Italia - Repubblica - Socializzazione

 

da "Rinascita" (4 luglio 2012)

 

Una doverosa puntualizzazione a "Storia di una tigre: Alessandro Pavolini"

L'eredità fascista e il MSI

 

Giuseppe Biamonte       

 

L'ottimo profilo biografico su Alessandro Pavolini, a cura di Paolo Francesco Lo Dico, pubblicato sul n. 129 di "Rinascita" di martedì 26 giugno, contiene, a nostro modesto avviso, un'affermazione errata, forse perché soltanto mal espressa nel contesto, che riteniamo possa facilmente prestarsi a spiacevoli fraintendimenti. Ripercorrendo il cursus honorum e le tappe salienti della vita del grande fiorentino, sicuramente tra le figure d'eccellenza che hanno incarnato, col pensiero e coll'azione, fino all'estremo sacrificio, l'anima genuinamente popolare e social rivoluzionaria del Fascismo repubblicano, quello movimentista e di sinistra che poté estrinsecarsi in tutta la sua pienezza grazie all'esperienza politica e storica della RSI, l'autore, ricordando gli avvenimenti che precedettero la mattanza dei protagonisti dell'ultima resistenza fascista, afferma testualmente: «Alcuni superstiti di Salò hanno successivamente testimoniato che Mussolini, Pavolini e Mezzasoma, nonostante la gravissima contingenza, abbiano organizzato in quel frangente disperato il passaggio della fiaccola ai giovani. Nascerà infatti nel dopoguerra l'MSI».

Orbene, con tutto il rispetto per questi "superstiti" che avrebbero rilasciato tale testimonianza, molto probabilmente ad usum Delphini, non ci pare proprio che il bagaglio rivoluzionario e socializzatore della RSI possa essere stato rappresentato dal destrismo reazionario, conservatore, filo-atlantico, massonico e filo-sionista -in altri termini autenticamente antifascista- incarnato dal cd. Movimento Sociale Italiano. Un argomento questo sicuramente giunto ormai a saturazione, ma talvolta il vecchio adagio "repetita iuvant" serve a dissipare ogni residuo dubbio, qualora ce ne fosse ancora bisogno, soprattutto per gli orfani del destrismo italiota e per i duri di comprendonio.

«Poiché la successione è aperta in conseguenza dell'invasione angloamericana, Mussolini desidera consegnare la Repubblica Sociale ai repubblicani e non ai monarchici, la socializzazione e tutto il resto ai socialisti e non ai borghesi».

L'eredità politica e sociale del Fascismo è tutta racchiusa in queste ultime volontà del Duce e del pugno di eroici dirigenti che ne condivisero la sorte, tra cui Nicola Bombacci il grande apostolo della socializzazione e tra i fondatori del PCI nel 1921, consegnata, come è ormai ben noto, sotto forma di proposta al giornalista antifascista Carlo Silvestri (Stefano Fabei, "I neri e i rossi", Milano, Mursia, 2011).

Un fossato, dunque incolmabile, tra l'esperienza social repubblicana della RSI e i suoi protagonisti e la congrega borghese e reazionaria del destrismo nazionale, che per tanti anni ha vissuto nell'equivoco "fascista" ingannando intere generazioni. Un partito quello missista che, se ebbe agli esordi della sua esistenza il compito di riunire sotto un'unica bandiera e fornire aiuto legale e materiale ai reduci (e alle loro famiglie) che avevano combattuto sotto le insegne social repubblicane e che erano ora ghettizzati e perseguitati dal nuovo regime "democratico", divenne ben presto l'antitesi del Fascismo stesso.

Ad iniziare da Giorgio Almirante, il quale, grazie alle sue indiscusse doti attoriali, un vero e proprio magister mimariorum dell'istrionismo classico, riuscì perfettamente nel corso degli anni a recitare la parte del fascista rivoluzionario (stessa cosa dicasi per il suo alter ego e finto antagonista sul palcoscenico del teatrino missista, quel Pino Rauti, l'autore delle "Mani rosse sulle forze armate", celebre, agli esordi degli anni '90, per la sua comica boutade elettorale sullo "sfondamento a sinistra"), molti dei suoi dirigenti, autentici marpioni, considerarono il partito loro feudo personale, da inserire ad ogni costo nel sistema mercantile della partitocrazia dell'Italia post-fascista. Utilizzandolo strumentalmente a fini meramente politico-elettorali, essi sono da ritenere anche i responsabili morali della morte di tanti giovani in buona fede, aizzati, nell'alveo delle logiche di Jalta, contro il nemico comunista.

È tristemente nota la confidenza, risalente agli anni '50, del massone Caradonna, che, per attirare i giovani su posizioni sempre più filo atlantiche e di destra, li incitava a scontrarsi con i "rossi". Più scorreva il sangue più era fattibile lo spostamento a destra di tanti giovani ancora recalcitranti ad abbracciare tale linea politica. Medesimo copione utilizzato in contemporanea dal PCI e dai suoi controllati "extra-parlamentari" contro il nemico fascista. Una strategia concordata e vincente che riuscì a scompaginare il movimento studentesco e a riportare sotto controllo dei partiti di regime alle estreme (MSI e PCI e loro satelliti) l'originaria contestazione del '68.

Molti di questi dirigenti missisti furono gli stessi doppiogiochisti che, già durante la RSI, cercarono in tutti i modi la trattativa col nemico per salvare la pelle e mettersi al servizio dei vincitori atlantici in funzione anticomunista. I loro servigi all'Office of Strategic  Services, il servizio segreto americano, sotto il comando del famigerato James Angleton, sono ormai arcinoti e ampiamente documentati dalla storiografia contemporanea. Un partito reazionario, dunque, convinto sostenitore dei colpi di stato militari consumati nelle varie parti del mondo (Grecia e Cile in primis) sotto l'egida yankee e NATO e grande fan della rapina e dell'olocausto del popolo palestinese per mano sionista (in questo perpetuando storicamente il supporto dato da alcuni ex combattenti della X Mas ai terroristi ebrei durante gli esordi dell'entità sionista in Palestina).

La lista sarebbe ancora lunghissima, ma ci fermiamo qui, anche perché la coerente evoluzione dell'attività di tali personaggi nel corso degli anni è tutta riflessa nelle gesta e nelle scelte politiche dei loro degnissimi discepoli e epigoni (compresi i rifondatori di Destre doc, i classici specchietti per le allodole, con fiamme, fiammelle e fiaccole varie). Squarciati finalmente i veli dell'ipocrisia e senza più maschera in volto, tali figuri hanno traghettato, vivaddio, 60 e più anni di equivoci e d'inganni, tutti consacrati al conservatorismo demo-liberista, verso la meta naturale del loro "progetto politico e ideale": la totale sottomissione e obbedienza della Nazione (più appropriato in questo caso l'uso del termine "Paese") ai dettami liberal-liberisti della cupola usurocratica che progetta un governo mondialista e la cancellazione della sovranità politica, economica e culturale dell'Italia.

Giuseppe Biamonte        
 

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