dal sito
www.claudiomoffa.it
La Libia e la sinistra:
ecco s'avanza uno strano "bundo-marxista"
Claudio Moffa
L'antigheddafismo della sinistra, travestito da difesa dei deboli, è l'ennesimo
segnale di una sinistra che non c'è più e che ha accettato una mutazione
genetica dei suoi princìpi "internazionalisti" e di rispetto del diritto
internazionale |
Grandi affari, forti segnali simbolici fra gli ex-colonizzati e
l'ex-colonizzatrice, discorsi sensatissimi, qualche battuta in eccesso e infine
uno sgarbo forse reciproco ma forse no fra il ritardatario Gheddafi e
l'annullatore ex-post di un incontro ufficiale, Gianfranco Fini: sembra essere
questa la sintesi della due giorni del leader libico in Italia. Eppure a ben
vedere c'è qualcosa di più: la storica visita a Roma di colui che a soli 27
anni, ammiratore di Nasser e già studente ribelle, rovesciò re Idris con un
colpo di stato incruento, ha portato anche a una chiarificazione non solo su
cosa si sia ridotta oggi la sinistra, ma anche su dove in realtà sia la sinistra
oggi in Italia. E forse non solo in politica estera.
La Libia di Gheddafi, un eccellente laboratorio per la destra e
la sinistra
La Libia da questo punto di vista è un laboratorio eccezionale per noi italiani:
per la destra e per i profughi ebrei del 1971, si è trattato di una impresa
coloniale "gloriosa" nonostante i tanti misfatti dell'occupazione, dalle
deportazioni nel 1911 di migliaia di libici nelle isole-penitenziario italiane
agli eccidi delle guerre giolittiane; dai campi di concentramento di epoca
fascista all'impiccagione nel 1932 di Omar Al Mukhtar, l'eroe della resistenza
anti italiana in Cirenaica. Certo bisogna distinguere fra Tripoli e Bengasi, fra
qualche ufficiale gentiluomo e gli aguzzini -come ricorda il film libico il
leone del deserto- ma dire che gli italiani complessivamente abbiano lasciato
una memoria storica positiva nella colonia mediterranea, è retorica priva di
fondamento.
Quanto alla sinistra, la Libia era un tempo un riferimento utile dentro il più
generale processo di decolonizzazione araba, con i suoi radicalismi nazionalisti
e antiimperialisti. Ricordo una battuta di ammirazione di un leader di LC nella
redazione di via Dandolo, dove scrivevo i primi articoli di politica
internazionale, nei confronti del giovanissimo libico "facitore" in una notte di
una "rivoluzione antimperialista"; la minimizzazione contestualizzante
dell'espulsione dei coloni italiani, con alle spalle la memoria allora recente
del film di Pontecorvo, un'Algeria che aveva nei fatti cacciato decine di
migliaia di pied noirs come fisiologico effetto dell'indipendenza dalla Francia.
Ricordo qualche articolo di Grimaldi nella seconda metà degli anni Settanta
sull'importanza anche per l'Italia della partecipazione libica alla Fiat; le
reazioni al bombardamento americano di Tripoli del 1986, il missile di
Lampedusa. In quel clima, con una pattuglia pro araba dentro il PCI formata
allora da Savioli, Lannutti dall'arabista Amoretti e altri colleghi storici o
giornalisti, non mi fu difficile raccogliere una serie di saggi nel primo numero
di una rivista da me inventata, "Quaderni Internazionali", intitolato appunto al
"la Libia di Gheddafi": c'erano fra gli altri Santarelli, Donini, Savioli, La
Valle, la trascrizione di una tavola rotonda con il DC andreottiano Antonio
Loche, Igor Man e Valentino Parlato, che svolgemmo nella sede dell'editore
Franco Angeli, e una mia intervista a Anthony Quinn (il protagonista de "il
Leone del deserto", il film su Omar al Mukhtar voluto da Gheddafi) che incontrai
a Cinecittà mentre girava un film di fantascienza per la RAI. Anno 1987.
L'anno precedente era esploso il caso dei deportati libici sollevato da Gheddafi
e "il manifesto", nonostante la forte tendenza pro israeliana delle sue pagine
culturali, pubblicò un mio lungo articolo sul caso, frutto di una rapida e
fruttuosa ricerca d'archivio dal quale era emersa la tragica verità della morte
di migliaia di deportati nelle colonie penali italiani, anno 1912. La prima in
Italia, che venne utilizzata anche per la rivista storica di Rochat: al quale il
saggio lungo piacque, forse per avervi io citato anche le potenziali divisioni
fra i resistenti deportati, contro ogni retorica anche anticolonialista. Una
banalità metodologica e una banale sensibilità per uno studioso serio, che non
voglia fare dei suoi studi dei comizi.
Quel clima continuò ancora pochi anni: un ultimo flashback è la proiezione del
film "il leone del deserto" da parte di Radio Proletaria (oggi Radio città
aperta) al Villaggio Globale di Roma, 1990 circa, col Paolo Pioppi moderatore e,
oltre al sottoscritto, Carlo Fusi de "il Messaggero" oggi al TG3 e un
giornalista de "L'Unità" ancora non diretta da Furio Colombo, Massimo Cavallini.
Un microevento esempio non della travasabilità delle idee della sinistra estrema
di allora nel ceto giornalistico-intellettuale più moderato -come si potrebbe
sostenere oggi nel centrodestra- ma semplicemente e in modo molto più importante
dell'apprezzamento trasversale in tutte le tendenze dell'arco costituzionale
dell'epoca, dell'anticolonialismo e della decolonizzazione come naturale
proiezione dei principi di democrazia sostenuti in politica interna. Così era
anche dentro l'IPALMO finanziato dal MAE, in cui dai liberali ai comunisti,
tutti sostenevamo l'MPLA angolano e gli altri movimenti di liberazione
antiportoghesi, non per questo cadendo sempre nelle utopie e nelle fantasie
"buoniste" del terzomondismo.
Il trasformismo della sinistra
Oggi quel mondo è praticamente scomparso, o per lo meno ridotto in proporzioni
minime, e la due giorni di Gheddafi a Roma lo dimostra chiaramente: ma le
chiassose manifestazioni dell'Onda -movimento composito e ben infiltrabile dai
soliti noti, come aveva già svelato la manifestazione anti iraniana a Torino di
qualche mese prima- e la vergognosa ribellione dei senatori PD, sono solo
l'epifenomeno ovvio e "necessario" di una deriva di lunga durata.
Cominciamo dai piccoli, i grilli parlanti della sinistra estrema: strano, molto
strano, recita Vincenzo Accattatis nel suo commento alle proteste "di sinistra"
appena citate su "Liberazione" del 13 giugno. Liberazione così vede i difetti
altrui ma non quelli propri, che correlati alla natura volutamente
"antiimperialista" della "sinistra di classe" sono essi trave, e quelle dei
moderati PD pagliuzze.
L'Onda appunto. Nessuno a sinistra ha pensato di spiegare al movimento
"spontaneo" nato nel grande e fetido calderone dell'antiberlusconismo tribalista
e senza princìpi, che tutto sommato la Gelmini stava e sta riparando ai più
madornali guasti della riforma forcaiola del compagno Berlinguer, che aprì lui
le porte ai privati con la farsa dell'autonomia universitaria, facendo
proliferare corsi di laurea ridicoli, dequalificando la laurea col tre più due,
restando silenzioso o inerte di fronte al dilagare di lauree honoris causa a
pataccari di vario mestiere, distruggendo l'idea dell'Ateneo come "campus" luogo
d'incontro di studenti e di docenti attraverso una disseminazione territoriale
insensata tranne che per rettori a caccia di soldi e di clientele potenzialmente
elettorali. Nessuno ha nemmeno spiegato ai giovani dell'Onda, che il rispetto
della democrazia e del diritto internazionali non corrispondono necessariamente
all'esistenza di regimi democratico-occidentali sul piano interno, e inoltre che
non solo sull'Iran c'è una propaganda venefica gestita dai soliti "poteri forti"
-quelli che hanno aggredito e distrutto la Jugoslavia e l'Iraq con la scusa
della "democrazia" e dei "genocidi"- ma anche che Ahmedinejad ha tutte le
ragioni giuridiche per sviluppare il nucleare civile, vista peraltro la presenza
nel Vicino e Medio Oriente di due arsenali militari atomici, in Pakistan e in
Israele.
La questione Iran non è stata spiegata ai giovani dell'Onda da nessuno dei
postrifondaroli e dintorni perché contro Israele non è per loro possibile nei
fatti schierarsi se non con dichiarazioni (eventuali) di principio astratte, non
calate cioè nello scontro di volta in volta attuale, come dimostra in questi
giorni il caso Iran: non dalla Sinistra e Libertà di Vendola e Bertinotti, un
tempo sedicente ammiratore di Paolo di Tarso, ma dopo la visita di una
squadraccia minacciosa sotto le sue finestre convertitosi improvvisamente al
giudaismo (nel senso di Giuda, il traditore di Cristo). Non da Radio Città
aperta di Roma, che dall'alto dei quasi 60 anni del Cararo, ha semplicemente
esaltato sul suo sito la grande "forza" (ma quale mai?) del "movimento di massa"
studentesco, piegandosi alle sue estremizzazioni giovanili per altro ben più
rozze di quelle dei sessantottini di 40 anni fa: i quali alle spalle avevano
comunque il PCI di Togliatti e Gramsci, e non l'area rifondarola di Alberto
Burgio e Domenico Losurdo.
Strano, molto strano, ha scritto su "Liberazione" Accattatis. Ma quando mai? Il
PRC è dentro fino al collo a questa degenerazione anti islamica e proisraeliana
della "sinistra di classe" sfociata nell'odio di piazza -per fortuna di pochi,
probabilmente guidati dal compagno tribale di turno- nei confronti della Libia
di Gheddafi. È Rifondazione tutta che ha allevato l'Onda a questi sbocchi, col
filo sionismo costante delle sue scelte e con un antiberlusconismo ridicolo e
tragico che trasforma in metallo ignobile tutto quello che è targato
centrodestra, anche quando quelli di Berlusconi sono prodotti politici dignitosi
e utili: Ferrero è andato in Palestina nel dicembre 2008, e si è guardato bene
dall'incontrare i dirigenti di Hamas, spianando così la strada, nel suo piccolo,
alla aggressione israeliana di fine anno contro Gaza. Ci sono ormai migliaia di
firme in calce all'appello di Nadine Rosa Rosso al Parlamento europeo per
depennare Hamas dalla lista delle organizzazioni terroriste: Ferrero ha remato
contro questa sacrosanta iniziativa, lanciata prima dell'appello europeo, da un
appello in Italia del sottoscritto che sosteneva una indicibile banalità: Al
Qaeda è terrorista e criminale, Hamas e Hezbollah sono movimenti di liberazione
nazionali che hanno tutto il diritto, ai sensi della Carta dell'ONU, a ricorrere
anche alla lotta armata contro chi invade e minaccia il loro paese. Una banalità
non pregiudizialmente filoislamica, ma rispettosa della democrazia (de-mo-cra-zia)
internazionale, mai pronunciata dai dirigenti "comunisti" del PRC.
C'è poi Grassi che ha fatto nominare Greco alla direzione di "Liberazione",
evitando la candidatura concorrente -si dice- di Russospena. Un successone: ed
ecco non solo gli articoli loffi e terzaforzisti sulle elezioni libanesi e su
Durban II -una presa di distanza vergognosa dalle ovvietà pronunciate da
Ahmedinejad a Zurigo sul razzismo israeliano, commentate positivamente dal
sottoscritto, o riprese da altri siti come "Eurasia" (mamma mia! Un sito
destrorso!!)- ma anche la prontissima collaborazione di Alberto Burgio, sionista
pro israeliano doc, firmatario di un appello della Comunità ebraica italiana di
protesta contro il boicottaggio di Israele da parte delle Università inglesi.
Non si tratta certo di personalismi: ma si dovrebbe spiegare ai sempiterni
compagni di base coglionati di tappa in tappa della gloriosa avanzata del
comunismo in Italia, come si concilia la collaborazione del Burgio al quotidiano
della "sinistra di classe" del terzo millennio con la mera coerenza ai principi
della solidarietà internazionalista, della democrazia e dell'antirazzismo:
perché che quella di Israele sia una democrazia razzista, e cioè una dittatura
tribale sugli arabi palestinesi, dovrebbe essere un dato ovvio e scontato, anche
per i ciechi. Che Israele sia il principale fomentatore di tutte le guerre del
Medio Oriente dal 17 gennaio 1991 ad oggi (compresa quella possibile ventura
contro l'Iran), è un dato altrettanto scontato. Che l'Iran è nel mirino di
Israele almeno dal 2006 (la guerra contro il Libano è stato anche un
avvertimento a Teheran) è stranoto. Che infine l'aggressione di Gaza abbia
elevato all'ennesima potenza questa natura di fondo dello Stato ebraico, anche
questa è verità dei fatti. Vedi non solo i 1400 morti ammazzati ma anche le foto
delle T-shirt dei soldati israeliani: basterebbe una di quelle magliette, "un
colpo due obiettivi", per chiedere la condanna per genocidio di Israele, contro
le strane manovre in corso nel Tribunale della Fondazione Basso e il rapporto al
ribasso di Goldstone, che parla (ovviamente con le proteste di Tel Aviv, che ha
già ottenuto la derubricazione dal dossier Gaza dei "crimini contro l'umanità" e
del "crimine di genocidio) anch'esso di "crimini di guerra" e basta.
La fine della sinistra: la scoperta del razzismo antibolscevico dei bundisti da
parte di Radio Città aperta, e la nascita del bundo-marxismo italiano
Aveva ragione Mauro Manno quando con un termine forse un po' cacofonico ma
efficace, scriveva "sionistra". Mi sbaglierò, ma mi sembra proprio che non ci
sia nessuno che si salvi nell'area postsessantottina più o meno marxista e
leninista. Cito alla rinfusa: il giro di sinistra di Giannini e Sorini -a parte
il titolo "entrista" alla loro rivista, "L'Ernesto", nome di un rivoluzionario
che non capì un tubo dal Congo alla Bolivia, animato da un moralismo quasi
sadico e che è sempre stato utilizzato in funzione antiCastro, il vero artefice
di una rivoluzione cubana di fronte alle cui normali contraddizioni lui,
l'Ernesto vero, fuggì all'estero a compiere imprese fallimentari- è quello che
ha allevato nel suo seno il compagno pro israeliano Burgio. Ma loro sono dei
coraggiosi stalinisti, e questo è quel che conta: cosicché non appena, ben oltre
il piccolo Burgio, il grande Canfora si mostra disponibile a parlare (bene
ovviamente) del compagno Stalin, loro si precipitano a stendergli tappeti d'oro.
Foss'anche il giorno dopo un Israel Day a Roma, Canfora in prima fila contro i
cattivi palestinesi assieme agli ultras della curva tiberina.
Strano, molto strano, si dirà (ma davanti allo specchio) il Vincenzo Accattatis.
Ma non è così, non c'è nulla di strano: perché in fin dei conti Canfora non è
altro che il trait-d'union, il viatico fra i "rivoluzionari" sionisti di area
comunista, e la lobby mediatica "progressista" che può dar loro spazio come voce
"di sinistra" di certo teatrino pregiudizialmente pro israeliano della politica
e della cultura italiana. E Stalin, esattamente come l'antifascismo di maniera,
è la foglia di fico che nasconde e impedisce lo sviluppo almeno di un serio
dibattito sulla politica mediorientale della sinistra radicale: è accaduto
proprio questo quando un paio mesi fa si sarebbe potuto aspettare un confronto
su Liberazione su Durban II -un appuntamento storico, denso di significati- dopo
certi articoli di politica estera del quotidiano di Greco antiAhmedinejad. Tutti
zitti invece, gli strateghi: un dibattito c'è stato in quei giorni, ma sul libro
di Losurdo (scritto in collaborazione con Canfora) su Stalin. Un depistaggio per
il coglioname di base, che si sta ripetendo oggi per coprire e non far discutere
la scelta pro-Moussawi del quotidiano PRC. Un esempio, quello di Losurdo, di un
materialismo più o meno dialettico introiettato alla perfezione dal filosofo
urbinate, attentissimo a che l'editore non sia scontento delle vendite dei suoi
libri. La via editoriale al socialismo.
Si potrebbe continuare con altri esempi, ne cito solo uno, che ho scoperto in
ritardo rispetto all'evento cui si riferisce: un testo scritto dell'intervento
del Cararo all'incontro con Ilan Pappe a Roma di diversi mesi fa, nel quale a un
certo punto è scritto: «e diciamolo chiaramente, la rivolta del Ghetto di
Varsavia ha visto assieme bundisti e comunisti». Dato di fatto forse
ineccepibile, ma che presentato in modo positivo e esaltatorio lascia, per usare
un eufemismo, perplessi: non solo perché ripete il ritornello stantio di una
resistenza intoccabile nelle sue ambiguità e contraddizioni -nella Resistenza
europea operavano anche i Poteri forti che avrebbero impedito una evoluzione
positiva delle democrazie occidentali: vedi il caso Cefis- ma anche perché è
stranoto a chiunque abbia anche una infarinatura di marxismo, che i bundisti
erano dei socialisti razzisti che predicavano, nel multietnico Impero zarista,
l'unità del proletariato solo ebraico. La costruzione di un ghetto dentro il
nascente movimento rivoluzionario.
Non a caso i bundisti vennero combattuti dai bolscevichi, che li chiamavano
sprezzantemente e ironicamente "sionisti col mal di mare" (come dire, tali e
quali a Jabotinsky, il nemico dichiarato di Lenin e della neonata Russia
sovietica, ma con la "paura" di salpare alla volta della Palestina). Contro di
loro si schierò non solo il "magnifico georgiano" Stalin, ma anche Lenin di cui
trovo una citazione sui bundisti che avrebbero voluto unirsi ai Bolscevichi dopo
l'Ottobre: «No, nel Partito Voi non entrate. Perché siete così tanto nostri
amici che preferiamo avervi ben di fronte, piuttosto che alle spalle, per
osservarvi sempre, tanto ci siete cari» [1]
Cararo non può non sapere queste cose, e della polemica di Stalin contro i
sionisti e i bundisti nel saggio del 1913 sulla questione nazionale: onde per
cui il suo è un messaggio a chi di dovere: sì, ho invitato anch'io Ilan Pappe
che voi avete perseguitato e costretto all'esilio in Inghilterra per le sua
analisi revisioniste sul 1948, ma in fondo possiamo ancora dialogare, noi
"comunisti" e voi esenti dal "mal di mare" ma molto simili come mentalità ai
razzisti bundisti in rivolta nel ghetto di Varsavia.
Così è ridotta la sinistra di classe, nonostante la "rabbia" dichiarata di
Diliberto, colui che alla metà degli anni Novanta venne aggredito da Sylos
Labini sul debenedettiano "Espresso" sol perché faceva parte del Consiglio di
Amministrazione di una piccola casa editrice romana si diceva finanziata da
Berlusconi, e che oggi rincorre il coro del qualunquismo antiberlusconiano,
indecente gossip compreso. Una vergogna, come ha notato giustamente il pro
israeliano Caldarola su "Il Giornale", che una sinistra che per la sua matrice
marxista ha sempre lavorato a una costruzione razionale del progetto politico,
magari litigando al suo interno sulle grandi categorie di analisi e sui principi
strategici, si sia ridotta a fare la serva -nel suo doppio senso- della sinistra
finanziaria del giornale-partito di Ezio Mauro.
Dal PCI al PD: dal legame con l'URSS a quello con Israele
Un accenno rapido a questo punto al PCI-PDS-DS-PD e poi chissà cosa: il PCI ha
sempre avuto al suo interno una importante anima pregiudizialmente pro sionista,
che ha portato ad esempio alla nomina di Cohen come direttore di "Paese sera"
negli anni Settanta, cioè dopo il 1967 e la conseguente svolta proaraba
dell'URSS: ma la vera degenerazione è iniziata a "l'Unità" negli anni Ottanta
con la direzione di Renzo Foa (che esaltò una volta la figura di grande statista
di Shamir, e che durante la prima guerra antirachena aprì sul giornale uno
stupefacente "dibattito" su guerra sì guerra no, di cui il più tragicomico degli
articoli era di Luttwak ed era titolato più o meno: non conviene sbarcare, costa
troppo, «è meglio bombardare»: sic) ed è proseguita nel partito con la
rivoluzione copernicana di Occhetto e il suo viaggio negli USA della fine degli
anni Ottanta. Dagli Stati Uniti l'allora segretario del PCI tornò, non senza
aver incontrato i dirigenti della potente Comunità ebraica USA, con un
obbiettivo chiaro: la guerra a Andreotti e al CAF. Lo stesso della sinistra
finanziaria di "Repubblica". Lo disse in una intervista su "il Manifesto" alla
Gagliardi, due o tre anni dopo Sigonella. Da lì, e non solo dalle ripercussioni
della scomparsa dell'URSS, l'inizio della fine del PCI-PDS, il "partito di
Gramsci, Togliatti e Berlinguer".
L'antigheddafismo pregiudiziale, lo sbocco necessario di un lungo
processo di degenerazione della sinistra
Quello che è accaduto durante la visita di Gheddafi a Roma -la rivolta dei
senatori PD, con l'unica opposizione dichiarata di D'Alema- è dunque la logica
conseguenza di una deriva di antica origine, rafforzatasi con Tangentopoli, con
la fine dei partiti di massa, con l'introduzione del maggioritario, il tutto
sotto l'egemonia costante di "Repubblica", il vero "partito" di un partito ex
PCI che col tempo, e secondo teorizzazioni di Veltroni, si faceva sempre più
leggero, cioè sempre più subalterno alla linea della catena De Benedetti
Caracciolo e ai suoi micidiali editoriali: come quello, arrogante, con cui
Scalfari intimò al parlamento italiano, il giorno dopo l'attentato mortale a
Falcone e mentre si parlava dopo il settennato di Cossiga di una possibile
candidatura di Andreotti al Quirinale: eleggete o Spadolini o Scalfaro, cioè a
dire fate Presidente, comunque un amico di Israele, in salsa laica l'uno e in
salsa "cattolico-bacchettona-tutte a zinne ben coperte" l'altro. Il Parlamento
"sovrano", aggredito dalla campagna tangentopolista di Di Pietro e dei suoi
sponsor mediatici -una campagna sostenuta fra la minoritaria coglioneria
"rivoluzionaria" dal plauso reiterato del caporedattore di "Liberazione"
Fargione- obbedì ciecamente, e fu Scalfaro. Passa qualche anno, con il colpo di
stato delle privatizzazioni notturne, con la riforma delle pensioni di D'Amato,
con la precarizzazione del lavoro -tutta robaccia targata centrosinistra- e fra
le altre cose ecco il processo ad Andreotti, sicuramente in rapporto indiretto
con la mafia, visto che chiunque fa politica in Sicilia deve fare i conti con la
mafia: ma perché solo lui e perché la leggenda nera del bacio a Riina? La
risposta sta forse nel fatto che l'odiato Andreotti è stato l'ultimo degli eredi
della politica euromediterranea e proaraba dell'Italia democristiana, e uno dei
due protagonisti di Sigonella?
Dalla macrostoria alla microstoria, più di dieci anni dopo, devo citare un altro
episodio, piccolo ma perfettamente coerente col tema di questo articolo, ed
emblematico di cosa sia diventato l'ex PCI e la sinistra tutta nell'epoca
postbipolare. Un festival della poesia, anno 2008, organizzato dal fratello di
Goffredo Bettini, Filippo, a Roma: poesia "per la pace", un poeta per ogni paese
del Mediterraneo in conflitto. Sapete chi "rappresentava" la Libia di Gheddafi?
Victor Magyar! Magyar è probabilmente uno degli italiani ebrei espulsi dalla
Libia nel 1971: sul piano umano provvedimento doloroso, come quello subito dai
pied-noirs francesi in Algeri e quelli subiti da ogni vinto, ma che senso ha
invitare lui a "rappresentare" la poesia libica? Che altro senso se non quello
di lanciare una frecciata velenosa al popolo libico, e di confessare
conciostesso la perdita totale fra i PD della memoria storica della
decolonizzazione, dei principi di libertà e indipendenza di tutti i "popoli
coloniali" sancita dalla stessa Carta delle Nazioni Unite? Il sottoscritto
scrisse una lettera di solidarietà all'ambasciatore libico, lamentando la
degenerazione della sinistra: non mi risultano altre reazioni, fra i moderati e
in quella che è ormai solo pseudomarxismo qualunquista. Tutti zitti, sennò il
padrone taglia i fondi e gli spazi mediatici.
Questo è l'«edificio nascosto» della politica italiana, e questo è il trend
vincente nella sinistra postcomunista tutta dagli anni Novanta ad oggi. Non
desta dunque meraviglia, anche se dovrebbe suscitare opposizione, che un
deputato PD si dica oggi stanco dell'articolo 21 della Costituzione, perché
vorrebbe vedere i "negazionisti" in galera anche in Italia; né che Colombo, uno
che nel '91 pubblicò un libretto antiracheno e pro israeliano assieme a Marcello
Pera, sia diventato direttore de "l'Unità", dalle cui colonne avrebbe sparato a
zero contro Berlusconi per la sua partecipazione alla guerra … contro l'Iraq; né
che Fassino, ebreo sionista secondo una cronaca casual de "il Messaggero" di
alcuni anni fa, sia stato fotografato durante i massacri di Gaza con la sua mano
poggiata su quella del PDL Ronchi, e sopra le due quella di Gattegna e di
Riccardo Pacifici. Il simbolo di un patto d'acciaio trasversale, a cui la
sinistra e la destra coglione rispondono litigando sul fascismo e
sull'antifascismo, anziché capire che i problemi per la democrazia,
l'antirazzismo e l'identità-sovranità nazionali, sono oggi altri. Una foto che
fa capire chiaramente a cosa si sia ridotta la sinistra, e dove sia la sinistra
oggi: non sta certo nel centrosinistra moderato e estremo in quanto cartello,
non sta neppure nel centrodestra nonostante il decisionismo populista
berlusconiano e la sua politica di timido contenimento del capitale bancario;
sicuramente e comunque sta, la sinistra, in tutte e due gli schieramenti, in
quelle forze che ragionano e prendono posizione sui contenuti della politica, e
non sulle lovestories vere o presunte di Berlusconi.
Fra i tanti contenuti, assolutamente centrale per capire dove sta la sinistra
oggi è quello dell'immigrazione: in un saggio-libro, su "La favola multietnica"
ho tentato di spiegare gli effetti disastrosi dell' immigrazione facile di certa
sociologia "progressista". Non c'è spazio di ripetere cose già dette e
rintracciabili su questo sito o sul sito del Master Enrico Mattei. In poche
parole, il succo è questo: la politica dei respingimenti, alibi per un né fra
l'odio antilibico e Gheddafi, dei "rivoluzionari" e "umanitari" del
centrosinistra è una politica assolutamente di sinistra, vicina agli interessi
del popolo e del movimento operaio italiano, che non a caso non vota più da
molti anni centrosinistra, ma Lega o PDL. Nonostante Borghezio.
La funzione storica dell'immigrazione selvaggia è stata infatti distruggere,
attraverso un gigantesco "esercito industriale di riserva" e in combinato con le
privatizzazioni e a precarizzazione del lavoro volute in primis dal
centrosinistra, le conquiste salariali ottenute in decenni di lotte dal
movimento operaio italiano. È madornale fessaggine -un insulto alla razionalità
della politica e alla verità storica- quanto fantasticato in un editoriale di
"Liberazione" durante la campagna elettorale, circa l'equazione fra i
respingimenti dei clandestini -stranieri a tutti gli effetti e dunque senza
nessun aprioristico diritto a entrare in Italia- e le leggi razziali, che
vessavano e perseguitavano cittadini ebrei italiani da generazioni e secoli. È
un "errore" di analisi quello di Bernocchi a "La 7" durante la recente campagna
elettorale, che ci sarebbe stata e ci sarebbe un'alleanza fra i "padroni" e i
"penultimi" (gli operai nazionali) ai danni degli "ultimi", gli immigrati: è
vero semmai il contrario, la disperazione degli immigrati -obbligati a e capaci
di vendersi per pochi euro sul mercato del lavoro- è stato lo strumento
utilizzato da certa imprenditoria disinvolta per colpire, emarginare e vessare
ulteriormente i lavoratori italiani. Ed è stato coraggio e merito della Lega,
nonostante il suo radicamento nel Nord est, privilegiare il "popolo" e i suoi
interessi rispetto ad una minoranza autoctona certo vessata dal capitale
bancario, ma comunque privilegiata.
Anche in questo caso dunque, non ha alcun senso accusare Gheddafi di sostenere
una politica contraria ai "diritti umani" del cattivissimo governo Berlusconi:
l'immigrazione clandestina va bloccata, gli scafisti e schiavisti criminali
perseguiti. I "palestinesi", cioè i popoli vessati da conflitti e fame in
patria, qui, in patria, vanno difesi, con una opposizione ferma alle guerre
destabilizzanti in Medio Oriente, in Sudan in Somalia, e non usati dalla
coscienza sporca del centrosinistra per abbandonare contemporaneamente a se
stessi, sia i lavoratori italiani sia i popoli sottoposti al neocolonialismo
postbipolare targato pro-Israele. Del quale, l'antigheddafismo di questi giorni
-rivolto contro il suggello ad un accordo storico che fa riaffiorare anche in
questi tempi difficili e dunque in forma ridotta e annebbiata, la grande
tradizione euro mediterranea dell'Italia da Mattei-Gronchi a Moro a
Craxi-Andreotti- non è altro che una componente e uno strumento: un segnale di
una memoria storica dei princìpi della decolonizzazione -come tutti i processi
storici, complessa e contraddittoria- che si va perdendo e che invece si
dovrebbe conservare gelosamente; il segnale di una "sinistra che non c'è" più,
travolta dalla debolezza dei suoi leaders, dai suoi discorsi vuoti e lontani
dalla gente comune, e dalla pressoché totale incapacità -il risentimento di
D'Alema contro certo giornalismo è noto- di costruire una sua autonomia dalle
grandi catene mediatiche pseudoprogressiste che, quelle sì, costituiscono con le
loro menzogne e le loro campagne scandalistiche e paragolpiste una minaccia per
la democrazia italiana.
Claudio Moffa
(giugno 2009)
[1] www.napolibera: che aggiunge, Lenin
«aveva appena in testa le pallottole speditegli nella nuca, stando alle sue
spalle -dopo la giusta pace stipulata a Brest-Litovsk con la Germania- da Fanny
Kaplan, che di quel Bund-partito era grande condottiera».
Il commento di Giorgio Vitali
L'articolo di Claudio Moffa è molto importante perchè è una diagnosi
impietosa DA SINISTRA, quella sinistra post-bellica che si
identifica con la sinistra partitica così come si è andata
strutturando in questi 67 anni dal fatidico anno 1943. Anno della
verità. Cioè anno nel quale la cosiddetta sinistra, interpretata da
Nenni, Togliatti e quant'altri, si dimostrava alleata e solidale con
il "liberalismo" dinastico impersonato dai "reali" ormai molto poco
"realisti" e con la cultura "liberale" (in realtà sudista e
latifondista di Croce e sodali. In quel periodo la sinistra stava
tentando di realizzare i soli ed unici postulati autenticamente e
storicamente "di sinistra". E lo faceva al Nord. Zona idonea a
queste "sperimentazioni" che tali però non erano, visto che i
postulati espressi dal Partito Fascista Repubblicano sono diventati
NON solo leggi, ma che queste Leggi sono state anche messe in
pratica malgrado bombe ed attentati.
[Per far riflettere gli ignavi, li invitiamo ad informarsi se dopo
62 anni di questa cosiddetta Repubblica sia stata realizzata una
sola delle istanze contenute nella cosiddetta "Costituzione"]
CONCLUSIONE: l'articolo, giustamente denuncia, a posteriori, quello
che NOI abbiamo sempre sostenuto. CHIACCHIERE, solo CHIACCHIERE
sparse qual fumo ai quattro venti da «VENDITORI di FUMO». Ma i
lavoratori cominciano a capirlo. Ci auguriamo che questa presa di
coscienza li spinga ad una azione che NON deve essere quella degli
estenuati ed estenuanti borghesucci del sessantotto.
Giorgio Vitali |
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