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Mezzegra:

la pagliacciata della guerra delle lapidi fa per vittima la verità storica

 

Maurizio Barozzi      

 

Sabato 6 settembre 2012 l'ANPI, l'associazione degli ex partigiani d'Italia, ha posato a Mezzegra, a sei metri dal cancello di villa Belmonte, una lapide che recita "Qui, alle 16,10 del 28 aprile 1945 fu eseguita la condanna a morte di Benito Mussolini, decretata dal CLNAI".

È stata la risposta annunciata dall'ANPI alla precedente lapide posta ad aprile scorso da esponenti della ex Repubblica Sociale Italiana che nello stesso posto posero una lapide con le due foto di Mussolini e Clara Petacci. Azione e reazione quali una pagliacciata che, di fatto, hanno consentito ai nemici della verità storica di sostituire un vecchio cartello indicatore che recitava semplicemente e asetticamente di un luogo dove si era verificato un "evento storico".

E così, ancora una volta, sia da una parte che dall'altra, sotto la spinta di rivalità che hanno fatto il loro tempo, la Storia è stata violentata anzi, per restare in tema, la verità storica è stata "fucilata" proprio quando, oramai da alcuni anni, storici seri e prove di carattere oggettivo che, prescindono da tutto il resto, hanno dimostrano la falsità di quella fucilazione a quell'ora: le 16,10 del 28 aprile 1945 e in quel posto: il cancello di Villa Belmonte.

In genere la stampa italiana ha dato poco spazio all'episodio della lapide dell'ANPI, mentre quella locale della Lombardia vi ha dedicato alcuni articoli, ma più che altro per riportare le polemiche, strumentali e artificiose che hanno accompagnato questa vicenda. Insomma, la si è buttata in "caciara" come si dice a Roma, facendo strumentalmente  passare sotto silenzio il vero problema di quelle lapidi che 0 quello di costituire un insulto alla verità storica.

Non è però escluso che questa vicenda non abbia anche avuto un regista occulto che da tempo gioca sui sentimenti della gente ispirando azioni, quali la lapide per Mussolini e inevitabili reazioni, quella di risposta dell'ANPI.

Nella Tremezzina, ci sono interessi locali di carattere turistico e lo stesso Istituto di Storia Contemporaneo di Como, già Istituto del Movimento di liberazione del comasco, finanziato anche con denaro pubblico e che si arroga la verità su quelle vicende storiche, ostinatamente attaccato come un ostrica alla "vulgata", come la definì lo storico Renzo De Felice, ovvero la inattendibile versione di quella fucilazione emessa tra il 1945 e il 1947 con plurime e contraddittorie relazioni, ha sempre vigilato affinchè quella "vulgata" restasse in vita, sia pure ridotta ad ectoplasma..

Ma cerchiamo di riassumere brevemente le vicende che hanno portato a questa grottesca situazione, vicende nelle quali, rappresentati di associazioni della RSI hanno avuto responsabilità gravissime.

Forse tutto ebbe inizio negli anni '80 quando Mario Nicollini un anziano ex combattente della RSI pensando di rendere un omaggio al Duce ritenne di collocare una vera e propria croce al Cancello di Villa Belmonte dove, del resto, qualche ignota mano aveva sempre pittato qualche anonima croce in quei punti del muretto.

Sembra che il Nicollini, un giorno che si trovava a Villa Belmonte, ebbe a incontrare una donnetta del paese, una certa Rainoldi Marta, aiutante della parrocchia di Mezzegra, oggi deceduta, ma nel 1945 una ragazza che soffriva di forti crisi depressive, come ricordato dal parroco di Mezzegra.

La Rainoldi raccontò a Nicollini che il pomeriggio del 28 aprile stava portando a spasso il cane e pioveva, quando vide arrivare l'auto di Audisio. Nascostasi dietro una pianta, che indicò al Nicollini, disse di aver visto e addirittura udito frasi di quella fucilazione. Un racconto analogo a quello fatto da altri mitomani, o comunque soggetti che in quel giorno di eccezionale emotività udirono voci di ogni genere e molti finirono per farle proprie, mentre un terrore vero e pluridecennali imponeva a tutti i residenti di quelle parti di parlare, di non andare fuori dai canoni della "vulgata".

Il racconto di questa donna, in ogni caso, sia pure in buona fede, non stava nè in cielo, nè in terra e fa il paio con un altro racconto simile di una anziana Edwige Rumi.

A  parte il fatto che prima e durante la fucilazione non pioveva, dovremmo credere che, nonostante la "vulgata" ci assicura che Audisio & Co. scacciarono gente del posto e dissero di essersi messi di guardia, ai lati della strada, per assicurarsi che non ci fosse nessuno nei pressi e inoltre, quando poi, come sappiamo con certezza da plurime attendibili testimonianze del posto, erano stati anche fatti tanti piccoli posti di blocco attorno a quelle strade, onde eseguire in discrezione la messa in scena della fucilazione, dovremmo qui credere che quella fucilazione venne vista e addirittura udita per varie frasi, quindi da abbastanza vicino, da una folla quasi da stadio!

Sia come sia, il Nicollini mostrò di credere a questa fola e quindi procedette con la sua croce senza rendersi contro che proprio lui, un ex combattente della RSI, indirettamente avallava la falsità storica divulgata da Audisio!

Una falsità storica che da quelle parti, a quanto pare, fa gola un pò a tutti, visto che sono stati anche ideati dei Tour turistico-storici, che partono da Dongo e terminano proprio a Mezzegra, mentre l'anziano parroco di Mezzegra provvede a dispensare  opportune benedizioni.

Arriviamo così ai nostri tempi, quando ad aprile del 2012 su iniziativa di associazioni di ex Combattenti della RSI e il solito Nicollini, il sindaco leghista di Mezzegra Claudia Lingeri accoglieva la richiesta di collocare a quel cancello una lapide con tanto di foto di Mussolini e Clara Petacci.

L'iniziativa non è che fosse stata gradita da tutti gli ex combattenti della RSI, quelli che ben sanno cosa significhi e rappresenti la "vulgata".

Tra questi Giannetto Bordin, ex combattente della RSI, per esempio, che aveva collaborato con Giorgio Pisanò al tempo in cui, nel 1996, raccolsero la importantissima testimonianza di Dorina Mazzola, un anziana signora nel 1945 residente vicino a casa dei De Maria dove erano nascosti Mussolini e la Petacci, e quella di Savina Santi la vedova di Guglielmo Cantoni Sandrino, uno dei due carcerieri di Mussolini in quella casa, due testimonianze che indicavano chiaramente la morte di Mussolini al mattino, proprio sotto casa dei De Maria.

Il Bordin, che ben conosceva le vicende di quella morte, scrisse indignato al Nicollini, protestando vivamente per questa iniziativa che faceva solo il gioco della "vulgata".

Comunque sia, polemiche a parte, è infatti evidente che l'iniziativa di apporre lapidi in quel luogo, non solo era inopportuna, ma sarebbe stata inevitabilmente  strumentalizzata proprio da quelle componenti della Resistenza che avevano tutto l'interesse a difendere la "vulgata", tanto più oggi che, di fronte a prove schiaccianti che vanno a confutarla, si trovavano alla canna del gas.

Una vulgata che a luglio del 2012 anche RaiTre, nel corso di un servizio di "La Grande Storia" e altrettante riviste storiche (ultima la "History BBC Italia", di settembre, per non parlare di "Storia in Rete") hanno sconfessato chiaramente, che molti storici, come attestato da recenti interviste, mostrano oramai di aver definitivamente bocciato, ma che soprattutto precise perizie scientifiche, realizzate con strumenti tecnici moderni,  ne hanno dimostrato la falsità.

Nel 2006, infatti, al celebre Istituto di Medicina Legale di Pavia, una equipe del prof. Giovanni Pierucci, sottoponendo ad analisi foto e filmati dei cadaveri di Mussolini e della Petacci hanno indicato inequivocabilmente che il pastrano di Mussolini, indosso al cadavere in terra di fronte al cancello di Villa Belmonte, risulta imperforato e che buchi o strappi quali esiti di colpi da armi da sparo, erano solo sulla maglietta intima di salute. Questi riscontri sono stati, ad oggi, confermati da altri medici legali di altre Università. Quindi Mussolini era stato rivestito da morto con quel giaccone e gettato cadavere ai piedi del cancello di Villa Belmonte. Ergo e senza ombra di dubbio Mussolini era morto in altro orario e altro luogo.

Ma altre perizie hanno anche accertato che lo stivale destro di Mussolini, quello che tutti videro aperto ai piedi del cadavere, aveva addirittura la lampo, saracinesca di retro chiusura, saltata al tallone e quindi non si poteva chiudere. Ne consegue che Mussolini non avrebbe potuto deambulare e di certo non avrebbe potuto passare  inosservato con questo inconveniente, per essere condotto alla fucilazione.

Ma ancora, la balistica di quella fucilazione è stata, in qualche modo, ricostruita da medici legali e esperti di balistica  che hanno potuto avanzare almeno un paio di concrete ipotesi, che, comunque sia, smentiscono totalmente la "vulgata" di Audisio. Oltretutto la stessa perizia di Pavia aveva ben accertato che alcuni colpi erano stati sparati addosso al Duce da distanza ravvicinatissima e non dai famosi "tre passi", oltre due metri, come aveva raccontato il ragionier Walter Audisio alias colonnello Valerio.

Senza contare poi le tumefazioni premortali al volto della Petacci: occhio dx e naso che dimostrano che la donna venne percossa prima di essere uccisa con una raffica di mitra alla schiena. Tutti particolari che smentiscono Audisio e la vulgata che la ebbe a descrivere placida e tranquilla in camera con Mussolini fin verso le ore 16 quando venne prelevata da Audisio & Co., portata a Giulino di Mezzegra ed ivi fucilata in quattro e quattr'otto.

Quindi, come si vede, siamo oramai in presenza di una confutazione della "vulgata" inappellabile, perchè non costituita da congetture o ipotesi, nè formulata attraverso  testimonianze di cui si può sempre dubitare, ma con prove oggettive e precise.

Torniamo così alla "guerra delle lapidi".

Certamente a chi sta a cuore la figura storica e umana di Mussolini, non può che far piacere che si renda omaggio al Duce, tanto è vero che  qualche centinaio di persone, ancora oggi, si recano da quelle parti in ricordo di Mussolini.

Ma queste iniziative potevano benissimo essere fatte lontano da quel cancello di Villa Belmonte dove Mussolini e la Petacci vi furono solo scaricati come cadaveri.

Si poteva ad esempio presenziare a Bonzanigo, sotto casa De Maria, luogo dove è veramente probabile, come si evince dalle accennate testimonianze di Dorina Mazzola e dalla confidenza della vedova di Sandrino, in cui venne effettivamente ucciso il Duce o anche poco più avanti, a lato di via del Riale dove, due ora più tardi, intorno al mezzogiorno, in quel mattino di sabato 28 aprile, venne uccisa Clara Petacci.

Ed invece con quelle inopportune iniziative di deporre una lapide con tanto di cerimonia a Villa Belmonte, si è dato modo all'ANPI di rimarcare con la sua lapide di prevedibile e inevitabile risposta, che quello e solo quello fu il luogo dove venne fucilato Mussolini.

Trattasi comunque di soddisfazioni effimere, localizzate, ma che non potranno di certo arrestare la valanga di confutazioni che hanno travolto la "vulgata", con buona pace dell'Istituto di Storia Contemporanea di Como.

Maurizio Barozzi        

 

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