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Il "tradimento" in politica

 

Maurizio Barozzi (9 novembre 2012)   

 

In questi giorni, hanno fatto notizia i fischi e gli insulti al presidente della Camera Gianfranco Fini, chiamato "Badoglio", durante la sua partecipazione alla messa in suffragio di Pino Rauti, scomparso il 2 novembre scorso. Il bello è che il Sito degli ex combattenti fascisti repubblicani della RSI, www.fncrsi.alterivista.org, presentava articoli nei quali si definiva, senza mezzi termini, non fascista, se non addirittura "antifascista", per il suo operato, lo scomparso, come d’altronde antifascista, di fatto, veniva sostanzialmente, considerata la politica del MSI, di cui lo stesso Rauti aveva fatto parte.
Insomma è ricorsa e spesso riecheggiata la parola "tradimento", un termine molto forte che, per esempio, in guerra implica la fucilazione. In politica, invece, le cose stanno molto diversamente e credo sia opportuno fare, una volta per tutte, alcune precisazioni.
Anche senza far ricorso al Machiavelli, non c’è dubbio che in politica il termine "tradimento" è un concetto vacuo, sfuggente, spesso fuori luogo, a meno che non ci si riferisca a persone che predicano bene e razzolano male, ovvero che perseguendo propri scopi opportunistici, indossano una veste politica, coinvolgono gli altri, ma sono interiormente corrotti e venduti ad altre botteghe, se non addirittura ai Servizi ovvero al sistema, palesando con tutta evidenza che in questo caso saremmo in presenza di un vero e proprio tradimento. Ma, di norma, queste accuse è difficile provarle.
La storia degli uomini e delle loro vicende politiche ci dimostra che la politica è una vera e propria arte che ha a che fare con la natura umana, con gli interessi e gli appetiti umani, con le contingenze mutevoli del tempo e tanti altri fattori ancora. In questo ambito, di conseguenza, la parola "tradimento" è del tutto relativa, perché chi fa politica, se vuole perseguire il successo e la realizzazione dei suoi programmi o degli stessi ideali di cui si è fatto portavoce, spesso è costretto a mutare questi programmi, a cambiare certe strategie o a celare gli ideali procedendo a scelte dolorose. Ma spesso è anche necessaria la rottura con il passato, con certi vessilli e tradizioni e questo comporta delle incomprensioni e possibili reazioni violente. Non tutti, infatti, possono capire o percepire i veri intendimenti e gli scopi di chi mette in atto certi cambiamenti ed oltretutto la politica è in buona parte anche un fatto emotivo, laddove sentimenti e rancori giocano una parte notevole.
Ma allora, ci si chiede, quando è che in politica il mutare dei programmi e degli atteggiamenti, valica il confine della necessità e sconfina nel tradimento?
La risposta non è semplice e soprattutto non è teorizzabile e quindi tutto quello che possiamo dire, di certo non esaustivo, è il fatto che questo "mutamento" non dovrebbe scaturire da interessi personali , non dovrebbe accadere per corruzione o per un fallimento del proprio operato di cui non si ha il coraggio, nè l’interesse a dichiararlo, ritirandosi coerentemente nel privato, ma si continua ad ingannare, a procedere nell’ambiguità sfruttando la fede dei propri "compagni di lotta", ma servendo invece interessi estranei.
A scanso di equivoci, diciamo subito che, a nostro avviso, quello degli Almirante, dei Romualdi e dei Rauti, ovvero la loro politica perseguita per mezzo secolo, quindi non transitoria e occasionale, fu un vero e proprio tradimento degli interessi nazionali, in barba a quella Patria del cui termine si riempivano la bocca, tradimento testimoniato da prese di posizione, iniziative e una attività pluriennale sempre e comunque contro gli interessi geopolitici della nazione e in funzione di quelli atlantici.
Questo politica filo atlantica, a scapito di un paese colonizzato come il nostro, questo operato scellerato è talmente evidente e riscontrabile nella storia del MSI che non è neppure importante sapere se alcune rivelazioni che hanno avanzato l’accusa di collusione con le Intelligence occidentali profferite nei confronti di vari esponenti di questa destra neofascista, specificando persino i compensi ricevuti, siano veritiere o meno.
Per quanto riguarda, invece, la contemporanea accusa di tradimento del Fascismo, così come ad altre eventuali ideologie, il discorso è più complicato, può divenire contraddittorio e a meno che il voltafaccia non sia palesemente funzionale ad altri interessi come quelli pocanzi accennati, quando entriamo nel campo della politica e delle idee, le cose non possono restare immutate e comunque, chi fa politica, tende sempre ad adeguarle alle sue intuizioni e alle realtà del tempo..
Se così non fosse, dovremmo dare del super traditore anche a Mussolini.
Per spiegarci, facciamo un paio di esempi storici.
Il 18 ottobre del 1914 Mussolini, direttore de "l’Avanti!", quotidiano socialista, che poco tempo prima, il 26 luglio, aveva pubblicato un editoriale dall’eloquente titolo "Abbasso la guerra!", scrisse ora il famoso articolo "Dalla neutralità assoluta alla neutralità attiva ed operante" che, di fatto, implicava la rinuncia all’internazionalismo socialista e faceva presagire una imminente scelta per partecipare alla guerra, tra l’altro già scoppiata in Europa. Apparentemente un vero e proprio tradimento del socialismo internazionalista e soprattutto delle sue posizioni massimaliste, tenute fino al giorno prima.
Ma fu veramente un traditore Mussolini? La risposta è no, perché la politica è appunto fatta di queste cose, di prese di posizione, di mutamenti, di iniziative. In quel frangente era accaduto che la guerra aveva posto le nazioni e i partiti socialisti di fronte alla realtà della natura umana e al regolamento degli interessi geopolitici, Mussolini si rese subito conto che il socialismo non poteva essere attuato con lo slogan «proletari di tutto il mondo unitevi» e che le leggi storiche prevalevano su quelli che potevano essere gli ideali romantici dell’uguaglianza degli esseri umani e delle teorie marxiane.
Da rivoluzionario quale era, Mussolini non poteva rimanere passivo con questa remora dentro e quindi, dopo un travaglio interiore, ne trasse immediatamente le logiche conseguenze, intuendo oltretutto che lo sconvolgimento bellico sarebbe stata una occasione rivoluzionaria e di rinnovamento e quindi e fece la scelta, diametralmente opposta, che lo portò a parteggiare per la guerra e a riscoprire i valori combattentistici e a teorizzare il Socialismo nella Nazione.
Fatto sta che al Teatro del Popolo di Milano, la sera del 24 novembre 1914, durante l'assemblea della sezione socialista milanese venne decretata l'espulsione di Benito Mussolini dal Partito Socialista Ufficiale e lo stesso, ivi presente, sottoposto ad una salve di fischi e quasi aggredito fisicamente, pronunciò le famose parole: «voi mi odiate perché mi amate ancora».
Ci furono anche accuse che Mussolini era stato comprato, che il giornale che aveva fondato il 14 novembre del 1914, Il Popolo d’Italia, lo aveva messo su con denaro massonico, in particolare grazie ai maneggi di quel faccendiere massone Filippo Naldi, direttore de "il Resto del Carlino", sodale di ambienti finanziari, se non addirittura dal ministero degli esteri francese. Ora che Mussolini abbia ottenuto certi finanziamenti per fondare il suo giornale, da chi al tempo era interessato all’entrata in guerra dell’Italia, come ad esempio la massoneria, possiamo darlo per scontato e del resto in politica non ci si muove senza finanziamenti, ma che questo fosse avvenuto per opera di corruzione o per avidità dell’interessato, era palesemente falso, come del resto testimonia tutta la vita di Mussolini che ha sempre usufruito di fondi e di appoggi di ogni genere per la sua politica, ma mai per interesse personale. Oltretutto la sua posizione professionale e politica raggiunta dopo essere diventato direttore de "l’Avanti!" e gli evidenti successi ottenuti dal giornale dal quel momento in poi, mostravano chiaramente che Mussolini non aveva di certo bisogno di andarsi ad impelagare nelle feroci polemiche che sarebbero inevitabilmente scoppiate al suo cambiamento strategico di politica, o a farsi semplicemente corrompere.
Secondo esempio. Siamo nella primavera del 1920 e il fascismo sansepolcrista, con il quale Mussolini ha iniziato le lotte, quale una reazione al tentativo violento dei "rossi" di ripetere in Italia l’esperienza bolscevica, quello che il 6 giugno del 1919 aveva presentato il manifesto con i famosi punti programmatici chiaramente di sinistra estrema, è in evidente crisi. Le elezioni precedenti, del novembre 1919, lo hanno a dir poco ridicolizzato, nonostante avesse presentato candidati di nome come Mussolini e Marinetti, tanto che l’Avanti pubblicò il famoso trafiletto dove si scriveva che Mussolini si era suicidato nel naviglio. Ebbene, sempre da rivoluzionario, Mussolini si rese conto che non era quella la strada per arrivare al potere, anche perché quel primo fascismo si stava forgiando nelle strade attraverso gli scontri feroci con i socialisti, e di conseguenza attirava verso di sé giovani idealisti, per lo più delle classi medie ed inoltre la scelta di porsi contro tutti, l’enunciato di una pregiudiziale repubblicana e l’anticlericalismo di quel primo fascismo, ecc. non pagava affatto. Ancora una volta Mussolini ne trasse subito le conseguenze e dal secondo congresso milanese, tenuto il 24 e il 25 maggio 1920, i Fasci di combattimento assunsero una tendenza meno populista e di sinistra e in pratica presero a spostarsi verso destra. Cadde la pregiudiziale repubblicana, vennero accantonati di fatto i famosi punti programmatici del 1919 e furono attenuati i toni anticlericali. Poi nel 1921 i Fasci di combattimento divennero partito, ecc.
Come sappiamo, dopo quel maggio del 1920, molte delle componenti di sinistra del primo fascismo e buona parte di quelle futuriste, se ne andarono dal movimento, accusando Mussolini di aver tradito gli ideali del socialismo interventista. Al contempo prese corpo il fenomeno dei Ras e lo squadrismo delle squadre di azione, finanziato dagli agrari e da varie componenti industriali, si vide il sorgere delle squadre armate dell’Emilia e della Toscana (quelle di cui poi nel 1922, dopo la Marcia, Mussolini disse a Silvestri, che essendo questi squadristi la vera milizia armata della rivoluzione, bisognava ridimensionarli subito altrimenti lui sarebbe stato prigioniero di queste fazioni di destra e il suo tentativo di varare un governo con l’apporto di componenti del socialismo non fazioso, dei popolari e dei Confederati, non avrebbe avuto alcuna speranza di successo) ecc.
Eppure era stato anche grazie a quelle squadre armate che Mussolini potè prendere il potere con la marcia su Roma, anche se fu un potere scaturito dalla mediazione con la borghesia e la monarchia, tanto che il Duce venne significativamente a Roma in vagone letto e dovette omaggiare il Re.
Comunque che dire: Mussolini nel 1920 tradì il primo fascismo, quello socialista, repubblicano, interventista e futurista del 1919?
Ancora una volta no, perché Mussolini non fece altro che adeguare la sua politica alle contingenze, anche se dovette pagare un prezzo in termini di ideali e di compromessi per arrivare al potere. O questo o niente, altre strada non ce ne erano e il destino perdente del fascismo sansepolcrista, sarebbe stato scontato. Le vicende storiche quasi sempre sono spietate e non ammettono romanticismi. Ma come si suol dire omnia munda mundis - tutto è puro per i puri.
Accantonati, però, non abbandonati certi ideali. Mussolini infatti quel socialismo ideale presente nei fasci di S. Sepolcro, lo tenne sempre dentro e durante il ventennio, per così dire conservatore, riuscì con le grandi riforme sociali, con il corporativismo e con le grandi opere, a metterne in pratica una buona parte.
Fino a quando con la RSI, in una contingenza storica irripetibile dove per la prima volta risultavano impotenti casa Savoia, i settori industriali, la Chiesa e i circoli dell’Esercito, Mussolini ebbe la possibilità reale e concreta di attuare quella visione socialista della società a cui si era sempre attenuto, anche quando aveva fatto il "dittatore di destra", perché il suo operato di governo era sempre stato attento e sensibile alle necessità del popolo e finalizzato alla grandezza della Nazione proteggendone i suoi interessi geopolitici. Politica questa che lo portò a mettersi di traverso ai britannici, nostri eterni nemici, che pur lo avevano aiutato sottobanco dal 1917 e almeno fino al delitto Matteotti.
Detto questo, salta subito all’occhio un paragone, laddove qualcuno potrebbe dire: ma allora anche i Romualdi, gli Almirante e in parte i Rauti, tanto per stare in esempio, potrebbero aver fatto nel 1946 la scelta di destra, perché ritenevano che quella fosse la sola e unica possibilità per i fascisti sconfitti di tornare a fare politica in Italia.
Ora sarebbe facile rispondere che quella "scelta" non fu fatta in virtù di percorrere una strada politica adeguata ai tempi, ma tornò comoda per i propri interessi personali, per la quale tanti esponenti del MSI ci divennero parlamentari, e altro, tanto altro ancora. Ma questa risposta non sarebbe una risposta coerente con il nostro discorso.
Il fatto è che la scelta di Destra, e subito dopo la scelta filo atlantica, non furono fatte in virtù del percorrere una strada politica più adeguata al mutare dei tempi, ma furono un vero e proprio vendersi ai nostri colonizzatori e questo è dimostrato, pur non volendo credere alle collusioni con le centrali di Intelligence occidentali, dal fatto che quella scelta di destra, funzionale agli ambienti conservatori e reazionari, non solo liquidava tutto il fascismo repubblicano, ma era conforme agli scopi dei nostri colonizzatori. Non fu per caso che il MSI fu sempre contro certe scelte strategiche nel delicato campo dell’energia che qualche volta, in un anelito di indipendenza, vennero tentate dai governi del tempo, sfidando le ire occidentali. Non fu un caso, inoltre che ritroviamo esponenti della destra, dal MSI alle organizzazioni extra, intruppati nelle strategie stay behind, quelle strategie statunitensi apparentemente contro i sovietici, ma in realtà, visti gli accordi strategici di Jalta, erano strategie proprio contro le Nazioni europee al fine di precludere ogni loro possibilità di scrollarsi di dosso l’ipoteca atlantica.
Aver mantenuto per mezzo secolo, dicasi per mezzo secolo, questa politica reazionaria di destra che, oltretutto, mai è andata o avrebbe potuto andare oltre il milione e mezzo di adesioni in termini di voti, voti per lo più provenienti da quella parte di popolo qualunquista, bigotta, spesso meschina, il destrismo appunto, che non poteva rappresentare i veri interessi del popolo, ma solo quelli della demagogia, della retorica o di classi sociali benestanti, aver mantenuto sempre questa politica, dicevamo, fu una scelta che costituisce la riprova che era in auge un tradimento vero e proprio non solo del fascismo e di quei poveri ingenui che venivano raggirati con i saluti romani e gli "a noi!", ma anche della Nazione, svenduta in tal modo ai nostri colonizzatori.
Non si può criticare il MSI per aver scelto, nel dopoguerra, la strada della partecipazione democratica, rinunciando a quella rivoluzionaria, ma si sapeva benissimo che quella collocazione a destra avrebbe relegato quel partito in un ghetto, dal quale non sarebbe mai più uscito e lo avrebbe costretto, per sopravvivere, a fare la ruota di scorta della democrazia cristiana. Il popolo, infatti, più che altro si riconosceva nei grandi partiti di massa, quello comunista a rappresentare, demagogicamente o meno che fosse, il mondo del lavoro, dei contadini e della cultura laica e progressista e quello democristiano a rappresentare, sempre demagogicamente o meno che fosse, le esigenze delle classi medie e imprenditoriali, di buona parte del mondo rurale e della cultura cattolica italiana.
E il MSI cosa rappresentava con la sua minoranza qualunquista? Il nulla, nemmeno il retaggio del fascismo, perché nei fatti, negli atti e nell’operato politico, era soprattutto il fascismo socialista e repubblicano della RSI e la sua guerra del sangue contro l’oro, ovvero contro l’Occidente, ad essere continuamente rinnegati.
Ermanno Amicucci, già direttore de "il Corriere della Sera", ebbe a scrivere nel suo "I 600 giorni di Mussolini", Ed. Faro Roma 1948: «Mussolini voleva che gli anglo americani e i monarchici trovassero il nord Italia socializzato, avviato a mete sociali molto spinte; voleva che gli operai decidessero nei confronti dei nuovi occupanti e degli antifascisti, le conquiste sociali raggiunte con la RSI».
Il tentativo di Mussolini, verso la fine di aprile 1945, conscio oramai della sconfitta e della resa imminente, di lasciare almeno in eredità ai socialisti le ardite riforme sociali della RSI, non era un espediente dell’ultimo momento, ma aveva una portata strategica.
Dirà in quei giorni Mussolini al socialista Carlo Silvestri:
«Vi dico che il più grande dolore che potrei provare sarebbe quello di rivedere nel territorio della Repubblica sociale i carabinieri, la monarchia e la Confindustria. Sarebbe l’estrema delle mie umiliazioni. Dovrei considerare definitivamente chiuso il mio ciclo, finito».
Proprio tutto quello che fece e in malafede il MSI!
La collocazione a destra del MSI, che portò da subito, nel 1947, i suoi primi tre eletti al consiglio comunale di Roma, a fornire i loro voti alla elezione del sindaco democristiano Rebecchini; che pose questo partito al servizio degli interessi della borghesia e della piccola industria (la grande industria, conoscendone la sua pochezza politica, non se lo è quasi mai fidato) e che lo incanalò in un viscerale anticomunismo che costò ai suoi giovani anni di scontri, di sangue e di galera, un anticomunismo funzionale agli scopi Atlantici dei nostri colonizzatori, non era più una scelta politica, ma era tradimento, reiterato e pluriennale, verso ciò che aveva rappresentato e costituito il fascismo e soprattutto degli interessi nazionali, perpetrato da veri e propri traditori.
Sempre per stare nel campo degli esempi e dei paragoni, terminiamo anche con il dire che, quello di Gianfranco Fini, un essere che per altri versi ci ripugna il solo pronunciarne il nome, il suo "strappo di Fiuggi" che liquidò il MSI, potrebbe considerarsi un "tradimento" nel senso che Fini, a nostro avviso ha agito, come ha agito, in base a disposizioni ricevute in ambito mondialista, ma a rigor di logica politica, questo suo "strappo", non potrebbe neppure definirsi un tradimento. Sembra un paradosso, ma non lo è.
Certamente Fini buttò nel cestino vari orpelli e bandiere, in conformità a quella politica nuova che la Seconda Repubblica e le consorterie mondialiste che l’avevano ispirata, avevano imposto ai partiti (comunisti compresi)i. Ma questo poteva anche ritenersi un adeguamento politico alle nuove esigenze storiche e del resto, eravamo in presenza di un tradimento degli simboli che il MSI stesso aveva sempre portato avanti in malafede e strumentalmente. Ma come abbiamo visto, in politica, il cambiamento e l’adeguamento alle nuove realtà storiche, ci può anche stare.
Ma oltretutto Fini non aveva neppure praticato alcuno strappo politico, al di fuori delle vestigia ornamentali, perché di destra conservatrice era stato il MSI e nello stesso solco si pose Alleanza Nazionale; liberista divenne AN, ma liberista era stato anche il MSI; filo americano e filo israeliano era stato il MSI altrettanto lo divenne AN.
A ben vedere, il solo strappo che si può imputare a Fini, è il suo vomitevole aver definito, in quel di Gerusalemme, Mussolini e il fascismo il "male assoluto", ma del resto anche il famoso «non rinnegare e non restaurare», la barzelletta missista con la quale si giustificava la sua politica, di fatto pregna di un totale rinnegamento del fascismo, non è che fosse sostanzialmente diverso.
 

Maurizio Barozzi          

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