Lo stragismo non fu di marca fascista
Maurizio
Barozzi (12
febbraio 2013)
Sul "Corriere della sera" del 5 febbraio scorso,
a firma di Monica Zornetta è apparsa una interista a Mario Tuti detenuto da 38
anni e da 8 in semilibertà.
Quello che dice Tuti ha una certa importanza è
vale la pena considerarlo anche per chiarire alcuni punti che altrimenti
potrebbero destare perplessità.
Afferma Tuti: «Dietro piazza della Loggia
c'era l'apparato militare del PCI». E aggiunge che nessuno a destra trasse
giovamento dalla strage di Brescia.
Ora la prima affermazione, circa un certo
apparato clandestino comunista, non possiamo commentarla perchè non è
comprovata, ma per quanto riguarda il fatto che la strage di Brescia (piazza
della Loggia appunto) fu progettata per spostare il clima politica nazionale su
posizioni progressiste, non c'è alcun dubbio e d'altronde sono non solo evidenti
i risultati che si ebbero dopo quella strage, di cui si giovò anche il PCI, ma
noi stessi più volte abbiamo rilevato quanto segue:
«Non ci vuole molto a capire che a partire da
Brescia, al di là dei singoli episodi e i loro autori, nel complesso ora quegli
attentati criminalizzavano le destre e contribuivano a spronare quella
"modernizzazione progressista" del paese.
A prescindere, infatti, da chi l'abbia posta
materialmente in atto, chi ideò di porre una bomba a Brescia il 24 maggio 1974
ad un comizio sindacale antifascista, era ben conscio che morti e feriti
sarebbero stati addebitati alla destra "neofascista", visto che oramai da tempo:
a) erano in corso tutta una serie di inchieste, procedimenti giudiziari,
arresti e così via nell'ambito dell'estremismo di destra da più parti ritenuto
responsabile per Piazza Fontana;
b) si era inoltre appena avuta la vittoria elettorale delle forze
progressiste nel referendum sul divorzio e soprattutto,
c) dopo che pochi giorni prima un ragazzo della destra "neofascista",
Silvio Ferrari, era saltato per aria a causa dell'esplosivo che trasportava».
Vedesi il nostro Saggio: "Piano, piano la
verità sulle stragi sta venendo fuori" pubblicato nel sito della FNCRSI (http://www.fncrsi.altervista.org)
e in quello di Italia Sociale (http://www.italiasociale.net/alzozero13/az13-02-02.html).
Con questo non crediamo che l'apparato del PCI
si sia dedicato a mettere bombe assassine, ma di certo qualcuno l'ha fatto con
lo scopo di istradare, da un certo momento in poi, il paese verso un
"ammodernamento" progressista e fermo restando però, in quegli anni,
l'ostracismo verso un PCI ancora non completamente occidentalizzato, essendo per
di più in piedi Jalta, quindi a non farlo avvicinare all'area governativa.
Più volte abbiamo anche indicato che tutto il
periodo stragista ha avuto una duplice fase, intrise da una stessa "guerra non
ortodossa" messa in atto dalle centrali di Intelligence Atlantiche: una prima
fase cosiddetta "autoritaria", dove attraverso il terrore di un crescendo di
bombe si voleva impedire qualsiasi "novità" sgradevole da parte del nostro
paese, in un momento (dal 1967 al 1970) di delicatissima crisi, anche militare,
che investì tutto il mediterraneo. Queste bombe, tutte false flag da accollare
ad ambienti "anarchici" o "rossi" dovevano destabilizzare il clima sociale e
politico del paese, per stabilizzare la nostra posizione nell'Alleanza
Atlantica.
A questa fase, non ci sono dubbi che hanno
collaborato ambienti di destra, sotto controllo dei Servizi e allettati da
promesse di una proclamazione di uno stato emergenza che avrebbe messo alle
corde il PCI e offerto a questi ambienti, da sempre falliti e che mai avevano
contato nulla in Italia, di recitare un loro ruolo.
Fin dove si sono spinte queste "collaborazioni"
non possiamo saperlo, ovvero non possiamo sapere se le mani di certi destristi
sono anche sporche di sangue italiano o meno, perchè la magistratura con i suoi
teoremi ha finito per non fare luce, per ingarbugliare le cose, senza dimostrare
chi furono i mandanti e gli esecutori e finendo per far propendere verso la
ridicola tesi dei "servizi deviati".
Ripetiamo stiamo parlando di destristi o "neofascisti"
collusi, gente, come si trova in tutti i gruppi e partiti politici, che lavorava
in servizio permanente effettivo per lo Stato Maggiore e/o il Ministero degli
interni, non di fascisti.
Lo stesso Imposimato nel suo libro "La Repubblica delle
stragi impunite", Newton
Compton editori 2012, ci dice che con una sua interpellanza del 2
maggio 1991, firmata dal futuro presidente della Commissione stragi Giovanni
Pellegrino, ebbe a sostenere questo veritiero e importante passaggio: «La
linea stragista sarebbe stata eseguita da nessuna organizzazione di Destra in
quanto tale, ma soltanto da elementi mimetizzati, in realtà appartenenti ad
apparati di sicurezza o comunque legati a questi da rapporti di collaborazione».
Non è qui il caso di ripetere la nostra analisi
del lungo periodo stragista e della strategia della tensione, per la quale
rimandiamo al nostro Saggio sopra indicato, ma in pratica, possiamo riassumere
che in una prima fase stragista (1967 - 1970), i nostri colonizzatori dovevano
assolutamente evitare scollamenti, iniziative autonomiste o terzo mondiste da
parte dei governi italiani o iniziative tipo quella di Enrico Mattei, perchè in
quei momenti erano pericolosissime per la stabilità Nato il cui comando militare
integrato, oltretutto, era stato abbandonato dalla Francia di De Gaulle (a
questi fini, in Grecia, nel 1967, dovettero promuovere un vero e proprio Golpe).
Finita questa, chiamiamola emergenza, di pari
passo con il Watergate in USA dove vennero sovvertiti tutti i comandi dei
Servizi, e dove certe Lobby presero definitivamente il potere
nell'Amministrazione americana, la politica statunitense in Europa prese a
cambiare. Tutto il vecchio "ciarpame" dei regimi autoritari venne buttato a
mare: dalla Spagna di Franco, al Portogallo del post Salazar, agli stessi
Colonnelli Greci.
Ed anche in Italia, si cambiarono strategie e
gli ambienti di destra vennero abbandonati a sè stessi e lasciati incriminare.
In Italia continuarono ad esplodere bombe, ma adesso queste bombe, sempre
false flag, dovevano farle accollare ai "neri". Ogni bomba creava il mito
del "bombarolo nero" e spostava sempre più il paese su una cultura neoradicale e
posizioni progressiste.
Fu un lungo e doloroso processo di
"ammodernamento" del nostro paese che può dirsi concluso con la Seconda
Repubblica.
Ma torniamo a Tuti. Egli afferma che i fascisti
non misero le bombe e non furono responsabili delle stragi. Siamo pianamente
d'accordo con lui e del resto oramai anche vari ambienti interni al sistema, dal
giudice Imposimato al generale Gianadelio Maletti, numero due del SID, se non
allo stesso Cossiga che la "sapeva lunga", ci hanno detto chiaramente che dietro
la strategia della tensione c'erano ambienti atlantici, la CIA.
Ma la nostra condivisione del fatto che i
fascisti sono estranei alle stragi, nasce soprattutto dal semplice motivo, prima
accennato, che eventuali ambienti cosiddetti "neri" che, più che altro nella
prima fase stragista vennero a trovarsi nel gioco delle intelligence atlantiche,
per noi non sono mai stati fascisti. Trattasi di collusi da sempre con i
Servizi, di persone che hanno recitato la parte del fascista, ma la loro
politica, i loro gruppi tutto possono definirsi, meno che fascisti (anche se sul
concetto di "fascismo" bisognerebbe mettersi d'accordo).
Chi sono questi neofascisti collusi con lo Stato
Maggiore, con il SIFAR-SID, con l'AA.R.R. se non addirittura con le centrali
CIA, specialmente nel Vento, con le cosche criminali, massoneria e altro?
Noi ne abbiamo una nostra idea e del resto in
quegli anni come Federazione Nazionale Combattenti della RSI mettevamo in
guardia i veri fascisti da certe politiche, da certe sirene. Ma la nostra idea,
le nostre sensazioni valgono per noi, in casi come questi di estrema gravità,
non possono essere oggetto di pubbliche accuse.
In ogni caso chi abbia la pazienza di leggersi
testimonianze di pentiti o dissociati, esiti processuali ed una enorme
documentazione giudiziaria troverà molte indicazioni per farsi almeno una idea
su questi personaggi.
La magistratura ha inventato teoremi assurdi, ha
incriminato persone che non c'entravano nulla, ha utilizzato un certo potere
giudiziario, in sintonia con quello dei mass media per sbattere in prima pagina
mostri creati a tavolino e oltretutto, come anche sottolinea Mario Tuti nella
sua intervista, i "neofascisti" spesso furono messo in mezzo, furono usati come
capro espiatorio..
Ma se tutto questo è vero, è altrettanto vero
che non tutto è inventato e testimonianze e documentazioni varie parlano chiaro.
E inutile fare gli struzzi e mettere la testa sotto la sabbia per non vedere,
con la scusa che tutto è falso che tutto è stato una macchinazione
politico-giudiziaria..
Si legga, ci si informi, quindi, ma con una
doverosa accortezza: non tutti coloro che hanno avuto "collusioni", o hanno
commesso qualche imprudenza, possono essere responsabili di stragi o essere
considerati "traditori". Questo per il semplice fatto che la politica è un gioco
sporco, è fatta di iniziative, contatti, tentativi e quindi, almeno in via
teorica, può esserci stato il caso di "camerati" che, in un momento di demenza
mentale, hanno ritenuto utile stabilire certi "contatti".
Non lo sappiamo, ma dobbiamo metterlo tra il
"possibile".
Come vedesi un motivo di più per essere sempre
cauti e andarci con i piedi di piombo.
Per lo stesso Mario Tuti, per esempio, Vincenzo
Vinciguerra ci dettaglia che egli faceva parte di una cellula segreta del
Ministero degli Interni che Paolo Emilio Taviani, nel suo libro di memorie,
definirà una "cellula impazzita".
Sono attendibili queste informazioni? Non
possiamo saperlo, ma di certo noi siamo portati a non fidarci di nessuno.
Quindi, per concludere, a nostro avviso lo
stragismo in Italia è stato progettato da ambienti atlantici, che per
inquadramento subordinato gli dava la possibilità di controllare i nostri
Servizi, quindi vi troviamo lobby massoniche e ambienti di destra. Per quanto
riguarda i sicari, gli esecutori che misero le bombe, almeno per le stragi più
eclatanti, grazie ad una giustizia che ha seguito teoremi e speculazioni
politiche non ne sappiamo nulla.
In ogni caso non possiamo pero sottovalutare che
le cronache giudiziarie ci hanno mostrato destristi condannati per aver deposto
o tentato di deporre bombe e alcuni sono reo-confessi. Tutti errori giudiziari,
tutti teoremi?
Tanto per fare un esempio, cosa sarebbe successo
se sul quel treno Torino Roma, il 7 aprile 1973, Nico Azzi, fosse riuscito ad
innescare il suo ordigno invece di farsi esplodere il detonatore in mano?
E che finalità avevano tutte quelle bombe della
primavera estate del 1969, alla Fiera campionaria di Milano e sui treni, per i
quali tre gradi di giudizio hanno stabilito i responsabili? Tutte bombe, che per
un miracolo non fecero vittime, ma solo una ventina di feriti, ma che avevano
tutta l'apparenze di essere usate come false flag per incolpare ambienti
anarchici, come infatti in un primo momento avvenne. Proprio la stessa ottica di
Piazza Fontana.
Dubbi ne abbiamo, ah se ne
abbiamo. Ci mancherebbe.
Maurizio
Barozzi
l'intervista
L'esponente del Fronte Nazionale
Rivoluzionario è detenuto da 38 anni
e da 8 è in semilibertà
Parla Mario Tuti, il killer di Buzzi
«Anni di piombo, ecco la mia verità»
La pista veronese? Si percorre
sempre quella strada che non porta a nulla. Il teorema: «Dietro
piazza Loggia c'era l'apparato militare del PCI» Nessuno a destra
trasse giovamento dalla strage di Brescia. Quando ci avevano mandato
Buzzi a Novara io e Concutelli la ritenemmo una provocazione. Così
decidemmo di ucciderlo
ROMA - «Di una cosa sono
sicuro: noi le stragi non le abbiamo fatte. Siamo stati usati come
capro espiatorio poiché nessuno poteva o voleva difendere dei
fascisti: eravamo solo carne da macello».
Detto questo, si volta verso il
caminetto annerito dal fumo e con l'attizzatoio fa rotolare il
massiccio ceppo fino ad avvolgerlo con le fiamme.
«In tutte le stragi c'è lo zampino
di gente dei servizi, questo è ormai chiaro, e dunque anche
l'ipotesi che dietro a quelle consumate negli anni Settanta e
Ottanta possa esserci stato il gruppo Bilderberg, come ha di recente
ricordato il giudice Ferdinando Imposimato, può essere ragionevole.
Io, però, mi sono fatto un'altra idea».
Annuisce pacato Mario Tuti, l'ex
tranquillo geometra comunale di Empoli che nel 1975 uccise a colpi
di revolver due dei tre agenti di polizia che si erano presentati a
casa sua per arrestarlo. Da quel momento entrò in clandestinità. Lui
è la «primula nera» che, arrestata in Francia, viene estradata in
Italia e da 38 anni vive in prigione. Cinque li ha trascorsi ai
«braccetti della morte», nei reparti cioè di massima sicurezza e
isolamento. Sessantasette anni, alto, il fisico atletico lievemente
appesantito dallo scorrere della vita, i baffi -un tempo neri- ormai
schiariti, Mario Tuti è stato il fondatore del Fronte Nazionale
Rivoluzionario, condannato a due ergastoli -per il duplice omicidio
ad Empoli e per l'eliminazione di Ermanno Buzzi-, assolto per la
strage al treno Italicus e per gli attentati sulla linea
Firenze-Roma.
La sua storia è intrisa di sangue,
di ideali («Eravamo spinti dall'idea di voler dare testimonianza del
nostro esserci: c'era stata la sconfitta della Repubblica sociale e
noi, ahimè, non c'eravamo...»), di «istinto di morte» ma anche di
ripensamenti profondi e di riscatto. Quest'uomo infatti, figlio di
un badogliano, è anche colui che dal 2004 gode del regime della
semilibertà, che si è laureato in Scienze forestali, si è
appassionato di ippoterapia, e che lavora, dal lunedì al venerdì, in
una comunità di recupero per tossicodipendenti e in una
casa-famiglia per bambini. Di sera rientra in galera; in quella casa
circondariale di Tarquinia che ha fatto da location a molti film,
tra cui «Vallanzasca. Gli angeli del male».
È stato lui, a quel tempo detenuto
nel carcere di massima sicurezza di Novara, a sopprimere, con
Pierluigi Concutelli, in una mattina di primavera del 1981, un
fascista bresciano di «secondo piano», Ermanno Buzzi, condannato in
primo grado all'ergastolo per la strage di Piazza della Loggia. Un
assassinio messo in atto per chiudere la bocca a un soggetto che
qualcosa di quel terribile fatto sapeva?
«Ma no», risponde con netta
inflessione toscana, «intorno a quell'omicidio sento ancora fare
ricostruzioni assolutamente fantasiose, quando la realtà è un'altra,
ed è evidente. Su "Quex" (il bollettino ciclostilato dei detenuti
politici nazional-rivoluzionari del tempo, ndr) pubblicammo un
articolo in cui parlavamo delle varie stragi; in merito a Brescia,
scrivemmo che Buzzi era un confidente dei carabinieri, vicinissimo
al capitano Delfino, e lo definimmo un corruttore di giovani».
L'ex «prigioniero di guerra», come
amava qualificarsi una volta, che affrontava i processi col saluto
romano, si ferma ancora un attimo, si accende un sigaro e ravviva il
fuoco. Quando ripone l'attizzatoio gli occhi tornano mobili dietro
gli occhiali in metallo che da qualche lustro hanno sostituito
quelli «alla Peppino di Capri».
«Va sempre considerato il clima che
si respirava in quegli anni, erano anni feroci, ma pure la
situazione che noi fascisti stavamo vivendo: c'erano stati gli
arresti per la strage di Bologna e le accuse, del tutto ingiuste, di
essere gli autori degli attentati. Quando ci siamo trovati lì Buzzi,
ci siamo chiesti: ma che pensa? Che noi si accettiamo le immondizie?
Non ricordo se ne parlai brevemente con Concutelli, ma mi chiesi che
senso avesse che ci mandassero a Novara un loro confidente. Buzzi è
qui come provocatore, riflettei, e c'è il rischio che se un domani,
in tribunale, affermasse di aver raccolto delle nostre confidenze,
possa pure essere credibile».
Ed è così che il 13 aprile 1981,
durante l'ora d'aria, il 35enne Conte di Blancherie (così Buzzi si
faceva chiamare) che portava tatuato sulla mano il simbolo delle SS,
e che, secondo alcuni, veniva utilizzato dal futuro generale di
divisione dei Carabinieri Francesco Delfino anche per polverizzare
l'attenzione della stampa e dei magistrati dal MAR di Carlo
Fumagalli, viene attirato da Tuti e Concutelli in un angolo del
cortile e strangolato con un laccio da scarpe.
«Probabilmente lui stesso è stato
vittima del gioco di qualcuno dei servizi. Non credo che siano in
molti a ricordare il fatto che, quantomeno inizialmente, la sua
famiglia si era costituita parte civile contro il Ministero. Poi,
però, questa costituzione l'aveva ritirata. Perché?».
La ricostruzione di Tuti sembrerebbe
confermare i sospetti secondo cui un Buzzi alquanto preoccupato,
perché convinto di essere stato abbandonato dopo la condanna, aveva
manifestato l'intenzione di rivelare alcuni clamorosi particolari
sulla strage del 28 maggio '74. Per suffragare dunque le proprie
dichiarazioni avrebbe dunque accettato il trasferimento nel carcere
di Novara, nonostante fossero lì detenuti alcuni camerati a lui
ostili. Mario Tuti rammenta poi che «nella fatal Novara facemmo una
inchiesta che coinvolse i diversi gruppi dell'arcipelago nero,
bresciani compresi. Con qualcuno di questi non avevamo rapporti, non
li conoscevamo; perciò per noi avrebbero potuto benissimo essere
implicati nella strage. Chiaro che in questa inchiesta non erano
previste garanzie processuali: si doveva solo dire la verità, senza
reticenze o menzogne, pena la sanzione estrema. Quel che ne risultò
fu che nessuno di noi era implicato in quei massacri né aveva
conoscenza di camerati coinvolti».
Secondo lei la pista che sta
seguendo la Procura e che ha portato all'assoluzione anche in
appello degli imputati Carlo Maria Maggi, Delfo Zorzi, Maurizio
Tramonte e del generale dei Carabinieri Francesco Delfino, non
sarebbe dunque quella giusta?
«Secondo me non lo è. I magistrati
stanno continuando a percorrere una strada che, a oggi, non li ha
portati a niente, nonostante tutti i metodi usati per accertare la
verità. Forse dovrebbero avere un po' più di onestà intellettuale, o
di intelligenza, e affidarsi ad altre ipotesi».
Su questo punto di recente c'è stato
un collaboratore di giustizia che ha effettivamente indicato
un'altra possibile pista investigativa. Una pista che porterebbe a
un gruppo ordinovista di Verona.
«I veronesi non li conosco ma è
curioso che a cadenze regolari continuino ad uscire nuovi pentiti»,
dice, sorridendo sotto i baffi. «Cambiano i pezzi ma, è incredibile
a dirsi, lo scenario rimane lo stesso».
Lei è stato interrogato nell'ambito
di tutti i procedimenti penali che hanno riguardato le stragi
italiane e, su Brescia, dice di essersi fatto un'idea. Quale
sarebbe?
«Da questa strage chi ha avuto modo
di trarre qualche vantaggio? I fascisti extraparlamentari? Non mi
risulta. La destra istituzionale? Non mi pare. Chi è entrato dunque
nella stanza del potere negli anni Settanta?», domanda con
espressione sfingea prima di fornire egli stesso la risposta (mai
fornita, peraltro, durante i processi per la Strage): «Il partito
comunista».
«Il PCI deteneva un apparato ai miei
tempi ancora funzionante. Io stesso ho avuto per le mani delle armi
che provenivano dai suoi depositi. Si pensi che ancora negli anni
Settanta disponeva di una rete telefonica autonoma che utilizzava le
linee elettriche. Dietro la strage di Brescia (così come dietro
l'Italicus, come Tuti ha peraltro dichiarato nel 2010 al giornalista
Pino Casamassima, ndr) secondo me c'è l'apparato militare del PCI,
non certo il partito ufficiale. Possono essere poi intervenuti i
servizi segreti di molti Paesi: dell'Est Europa, per esempio, o
quelli israeliani, o la CIA. Ma chi, oggi, dovrebbe confessare? Chi
potrebbe ammettere di avere un simile peccato originale? Sono
domande, queste, che tuttavia non sta a me fare: ritengo siano
altri, e mi riferisco ai magistrati, a dovere al Paese qualcosa».
La teoria che Tuti espone meraviglia
parecchio per la sua infondatezza e onestamente, più che offrire uno
spunto investigativo alternativo, denota l'ideologia che ancora, con
tutta evidenza, resiste in lui. Le vittime delle stragi, i loro
famigliari, il Paese, potranno mai conoscere la verità?
«La nostra è la società dei
documenti. Di documenti che scompaiono e poi ricompaiano. È accaduto
anche a me nel processo per l'Italicus. Il nostro è il Paese delle
continue pressioni politiche e istituzionali. In tutta franchezza
non lo so se la verità verrà mai portata alla luce... non mi pare
proprio che ci sia l'intenzione di farlo».
* *
*
Mario Tuti nasce a Empoli il 21
dicembre 1946. Figlio di un fedelissimo a Badoglio, fino alla
mattina del 24 gennaio 1975 conduce una vita apparentemente
tranquilla nella cittadina in provincia di Firenze dove vive con la
moglie e i due figli piccoli e dove lavora come geometra all'ufficio
tecnico comunale. Quel giorno Tuti, che già un paio d'anni prima
aveva dato vita al Fronte Nazionale Rivoluzionario uccide due dei
tre poliziotti che si erano recati a casa sua per perquisire
l'abitazione e per arrestarlo. Dopo il duplice omicidio riesce a
fuggire. Con l'aiuto di alcuni ordinovisti toscani riesce a
nascondersi in un rifugio sicuro, in Garfagnana, e poi a fuggire
all'estero. Viene condannato all'ergastolo in contumacia e arrestato
dopo poco in Francia, a Saint Raphael, a seguito di una breve
sparatoria con la polizia. Viene quindi estradato in Italia. Nel
1980 viene rinviato a giudizio per la strage al treno Italicus (4
agosto 1974, 12 morti): ritenuto colpevole in appello, viene assolto
dalla Cassazione al termine di un processo lungo e tortuoso.
Condannato a 20 anni per gli attentati sulla linea Firenze-Roma, in
appello, nel '90, per lui cade ogni accusa. Il 13 aprile 1981,
durante l'ora d'aria nel carcere di massima sicurezza di Novara,
uccide insieme con Pierluigi Concutelli il fascista bresciano
Ermanno Buzzi, condannato per la strage di Piazza della Loggia e
considerato dai «neri» un confidente dei carabinieri. Il 25 agosto
1987 è a capo della rivolta e del tentativo di evasione dal carcere
di Porto Azzurro, all'Isola d'Elba. Cinque detenuti, tra i quali lo
stesso Mario Tuti, sequestrano 34 persone dell'amministrazione,
compreso il direttore, e le tengono in ostaggio per oltre una
settimana. La rivolta termina con la resa dei detenuti e la condanna
a 14 anni. Nel 2000 chiede la semilibertà; nel 2003 arriva il primo
permesso; nel 2004 la semilibertà con un lavoro tra i giovani ospiti
di una comunità per tossicodipendenti a Tarquinia e tra i bambini di
una casa-famiglia a Roma. In carcere ha passato 38 anni.
Zornetta Monica
Corriere della Sera (5 febbraio
2013) |
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