da
www.marilenagrill.org
"La verità" e "12 dicembre
1969"
In questa pagina
due brevi, ma incisivi articoli di
Vincenzo Vinciguerra
dal sito Marilenagrill.org |
La verità
Vincenzo Vinciguerra, Opera, 9/12/2010
Dopo l'esito, ampiamente scontato, del processo per la strage di Brescia del 28
maggio 1974, giornali e telegiornali han ripetuto lo stantio copione della
verità mancata, della verità che non si conosce e non si conoscerà mai più. In
realtà, gli italici pennivendoli fingono di credere che la verità giudiziaria
che per scelta dei magistrati,dei quali sono note la prudenza e deferenza nei
confronti di chi detiene il potere, è circoscritta ai soli esecutori materiali
debba essere considerata la verità per antonomasia. L'inganno è evidente, perché
la pretesa che la verità storica dipenda dall'accertamento delle responsabilità
individuali dei soli autori materiali è portata avanti in perfetta e totale
malafede. Serve, l'equazione fra verità giudiziaria e verità storica, per
proteggere le responsabilità politiche di una classe dirigente che si regge
sull'infamia del potere mediatico.
Se quanto asseriscono i giornalisti italiani e gli storici del "quanto mi paghi"
fosse vero, se cioè la verità storica può essere affermata solo dai Tribunali,
dovremmo convenire che il "golpe" del 7-8 dicembre 1970, capeggiato da Junio
Valerio Borghese, non c'è mai stato. È questa, difatti, la verità giudiziaria
affermata da magistrati che per imporla hanno assolto perfino i rei confessi,
evitando callidamente di perseguirli per calunnia ed autocalunnia.
Se l'equazione,verità giudiziaria uguale a verità storica, fosse vera la strage
di Portella della Ginestra l'avrebbe fatta solo Salvatore Giuliano per interesse
personale, ma sappiamo, anche in questo caso, che così non è stato, che lo Stato
criminale ha dovuto avvelenare in carcere Gaspare Pisciotta per impedirgli di
parlare, il 9 febbraio 1954, chiamando in causa le forze politiche che avevano
protetto il mafioso e gli avevano chiesto di compiere quel massacro.
Se l'equazione fosse vera, dovremmo convenire il Dc 9 Itavia sul cielo di
Ustica, il 27 giugno 1980, è caduto da solo, perché questa è la verità
giudiziaria che ha impiegato venti anni per non affermare che era stato
abbattuto da un missile lanciato da un aereo militare amico e che questa verità
era a conoscenza, da sempre, dei vertici politici e militari italiani.
Ci limitiamo a pochi esempi, perché non basterebbe un'enciclopedia per enumerare
tutte le sentenze giudiziarie che hanno affermato il falso, proclamata la
menzogna, coperta ogni infamia per proteggere gli interessi dello Stato e del
regime. Non è, quindi, vero che la storia d'Italia si debba e si possa scrivere
nelle aule delle Corti di assise. È vero, con qualche lodevole eccezione,
esattamente il contrario. La malafede di pennivendoli e storici servizievoli è
provata anche dal fatto che quando la magistratura è pervenuta al riconoscimento
della responsabilità penale degli imputati, come nel caso della strage di
Bologna del 2 agosto 1980, è scattata la campagna politica e mediatica per
dichiarare innocenti questi ultimi e ingiusti i magistrati che li hanno
condannati. È il volgarissimo gioco delle tre carte, quello condotto dai
pennivendoli italiani per cui se gli imputati vengono assolti, sempre e solo per
insufficienza di prove, la sentenza è giusta e i magistrati che li hanno
rinviati a giudizio degli incapaci, mentre se li condannano la sentenza è
ingiusta e i magistrati dei mascalzoni. La verità storica, o più semplicemente
la verità , senza aggettivi, c'è e sarebbe sufficiente affermarla utilizzando
tutte le testimonianze e i relativi riscontri oggettivi che non necessariamente
si trovano negli atti processuali. Ad esempio, l'ex presidente della Repubblica,
Francesco Cossiga, si è indotto, prima di morire, a rivelare che all'origine
della strage di piazza Fontana ci sono stati gli americani.
Cossiga non ha mai consegnato questa testimonianza ai magistrati, ma il
riscontro si trova nell'ordinanza istruttoria del giudice Guido Salvini che ha
provato i collegamenti con americani ed israeliani degli ambienti nei quali è
maturata quella strage. Non si può credere, almeno non in buona fede, che la
verità non si conosca. Diciamo che non si ha il coraggio civile e morale di
affermarla perché il regime delle stragi si regge sulla menzogna, non può
tollerare la verità perché questa lo spazzerebbe via. E la negazione della
verità è interesse comune di tutto lo schieramento politico, da destra a
sinistra e viceversa. In quale Paese al mondo un uomo politico che poteva
salvare Aldo Moro, rivelando l'identità di chi gli aveva confidato che Mario
Moretti, il suo carceriere, era nascosto in un appartamento di via Gradoli a
Roma, non avendolo fatto avrebbe fatto carriera?
Solo in Italia. La verità giudiziaria è che Romano Prodi venne informato dal
fantasma di don Luigi Sturzo che Moro era nascosto a "Gradoli". Romano Prodi è
diventato presidente del Consiglio di una coalizione di centrosinistra e nessuno
si è mai sognato, a destra come a sinistra, di chiedere a lui ed ai magistrati
che gli hanno creduto conto delle loro responsabilità. Così siamo l'unico Paese
al mondo in cui è ufficialmente sancita la presenza di un fantasma come
testimone in un'inchiesta giudiziaria.
E ancora si pretende che la verità sulla storia del Paese passi attraverso le
aule dei Tribunali?
Anche sulla strage di piazza Fontana la verità si conosce. La raccontano, fra
gli altri, Paolo Emilio Taviani facendo riferimento esplicito ad un colonnello
dei carabinieri che sapeva in anticipo quello che sarebbe avvenuto; Francesco
Cossiga che accusa i servizi segreti americani; Arnaldo Forlani che si occupa in
prima persona della crisi di un confidente di Padova; Giulio Andreotti che
conosceva il ruolo di Guido Giannettini e minacciava di togliere il segreto di
Stato per dare modo a "imputati e imputandi" di difendersi; i verbali della
direzione nazionale del Pci, di cui faceva parte Giorgio Napolitano, che parlano
esplicitamente di soluzioni autoritarie.
Il 12 dicembre 2010, quindi, non si commemora una strage senza colpevoli, ma un
massacro di cui tutti conoscono tutto. Ma nessuno ha il coraggio di affermarlo.
E anche questa è una verità senza aggettivi che pesa sulla coscienza di tutti e
rende, più di tante parole, l'idea della mancanza di libertà in questo Paese e
dell'assenza di onore e dignità dei tanti che mentono per guadagnarsi lo
stipendio, un'apparizione televisiva, i diritti d'autore di un libro e la
simpatia dei potenti di turno.
E per scrivere, parallela alla storia delle guerre politiche italiane, quella
dell'italica vigliaccheria sarà sufficiente citare gli articoli giornalistici e
i servizi televisivi. E la condanna potrà essere pronunciata, senza appello.
12 dicembre 1969
Vincenzo Vinciguerra, Opera, 9/12/2010
In attesa della rituale commemorazione del 41° anniversario della strage di
piazza Fontana, riteniamo opportuno ricordare che la verità su questo massacro è
nota. Non è stata, la verità, ancora ufficialmente affermata in sede giudiziaria
anche grazie all'impegno profuso da magistrati come Gerardo D'Ambrosio e Felice
Casson che tanto hanno fatto per bloccare le indagini che conducevano al gruppo
spionistico del Veneto che tanta parte ha avuto nella storia italiana, la più
segreta e la più infame. Ma, anche se i due magistrati siedono oggi, insieme,
sui banchi del Senato nelle file di quel partito democratico, erede e
continuatore del Pci, la marcia verso la verità è proseguita, lenta ma
implacabile. Anche se pochi se ne rendono conto, il regime delle stragi inizia a
mostrare i segni del collasso. Il disprezzo che i pennivendoli italiani hanno
nei confronti dell'opinione pubblica da essi ritenuta una massa informe di
dementi e di deficienti ai quali propinare ciò che fa comodo ai loro padroni,
trova sempre meno rispondenza nelle reazioni di una popolazione che si trova
sempre, dinanzi, una casta politica, militare e giudiziaria sempre invischiata
in depistaggi, coperture, collusioni e complicità con gli ambienti stragisti
interni ed internazionali. Si commemora l'eccidio di piazza Fontana quando sul
banco degli imputati, come al solito, siedono alti ufficiali dei carabinieri
accusati di favoreggiamento nei confronti di quella mafia che, per ottenere la
revoca del 41 bis, ha fatto ricorso all' arma della strage. Per carità, i
carabinieri erano l'Arma di riferimento degli stragisti di regime negli anni
Settanta, che circolavano tenendo in tasca l'indirizzo delle caserme dove
rifugiarsi in caso di necessità; carabinieri erano quelli che hanno gestito
insieme alla mafia l'affare Giuliano, scrivendo il falso nei loro rapporti per
dire che lo avevano ucciso in uno scontro a fuoco, e non era vero.
Carabinieri erano i protagonisti del primo omicidio politico avvenuto
nell'Italia post-fascista, quello del colonnello Ettore Muti nella pineta di
Fregene, nella notte tra il 23 ed il 24 agosto 1943. Si vuole la verità? Invece
di trastullarsi a chiedere l'abolizione del segreto di Stato al compagno Massimo
D'Alema, che insieme ai compari del Pci, tanto ha fatto contro la verità, si
chieda che il Comando generale dei carabinieri apra il suo archivio dove la
verità sulla storia ignobile di questo sessantennio c'è tutta, intera, senza
omissioni. Ci dicano i carabinieri chi diede l'ordine di uccidere Ettore Muti,
di ammazzare Salvatore Giuliano, di eliminare in carcere Gaspare Pisciotta, di
mettere a disposizione dei gruppi di destra del regime le armi che custodivano
nei comandi di compagnia, non registrate, di favorire la commissione di
attentati stragisti, di arruolare come informatori e bombardi la schiuma di un
mondo che si nascondeva dietro la facciata di un neofascismo inesistente.
Forse, obbligando l'Arma dei carabinieri ad aprire i suoi archivi non ci sarà
più bisogno di fingere di sapere la verità sul regime delle stragi, perché la
troveremo tutta scritta nei documenti di un corpo di polizia di sicurezza
atlantica che andava sciolto, alla fine degli anni Settanta e che, viceversa,
D'Alema ed i suoi compari del Pci, hanno elevato al rango di arma autonoma, di
esercito nell'esercito. Poteva mancare un colonnello dei carabinieri che sapeva
in anticipo della strage di piazza Fontana? No, a rivelarlo è stato un ex
ministro degli Interni e della Difesa democristiano, Paolo Emilio Taviani. Non è
punto di arrivo, ma di partenza. Se si fa la somma di tutti gli ufficiali dei
carabinieri risultati implicati direttamente od indirettamente nelle vicende più
oscure e sanguinose del Paese dal 1943 in avanti, si vedrà che si potrà
costituire un corpo d'armata di imputati e di imputandi, vivi e morti. Il coro
ipocrita che invoca la presenza della "mela marcia" nel cesto di bellissime mele
prodotte dall'Arma dei carabinieri, potrà essere zittito infilando in bocca ad
ognuno dei cantori una "mela marcia" con la divisa di ufficiale dei carabinieri
i cui nomi risultano negli atti processuali dei Tribunali italiani dalla guerra
politica all'attività mafiosa.
Non c'è, nel mondo occidentale, l'esempio di uno Stato e di un regime che come
quello italiano ha fatto tanti morti e ne è uscito sempre rafforzato e mai
indebolito. La spiegazione risiede nel fatto che il regime e lo Stato hanno
gestito i massacri e poi ne hanno gestite le conseguenze, proteggendo gli
organizzatori perché non rivelassero i nomi dei mandanti, e gli esecutori perché
non denunciassero gli organizzatori. Se la classe dirigente può fare affidamento
su funzionari ed ufficiali che "destabilizzano per stabilizzare", che gestiscono
contestualmente la sicurezza e l'insicurezza, è evidente che il Paese non avrà
mai stabilità perché questa potrà essergli garantita da dirigenti politici e
militari che hanno la consapevolezza di appartenere ad una Patria, unico modo
per poterla difendere dai nemici interni e da quelli esterni. E dal 25 luglio
1943, questo Paese non ha avuto una classe politica e militare italiana, bensì
americana, vaticana, sovietica, massonica, bancaria, meno che "nostra",
italiana.
Se, nell'anniversario della strage di piazza Fontana, invece di scomodare i
fascisti che dal 25 aprile 1945 in questo Paese non ci sono più stati, di
chiedere l'abolizione del segreto di Stato che dovrebbe proteggere documenti
fatti scomparire da tempo, di invocare un'azione più incisiva dello Stato per
avere verità, si deciderà di chiedere conto a questo Stato delle sue
responsabilità, allora il 41° anniversario di quel massacro potrà essere il 1°
di una rinascita e di una resurrezione.
Vincenzo Vinciguerra, Opera, 9/12/2010
|