Italia - Repubblica - Socializzazione

 

La pensione ai "repubblichini"

 

Giorgio Vitali      

 

«Tutte le grandi verità nascono come bestemmie»

G. B. Shaw

Con cadenza quasi annuale, come ricorrenti crisi di demenza, qualcuno in parlamento o in altre sedi continua a proporre una pensione ai "Repubblichini". Tra parentesi, a NOI questa parola diminutiva, dal tono oltretutto "vezzeggiativo" non spiace affatto, come a suo tempo notò Luciano Lucci Chiarissi, aggiungendo che il termine aveva perduto qualsiasi significato "diminutivo", come accade sempre alle parole usate a vanvera, o con intenti offensivi, del tutto falsi.
Le parole, come hanno a lungo dimostrato gli studiosi, costituiscono una realtà che è difficile scalfire. Ne parleremo in seguito, per sottolineare che la falsità non paga mai. La proposta di legge più recente, attribuita a un deputato Gregorio Fontana, forse bisognoso di facile notorietà, ha avuto effimera notorietà sui Media, affaticati nel raccontare idiozie sulla situazione internazionale.
Cercheremo di cogliere la palla al balzo per alcune considerazioni.

1) La presa di posizione di esponenti del passato
Il vicepresidente dell'ANPI, associazione di "partigiani", Armando Cossutta, noto stalinista degli anni d'oro del PCI, ha detto che si tratta di una gran porcheria. L'esponente degli ebrei romani, Riccardo Pacifici, conosciuto anche come sindaco di Roma, ha detto che si tratta di una "discriminazione" che non può essere tollerata (a proposito di uso improprio delle parole…).
Il giovane Cossutta, esponente della buona borghesia milanese, villeggiava nell'estate del 1944-45, sulla riviera romagnola nella quale, egli asserisce, operava come "partigiano".
Il quotidiano Repubblica scrive: "Reduci di Salò" (chiariremo in seguito la parola) come "partigiani".
Nel PdL gli interventi sono stati, more solito, affannati e affannosi per tamponare la gaffe e trovare compromessi. (Siamo ancora in attesa di conoscere le vere ragioni, interne a quel partito, della proposta.)

2) Risposte irose di vecchi repubblichini
La maggioranza dei vecchi repubblichini ha risposto irosamente a questa ennesima presa per i fondelli, trattandosi essenzialmente di una banale beffa tesa a captare benevolenze per eventuali votazioni. Va fatto presente che non è la prima volta che sollecitazioni di tal genere giungono agli ex combattenti della RSI. Si tratta sempre di trucchi più o meno sfacciati che però giungono a segno in un numero fortunatamente sempre meno numeroso di ingenui. Cogliamo l'occasione per ricordare alcune di queste "operazioni da magliari". La prima è stata descritta da Enrico De Boccard nel suo delizioso racconto: "Il passo dei repubblichini", edito recentemente da Libero-Le Lettere.
Si tratta di un reclutamento di ex militari della RSI romani ai quali era stato fatto credere di poter fare un'improbabile rivoluzione. In realtà si trattava di proteggere il Quirinale ove alloggiava ancora Umberto II poco prima dell'esilio. Seconda fu la scissione della FNCRSI ad opera di persone legate ai servizi occidentali per orientare sul fronte di un intransigente atlantismo i reduci dei tanti fronti di guerra. Terza fu indubbiamente la nascita del cosiddetto "neofascismo", con tutte le relative implicazioni, dirette e indirette. Quarta fu il cosiddetto " Golpe Borghese" al quale abboccarono in molti. Quinta e definitiva, la nascita di Alleanza Nazionale i cui cascami continuano a recitare nel "Grand Guignol" italiano. (Ricordiamo, tanto per anticipare altre dichiarazioni, che il signor Gianfranco Fini è, a livello internazionale, negli ambienti che contano, del tutto squalificato. Nessuno gli darà mai fiducia. Il suo è un agitarsi a vuoto).


3) Sproporzione nei rapporti
Stupisce l'incapacità di analisi di buona parte di coloro che pretendono di conoscere il fenomeno che ha caratterizzato la storia del nostro paese fra il 1943 ed il 1945.
Possono essere giustificati i giovani ai quali è stato raccontato di tutto, e mancano di senso critico. Differente è il caso di coloro che pretendono di passare per studiosi. Il primo elemento che dovrebbe balzare agli occhi di chiunque è la differenza numerica. Malgrado il silenzio che copre la storia delle FFAA della RSI, peraltro ampiamente descritta da diecine di opere egregie fra le quali in primis quelle di Giorgio Pisanò e Attilio Tamaro, la sproporzione balza agli occhi. Le FFAA del cosiddetto Regno di Pulcinella, secondo testi "ufficiali" raggiunsero la ragguardevole cifra di 45.000 solo dopo il giugno 1944, a conquista di Roma avvenuta. Si trattava di personale, spesso riluttante alla leva, come dimostrano le rivolte siciliane, che vestiva una divisa inglese, a sottolineare la sudditanza nei confronti di Albione. Ci riferiamo ai dati forniti dall'Agenda dell'Esercito 2010, che ci elargisce questi numeri significativi: 5 Gruppi di Combattimento in Italia. Nei Balcani le Divisioni "partigiane" Garibaldi e Italia. Perdite: 18.655 in Italia e 54.622 perdite sui fronti esteri nel periodo settembre-ottobre 1943 per le reazioni dei Tedeschi, 12.000 caduti tra militari inquadrati e partigiani nel periodo 1943-1945. Una bella conclusione per un tradimenti sconclusionato che oggi si continua a esaltare come forma di eroismo bellico. Senza escludere i 60.000 militari morti nei campi di concentramento. Di contro abbiamo oltre un milione di militari in divisa italiana, suddivisi in moltissime formazioni, quasi tutti volontari. Perché è ovvio che in quelle condizioni e con quelle prospettive, in un fuggi fuggi generalizzato, la scelta repubblicana non poteva che costituire un atto della volontà.

4) Mitologia falsa
Le falsità legate al mito resistenziale si scoprono da sé quando si esce dal pollaio italiano. La cosiddetta resistenza, nome copiato da altra realtà, anch'essa peraltro ampiamente gonfiata, esiste solo per gli italioti. Lo abbiamo già scritto in precedenza. Fuori d'Italia la percezione popolare del secondo conflitto mondiale ignora questo fenomeno. Per gli "altri" l'Italia ha combattuto e perso contro le potenze plutocratiche.

5) Pulsioni pensionistiche
È possibile che la proposta di legge in questione parta dall'esigenza di interpretare i bisogni primari degli italiani, intesi come istanza primordiale alla pensione. Ricordiamo che, quando ad inizio novecento, il Governo di allora decise di concedere la pensione ai 1000 garibaldini della spedizione detta appunto dei MILLE, giunsero 100.000 domande. Ne avrebbe potuto gioire Pio IX per questa inatteso aggiornamento della formula della moltiplicazione dei pani e dei pesci. Cogliamo l'occasione per far presente che la denominazione di Brigate Garibaldi che assunsero certe formazioni partigiane (composte a volte di una diecina di persone), quasi sempre a guerra finita, era finalizzata all'ottenimento della "pensione", dato che tali Brigate erano state riconosciute ufficialmente come truppe regolari appartenenti al nostro esercito. Se si tenesse conto di questo piccolo dettaglio si capirebbero molte cose. Soprattutto relative allo spreco di queste denominazioni. Abbiamo infatti un numero spropositato di Brigate Garibaldi, che fanno da "pendant" all'esiguità dei componenti di ogni singola Brigata. Inoltre sarebbe bene ragionare su alcuni elementi inconfutabili: se si trattava di gruppi clandestini, come ed a chi avrebbero dovuto riferire della loro formazione? E chi avrebbe dato la numerazione della compagine? Vero è che nell'ambito della continua richiesta di munizionamento, vestiario, vettovaglie, medicine, i CLN si spendevano nell'inventare numeri astronomici di "militanti". E spesso le richieste erano accolte dagli Alleati con il lancio paracadutato di materiale che finiva venduto alle popolazioni ed anche alle autorità repubblicane.

6) Dalle fotografie si capisce il falso
Basterebbe un'occhiata minimamente attenta per capire che oltre il 90% delle foto di "partigiani" sono false. Ovvero scattate a guerra finita per usi vari. Alcune note: le foto sono molto limitate sul numero dei personaggi ritratti. Di contro alla vastissima documentazione filmata delle formazioni della RSI in parata ed in azione. Spesso questi partigiani vestono una divisa che si capisce benissimo essere stata "requisita" ad una delle tante fabbriche che lavoravano per le FFAA della RSI. D'altronde, come avrebbero potuto vestire una divisa persone che per lo più erano renitenti alla leva datisi alle montagne ed al bosco? Tant'è che dalle foto di rappresaglie, per lo più attuate dai tedeschi, non si vede una sola persona fucilata o da fucilare che vesta una divisa. Un classico della falsificazione, ma in questo caso conosciuto, è costituito da un gruppo di persone in borghese che impugnano mitra e fucili, ritratto nelle vie di Milano. Le didascalie ci dicono di "partigiani". In realtà le foto furono commissionate ad un noto fotografo, a guerra finita, per documentare fascisti, uomini e donne, che combattevano l'ultima battaglia contro le forze d' occupazione.

7) Disorientamento culturale
Ruggero Zangrandi, in "L'Italia tradita", Garzanti, in relazione al Colpo di Stato del luglio 1943, scrive:
«La scelta dei nuovi governanti non cadde, com'era logico aspettarsi, su noti e dichiarati elementi antifascisti, ma rimasero o furono chiamati al potere uomini che, più o meno, erano stati alla ribalta del fascismo, il ché fu più che sufficiente per giustificare quella legittima diffidenza da parte degli anglo-americani che tanto ci nocque nel corso delle trattative. Si continuò a NON tenere in alcun conto l'apporto che le "forze popolari" avrebbero potuto dare in tutta l'Italia alla resistenza a tedesco, apporto che, dall'on. le Buozzi, (poi assassinato in circostanze molto strane) era stato esplicitamente offerto e garantito al maresciallo Badoglio».
[NOTA: dato che quanto qui scritto è confermato anche dai fatti, e nessuno potrebbe negarlo, c'è da chiedere dove e come sorgono i "valori della resistenza" tanto invocati in questi tristissimi decenni di asservimento atlantico, collegati con l'"antifascismo", mantra recitato a bocca piena anche da "neofascisti" di ritorno, quali quelli che sono al governo. Qui non solo non si vede prova concreta dell'esistenza della resistenza, ma qualora ci fossero state manifestazioni belliche da ascrivere a questa definizione, non esistono prove che tali manifestazioni siano state indotte da "fede antifascista"].

8) Come sempre le legittimazioni a posteriori trovano tromboni pronti all'uso
Norberto Bobbio scrive ("Giustizia e Libertà", Anno XX, n.3, Marzo 1966)
«Sono d'accordo con Sergio Cotta nel ritenere che la Resistenza s'inquadri meglio nel fenomeno della guerra, se pure di quella particolare forma di guerra che è una guerra di liberazione, che non in quello della rivoluzione».
[NOTA: ma, se non si tratta rivoluzione, cioè tentativo di cambiamento, e posto che il fenomeno sia esistito, che legittimazione può avere, ieri come oggi, tale fenomeno, dato che NON si può trattare di guerra di liberazione essendo un elemento minimale e del tutto marginale alla guerra di conquista anglo-americana del nostro territorio nazionale? Diciamo anzi che (e la guerra neocoloniale di riconquista della Libia che gli anglo francesi compiono in queste settimane ne è l'esempio più comprensibile) la guerra atlantica contro di noi era la risposta al nostro tentativo di liberarci da una servitù all'Inghilterra che ci portavamo dietro dal 1860].
Prosegue Bobbio:
«La resistenza è stata anche, nel suo complesso, un movimento politico… Con questo non ho affatto l'intenzione di sostenere la tesi per così dire ufficiale della continuità pura e semplice tra antifascismo e resistenza, che nel modo con cui spesso è formulata mi è sempre sembrata una tesi da storia didascalica… Mentre sarebbe difficile contestare il successo della guerra di liberazione, il successo della resistenza come movimento politico è il ricorrente oggetto delle più appassionate contestazioni. Su questo problema si è venuta formando ormai una vasta letteratura che per comodità di esposizione si potrebbe distinguere in tre tendenze principali che chiamerei della: Resistenza tradita, della Resistenza fallita, della Resistenza esaurita. Orbene, non si può in alcun modo dare una risposta al problema quale sia il significato della Resistenza per lo sviluppo della vita politica italiana sino ad oggi, se non si entra nella disputa e non si prende in qualche modo posizione di fronte alle interpretazioni contrapposte».
Se lo dicono loro, che ne sono i massimi esegeti…
[NOTA: se qualcuno non può definire chiaramente, almeno nelle sue linee essenziali, un fenomeno storico, sul quale si va farneticando giornalmente, è evidente che qualcosa non quadra. È altresì evidente che, se il fenomeno è soltanto un mito inventato ad uso di sfruttamento ideologico, prima o poi la verità viene a galla nella sua più nuda nullità. Ad esempio: noi sappiamo cos'è il fascismo: nazionalismo, socialismo nazionale, sindacalismo nazionale, sovranità politica e monetaria, indipendenza, socializzazione mazziniana nelle imprese. Loro non sanno cos'è la resistenza a 60 anni da un evento che loro chiamano resistenza. Ma si permettono di distinguere i "resistenti" come Unici combattenti ignorando la stragrande maggioranza della popolazione italiana che invece ha continuato a combattere CONTRO l'invasione atlantica, dando un consenso diretto ed indiretto alla repubblica Fascista. Come diremo in seguito].

9) Salò; Un riduzionismo idiota
L'uso della terminologia relativa alla cittadina di Salò cela una forma infantile di sminuire l'avversario. Salò fu sede di un solo Ente della RSI, anche se particolarmente importante. La capitale della Repubblica invece fu Roma fin quasi all'imminenza della conquista da parte alleata. I ministeri furono poi trasferiti a Brescia. Pertanto, se esistesse un minimo di onestà intellettuale si dovrebbe dire Repubblica di Brescia.

10) Ruolo della Svizzera
Pochissimi "storici" hanno finora sottolineato l'importanza degli interessi economici ed industriali svizzeri nello svolgersi degli avvenimenti che hanno portato alla fine della RSI. Ciò significa non conoscere gli avvenimenti reali e quanto sia stato importante il ruolo giocato dalle autorità svizzere nei "contatti" fra le autorità tedesche, repubblichine, uomini del CLN che non erano di certo i cosiddetti esponenti della partitocrazia a venire, ma persone legate agli interessi economico-bancari ed industriali del Nord, con gli esponenti dei "Servizi" anglo-americani residenti, appunto, in Svizzera. (Vedi: Pino Adriano: "L'intrigo di Berna", Mondadori.) Nel libro: "Italia e Svizzera 1943-1945", edito da Amaltea nel 1996, l'autore Daniele Christen cita il fatto che Mussolini ricevette il pomeriggio del 25 aprile il console generale di Spagna a Milano, Fernando Canthal y Giron per chiedergli di iniziare i contatti col ministro britannico a Berna per una resa. Siamo pertanto nel pieno della cosiddetta "ribellione popolare", come ci si vuol far credere con la festa del 25 aprile, e Mussolini invece è ancora in attesa di trattare la resa con gli inglesi. Noi siamo convinti che le trattative di Wolff, Dollman e compari con gli Alleati siano riconducibili ad una linea politica e geopolitica filo atlantica dettata da Himmler in accordo con l'ideologia delle SS. Tale linea avrebbe portato nel tempo a transitare nei "servizi" americani di moltissimi ex appartenenti a quelle truppe. Ma questa è anche la segreta ragione del tradimento che questi signori attuarono nei confronti di Mussolini, per la ragione fondamentale consistente nel contrasto con la linea geopolitica dal Duce sempre perseguita, di alleanza eurasiatica contro le potenze atlantiche.
E tuttavia, in quei momenti di massima tensione, le decisioni devono essere prese seguendo impulsi immediati. Scrive ancora Christen nel libro citato: «Negli ambienti svizzeri, proprietari di cospicui interessi nel Nord Italia, aumentò la preoccupazione a causa dei pericoli provenienti sia dalla RSI (socializzazione) sia dall'occupante nazista (smantellamento degli impianti e trasferimento in Germania), nonché, nell'ultima fase della guerra dallo spettro dell'anarchia… Contemporaneamente un ufficiale svizzero svolse opera di mediazione attiva fra il generale Wolff ed emissari alleati sfociata in una capitolazione separata delle truppe tedesche. Come rileva lo storico Georg Kreis, il mediatore ottenne da Wolff la promessa che la Wehrmacht rinunciasse alle distruzioni ordinate dal supremo comando dei porti di Genova e di Savona nonché degli accessi al Sempione e San Gottardo. (E vorrebbero ancora farci credere alla sollevazione spontanea del popolo!). Intanto, partito Mussolini ed il Governo, si insedia alla Prefettura di Milano, la notte del 26 aprile, Carlo Greppi, cognato del generale Raffaele Cadorna, capo del CLN, che citeremo in seguito.
Greppi non è di certo un rivoluzionario e men che meno un "partigiano" secondo l'accezione che ci viene a tutt'oggi accreditata. È uomo che deve garantire gli interessi economico-monetari che potrebbero essere a rischio. In contemporanea c'è anche il passaggio di consegne della caserma della Muti, lasciata del tutto sguarnita, alla Guardia di Finanza. Anche questa "azione", avvenuta in "notturna", garantisce il mantenimento dell'"Ordine". Scriviamo queste cose per sottolineare la sostanziale differenza fra la verità storica e quanto inventato dalla mitologia resistenziale.

11) Nascita della Mitologia resistenziale
La mitologia resistenziale nasce in Italia negli anni settanta, per ragioni di politica interna, e si basa sulle "fantasiose creazioni" dei primi governi De Gasperi, che stavano trattando le condizioni di pace con gli Anglo-Americani. Diciamo queste cose perché ne abbiamo le prove. Ci sono necessità alle quali tutti i governi, a tutte le latitudini, si devono piegare. Similmente, tanto per non andare lontano, si stanno tutti adeguando, e il governo italiano con particolari contorsioni, al nuovo, presumibile, assetto nel governo della Libia. Tornando a noi, è sufficiente ragionare in termini geopolitici. Gli anglo americani avevano necessità di garantirsi la collaborazione del governo italiano in una difficile fase post-bellica, nella previsione di una guerra fredda d'incerta soluzione e nella necessità di preservare le basi in Italia, a loro assegnata per ovvie ragioni nelle trattative di Jalta. Tuttavia, non avrebbero potuto contestare le "ragioni" del loro intervento in guerra. La "redenzione" del popolo italiano veniva incontro a queste esigenze. Ce lo dimostra il discorso tenuto dal ministro degli esteri inglese Ernest Bevin alla Camera dei comuni inglese, nell'agosto del 1945. (Riportato su: "Politica Estera", Anno II, n. 8-9, agosto 1945). Dice il Bevin: «La Gran Bretagna pensa con profondo dolore (sic!! ), e non può dimenticarlo, alle vite di uomini del Commonwealth britannico e dei suoi alleati perduti in battaglia contro l'Italia. Ma venne il tempo in cui gli italiani stessi si volsero contro il fascismo e la dittatura e si affiancarono con gli alleati nella lotta contro il nazismo, alla cui disfatta essi hanno dato un sostanziale contributo».
Ci sembra più che sufficiente questo brevissimo brano per capire da dove e come si è sviluppato il discorso resistenziale, trasformatosi in Mito durante gli anni settanta.

12) Giudizi sul Fascismo
Poiché per il momento il nostro intento non è la riabilitazione del fascismo repubblicano, procedimento storico in atto da tempo, ma sottolineare l'elemento di falsificazione insito nel Mito resistenziale, ci limitiamo a riportare alcune considerazioni sulla figura e sulla politica di Mussolini, utili ai nostri fini in questo momento. Su "il Pensiero Mazziniano", anno LXII, numero 2, del 2007, un articolo di Gian Franco Fontana, nel commentare il fondamentale: "Fascismo controrivoluzione imperfetta" di Domenico Settembrini (Sansoni, 1978), cita alcune dichiarazioni del noto storico, secondo cui: «Mussolini non superò mai l'anticapitalismo viscerale istillatogli dal padre, non accantonò mai il sogno, legato al suo originario giacobinismo marxista, di una società nuova, come risultato del superamento della società capitalista pre-fascista, liberal-democratica che, se se avesse vinto la guerra, insieme a Hitler, avrebbe cambiato l'Europa». «A parere di Settembrini, non si capisce nulla del fascismo se non lo si colloca nella storia del socialismo rivoluzionario di cui rappresenta una delle cinquantasette varietà proliferate dopo che, alla luce dell'esperienza storica, la via marxista alla rivoluzione risultò impraticabile, e fu chiaro, con Lenin, che per conquistare il potere bisognava deviare dall'ortodossia: ciò che Mussolini fece, sulle orme del maestro, adattandosi alle condizioni dell'Italia»… «Se per una svolta non prevedibile all'inizio del conflitto, il fuhrer non avesse ricalcato la strada di Napoleone in Russia, la seconda guerra mondiale si sarebbe configurata come una guerra nazionale di paesi poveri (o sacrificati dal trattato di Versailles) contro i paesi ricchi. E con l'Unione Sovietica neutrale, anzi, legata con un patto con la Germania». Si tratta di una tesi che noi condividiamo del tutto, perché la situazione attuale ce ne dimostra la validità, anche se buona parte della popolazione globalizzata, assillata dai debiti e presa nella morsa della sopravvivenza, non ha ancora evidenziato chiaramente chi è il vero "nemico dell'Umanità". Finora ha vinto il liberalcapitalismo, ma non è detto che questo possa tenere ancora a lungo. E d'altronde, lo spettacolo di Piazzale Loreto, che dimostra una particolare sensibilità nell' organizzazione di messaggi mediatici da parte di coloro che si ritengono ancora oggi padroni del mondo, (i filmati su quello scempio furono eseguiti da noti registi hollywoodiani) dimostra, a chi sa comprendere il senso dei messaggi, che "Lorsignori" avevano un particolare piacere nel mostrare le spoglie mortali del NEMICO NUMERO UNO del capitalismo finanziario.
Mussolini aveva infatti dichiarato profeticamente: «Faranno dell'Italia invasa tutto quello che vorranno: e dimostrano ancora di essere poco intelligenti; ma tutto ciò che è entrato nella Storia non si cancella, e Noi abbiamo lasciato tracce troppo profonde nelle cose e negli spiriti degli italiani per pensare che questi resuscitati dalle tombe, nelle quali erano fino a ieri vissuti e nelle quali avremmo dovuto definitivamente cacciarli, possano combattere e vincere le nostre generazioni e le nostre idee, che rappresentano e rappresenteranno la vita e il futuro della patria…»

13) Persistenza, in Italia, di forze contrastanti
Che la cosiddetta resistenza non possa essere considerata un fenomeno unitario, e soprattutto una espressione di ideologia "antifascista", anche perché non si riesce a sciogliere il bandolo della matassa su quale finalità si muovessero i cosiddetti resistenti al di fuori della ragionevole previsione di gestire un potere chiaramente borghese e di carattere provinciale alla sicura caduta del fascismo per ragioni esclusivamente belliche, ci viene da tanti documenti. Ne valgano due:
a) In un articolo su "Queste istituzioni", n. 111, a. XXV, luglio-settembre 1997, Francesco Sidoti, trattando di un argomento ancora oggi di attualità (Governo invisibile e Malgoverno visibile) scrive, ricordando anche la polemica che contrappose Enrico Berlinguer, di cui conosciamo solo da poco la reale "provenienza", e Leonardo Sciascia, con l'imbarazzata testimonianza di Guttuso: «… È dunque ragionevole supporre che all'interno della strategia della tensione abbiano agito più attori, in rapporto di reciproca strumentalizzazione e in occasiona le conflitto tra loro …».
NOTA: ma se i contendenti sono più di uno, e questi si combattono a base di stragi, cosa è la base di questa democrazia ideale per la quale si sarebbero "sacrificati" i famosi "resistenti"?
b) Aldo Ravelli, il Re Mida della Borsa, (quindi uomo quanto altri mai del Sistema) risponde a Fabio Tamburini (autore di "Misteri d'Italia", Longanesi, 1996):
D. E gli altri cosa dicevano??
R. Cosa vuoi che dicessero. Era, eccezioni a parte, un mondo di cazzoni che non capivano nulla di politica. E continuavano a sbagliare perché la politica rappresenta una variabile fondamentale da considerare anche negli affari. Di più. Direi che rappresenta la base di tutto, la chiave per comprendere quanto accade.
D. C'è chi ritiene che il terrorismo di sinistra sia stato coperto, e perfino finanziato, da settori dei Servizi Segreti Italiani e no. Condividi queste convinzioni?
R. Certo. È stato sicuramente così. Hanno operato ambienti vicini allo Stato. Ambienti militari. .C'era un personaggio, a Milano, che distribuiva soldi a pioggia.
NOTA. Ma se questa realtà a distanza di solo venticinque anni dalla fine del conflitto, è venuta alla ribalta come "manipolazione", come si può pensare che la stessa realtà, fatta di sporadici attentati a personam attribuiti ai comunisti, e di traffici di bassa lega, tra cui contrabbando, (valutario, di mercanzie varie, armi e tabacchi) non sia stata la stessa identica cosa? E perché tutte queste manifestazioni (presenti oggi in zone sotto controllo internazionale, come Asia meridionale, Africa centrale, Medio Oriente, Corno d'Africa, Isole del Pacifico) dovrebbero costituire l'elemento portante, l'esemplificazione delle "istanze di liberazione " degli italiani? Qui occorre essere chiari e avere idee concrete. La vita in Padania fino alla fine della RSI è stata scandita da pratiche consuetudinarie, come in Italia durante i cosiddetti "anni di piombo". Il 25 aprile 1945 a Milano e in provincia tutti i cinema erano aperti. I militari in libera uscita passeggiavano liberamente. Non solo: occorre aggiungere che in città erano presenti molte caserme, tra cui anche una della Milice francese. Di conseguenza, l'immaginario collettivo, alimentato da film dedicati ad altre situazioni, perché su quei giorni milanesi, dal punto di vista cinematografico, c'è ben poco, se si escludono i filmati sull' esposizione dei cadaveri a Piazza Loreto, oggi è indotto del tutto erroneamente, a vedere scenari di guerra civile, di insurrezione, di agguati, di attentati, di sparatorie, di movimenti di masse tipo film di Eisenstein sull'insurrezione russa, che non ci sono mai stati. Di sicuro da noi, ma anche in Russia.
Non si dispiacciano i liberlconservatori alla Benedetto Croce: questa è la LIBERAZIONE dell'Italia. (Vedi, di De Boccard, "Donne e mitra".) Un passaggio di consegne. [Ma con strage finale a nemico disarmato]. Di fatto, la popolazione, rimasta in prevalenza fascista o almeno fedele al regime, prendeva atto che la guerra era finita con la vittoria degli Alleati. Ora, come abbiamo più volte rilevato in precedenti scritti, le esecuzioni "regolari", cioè comminate da Tribunali speciali istituiti ad hoc, hanno riguardato per lo più elementi delle Prefetture e delle Questure. Segno questo che si vollero eliminare persone che conoscevano i fatti. Poi venne l'amnistia voluta da Togliatti contro la repressione berlingueriana.
In ogni caso occorre aggiungere che proprio gli ultimissimi giorni ci fu una manifestazione di massa di fascisti in divisa (giovanetti, donne, adulti, anziani), documentata da filmati che furono anche distribuiti in video cassette negli anni novanta.

14) Piovono idiozie sui "creduli". Il caso Beppe Fenoglio
Distinguiamo il credulo dal credente. Mentre quest'ultimo "crede" in una mitologia comunque "superiore" perché attinge ad una filosofia di carattere spiritualistico, il credulone accetta senza verifica razionale i racconti che gli sono fatti su avvenimenti difficilmente accaduti. Il caso di un autore come Beppe Fenoglio, noto mitologo resistenziale, è esemplare. Questo scrittore è definito come… «universalmente conosciuto come uno dei maggiori narratori italiani del secondo Novecento» nonché «campione di anglofilia come Vittorini e Pavese». Il suo "Il partigiano Johnny", il romanzo più corposo, oggi pressoché ignorato, fu pubblicato postumo. Ma di notevole interesse resta il racconto di stampo "neorealista": "I ventitré giorni della città di Alba" col noto incipit:
«Alba la presero in duemila il 10 ottobre e la persero in duecento il 2 novembre dell'anno 1944».
(Si riferisce all'effimera repubblichetta di Alba, nell'Ossola). Ma non è quello che ci interessa, bensì un passo rimasto nella memoria "resistenziale": «Sfilarono i badogliani con sulle spalle il fazzoletto azzurro, e i garibaldini col fazzoletto rosso e tutti, o quasi, portavano ricamato sul fazzoletto il nome di battaglia. La gente li leggeva come si leggono i numeri sulla schiena dei corridori ciclisti; lesse nomi romantici e formidabili che andavano da Rolando a Dinamite …»
Altra frase interessante riguarda due "case chiuse"
«In quelle due case c'erano otto professioniste che quel giorno e nei giorni successivi fecero cose da medaglia al valore. Anche le maitresses furono bravissime, riuscirono a riscuotere la gran parte delle tariffe, il che è un miracolo con gente come i partigiani, abituata a farsi regalare tutto».
E per fortuna che si tratta di realismo! Noi ci limitiamo ad evidenziare un paio di frasi che denotano come nasce il mito. Intanto i fazzoletti colorati: chi li aveva confezionati? Ed il nome ricamato? E poi, questi eroici ragazzi si erano anche dati un nome di battaglia. Dei veri poeti! Ed avevano anche il tempo per fare una sfilata pubblica. E le case chiuse: le avevano istituite in fretta e furia, in quella cittadina di 14.000 abitanti, per poter accontentare i futuri occupanti? E ci limitiamo a banalissime considerazioni. Ma è così che nasce il mito. Si fanno passare lentamente alcune considerazioni apparentemente banali, che sfuggono, per la loro banalità, ad un osservatore superficiale, poi però viene qualcuno che le mette tutte assieme e ci tira fuori una storia. Anzi: la Storia. Quella che è fatta studiare nelle scuole. Per quanto riguarda la sfilata, sicuramente ispirata da analoga descrizione reperibile nella " Secchia rapita" noto poema eroicomico scritto dal bolognese Tassoni per fare il verso alla Gerusalemme Liberata del Tasso, c'è di nuovo da sottolineare la presenza dei fazzoletti colorati. Si tratta di fazzoletti che dovrebbero designare l'appartenenza politica, e li troviamo anche in altre fotografie del dopoguerra. La più nota delle quali è quella che vede sfilare assieme Parri, Mattei, Cadorna con gli immancabili pantaloni alla zuava, ed altri personaggi Su queste questioni è utile la lettura di un libro ancora reperibile: "Processo Parri", 1953, di Renato Carli Ballola, Ceschina editore, 1954. Si potrà capire allora cosa si fece in quel periodo, il movimento dei quattrini e come questi venissero ripartiti fra i vari comandi partigiani. (E chi fossero i "veri" capi della resistenza).
Da notare che tutto ciò ha ben poco a che vedere con una concezione culturale che pone la scienza ai vertici della conoscenza, anzi, per dirla con Emilio Servadio, «La scienza parte da una scelta ideologica fondata largamente sul principio per cui è reale soltanto ciò che è misurabile, calcolabile o addirittura quantificabile». Come il Mito resistenziale, appunto.
Da questo punto di vista esiste un comportamento sempre più esteso, l'analfabetismo volontario, che sottintende proprio la sfiducia nei miti imposti con subdola violenza. L'evoluzione della situazione sociale in Italia, sotto gli occhi di tutti, rappresenta la conclusione del mito resistenziale, con l'affermazione di un potere, quello mediatico, vero portato dell'americanismo, già presente nei miti cinematografici d'importazione degli anni 1945-50, assieme al Boogie-Woogie ed al Jazz. Si tratta di un potere che ha perso ogni significato, trasformandosi in "pura simulazione".

15) Uno stridente contrasto
Se guardiamo i documenti filmati di quegli ultimi giorni della Repubblica, fortunatamente ancora reperibili, notiamo tutti i fascisti in divisa. Particolare la documentazione relativa alla partenza del Duce dalla Prefettura di Milano. Da queste immagini si capisce che esiste una incongruenza tra la realtà documentata e il "mito insurrezionale". E qui è necessaria un'ultima considerazione. Si è continuato a scrivere, e Carlo Silvestri ne ha riempito pagine su pagine (vedi: Carlo Silvestri, "ussolini, Graziani e l'antifascismo". Sottotitolo: "La testimonianza di Carlo Silvestri sul caso Graziani. La prima esauriente documentazione sui rapporti tra C.L.N. e Repubblica di Salò, e sulle responsabilità della guerra civile". Longanesi editore, 1949) dei rapporti fra gli esponenti delle due "fazioni" prima del crollo finale. Di recente è uscito, sull'argomento, un libro di Stefano Fabei, che riepiloga tutti gli avvenimenti in un'ottica più distaccata. L'argomento è ovvio. Nella previsione della chiusura definitiva dei conti, si cercava di salvare il salvabile, e noi siamo convinti della buona fede delle parti in causa. D'altronde, i primi a essere interessati erano quelli che sarebbe subentrati, i quali non erano di certo rivoluzionari, ma espressione del capitalismo italiano, esponente il vero capo del CLN: Pizzoni. (Poi ignorato dalla mitologia di rito). Si è a lungo scritto del famoso incontro all'Arcivescovado. Nel caso particolare, Mussolini tentava di lasciare l'eredità della RSI al partito socialista, nella previsione che soltanto quel partito avrebbe potuto sostenere quella pesante eredità. Non se ne fece nulla. In seguito furono rilasciate dagli esponenti del CLN dichiarazioni inattendibili. In particolare Pertini dichiarò che non aveva riconosciuto Mussolini, altrimenti lo avrebbe ucciso. Si tratta di un'idiozia, fra le tante diffuse in seguito da quel personaggio anche perché Mussolini era, come sempre, in divisa. Poiché però sappiamo chi era realmente Pertini, la bugia non c'impressiona più di tanto. Nella realtà, poiché nessuno rinuncia mai ad un'eredità, per pesante essa sia, l'unica deduzione possibile è che il CLN non contava nulla. Era solo una facciata, un' espressione di interessi particolari, che dovevano trattare con gli Alleati in previsione del dopo. D'altronde fu proprio il generale Cadorna a dichiarare in relazione all'assassinio di Mussolini, e con la sincerità conosciutagli, che lui stesso non aveva alcuna autorità. In conclusione possiamo solo dedurre che fu proprio Mussolini, assieme agli esponenti del Governo, a mettersi nudo e crudo nelle mani di coloro che li avrebbero uccisi, confermando, loro e solo loro, il mito partigianesco.

16) Ruolo del MSI e di Alleanza Nazionale
E furono il MSI, che accettò coscientemente la parte di "sostegno" a destra della DC, tradendo nella sostanza i princìpi informatori e la guerra combattuta dalla RSI, ad avvalorare indirettamente (ma anche direttamente con azioni, scritti, voti al Parlamento) il mito resistenziale. L'azione fu completata da AN, che con i suoi uomini al governo svolge a tutt'oggi una funzione di sostanziale disinformazione avvalorando le tesi inventate sulla resistenza. A tal proposito possiamo solo dire che è proprio l'ostentazione resistenziale degli esponenti governativi di AN a dimostrare in maniera inconfutabile l'inconsistenza del mito resistenziale.
(Ricordiamo la definizione del deputato missista Giulio Caradonna, che conosceva dal di dentro le cose d'Italia, secondo il quale il MSI era la sputacchiera della DC).

17) Una poesia del NONSENSO italiano
Riteniamo utile concludere questo articolo con una poesia del noto drammaturgo e regista Edoardo Torricella, esponente del Nonsenso italiano.

Cari partigiani - plic ploc
Avete dato la vostra vita – stump!
Per proporci un nuovo "modello sociale" – strumpete!
E com'è andata?...Flic
Cos'avete combinato? Sniff
È questo che volevate? Plof.
Come avete gestito la socialità? A – a – a – a –A!
Come volevate si gestisse?? Risse – fisse?
Avete avuto sessant'anni per costruire
La democrazia vera!
Al di là delle parvenze – Lenze!
Quante mistificazioni – mi cojoni?
Ci ha dato la vostra storia…
Vero??
Dolce – dolce boero,
PATAPUNF !!

Giorgio Vitali