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La crisi armistiziale dell'8 settembre

 

La crisi armistiziale dell'8 settembre

In occasione della presentazione del volume: "Salvare il salvabile La crisi armistiziale dell'8 settembre 1943: per gli Italiani il momento delle scelte" di Giorgio Prinzi e Massimo Coltrinari, a Roma presso la "Associazione socio-culturale "Il Ponte" Consiglio Nazionale delle Ricerche di Mercoledì 8 settembre 2010 alle ore 15,15 (Aula del Pentagono Piazzale Aldo Moro, 7), evento al quale, proprio in questi giorni si è aggiunta anche la trasmissione televisiva, molto interessante su RAI3, inerente la liberazione di Mussolini al Gran Sasso, Giorgio Vitali e Maurizio Barozzi hanno espresso, in scambi di e-mail con molti altri lettori, le seguenti considerazioni che riteniamo opportuno pubblicare nel sito FNCRSI.

      

le considerazioni di Giorgio Vitali


Premetto che ho la massima fiducia nella libertà di giudizio dell'amico Giorgio Prinzi, che si è sempre mosso con molta spregiudicatezza nel campo delle ricerche storiche più o meno recenti. Premetto inoltre che, a fronte di una situazione disastrosa come quella in cui si trovava l'Italia in quei frangenti la soluzione non poteva che essere di un certo tipo. Che -more italico- ci sia stato qualcuno che voleva giocare a rimpiattino non metto in dubbio. Ma certamente non era Badoglio, completamente rincoglionito, né quell'accozzaglia di coglioni dei generali italiani. Gli ammiragli poi erano completamente nelle "mani" degli inglesi. Che fino all'ultimo momento si sia cercato di tergiversare è plausibile. Che la "pressione" della opinione pubblica (i singoli cittadini ed i semplici militari) stanca della guerra e soprattutto delle sistematiche sconfitte abbia potuto agire sui capi come ulteriore "spinta" a «chiudere il capitolo» è verissimo.
A questo punto subentrano alcuni fattori.
1) L'interesse degli "stranieri" occupanti ad avere qualcuno con cui trattare (si fa sempre così) vedi Iraq ed Afghanistan oggi.
2) L'interesse di quel "qualcuno" a NON farsi scavalcare da altre e più temibili "gerarchie parallele" (vedi il Re al Sud).
3) L'interesse dell'occupante a togliersi dalle palle un coinquilino rompiscatole (Kesselring che facilita la "fuga" del Savoia, in cambio del "ritrovamento" e della "sceneggiata" sul palcoscenico mondiale della liberazione di Mussolini).
4) Interesse di Mussolini a portare avanti una "rivoluzione" fino ad allora appena accennata perchè bloccata per decenni da eventi del tutto esterni (crisi del '29 conseguenze a cascata) e della quale era sicuramente interessato a mostrare concretamente la FATTIBILITÀ. [Stabilito pertanto che questo era l'interesse primario, c'era inoltre da difendere il difendibile dell'Italia del Centro Nord, la fiducia del fascisti, che si dimostrarono in numero assai maggiore di quelli previsti e prevedibili, e la "speranzella" che, se fossero entrate in funzione le "armi segrete", non tutto sarebbe stato perduto].
Un altro fattore dovrebbe essere preso in considerazione, che è per noi il più importante nell'analisi storica dei conflitti: il fattore Geopolitico.
Noi riteniamo infatti che il vero movente della lotta politica sia il fattore geopolitico, nel senso che le scelte fondamentali che una classe dirigente compie sono motivate (ma potrebbero essere anche inconsce, ed in tal caso l'adesione ad una linea strategica è ancor più pregnante) dalla collocazione che si vuol dare al paese. sappiamo bene che l'Italia, per la sua collocazione geografica (penisola protesa al centro del mediterraneo), si trova in una posizione di ambiguità geopolitica. dopo la sua riunificazione, il nostro paese ha sempre oscillato fra il mare ed il continente. (Prima no! Perchè il Sud stava col «Mare» mentre la Padania stava col «Continente»).
Le scelte continentali sono finora state nefaste (pensiamo alle nostre sconfitte in Africa a fine ottocento, dovute alle palesi ostilità di Francia ed Inghilterra). E tuttavia oggi riteniamo la scelta Eurasiatica l'unica praticabile oggi come ieri, una politica estera che con lungimiranza aveva intravisto Mussolini.

Giorgio Vitali
 

[Nota finale: è molto interessante l'atteggiamento di Eisenhower che, nell'interesse USA e contro quello dell'Inghilterra, pone fine alle cosiddette "trattative" dei Savoia].

P.S. - Voglio anche aggiungere qualcosa d'altro che proviene, dalle mie letture rapidissime del libro intervista a De Felice "Rosso e Nero" e del libro "Italia-Svizzera 1943-1945". Quest'ultimo libro, anche nella brevità delle considerazioni ivi esposte, ci fa capire alcune cose:
la prima, chiarissima, è che gli accordi Wolff/USA non furono propiziati in Svizzera perchè in quel paese c'erano personaggi dell'OSS interessati, anche in termini politici molto chiari, alla prosecuzione di certe linee politiche vicine alle SS piuttosto che agli Junkers, favorevoli agli accordi con i russi, [vedi anche il ruolo svolto da Skorzeny nel dopoguerra come pivot CIA in Spagna e partner di Valerio Borghese], ma perchè al governo svizzero interessava la salvaguardia delle proprie fabbriche in Padania, il mantenimento intatti dei porti italiani del Tirreno, e quant'altro! A completa spiegazione della faccenda occorre ricordare che non c'è discontinuità neppure oggi, tra l'industria chimica di Basilea (SV) sul Reno, e quella tedesca (sempre sul Reno), tanto che furono più volte "erroneamente" bombardate le fabbriche di Basilea dai Liberators (nel silenzio glaciale di quel Governo).
Allora come oggi, generalmente non si tiene conto della Svizzera, ma questo silenzio fa parte del gioco. La fuga dei Savoia non sarebbe andata oltre 10 km se non fosse stata concordata.
Ho scritto di recente anche su questo. in un libro scritto da persona da me conosciuta, quello che svela la trattativa di compra vendita di villa Wolkonsky in Vaticano, fra tedeschi ed inglesi, c'è anche la foto della staffetta tedesca che precedeva la colonna dei felloni.
Che poi questi, all'atto di imbarcarsi, si comportarono da cialtroni è comportamento tipico di quella gente. Mussolini era merce di scambio e non poteva essere diversamente.
Sapremo sicuramente di più alla presentazione del nuovo libro sull'8 settembre presso il CNR.

 

Giorgio Vitali
 



le considerazioni di Maurizio Barozzi
 

Purtroppo non ho visto il servizio della RAI che mi dicono sia stato molto interessante. Concordo con il commento di Nazzareno che siamo in presenza di una storia ancora tutta da scrivere e aggiungo io, "da dimostrare".
Faccio però una premessa.
È stupido accusare certi storici di "complottismo" o "cospirazionismo", per il semplice motivo che tutte le vicende storiche sono, di fatto, "complottismo" e non potrebbe essere diversamente vista la natura umana, gli intenti e lo svolgersi degli avvenimenti che non sono solo quelli, o comunque non sono sempre quelli che ci descrivono le cronache. Bisogna però anche aggiungere che, affinchè certe ipotesi o intuizioni o sospetti non rimangano tali, occorre in qualche modo comprovarli.
Di solito lo storico onesto (difficile da trovare) su un determinato avvenimento cerca di formulare tutte le ipotesi possibili, anche quelle incredibili.
Quindi poi, attraverso la ricerca di prove e testimonianze comprovate scarta quelle insostenibili e promuove quelle più dimostrabili.
Purtroppo il tutto è spesso pregiudicato, oltre che dalla malafede derivante dal procacciarsi meriti e successi in ambito editoriale e/o accademico (dove non si può non tener conto di certe "regole di regime") anche dalla presunzione dello storico che, partendo da una sua ottica di lettura della storia, magari dalla sua visione ideologica, cerca di adattare i fatti a questa personale visione.
Detto questo, vediamo un attimo il problema della liberazione di Mussolini.
A mio avviso ci sono alcuni dati molto importanti.
1. Mussolini poteva benissimo e facilmente essere soppresso o consegnato agli Alleati nelle ore successive all'8 settembre, se non poco prima. Questo non avvenne e sappiamo anche che nelle ultime ore di prigionia cambiarono le disposizioni ai carabinieri a lui di guardia su come comportarsi in caso di tentativi di liberazione o di fuga. La telefonata intercontinentale tra Churchill e Roosevelt del 29 luglio 1943 ci attesta inoltre il desiderio alleato a che venisse soppresso e le preoccupazioni di Churchill che questo non era facile a farsi, nonostante i tanti "appoggi" che avevano in Italia perchè, secondo lui, gli italiani se lo volevano "cucinare" da loro (o meglio, aggiungo io, utilizzarlo come merce di scambio). Se Badoglio, all'ultimo momento, negò questo "favore" agli Alleati, evidentemente è perchè gli era divenuto più conveniente, o necessario, giocarselo in altro e diverso modo. Qui però siamo nel campo deduttivo, non in quello probante.
2. La fuga del Re da Roma ha lasciato molti indizi a dimostrazione che, in qualche modo, venne concordata. Per prima cosa, già la mancata difesa di Roma, che avrebbe comunque impegnato i tedeschi e agevolato lo sganciamento dei fuggiaschi, quindi il tragitto di fuga fino a Orte che non era sconosciuto ai tedeschi e sembra anche che da questi venne in qualche modo seguito e agevolato. Si parla di varie testimonianze di residenti locali che attestano questo e persino di alcune foto, però fino ad oggi nessuno si è peritato di reperirle (interessante sarebbe la foto della staffetta tedesca in moto che precedeva la fuga dei felloni, accennata da Giorgio Vitali, che purtroppo non ho visto). Fino a questo momento abbiamo in mano solo prove "deduttive", come quella che "stranamente" i tedeschi lasciarono libera proprio quella parte di Tiburtina atta a consentire al Re di squagliarsela.
3. Abbiamo quindi molti altri indizi che una certa, chiamiamola, "diplomazia sotterranea", durante i 45 giorni del governo di Badoglio trattò sotto banco con i tedeschi varie e importanti questioni. Importante è anche la vicenda della vendita dell'ambasciata a villa Wolkonsky in Vaticano, ecc. Dobbiamo aggiungervi il fatto che venne, magari all'ultimo momento, una volta "saltato il banco" con l'annuncio da Algeri dell'armistizio (quindi tra la sera dell'8 ed il 9 settembre) concordata una fuga del Re, in cambio, tra l'altro, della liberazione di Mussolini? Quindi che in quelle frenetiche ore maggiorenti germanici e clan di Casa Reale (mediatore il colonnello delle SS Eugene Dollman che aveva i piedi in più staffe) concordarono in linea di massima: l'incolumità dei sovrani, corte, generali e governo compresi, in cambio della consegna di Mussolini prigioniero di Badoglio, della cessione al Reich della riserva aurea dello Stato depositata nella Banca d'Italia e la cessione di tutto l'armamento dell'esercito italiano. Tutto questo è molto probabile, vista la dinamica successiva degli avvenimenti, ma fino a questo momento ci mancano le documentazioni che lo attestino definitivamente e non solo per via deduttiva o labili indizi. Queste documentazione dovrebbero trovarsi celate dai Savoia e questi è ovvio che le tengono nascoste, ma quelle sequestrate dagli Alleati ai tedeschi, compresi gli interrogatori di Kesserling e camerati, perchè non sono state rese note? Non mi sembra un segreto che fosse così tabù per gli Alleati. Queste carenze mi inducono ad andarci con i piedi di piombo.
4. Comunque sia, se così fosse, a mio parere, ci sarebbe stata una trattativa sotto banco tra Kesserling e i suoi uomini e il governo badogliano. Kesserling è indubbio che ragionava in termini di economia militare, ma tutto questo avvenne forse all'insaputa di Hitler. Dico questo perchè noi abbiamo la pressoché completa panoramica dei movimenti, degli atti e delle parole di Hitler in quei periodi, giorno per giorno se non ora per ora. Ed anche di Goebbels ed altri importanti elementi, oltre agli archivi militari e di stato della Germania, e non c'è assolutamente traccia che Hitler fosse a conoscenza di queste transazioni tra Kesserling e i savoiardi. Ora possiamo congetturare come vogliamo, ma non possiamo non tener conto di questo, anche se mi sembra molto difficile che queste trattative non siano venute all'orecchio di Hitler (altro elemento quindi per andarci cauti). In ogni caso è ovvio che su lo svolgimento della guerra in Italia, tra il 1943 e il 1945 pesarono molte convenienze e varie transazioni sotto banco e, tutto sommato, agli Alleati fece comodo, soprattutto in prospettiva politica ed economica futura, che le operazioni militari andassero in un certo modo (del resto per ragioni di strategia post bellica, come sappiamo, gli Alleati ritardarono appositamente l'avanzata in Italia, dando una importanza minore al loro fronte, che viceversa avrebbero raggiunto e invaso, il Reich da Sud, entrando facilmente nel cosiddetto "ventre molle" e quindi facendo terminare la guerra molto prima che i Sovietici, come era previsto da certe strategie, avessero raggiunto gli obiettivi territoriali in Europa che gli erano stati riservati. Non è neppure un caso che l'Italia del Nord non venne letteralmente rasa al suolo con tutte le sue industrie come avvenne in Germania o in Giappone. Da noi i bombardamenti furono in parte di origine militare (ponti, snodi ferroviari, caserme, installazioni militari, ecc.) e soprattutto di origine terrorista (contro la popolazione e le strutture civili). Ma non ci fu la distruzione degli impianti idroelettrici, portuali e delle industrie nazionali. Non fu casuale.
Ecco vi ho fornito alcuni elementi, anche se un po' pochi, per una discussione esaustiva.


Maurizio Barozzi