu che la sera del 25 aprile quando Mussolini lasciò Milano e diede a tutti appuntamento per la mattina a Como, Borghese si guardò bene di seguirlo.

Vincenzo Vinciguerra, in questo profilo di Valerio Borghese, ha sorvolato su alcuni aspetti, che pur in altri suoi scritti aveva accennato.

Vogliamo ricordarli noi perchè alcuni di questi sono aspetti che mettono in relazione Borghese con la Federazione Nazionale Combattenti della RSI, quella associazione autenticamente fascista che nel corso della sua esistenza si è battuta per il patrimonio socialista della RSI, contro la NATO e contro gli USA, senza alcuna remora o esitazione e che ha sempre invitato gli ex combattenti a stare alla larga da quel partito di fatto autenticamente antifascista che era il MSI.

Noi avremmo anche ritenuto opportuno ricostruire o rievocare, in questo saggio, tanti altri maneggi di Borghese a partire dall'immediato dopoguerra, quelle collusioni con i servizi occidentali che portarono alcuni suoi uomini a collaborare con gli Americani nelle loro strategie siciliane, un area geografica in quel momento importantissima per gli USA, e quindi con le realtà mafiose.

Noi non sappiamo e non abbiamo elementi precisi, per condividere alcune ricerche di storici di sinistra, per esempio Giuseppe Casarubbea, quelle che indicano gli uomini di Borghese sparare sul popolo che manifestava per la festa del 1 maggio 1947 a Portella della Ginestra. Se così fosse stato questi infami avrebbero meritato di essere fucilati alla schiena. Ma anche se non sono arrivati a tanto, di certo ci sono elementi per stabilire varie collusioni con l'OSS americano, le cosche mafiose e le consorterie massoniche. E tanto basta.

L'apporto dato dagli uomini di Borghese alla nascente marina israeliana è altresì comprovato e si parla di un ufficiale della Decima Mas, il missista Fiorenzo Capriotti, che con un gruppo di incursori israeliani, affondarono a Gaza la nave ammiraglia egiziana "El Mir Farouk", il 22 ottobre 1948. Un operazione dietro la quale c'erano il capitano di vascello Agostino Calosi e Junio Valerio Borghese.

Non è un segreto che gli uomini di Junio Valerio Borghese nel dopoguerra venivano da questi diretti anche dalla sua prigionia, in perfetta simbiosi con il servizio segreto della Marina militare agli ordini del capitano di vascello Agostino Calosi.

Proprio Vinciguerra ebbe a ricordare: «Non meraviglia, quindi, che Sergio Nesi, ufficiale della Decima Mas, già il 25 aprile 1945 firmi con gli americani l'impegno a riprendere le armi nel caso di una guerra contro l'Unione Sovietica, né che Tullio Abelli, anch'egli ex appartenente alla Decima Mas, sia trovato dalla polizia, a Torino, il 28 ottobre 1946, "in possesso di un documento rilasciatogli dalla 315 Field Security section intelligence corps che attesta la sua qualifica di informatore della polizia alleata". Abelli sarà uno dei fondatori del MSI a Torino e diverrà vicesegretario nazionale del partito. La prova che, nel massimo segreto, gli alleati non considerino Pino Romualdi, Junio Valerio Borghese e compagni come "fascisti", lo dimostra il fatto che a fornire l'esplosivo agli israeliani per compiere un attentato contro l'ambasciata britannica a Roma, il 31 ottobre 1946, sarà Pino Romualdi. È dubbio che gli israeliani stabilissero rapporti con l'ex vicesegretario nazionale del Partito fascista repubblicano, se non avessero avuto sul suo conto prove sufficienti della sua lealtà alla sua causa antifascista, maturate nel corso del biennio 1943-1945».

Del resto i rapporti di Borghese con gli israeliani continuarono fino alla sua morte, nel 1974.

Per quanto riguarda i rapporti di Borghese con la Federazione Nazionale Combattenti della RSI, bisogna partire dal fatto che fin dalla sua costituzione questa grandiosa associazione, non soltanto di reduci, ma di veri fascisti, per evidenti ragioni di prestigio e di proselitismo tendeva a dare la Presidenza a figure di grande prestigio del combattentismo repubblicano. Tra queste ovviamente Rodolfo Graziani e Valerio Borghese.

Ma la FNCRSI era anche impegnata nella affermazione di certi princìpi ideali e presupposti politici, tanto che avendo individuato nelle elezioni di questo regime democratico la causa prima della devianza e della degenerazione, se non corruzione di molti ex fascisti, oltre a non condividere un tipo di politica da portare avanti con le elezioni, invitava i suoi iscritti a votare scheda bianco oppure ad astenersi.

E su queste indicazioni non si poteva transigere.

Accadde ora che Valerio Borghese, nella primavera del 1958, in quel momento Presidente della FNCRSI, intese fare un "regalo" al suo amico Franz Turchi, ex Prefetto RSI a La Spezia, ed ora agiato senatore missista, fondatore del "Secolo d'Italia", il giornale para missista che ben presto divenne la voce degli atlantici e dei conservatori in Italia.

Turchi infatti portava nel collegio abruzzese suo figlio Luigi, quale candidato alla Camera dei Deputati. Una squallida storia di "missismo elettorale", e Borghese pensò bene di sponsorizzarne la candidatura dalle pagine del giornale missista (per gli immemori si riporta la prima pagina del Secolo d'Italia qui a seguire allegata).

Lo strappo di Borghese creò ovviamente veementi proteste da parte dei combattenti fascisti, anche se non mancavano i soliti coglioni disposti a passarci sopra.

Fatto sta che alcuni mesi dopo, nel 1959, Valerio Borghese venne espulso per indegnità dalla FNCRSI.

Il nostro ovviamente non si arrese e pensò bene di fondare una associazione alternativa alla FNCRSI, che prese il nome di Unione Nazionale Combattenti della RSI, UNCRSI.

Dotati di ampi mezzi economici, l'UNCRSI aprì varie sedi, e ben presto si cimentò nel ruolo che per lei era stato ritagliato: una associazione di puro reducismo, intenta a rivendicare pensioni, a celebrare messe e cerimonie, ed ovviamente a sostenere il MSI, nelle sue voracità elettorali. Un percorso veramente penoso.

Le strade di Borghese e della FNCRSI da quel momento si separarono definitivamente e del resto la politica di questo ex, oramai veramente ex, combattente, mai stato fascista, era la politica della reazione, degli atlantici e quindi dei nemici irriducibili del fascismo.

Nel 1968, come anche accennato nel saggio di Vinciguerra, Borghese costituì il Fronte Nazionale di cui non vale la pena parlare visto che è più che altro cronaca relativa agli infami anni della strategia della tensione.

E chiudiamo riportando integralmente come descrisse questo Fronte Nazionale, la FNCRSI attraverso le pagine del suo Bollettino, il N. 5 dell'ottobre 1970:

«Poiché molti camerati si sono rivolti a noi per saperne qualcosa, rispondiamo a tutti in unica soluzione. Il fantomatico schieramento, al quale è stata imposta l'ampollosa denominazione di "Fronte", è sorto dalle ceneri dei comitati tricolore, pateracchio paragovernativo, sfasciatosi dopo la ridicola marcia su Bolzano di qualche anno addietro. Si tratta, in sostanza, di un fronte di cartapesta, che si regge (non si sa fino a quando) a suon di ottima carta moneta.

Portatore di nessuna idea, né vecchia né nuova, esso vorrebbe riesumare uomini ed ambienti logori e squalificati, nel tentativo di allestire un contraltare all'attuale classe dirigente.

Siffatto coacervo di interessi, di velleitarismi e di mal sopite libidini di potere raccoglierebbe adesioni nei più disparati ambienti: da certo social-pussismo, a certi ambienti curialeschi, al solito comandante, ai residui circoli monarchici, al MSI ed alle sue organizzazioni parallele, alle varie avanguardie, gli ordini nuovi, le vere italie, certi militari a riposo, una certa loggia; sarebbe nelle grazie di non poche cosche mafiose e della destra DC. Gli sarebbe stato assegnato il ruolo di sobillatore e coordinare il malcontento popolare allo scopo di predisporre la giustificazione ad un eventuale colpo di stato a favore di quelle forze conservatrici che ostacolarono i programmi sociali del ventennio fascista e che crearono, al tempo della RSI la cosiddetta resistenza che oggi pompano a copertura dei propri interessi. E le stelle -come farebbero gli agenti della CIA e del KGB- stanno a guardare. L'iniziativa -che non può ovviamente avere nulla a che fare con il Fascismo- ha galvanizzato numerosi ex fascisti da tempo abbandonati a se stessi in quanto ormai idealmente logori e sfiduciati e pronti quindi ad abbracciare l'ignobile professione dei lazzari. Sarà certamente l'ultima loro lazzaronata; l'iniziativa infatti è destinata ad abortire per intrinseca incapacità politica degli eterogenei ispiratori e propugnatori.

Ove però, per una eccezionale quanto improbabile concomitanza di interessi interni ed esterni, il "Fronte" riuscisse a dare qualche frutto, questo risulterebbe più antifascista del sistema attuale. Starsene lontani quindi, oltre che ad una imprescindibile opportunità politica, risponderebbe ad un preciso imperativo morale».

Maurizio Barozzi

 

"Secolo d'Italia" del 23 maggio 1958

 

Fino alla data dell'8 settembre 1943, il capitano di fregata Junio Valerio Borghese era un eroe di guerra, decorato di medaglia d'oro al valor militare, comandante del reparto più segreto delle Forze armate: la Decima Flottiglia Mas.

Da quel giorno, per tutti gli anni a venire fino alla sua morte avvenuta a Cadice il 26 agosto 1974, l'Italia perde un ufficiale della Marina militare e acquista un uomo politico che vive nell'illusione di possedere il carisma e la capacità di guidare il Paese.

Borghese però non ha programmi né ideologie. Non è fascista e nemmeno antifascista. È un militare di grande coraggio fisico e di eccezionali capacità professionali che appartiene alla propria casta, quella degli aristocratici per i quali il bene della Nazione riposa sul rispetto dell'ordine pubblico e delle gerarchie politiche e sociali.

È un liberale che si nutre di anticomunismo, il nemico capace di sovvertire l'ordine sociale in nome e per conto dell'Unione Sovietica di cui il Partito comunista è il braccio politico e, all'occorrenza, militare sul territorio nazionale, la "quinta colonna" composta dai "senza patria" e dai "senza dio".

Per un uomo che crede in Dio, nella Patria e nella famiglia, il comunismo rappresenta la negazione di tutti i valori, la minaccia da sventare ad ogni costo.

E quella contro il bolscevismo ateo e sovversivo sarà la battaglia alla quale Junio Valerio Borghese dedicherà la sua esistenza ritenendo di poter riunire sotto la sua guida uomini di diverse ideologie, senza mai rendersi conto che il regime politico al quale aveva aderito senza riserve lo avrebbe utilizzato come una pedina da accantonare quando e come se ne fosse presentata la necessità.

Il "principe nero" in realtà non ha mai aderito, se non in maniera formale, alla Repubblica Sociale Italiana.

L'8 settembre 1943 lo coglie impreparato nel suo comando a La Spezia. L'armistizio rappresenta per lui, come per ogni altro, una pugnalata alla schiena per l'alleato germanico, un venire meno all'onore che impone ai singoli ed ai popoli di non tradire chi combatte a loro fianco, venendo meno alla parola data.

Non è possibile sapere cosa avrebbe fatto Junio Valerio Borghese se l'armistizio lo avesse colto nei territori già occupati dagli anglo-americani, ma è certo che non ha mai condannato l'adesione al Regno del Sud da parte degli ufficiali delle Forze armate per i quali il giuramento prestato a Casa Savoia era preminente sul rispetto dell'onore militare. È un dato di fatto.

Il capitano di fregata Junio Valerio Borghese non riconosce come legittimo il governo guidato da Benito Mussolini.

Il 14 settembre 1943, due giorni dopo la liberazione di Mussolini dal Gran Sasso, Borghese firma, a La Spezia, con il tenente di vascello Max Berninghaus, rappresentante della Marina militare tedesca, un accordo che riconosce la Decima Mas «alleata delle FF.AA. germaniche con parità di diritti e di doveri», ai suoi uomini è riconosciuto il «diritto all'uso di ogni arma», ed «il comandante Borghese ne è il capo riconosciuto con i diritti e i doveri inerenti a tale incarico».

Nell'accordo, infine, si precisa che la Decima Flottiglia Mas dipende, per l'impiego operativo, «dal comando della Marina germanica».

Il 24 settembre 1943, a Berlino, l'ammiraglio Karl Doenitz riceve Junio Valerio Borghese e il comandante Enzo Grossi. Benito Mussolini riceverà entrambi il 6 ottobre 1943.

Il rapporto con il governo della Repubblica Sociale e i vertici del partito fascista repubblicano non sarà mai improntato da parte di Junio Valerio Borghese alla lealtà.

Non è fascista, non è repubblicano, non accetta la disciplina delle Forze armate della RSI, è insofferente al comando del generale Rodolfo Graziani.

Borghese vuole agire come un antico capitano di ventura che, con la sua milizia, si è schierato con i tedeschi per ragioni attinenti esclusivamente all'onore militare.

L'11 dicembre 1943 la Guardia nazionale repubblicana redige una nota, indirizzata personalmente a Benito Mussolini, in cui denuncia le ambizioni ed i comportamenti politicamente poco ortodossi del comandante Junio Valerio Borghese.

Il nazionalismo non è un'ideologia, ma scaturisce dal senso di appartenenza ad un popolo e ad una terra, quindi Junio Valerio Borghese, che non ha ideologie né ideali politici, si sente autorizzato ad agire come meglio crede per la difesa dell'Italia presente e futura.

Così, nello stesso mese di dicembre del 1943, riceve il sottotenente di vascello Ezio Bortolotti che lo informa del progressivo processo di germanizzazione in atto in Alto Adige che i locali partigiani non hanno nulla contro il governo di Salò: «vogliono soltanto che nel caso di un crollo dello schieramento germanico a Bolzano sventoli la bandiera tricolore e che quelle terre rimangano italiane anche negli anni a venire» - e che s'impegni a rifornirli di armi da usare contro i tedeschi. E manterrà la promessa.

Il 10 gennaio 1944 Junio Valerio Borghese, con significativo ritardo, giura fedeltà alla Repubblica Sociale, ma tradirà il suo impegno.

Il giuramento, difatti, è un atto motivato dalla necessità di mantenere il comando della Decima che il governo repubblicano ha deciso di togliergli.

Il giorno precedente, 9 gennaio 1944, a La Spezia, gli ufficiali della Decima avevano arrestato il capitano di vascello Nicola Bedeschi e il capitano di fregata Gaetano Tortora che il sottosegretario alla Marina, Ferruccio Ferrini, aveva inviato con l'incarico di assumere il comando dell'unità esautorando Junio Valerio Borghese.

Il giuramento di fedeltà alla RSI del 10 gennaio appare, di conseguenza, un tentativo per scongiurare la reazione del governo repubblicano dinanzi ad un atto di insubordinazione che non poteva essere tollerato.

Il 13 gennaio Borghese, convocato a Gargnano, viene arrestato su ordine personale di Benito Mussolini, ma la Decima è ormai una realtà militare dalla quale non si può prescindere e, dinanzi all'impossibilità di reprimere la rivolta degli ufficiali e dei marò, il Duce dispone la remissione in libertà del suo capo ed il suo reintegro nel comando.

La personale guerra del capitano di fregata Junio Valerio Borghese può ora proseguire, senza incontrare altri ostacoli.

A differenza dei fascisti repubblicani, Borghese non è un nemico della borghesia: nel mese di marzo del 1944 Vittorio Valletta gli chiede di distaccare un reparto della Decima a protezione degli stabilimenti della Fiat a Torino, e il comandante acconsente.

Il 1° maggio 1944 è ufficialmente costituita le divisione di fanteria di marina "Decima", al comando di Junio Valerio Borghese che nomina suo vicecomandante il tenente colonnello Luigi Carallo.

È storia nota perché gli stessi protagonisti se ne faranno merito e vanto nel dopoguerra, che Junio Valerio Borghese mantiene costanti rapporti con gli uomini del servizio segreto della Marina militare del Regno del Sud mandati in missione al nord, proteggendoli dai fascisti e dai tedeschi che vorrebbero arrestarli.

Con i "badogliani", Junio Valerio Borghese tratta e trama in nome dell'interesse dell'Italia del dopoguerra alla quale si rivolge il suo pensiero perché ormai convinto che per la Germania la sconfitta sia inevitabile.

La sua lealtà nei confronti dei tedeschi è dubbia.

Il 15 aprile 1944 ufficiali della Decima s'impadroniscono di un mezzo navale germanico che renderanno solo dopo l'intervento della polizia militare tedesca.

Quello stesso giorno, il diario del Comando navale germanico segnala:

«Gli italiani stanno facendo tutto il possibile per bloccare gli sforzi tedeschi per rivitalizzare i reparti dei mezzi d'assalto».

Non sono i soli, i tedeschi, a nutrire legittimi dubbi sulla fedeltà alla RSI del principe Junio Valerio Borghese.

Il 2 agosto 1944, il capo della provincia di Torino invia a Benito Mussolini un rapporto sul conto di Junio Valerio Borghese:

«Il comandante Borghese effettua guerra indipendente et incurante operazioni belliche germaniche provincia Aosta creando serie difficoltà. Secondo comando germanico principe Borghese aveva tentato farsi riservare fascia confine svizzero senza collegamento alcuno con altre forze italiane e germaniche. Ad Aosta tutti concordano nei seri dubbi sulla fedeltà del Borghese alla Repubblica sociale italiana e temono sorprese».

Ma la guerra incalza, Roma è caduta, le truppe anglo-americane risalgono la penisola e si apprestano e conquistare Firenze per sferrare infine il colpo decisivo alla linea Gotica che dovrà travolgere la resistenza tedesca, così che per Benito Mussolini ed il suo governo il doppio gioco del capitano di fregata Junio Valerio Borghese passa in secondo piano rispetto all'immagine pubblica di un ufficiale che al comando di un reparto di élite combatte per la difesa del suolo italiano contro le armate alleate.

Borghese però non conduce solo un doppio gioco riuscendo a porsi in una linea di confine fra la Repubblica sociale italiana ed il Regno del sud, ma tratta direttamente con i servizi segreti alleati, in particolare con l'OSS americano, pur facendo parte dell'intelligence germanica, così come riuscirà a stabilire ottimi rapporti con i partigiani anticomunisti, primi quelle delle forze socialiste "Matteotti", considerati i potenziali nemici del comunismo alla fine della guerra.

La storia della condotta del principe Junio Valerio Borghese nel corso della guerra civile in Italia è in gran parte inedita, ma quello che si conosce è sufficiente a spiegare come sia riuscito ad essere un eroe per i reduci della RSI e contestualmente, per quelli del Regno del sud e per gli Alleati, invece di essere fucilato dai fascisti per tradimento e dagli Alleati per i "crimini di guerra" commessi dai suoi uomini durante la repressione antipartigiana.

È, questa del comandante della Decima, una storia tipicamente italiana, dove coraggio individuale, slealtà, eroismo e tradimenti, si mischiano e trovano la loro giustificazione nella necessità di "salvare l'Italia" dal comunismo.

Non è, però, solo la capacità di Junio Valerio Borghese di condurre un triplo e quadrupolo gioco a contare, perché a suo favore intervengo i vertici militari della RSI rappresentati dal maresciallo d'Italia Rodolfo Graziani e gli stessi tedeschi che si preparano a tradire Mussolini e i fascisti.

Nella primavera-estate del 1944 sono sempre meno quelli che credono nella vittoria tedesca. Così nel mese di maggio del 1944 il maggiore Erwin Thunn von Hohenstein convoca nel suo ufficio il marò della Decima Bartolo Gallitto e gli chiede di recarsi al sud per concorrere all'organizzazione del movimento fascista clandestino che dovrà opporsi alla comunistizzazione del territorio.

Conclusa la sua missione, Gallitto dovrà presentarsi alle autorità della Regia marina e chiedere di essere riammesso in servizio. L'ufficiale germanico specifica che Junio Valerio Borghese e i capi della marina militare del Regno del Sud sono concordi nel compiere questa operazione proprio perché preoccupati per l'avanzata del comunismo nel sud d'Italia sono per primi i vertici delle Forze armate regie.

Bartolo Gallitto parteciperà alla missione, non sarà riammesso nei ranghi della regia Marina militare ma, nel dopoguerra, farà una brillante carriera professionale e politica, giungendo ai vertici del Movimento Sociale Italiano.

La lotta contro il comunismo sarà l'alibi per ogni tradimento. E mentre i capi tramano e si accordano per impedire congiuntamente, al di là della contrapposizione bellica ufficiale, che l'Italia cada in mano al comunismo, i subalterni combattono e muoiono.

La guerra contro le bande partigiane della Decima inizia solo l'8 agosto 1944, ma sarà condotta in maniera efficace e spietata e costerà un altissimo prezzo di vite umane durante e, soprattutto, dopo la guerra sia ai partigiani che agli uomini della Decima, che i tripli e i quadrupli giochi del loro comandante non salveranno dalle vendette e dalla repressione.

La guerra è in atto. È necessario salvare le apparenze, così Junio Valerio Borghese invia il battaglione "Lupo" sul fronte del Senio a combattere contro gli anglo-americani, e sposta i suoi reparti sul confine orientale per concorrere alla sua difesa ritardando l'avanzata del IX Korpus jugoslavo.

Al fronte si muore, negli uffici ci si accorda con il nemico per affrontare, dopo la fine del conflitto, il comunismo che si palesa sempre più come una forza in grado di conquistare il Paese.

Il tenente di vascello Mario Rossi, comandante del battaglione "Vega", il più segreto della divisione "Decima" perché addetto all'addestramento e all'invio oltre le linee anglo-americane dei sabotatori, è al servizio dell'OSS americano.

Ad affidargli il comando del battaglione è stato personalmente Junio Valerio Borghese che, in apparenza, non sembra sospettare il ruolo di agente doppio del suo ufficiale, anche se a pensarlo sono i servizi di intelligence germanici che, però, non prendono provvedimenti.

Mario Rossi ha, comunque, le idee chiare sul futuro e le espone, nel mese di febbraio del 1945, al marò Elio Cucchiara che in seguito le riporterà agli Alleati.

Alla cessazione della ostilità, dice Mario Rossi, esiste il pericolo che i reduci disoccupati «se non fossero stati presi per mano, sarebbero stati fortemente attirati dal movimento comunista. Per evitare una tale eventualità era necessario creare un'organizzazione che potesse unire e guidare questo personale ex militare… La X flottiglia Mas doveva così creare una centralizzata ed organizzata organizzazione in tutta Italia con lo scopo primario di combattere il comunismo in particolare, e il fascismo, di sostenere un partito politico del centro e della destra. L'organizzazione non doveva costituire di per sé un partito… Il movimento di doveva organizzare durante l'occupazione degli Alleati, non doveva iniziare la sua attività fino alla partenza degli Alleati …».

Mancano due mesi alla fine della guerra, ma Junio Valerio Borghese ha già il suo programma politico perché ha già fatto la sua scelta: vivere per salvare l'Italia dai comunisti.

Nel mese di aprile del 1945 i battaglioni della "Decima" sul fronte orientale vengono sommersi dalle armate jugoslave. Inviati su quel fronte dal comandante Junio Valerio Borghese, illuso dalla promessa alleata di uno sbarco britannico in Istria o in Dalmazia per affrettare la ritirata tedesca, i marò della "Decima" combattono e muoiono.

Il loro comandante non c'è.

Il 30 aprile 1945, a Torino, i marò della "Decima" respingono l'intimazione alla resa dei partigiani e combattono fino all'esaurimento delle munizioni.

Erano stati distaccati a Torino per proteggere Giovanni Agnelli e la Fiat, ma ora Giovanni Agnelli e la Fiat non intervengono per salvare loro la vita.

I 70 marò vengono fucilati all'interno della caserma, ormai inermi e disarmati. Dopo, i partigiani massacrano le ausiliarie.

Ragazzi e ragazze nel fiore degli anni che muoiono per ragioni ideali e per onore.

Il loro comandante non c'è.

Dal 25 aprile 1945, Junio Valerio Borghese vive nascosto, a Milano, a casa del partigiano socialista Nino Pulejo in attesa che gli americani dell'OSS vengano a salvarlo. A differenza dei suoi marò e delle sue ausiliarie, Junio Valerio Borghese vuole vivere.

E gli americani vogliono che viva, perché Borghese gli serve e sanno di poter contare su di lui come testimonia il maggiore Francesco Putzolo che, il 1° maggio 1945, è convocato dal capitano della Marina militare americana, Titolo, che gli esprime il desiderio di «mettere Borghese al sicuro per evitare future rappresaglie violente».

La salvezza per Junio Valerio Borghese giunge il 12 maggio 1945 quando, rivestito con un'uniforme militare americana, a bordo di una jeep nella quale siedono il capitano James Jesus Angleton, responsabile del controspionaggio dell'OSS, il capitano della Marina militare Carlo Resio e il commissario di PS, Umberto Federico D'Amato, viene portato a Roma.

L'onore d'Italia si è dissolto. A custodirlo rimangono i morti, per i vivi è tempo di «salvare la civiltà cristiana» dal comunismo facendo pagare all'Italia ed al suo popolo un prezzo altissimo ed in gran parte, ancora, sconosciuto.

James Jesus Angleton, Umberto Federico D'Amato, Junio Valerio Borghese saranno fra i protagonisti delle pagine più tragiche dell'Italia del dopoguerra.

Angleton, destinato a fare una brillante carriera all'interno della CIA, sarà il costante punto di riferimento del "neofascismo" per quasi un trentennio, fino alla data della sua destituzione, il 26 dicembre 1974.

Il 9 gennaio 1975, il "neofascismo" si servizio segreto gli dedica un articolo elogiativo sul quotidiano missino "Il Secolo d'Italia", a firma del confidente del questore Umberto Federico D'Amato, Giulio Caradonna.

Alla sua morte, sarà l'ex sergente della "Decima" Mario Tedeschi a ricordarlo con un'intervista al suo "amico" Umberto Federico D'Amato, pubblicata su "Il Borghese" il 12 luglio 1987.

Junio Valerio Borghese, giunto a Roma, sarà associato al carcere allestito dagli Alleati per i prigionieri di rango elevato a Cinecittà solo il 19 maggio 1945 dopo che avrà incontrato, anche se non si può affermarlo con fermezza per mancanza di riscontri sicuri, il ministro della Marina militare, ammiraglio Raffaele De Courten.

Il 28 maggio 1945 James Jesus Angleton redige un rapporto sull'interrogatorio a Borghese il quale, scrive, «è stato trasferito da Milano a Roma, dopo essere stato contattato da due agenti di questa unità in un periodo precedente all'offensiva alleata …», confermando in questo modo il rapporto diretto stabilito fra l'OSS americano e Junio Valerio Borghese prima dell'attacco finale alleato alla linea Gotica.

Angleton, nello stesso rapporto, rassicura che Borghese ha dato «chiari segni di voler cooperare», atteggiamento coerente con le scelte fatte dal comandante della "Decima" le cui attività politiche, e le cui ambizioni personali, sono già note all'OSS.

Il 2 giugno 1945, difatti, l'agente Frank Messina redige un rapporto nel quale scrive che «la Decima Mas sta cercando di organizzare un nuovo movimento politico per combattere le tendenze comuniste che dilagano in tutta la nazione, con l'obiettivo di raccogliere tutti i partiti anticomunisti in un'unica formazione e assicurarsi (in una seconda fase) il controllo del governo nazionale».

La speranza di giungere al controllo del "governo nazionale", Junio Valerio Borghese la coltiverà per l'intera esistenza, come prova il tentativo del "golpe" del 7-8 dicembre 1970, al quale prenderanno parte sia James Jesus Angleton che Umberto Federico D'Amato, ma non riuscirà mai a comprendere che il regime politico italiano non può consentirsi di riabilitarlo ufficialmente dinanzi all'opinione pubblica per la quale deve restare il reprobo che si era posto agli ordini di Benito Mussolini, che aveva condotto la repressione contro le formazioni partigiane, che aveva combattuto contro gli anglo-americani che "liberavano" l'Italia.

La Democrazia cristiana e le forze politiche anticomuniste non hanno alcuna intenzione di fare del "principe nero" un protagonista positivo dell'Italia antifascista.

Junio Valerio Borghese nell'agone politico italiano non tarda ad entrare, partecipando, per interposta persona essendo ancora detenuto, alla fondazione del Movimento Sociale Italiano, avvenuta a Roma, il 26 dicembre 1946, rappresentato da Nino Buttazzoni.

Il Movimento Sociale nasce, mutuando nome e simbolo dal Movimento Sociale Francese, partito fondato nell'ottobre del 1935 e disciolto dal governo di Leon Blum nel giugno del 1936, che riuniva reduci ed ex combattenti, per gettare un ponte fra i militari che avevano aderito alla RSI e quelli che avevano scelto i Regno del Sud, in modo da ricomporre l'unità delle Forze armate raccogliendo i reduci di entrambi gli schieramenti in un solo movimento apartitico che avesse come fine la ricostruzione dell'Italia e la battaglia contro il comunismo.

Il Movimento Sociale Italiano si trasformerà in un partito politico diversi mesi dopo la sua costituzione alla quale hanno preso parte i servizi segreti americani, il Vaticano, la Confindustria e la stessa Democrazia cristiana, sotto la guida di Giorgio Almirante, mai processato per "collaborazionismo" perché aveva condotto il doppio gioco durante la Repubblica sociale italiana ottenendo quindi l'impunità sul piano giudiziario e l'immediata riabilitazione politica.

Borghese concorre, quindi, a fondare un movimento di cui, scopo la sua scarcerazione, diverrà anche presidente e dal quale non verrà mai espulso nemmeno quando fonderà, il 13 settembre 1968, il "Fronte nazionale", dopo che nelle elezioni politiche del maggio dello stesso anno aveva condotto, insieme ad Ordine Nuovo di Pino Rauti, la campagna per la scheda bianca sottraendo oggettivamente voti al partito ancora diretto da Arturo Michelini.

Ma cosa, in concreto, si propone Junio Valerio Borghese? Il suo è un programma semplice: dare forza ed autorità allo Stato sul piano interno, stringere sempre più i rapporti dei alleanza con gli Stati uniti, combattere senza tregua il comunismo sovvertitore.

A dare spessore ad un programma che avrebbe potuto essere formulato da qualsiasi "bempensante", è l'incontro fra Junio Valerio Borghese e Julius Evola, studioso di esoterismo che si vanta di essere un "non-fascista".

Evola lo dice esplicitamente nel corso della sua auto-difesa al processo che, nel 1951, lo vede imputato in concorso con altri quale ispiratore ed ideologo della "Legione nera", fantomatica organizzazione i cui militanti si erano distinti per aver compiuto diversi attentati dinamitardi.

«Io ho difeso e difendo "idee fasciste" non in quanto sono "fasciste", ma nella misura in cui riprendono una tradizione superiore e anteriore al fascismo, in quanto appartengono al retaggio della concezione gerarchica, aristocratica, tradizionale dello Stato, concezione avente carattere universale e mantenutasi in Europa fino alla Rivoluzione francese».

Per Julius Evola la storia si è fermata il 14 luglio 1789 e da quella data deve riprendere il suo cammino. Lo afferma a chiare lettere:

«Io nego tutto ciò che, direttamente o indirettamente, deriva dalla Rivoluzione francese e che secondo me ha come estrema conseguenza il bolscevismo, a ciò contrapponendo il "Mondo della Tradizione"».

Per il fascismo, invece, la Rivoluzione francese rappresenta un evento positivo nel cammino della storia, così come la rivoluzione marxista che ad essa si è contrapposta e, senza condannare né retrocedere le lancette della storia, si propone come la "terza rivoluzione", quella della sintesi che concilia in modo mirabile e definitivo la tesi (Rivoluzione francese) e l'antitesi (la rivoluzione marxista).

Ha ragione Julius Evola: è un "non-fascista", esattamente come Junio Valerio Borghese che, non a caso, scriverà la prefazione a "Gli uomini e le rovine" in cui si richiama all'obbedienza nei confronti dello Stato.

Cosa può, quindi, fare un uomo dello Stato come Junio Valerio Borghese?

Lo rivela una nota confidenziale inviata al ministero degli Interni, in forma anonima, il 3 ottobre 1950, che riferisce che «lo stesso Borghese sta svolgendo un'attività veramente positiva: l'organizzazione della "Decima" si va sviluppando sempre di più, affiancata dal "Meridiano d'Italia" che, con la pubblicazione di una serie di articoli, mira a risvegliare gli animi assopiti degli ex organizzati richiamandoli alla RSI… Dopo il comunicato del Consiglio dei ministri, relativo alla costituzione di una milizia civile -in caso di complicazioni interne- il comandante Borghese vagheggia l'idea di una collaborazione che, in avvenire, potrebbe essere attuate tra la Decima e le forze dell'ordine».

L'idea di affiancare le "forze dell'ordine" è una costante di Junio Valerio Borghese che si ritiene -e lo è- un uomo dello Stato nelle cui Forze armate, nate dalla Resistenza, tenta di rientrare per riprendere la carriera interrotta l'8 settembre 1943.

Sarà la Corte di cassazione a respingere, il 26 maggio 1954, il ricorso presentato da Junio Valerio Borghese contro la sentenza della Corte di assise che aveva negato la sua "riabilitazione" che, se accolta, gli avrebbe consentito di rientrare nei ranghi della Marina militare dai quali era stato radiato.

Escluso dalle Forze armate, Junio Valerio Borghese rimane inserito nell'ambito delle strutture segrete dello Stato operando in ambito interno ed internazionale.

Ce lo dice il fatto, mai smentito, che la denominazione "Gladio" utilizzata per la struttura stay-behind italiana, costituita ufficialmente a fine ottobre del 1956, non importa se temporaneamente o definitivamente si rifà all'utilizzo nella stessa di uomini provenienti dalla Decima mas rimasti agli ordini del comandante Borghese.

Un segreto ancora oggi ben custodito.

James Jesus Angleton, in un suo rapporto redatto nel 1945, aveva profetizzato che Junio Valerio Borghese sarebbe stato utile allo spionaggio navale americano.

Il 29 ottobre 1955, a Sebastopoli (Crimea), è affondata la corazzata "Novorossijak", già appartenente alla Marina militare italiana con il nome di "Giulio Cesare", ceduta all'Unione sovietica a titolo di riparazione dei danni di guerra.

Negli anni Novanta, dopo la caduta dell'impero sovietico uno storico russo affermerà che autori del sabotaggio erano stati uomini della Decima Flottiglia Mas, fra i quali Gino Birindelli, guidati da Junio Valerio Borghese.

La notizia non è mai stata confermata né smentita, ma si presenta come verosimile, tenendo presente che i sabotatori della Decima Flottiglia Mas operazioni come questa le avevano condotte con successo contro la flotta britannica all'interno dei porti assai ben difesi di Alessandria e Gibilterra nel corso del secondo conflitto mondiale.

Una bella rivincita sui sovietici l'affondamento della corazzata italiana di cui avevano preteso ed ottenuto la consegna, ma anche un grande favore alla Marina militare americana che temeva il rafforzamento della flotta sovietica ed il suo dispiegamento nel Mediterraneo.

I meriti di Junio Valerio Borghese nei confronti dello Stato italiano e degli Stati uniti non sono, evidentemente, di poco conto e fanno del personaggio un elemento fondamentale nella guerra civile che inizia a divampare in Italia negli anni Sessanta.

L'idea di creare un "Fronte nazionale" che riunisse uomini appartenenti a schieramenti politici e partitici diversi anche sul piano ideologico, Junio Valerio Borghese la nutriva da sempre, come segnala una nota della Central Intelligence Agency del 14 agosto 1951.

Negli anni Sessanta, quando inizia la controffensiva occidentale a quella che viene definita la "guerra rivoluzionaria" dei Soviet, Junio Valerio Borghese è in prima linea.

Nella primavera del 1967 la CIA vara l'operazione "Chaos" destinata a destabilizzare i Paesi europei a rischio per stabilizzarne il rapporto di alleanza con gli Stati uniti e la NATO, ed in Europa il suo massimo esponente è quel James Jesus Angleton di cui Borghese è fidato amico e sicuro referente.

Il 13 settembre 1968, a Roma, è ufficialmente costituito il "Fronte nazionale" di cui Junio Valerio Borghese è il presidente, finalmente pubblicamente in prima linea per difendere lo Stato dalla "sovversione rossa".

Non serve, nell'economia di questo breve saggio dedicato alla figura del principe Junio Valerio Borghese, ripercorrere quanto già scritto sulla partecipazione sua, della sua organizzazione e dei suoi uomini all'operazione del 1969 destinata a concludersi il 14 dicembre 1969 con la proclamazione dello stato di emergenza.

Qui serve ribadire che uno dei protagonisti di quei tragici avvenimenti, Stefano Delle Chiaie, era suo fedelissimo collaboratore e che, per questa ragione, appare incomprensibile che il nome del comandante Borghese non sia mai apparso nei fascicoli processuali dei numerosi processi svoltisi per la strage di piazza Fontana.

La motivazione ci appare semplice.

Mentre i gregari, fra i quali Stefano Delle Chiaie, per lo loro pubbliche ostentazioni di "fede" fascista potevano essere comodamente essere spacciati per "eversori neri", non altrettanto di poteva fare per il principe Junio Valerio Borghese la cui attività era stata, sempre e soltanto, improntata alla difesa ed alla salvaguardia dello Stato e, di conseguenza, del regime politico democristiano che lo dirigeva.

A rendere Junio Valerio Borghese intoccabile per la pavida magistratura italiana non c'erano solo i fatti, ma anche e soprattutto i testimoni a partire da James Jesus Angleton, per gli americani, dai vertici militari italiani, dal questore Umberto Federico D'Amato, per finire ad uomini politici del calibro di Giulio Andreotti e Giuseppe Pella.

L'inchiesta, voluta da Giulio Andreotti nel 1973-1974, sul "golpe Borghese" del 7-8 dicembre 1970, per lo zelo con cui fu condotta dal generale Maletti, responsabile all'epoca dell'ufficio "D" del SID, ha illuminato in parte le complicità in quel golpe, politiche militari ed internazionali.

Dovrà morire Junio Valerio Borghese, fra le braccia di un agente femminile del SID, il 26 agosto 1974 a Cadice (Spagna), ufficialmente per pancreatite, perché Giulio Andreotti, tramite il fido sostituto procuratore della Repubblica Claudio Vitalone, possa avviare il processo penale a carico dei "congiurati" opportunamente selezionati dallo stesso esponente democristiano.

La figura del "principe nero", ancora oggi affermata da pseudo storici e pennivendoli di regime, non è mai esistita.

Eroe di guerra, travolto come tutti gli italiani dalla tragedia dell'8 settembre 1943, Junio Valerio Borghese ha maturato nel tempo il convincimento di essere un uomo del destino, capace di riscattarsi dall'onta della sconfitta di militare ma incapace di comprendere che tanto di poteva fare prendendo le distanze dai vincitori, mantenendo cioè il Paese in una condizione di neutralità che gli consentisse di essere equidistante dai blocchi.

Accecato, viceversa, dall'avversione per il comunismo, timoroso che l'inettitudine degli uomini politici democristiani potesse infine favorire la conquista del potere da parte del Pci con mezzi legali, per via elettorale, Borghese ha ritenuto che bisognasse stringere sempre più i legami con gli Stati uniti ed i suoi alleati, primo lo Stato d'Israele che, in Medio Oriente, rappresentava la sicura sentinella degli interessi occidentali contro al marea araba.

Non fascista, né abile uomo politico, ma militare da sempre introdotto negli ambienti dell'intelligence italiana, tedesca, americana, Junio Valerio Borghese rappresenta ancora oggi il mito di tanti che si illudono di essere "neofascisti" pur nutrendosi delle visioni della "rivoluzione conservatrice" di Julius Evola che con il fascismo come ideologia, dottrina e storia poco o nulla ha a che fare.

Avremmo preferito ricordare il principe Junio Valerio Borghese, mito della nostra giovinezza, come l'eroe protagonista delle leggendarie imprese belliche contro la "perfida Albione" nel corso della "guerra del sangue contro l'oro".

L'ammirazione per la medaglia d'oro al V.M. Junio Valerio Borghese rimane, accompagnata però dal giudizio storico negativo su ciò che è stato e che ha fatto a partire dall'8 settembre 1943 data in cui ha, lentamente, smarrito il senso dell'onore fino a schierarsi decisamente con i vincitori della Seconda guerra mondiale che erano giunti in Italia per conquistarla, non per liberarla, in nome e per conto del sogno messianico della "terza Roma" destinata a conquistare il mondo.

Nella "guerra del sangue contro l'oro" è stato il primo a soccombere ma non è un buon motivo per schierarsi dalla parte dei detentori della ricchezza e della forza.

Migliaia sono stati gli italiani che hanno scelto di morire per un ideale e per l'onore della Nazione, compresi tanti marò della Decima, sacrificati dal loro comandante che, invece, aveva scelto di vivere.

E, vivendo, ha contribuito a portare l'Italia allo sfacelo in cui oggi versa.

Figura scomoda, da cancellare dalle pagine della nostra storia, Junio Valerio Borghese è quasi dimenticato perché il regime politico e lo Stato per i quali tanto ha fatto non si possono consentire di riabilitarlo da morto, dicendo la verità sul suo conto, così come gli avevano negato la "riabilitazione" da vivo.

Rimane da dissipare l'equivoco che Borghese, insieme ai Romualdi, agli Almirante, a tanti altri, ha contribuito a creare e che si pretende di perpetuare, quello dell'esistenza nel dopoguerra di un "neofascismo" ansioso di rivincita e di vendetta sui vincitori.

Ancora oggi, purtroppo, ci tocca assistere allo spettacolo di persone screditate che si vantano di essere "fasciste" e rivendicano con orgoglio il loro rapporto di obbedienza e di sudditanza con l'a-fascista Junio Valerio Borghese.

Personaggi che possono passeggiare impuniti ed impunibili solo perché i segreti di Junio Valerio Borghese sono quelli dello Stato italiano e dei suoi alleati internazionali, inconfessabili perché, se rivelati, proveranno che la classe dirigente ha tradito questo popolo e ne ha versato il sangue in nome degli interessi delle potenza egemone e propri, personali.

L'Italia che noi rispettiamo ed amiamo attende ancora di essere riscoperta, perché è rimasta lì, dove l'ha abbandonata Junio Valerio Borghese per recarsi in divisa americana a Roma, verso la salvezza e la vita, sul fronte del Senio, nella selva di Tarnova, sulla linea Gotica.

L'altra Italia è quella dolente incapace di liberarsi da un passato ed un presente di menzogne che rischiano di cancellare per sempre la verità e, con essa, ogni residuo di libertà.

Ed è questa la guerra che si conduce, disarmati, perché alla fine l'Italia ritrovi sé stessa, la sua storia e la sua verità.

Vincenzo Vinciguerra      

 

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