Intervista ad Enrico Galoppini
Sull'aggressione sionista
a Gaza
Michaela De Marco *
http://www.eurasia-rivista.org/cogit_content/articoli/EkFkuFAVppuQUxLFSb.shtml
1) Come considera l'atteggiamento della comunità internazionale (in
particolare EU e USA) riguardo la guerra a Gaza?
Cominciamo col dire che è lo stesso concetto di "comunità internazionale" ad
essere equivoco. A cosa si riduce l’ONU, che dovrebbe esserne la massima
espressione? A ratificare tutte le violazioni angloamericane e sioniste del
"diritto internazionale" di cui la stessa ONU dovrebbe esigere il rispetto, con
qualche rituale protesta del suo segretario che, di regola, viene bellamente
ignorata e rientra nel breve giro di qualche ora!
Sempre per abitudine, si ripete che la "comunità internazionale" è in lotta
contro il "terrorismo" (islamico). Invece, è più corretto affermare che la vera
"rete del terrore" sono l’Anglomerica e il suo cane da guardia sionista nella
regione all’incrocio tra Europa, Asia e Africa, creato per evitare che il
cosiddetto "Vecchio mondo" trovi la sua naturale integrazione secondo quanto
andiamo descrivendo, dal 2004, nella rivista di studi geopolitici "Eurasia"
(www.eurasia-rivista.org), di cui sono redattore. L’America -si noti- sta
tenendo un profilo estremamente basso in questi giorni, e vi sono varie ragioni
per questo comportamento, tra cui -a livello d’immagine- l’esigenza di non
compromettersi con qualcosa d’impresentabile mentre sta rifacendosi il trucco
con l’«operazione Obama».
Poi abbiamo la Russia, che da sempre -per le centrali della massoneria
mondialista- è il problema principale della talassocrazia angloamericana, la
quale ha lanciato il programma teorico-operativo dello "scontro di civiltà" al
fine di creare conflitti civilizzazionali di cui quello tra Ortodossia e Islam
lo abbiamo già visto attizzato nella ex Jugoslavia, quindi ben prima del
"fatidico" 11 settembre 2001 da cui tutto avrebbe inizio. Bisogna anche
considerare che al di fuori del cosiddetto "Occidente" (altro termine equivoco
perché diluisce l’Europa nell’Angloamerica sradicandola dal "Vecchio mondo") si
è messa in moto un’inesorabile logica d’integrazione grande-continentale di
fronte alla quale i tentativi d’innescare nuove guerre come quella all’Iraq sono
destinati ad infrangersi, poiché -tanto per fare due esempi- le manovre per
mettere contro India e Pakistan sono fallite e l’Iran (come la Siria, del resto)
è praticamente inattaccabile, grazie agli appoggi e alle coperture di cui gode.
In poche parole l’Iran non è l’Iraq dopo dodici anni d’embargo, e la Russia non
è più quella dell’ubriacone Eltsin.
L’Unione Europea in pratica non esiste, politicamente, poiché così è stato
deciso sin dall’inizio, tuttavia è bene stabilire che a livello europeo vi è una
cointeressenza nel Sionismo, che funziona come una sorta di "società a quote":
chi più mette soldi più conta, e per questo è bene ricordarsi che la Germania,
con le "riparazioni dell’Olocausto", ha una forte influenza a Tel Aviv.
La Cina, infine, che con l’Organizzazione della Conferenza di Shangai si è posta
come potenza leader del processo d’integrazione eurasiatica, è fortemente
impegnata a comprarsi letteralmente l’Africa, teatro che vede l’America in forte
difficoltà (da qui gli strali sul Darfur, ecc.).
Tutto ciò premesso, a Gaza -sebbene a forza di vedere gente massacrata potrebbe
sembrare il contrario- sta andando in scena l’atto finale dell’epoca del
Sionismo, perché una "potenza regionale" che non riesce a sottomettere neppure
un fazzoletto di terra dovrà fare i conti con le conseguenze di un altro
fallimento militare dopo quello in Libano. Adesso, l’unico errore che non deve
essere commesso da parte della resistenza sarebbe quello di cadere nelle
provocazioni che l’Entità Sionista metterà in atto ai suoi confini per
coinvolgere Hezbollah, la Siria e, alla fine, l’Iran in una guerra più ampia,
che ridarebbe fiato all’agonizzante economia degli USA, basata com’è -come
insegna il politologo A. B. Mariantoni- su una combinazione integrata di settore
petrolifero, industria delle armi, ricerca tecnologica e speculazione
finanziaria.
2) Come considera il comportamento di Fatah e Hamas in questo frangente?
Fath (da noi noto come al-Fatah), di fronte al popolo palestinese non esiste
più. L’ANP è un ologramma e Abu Mazen è il classico "indiano buono" da mostrare
alla "comunità internazionale". Il vero governo della Palestina, e non solo di
Gaza, è quello di Hamas, che non solo ha saputo guadagnarsi il consenso sulla
base dell’opera svolta tra la popolazione mentre l’ANP sprofondava nella
corruzione, ma ha saputo incrementarlo proprio nel momento più difficile, quello
dell’aggressione sionista. Hamas è, in un certo senso, il punto d’arrivo della
resistenza arabo-islamica al Sionismo dopo l’equivoco della "resistenza laica".
Non dimentichiamoci che esistono anche altri gruppi della resistenza, come il
"laico" FPLP, o il Jihad Islamico, ma è Hamas il cuore della resistenza.
Il Sionismo non potrà mai avere la meglio su Hamas perché dietro
quest’organizzazione esiste una rete molto sofisticata che non può essere
intaccata da seppur ‘spettacolari’ bombardamenti, che hanno anche lo scopo di
mostrare ai palestinesi della Cisgiordania qualche sorte potrebbe toccare loro
se osassero ribellarsi ad Abu Mazen e soci.
3) Come considera l'atteggiamento del governo italiano? Perché
quest'approccio?
Il governo italiano non va preso sul serio. Davvero, l’Italia non è una cosa
"seria", se per serietà s’intendono una visione geopolitica consona ai propri
interessi ed una consequenziale posizione. Si pensi che abbiamo un Presidente
della Repubblica che va nell’Entità Sionista a vantarsi del fatto che l’Italia
ha drasticamente diminuito il volume d’affari con l’Iran! E questi personaggi
sono poi gli stessi che parlano di «interesse nazionale» a ogni piè sospinto.
Questo Paese, comunque, per la sua stessa posizione geografica deve tenere
sempre una posizione ambivalente, e prova ne sono le sperticate dichiarazioni di
"amicizia per Israele" di tutta -e sottolineo tutta- la sua classe politica, che
agli occhi degli italiani, oramai disillusi da decenni di malaffare, vale
davvero poco. E quando tutti sono "d’accordo" su qualcosa c’è di che
insospettirsi.
La classe politica italiana è completamente scollegata dai bisogni della
popolazione, che tuttavia ha il torto di darle ancora un residuo credito,
probabilmente perché la "crisi" che attanaglia l’intero "Occidente" non è ancora
tanto grave.
La verità è che tutta la classe dirigente, politica e non, «sta alla finestra»,
per vedere che fine fa l'America. Se l'America va male, addio Sion, quindi addio
giudeofilia ostentata oltre ogni decenza e senso del ridicolo. Del resto, salvo
lodevoli eccezioni tra le quali si annoverano Mussolini, Andreotti, Mattei,
Craxi e pochi altri, gli italiani hanno sempre fatto così: saltano sul "carro
del vincitore" mentre ancora elevano lodi al "potente" di turno.
Due parole anche sul campo "filo-palestinese". La sinistra è completamente allo
sbando, senza idee-forza né presa sulla gente, e per quanto riguarda la
"sinistra estrema" trattasi di ambienti che elaborano un’analisi della
"questione" completamente superata dagli eventi: il fatto stesso che
l’iniziativa della protesta in Italia sia stata presa dagli arabi stessi -che
prescindono dalle "dicotomie" che per sessant’anni hanno ingessato l’azione
politica in Italia- la dice lunga su come costoro o si "aggiornano" o sono
destinati all’estinzione, senza nemmeno quelle briciole di consenso che certe
tardive prese di posizione mirerebbero a raccogliere.
4) Come considera l'atteggiamento dei media italiani (televisione, agenzie di
stampa, giornali e portali on-line)?
Non ci spenderei su troppe parole. Si tratta di pappagalli ammaestrati. In un
Paese in cui non esistono indipendenza, libertà, autodeterminazione e sovranità
né politica (si pensi all’assoluta fedeltà atlantica di entrambi gli
schieramenti-fotocopia, di centro-destra e di centro-sinistra), né economica (si
pensi alla svendita, dagli anni Novanta, dell’intero "patrimonio dello Stato"),
né culturale (si pensi alla valanga di "cultura americana" che ci sommerge), né
militare (si pensi alle "missioni all’estero"), i direttori e i capiredattori
sono selezionati accuratamente all’interno di un meccanismo che non consente
eccezioni, considerando che anche per certi "contestatori" è previsto un ruolo,
purché non prendano posizione contro il Sionismo, per la Palestina e,
soprattutto, per Hamas. La questione della Palestina e del Sionismo è il banco
di prova perfetto per saggiare "l’anticonformismo" di tutti quanti…
5) Quali sono secondo lei i veri obbiettivi del governo israeliano e
dell'operazione "piombo fuso"?
Innanzitutto allungare il brodo dell’esistenza del cosiddetto "Stato d’Israele",
aumentando la carica d’odio presso le popolazioni arabo-musulmane. L’Entità
Sionista ha in realtà un esercito demotivato, anche perché i soldi scarseggiano,
coi "temibili riservisti" che al confronto con un combattente della resistenza
palestinese (o libanese) fanno letteralmente ridere. In buona sostanza possono
solo tirare delle bombe sulla popolazione di Gaza, nella quale è ozioso
distinguere tra "civili" e non, poiché o la resistenza è di popolo o non è. Per
questo, bisogna affermare con forza che non è corretto piangere i bambini
trucidati dalle bombe sioniste e non riconoscere il valore e la statura morale
degli uomini della resistenza.
Come ho già detto, a causa di condizioni oggettive che vanno realizzandosi a
partire dalla fine dell’URSS, si va verso una situazione disperata per l’Angloamerica
e il Sionismo, perché non potranno più attaccare nessuno con la speranza di
farla franca. Inoltre, nella società sionista lo spirito non è affatto quello
degli "eroici kibbutzim", ma è fiacco, perché quella società s’è completamente
occidentalizzata e appiattita su valori consumistici ed edonistici.
L’unico "valore" di quella società è il mito della "forza d’Israele", in un
delirio suprematista che porta a compiere passi falsi. È poi recente la notizia
secondo cui dalle imminenti elezioni israeliane sarà escluso il partito
palestinese (è errato chiamarlo "arabo") Balad: il problema è, infatti,
demografico, quindi l’Entità Sionista sparirà effettivamente dalla faccia della
terrà perché verrà sommersa demograficamente e, in un modo o nell’altro,
terminerà così la sua funzione strategica.
6) Come si potrebbe concludere secondo lei questa vicenda?
In un primo momento con un "nulla di fatto", con qualche tentativo di riprendere
la storia infinita dei "negoziati", sebbene Fath non sarà più spendibile come
"negoziatore" perché completamente discreditato di fronte ai palestinesi e agli
arabo-musulmani in genere. Può anche darsi che vi sia l’intenzione di
costringere Hamas a "riconoscere" l’Entità Sionista (quello del "riconoscimento"
è un punto essenziale, sul quale è necessaria una ferrea intransigenza), ma
questo non avverrà perché Hamas si rafforzerà come si è rafforzato Hezbollah.
Ciò non è naturalmente un "problema", come paventano i ‘nostri’ politici e il
circo di pagliacci mediatici. E se anche dovesse verificarsi quest’ipotesi, dal
seno del popolo palestinese, dell’arabismo e dell’Islam, a causa della natura
stessa discriminatoria dello "Stato ebraico" e del ruolo che deve svolgere per
conto dell’Occidente, sorgerebbe subito una nuova forza con le credenziali
giuste per condurre la resistenza.
Ma il punto essenziale del "dopo" sarà vedere che piega prende l’America:
proseguirà a provocare la Russia ("scudo stellare", Georgia ecc.) oppure
riconsidererà il proprio ruolo nel mondo? E il bello è che anche se cambia
politica, imboccando con Obama la strada dell’«approccio soft», si può dire che
per l’America è "finita" lo stesso perché s’è oramai messo in moto un processo
inesorabile che vedrà aumentare l’influenza della Russia e della Cina a scapito
di quella dell’America, che nella migliore (per lei) delle ipotesi si ridurrà a
"potenza regionale" (l’America Indiolatina non è più il "Cortile di casa"),
nella peggiore imploderà dando libero sfogo a tutte le nazionalità compresse
sotto l’ideocrazia dell’americanismo a guida Wasp.
Michaela De Marco *
* L’autrice dell’intervista ha posto le stesse domande ad alcuni "esperti"
italiani; dall’insieme delle risposte è stato ricavato un dossier per la rivista
degli Emirati Arabi Uniti "Dubai al-Thaqâfiyya". Quella che qui viene pubblicata
è l’intervista integrale. |