Domande e valutazioni che demoliscono una
pluriennale mistificazione
Morte Mussolini
Maurizio Barozzi
da "Rinascita",
16 maggio 2009
22 domande e relativi rilievi e valutazioni che dimostrano
oggettivamente e definitivamente che la "vulgata" sulla morte del Duce non è
veritiera
La impropriamente detta "storica versione" del colonnello Valerio, alias Walter
Audisio, sulla morte del Duce, con il tempo in parte modificata dalla Relazione
di Aldo Lampredi Guido e dalle testimonianze di Michele Moretti Pietro, a nostro
avviso non abbisognerebbe neppure di una confutazione, tanto è impasticciata,
incongruente e contraddittoria che praticamente si smentisce da sola.
Ciò che ha consentito, a questa vulgata, come la definiva Renzo De Felice, di
sopravvivere per tanti anni, pur tra i dubbi della critica storiografica, è
stato soprattutto il fatto di rappresentare comunque una parte della verità,
anche se "una parte" stravolta in alcuni episodi determinanti, spesso
verosimile, ma non veritiera, miscelando fatti veri ed altri inventati, ma pur
sempre e almeno in parte, attestabili qua e là, nella raccolta delle
testimonianze.
Riassumendo in estrema sintesi, questa versione vorrebbe attestare quanto segue:
Mussolini e la Petacci nascosti all’alba del 28 aprile ‘45 a Bonzanigo in casa
dei contadini De Maria; incarico più o meno segreto, dato nella notte precedente
a Walter Audisio, alias colonnello Valerio, coadiuvato da Aldo Lampredi Guido,
per fucilare sbrigativamente il Duce e loro partenza da Milano per Como verso le
7 del mattino del 28 aprile con il plotone dell’Oltrepò pavese; lunga sosta in
Prefettura a Como e arrivo poi a Dongo verso le 14,10; spiegazioni con i comandi
della 52ª Brigata Garibaldi; diversivo pomeridiano del trio "giustizialista"
Audisio, Lampredi e Moretti, verso Bonzanigo e fucilazione alle 16,10 del Duce e
della Petacci nella sottostante Giulino di Mezzegra davanti al cancello di Villa
Belmonte; ritorno a Dongo, fucilazione pubblica degli altri prigionieri
fascisti, ecc.
È questa la sostanza della versione ufficiale, ma è soltanto un tre quarti di
verità!
Ferma restando la spedizione di Valerio a Como e Dongo, basta inserire in questo
quadro il diversivo, rimasto segreto, di una sbrigativa e proditoria uccisione
del Duce al mattino, tramite un commando appositamente partito da Milano o
reperito sul posto (Como e dintorni) e quindi la messa in scena, nel pomeriggio,
di una finta fucilazione a Villa Belmonte, perché i pezzi del mosaico vadano a
posto e si spieghino tante incongruenze, tante illogicità, tante testimonianze
spesso inverosimili e altrimenti incomprensibili.
Gli irriducibili paladini di questa "vulgata", come per esempio l’Istituto di
Storia Contemporanea di Como "Pier Amato Perretta", hanno il coraggio di
affermare che la "storica versione" può essere smontata soltanto da documenti
accertati nella loro validità e da testimonianze comprovate. Una asserzione
certamente legittima se non fosse che, proprio in questo caso, documenti e
testimonianze mancano assolutamente, per attestare senza ombra di dubbio, il
fatto che alle 16,10 del 28 aprile 1945, in Giulino di Mezzegra, davanti al
cancello di Villa Belmonte furono fucilate due persone ancora in vita!
Viceversa alcuni elementi, oggettivi e molti altri di enorme rilevanza, stanno a
dimostrare che, prendendo ad uno ad uno certi eventi narrati da questa
multiforme e inattendibile "storica versione", si nota subito come per alcuni di
loro è impossibile che si siano effettivamente verificati nei termini in cui
sono stati narrati, altri hanno una assurdità di fondo perché sono privi di un
minimo di logica o troppo incongruenti ed altri ancora non sono credibili perché
pongono vari dubbi e non collimano con molte testimonianze e dati di fatto.
Parafrasando lo scomparso Franco Bandini, possiamo dire che ognuno dei singoli
attestati della "storica versione", che noi ora andremo a mettere in dubbio,
mostra una massima inverosimiglianza, spesso un grado zero di credibilità. Presi
tutti insieme, mettono a nudo l’impossibilità fisica che le cose siano andate
come si è voluto far credere.
Con questo articolo riassumiamo quindi tutti i motivi (ben 22!) per i quali la
versione ufficiale, anzi "le versioni", incongruenti, contraddittorie e assurde
così come riportate dall’Unità ad aprile e poi a novembre 1945 e ancora nel
marzo 1947, ribadite nel libro postumo di Audisio: "In nome del popolo italiano"
Ed. Teti 1975 e, sia pur con molte altre variazioni da Aldo Lampredi nella sua
ambigua "Relazione" , ed infine corrette e precisate dal moderno "testo base" di
questa vulgata che è il libro di Giusto Perretta "Dongo 28 aprile 1945 La
verità, nel racconto di Michele Moretti" Ed. Actac Como 1997, deve essere
liquidata per sempre. Rimandiamo, per chi ancora non conoscesse questa
multiforme "versione", sempre che ne abbia lo stomaco, alla lettura dei testi
citati.
Premettiamo che avremmo potuto anche aggiungere molte altre domande chiedendo,
per esempio, come si spiega il fatto che un pezzo da 90 delle Resistenza, cioè
Sandro Pertini, lamentandosi dell’attore che impersonava Valerio/Audisio nel
film del regista Carlo Lizzani "Mussolini ultimo atto", ebbe a scrivere al
regista nel 1975, queste significative parole: «...e poi non fu Audisio a
eseguire la "sentenza", ma questo non si deve dire oggi».
Oppure, giocando sulle contraddizioni della (delle)"storica versione", avremmo
potuto estrapolare una serie enorme di assurde e gravi difformità che tutte
queste versioni presentano tra loro, come per esempio (vedi la versione del
novembre 1945) perché si commise un falso quando, al posto di Michele Moretti,
Pietro fu dato presente, nel trio che si recò a fucilare Mussolini, il noto
Urbano Lazzaro, Bill; una sostituzione di persona non da poco e che nasconde
sicuramente altri retroscena.
E inoltre, per quale motivo Audisio, che nel plotone che si è portato dietro, ha
almeno 3 autisti sicuri, requisisce sulla piazza di Dongo lo sconosciuto autista
Giovanbattista Geninazza?
O ancora, come fu possibile che Lino, il Giuseppe Frangi e Sandrino, il
Guglielmo Cantoni, rimasti a guardia dei prigionieri in casa De Maria, dopo aver
assolto un lungo ruolo di carcerieri, sono rimasti esclusi dalle fasi del
compimento finale della fucilazione e digerire la giustificazione data da
Michele Moretti, che questo loro ritardo all’esecuzione avvenne perché,
all’arrivo di Valerio si erano fatti trovare senza scarpe (oltretutto, visto
l’accesso a quella casa, tramite scala, non è che ci si poteva arrivare
improvvisamente) e ancor più assurdo che, poco dopo, quando Valerio uscì da casa
De Maria, portandosi dietro Mussolini e la Petacci, ancora non se le erano
rimesse!
Ma forse si sarebbe potuto rispondere che molte di queste assurdità fecero parte
d’imprevedibili contingenze o di certe esigenze politiche dell’epoca.
Per non prestare il fianco, a difese speculative di questo genere, abbiamo
allora ristretto il campo a 22 domande concrete, per le quali si vorrebbe avere
delle risposte altrettanto concrete, "comprovate da documenti attendibili e
testimonianze accertate".
Altrimenti si abbia il coraggio di ammettere che quella "versione" è chiaramente
falsa.
1. Perché Luigi Longo, che la notte del 27 aprile 1945 a Milano si era dato
tanto da fare per organizzare in tutta fretta la missione di Walter Audisio
Valerio, inviata per andare a fucilare sul posto Mussolini e gli altri fascisti
arrestati a Dongo, prima che eventi imprevisti possano sottrarre il Duce alla
esecuzione, una volta che questa missione, verso le 7 del mattino è partita,
sembra non preoccuparsi più della sorte del prezioso e super ricercato
Mussolini?
Eppure Audisio alle 11 del 28 aprile, da Como, fa sapere che è rimasto
impantanato in Prefettura, alle prese con litigi e incomprensioni varie, ma
Longo e neppure altri del Comando del CVL a Milano, non si preoccupano che
qualcosa possa andare per storto, anzi nel primo pomeriggio, quando Audisio sta
per arrivare a Dongo senza sapere ancora dove trovasi Mussolini, Longo se ne va
spenseriatamente ad un comizio con Moscatelli. Aveva forse provveduto, anche in
altro modo, alla sbrigativa eliminazione del Duce e quindi già sapeva che
Mussolini era stato ammazzato?
2. Perché Pier Bellini delle Stelle Pedro, il comandante sui generis della
52esima Brigata Garibaldi, che verso l’alba del 27 aprile ha nascosto Mussolini
nella casa, a lui fino a quel momento sconosciuta, dei contadini De Maria a
Bonzanigo, aggiungendoci anche una donna, la Petacci, uscito da quella casa e
tornato a Dongo, si scorda letteralmente di Mussolini, dei due giovani guardiani
(Guglielmo Cantoni Sandrino e Giuseppe Frangi Lino), se ne sta a Dongo in varie
incombenze affaccendato e, devesi pensare, che se dopo le 14 non fosse arrivato
Audisio e il suo plotone, tra l’altro inaspettati e non graditi, chissà fino a
quando avrebbe continuato a ignorare il problema della custodia di Mussolini?
Eppure egli, che comunista non è, sa bene che l’ubicazione di quel nascondiglio
è a conoscenza, oltre che dei due autisti notturni, anche di Michele Moretti
Pietro, un comunista fedele al PCI e di Luigi Canali Neri, un altro comunista,
ma atipico, per giunta in pendenza di una condanna a morte per tradimento, per
ora sospesa, ma che nel frattempo potrebbe averlo reso un "cane sciolto"
agganciato dai "servizi" Alleati. Nel frattempo poi, nessuno può garantire che
l’arrivo dei prigionieri e loro accompagnatori nella casa di Bonzanigo non siano
stati notati, che non si possano verificare imprevisti di ogni genere o che i
due stanchissimi partigiani lasciati di guardia abbiano bisogno di un cambio.
Forse anche Pedro sapeva che il Duce era già morto dal mattino?
3. Perché anche Luigi Canali e Michele Moretti, che verso l’alba del 27 aprile,
assieme a Pedro, hanno nascosto Mussolini e la Petacci in casa De Maria a
Bonzanigo, tornati a Como e relazionato verso le 7 in Federazione comunista
quanto accaduto, spariscono di scena e fino all’arrivo pomeridiano
dell’inaspettato Audisio, non si preoccupano più del prezioso e ricercatissimo
prigioniero? Chi gli garantisce che non ci sono state "soffiate" o imprevisti
vari? Come possono ciecamente fidarsi tra di loro e soprattutto del Bellini
Pedro?
Oppure anche loro sanno benissimo che Mussolini era oramai morto?
4. Perché, una volta che la Federazione comunista di Como, verso le 7 del
mattino, è stata messa al corrente da Moretti e Canali del fatto che Mussolini e
la Petacci sono stati nascosti in luogo segreto, e a costoro si dice che bisogna
sentire il partito a Milano, poi non se sa più niente? Moretti e Canali, che
conoscono il luogo segreto e sono conosciuti dai guardiani, sarebbero invece
lasciati andare per conto loro, nessuno gli dice che sta per arrivare a Como un
plotone del CVL al comando di Valerio. È tutta una situazione illogica e
irreale.
5. Perché Lampredi arrivato a Como con Audisio, svicola dalla Prefettura
all’insaputa di questi, portandosi via il capo scorta Alfredo Mordini alias
Riccardo e l’autista Giuseppe Perotta? Egli fa un salto in Federazione comunista
e poi sparisce per riapparire solo molte ore dopo a Dongo, dove il Duce non c’è.
Giustificherà questi movimenti sostenendo che sono andati in Federazione a
cercare aiuti e poi sono venuti Dongo a incontrare Moretti e il Canali i quali,
gli hanno detto, sono al corrente di dove sia nascosto il Duce.
Come credere che Lampredi arrivi a Dongo intorno alle 14,10 quasi in
contemporanea ad Audisio e il suo plotone, dopo aver percorso una lunga strada a
fettuccia piena di posti di blocco, ma non certo di traffico, e nessuno dei due
gruppi sappia del passaggio dell’altro?
6. Perché sono così sbagliate e imprecise le diverse indicazioni fornite da
Audisio quando descrive come è potuto accedere e poi uscire da casa De Maria in
Bonzanigo per prelevare i prigionieri (evidenti salite e discese addirittura
invertite), nonché la stessa incongrua descrizione dello stabile?
7. Perché il cadavere della Petacci è risultato privo delle mutandine, tanto più
che sembra accertato aveva le mestruazioni, mentre quello di Mussolini era senza
la giacca di ordinanza?
Come mai che questi indumenti, ai quali bisogna aggiungere il berretto a bustina
di Mussolini, non sono stati trovati davanti al cancello di Villa Belmonte e
neppure, soprattutto la giacca, nella casa dei De Maria? Non c’è forse stata una
caotica rivestizione del cadavere del Duce?
8. Perché Audisio descrive un Mussolini che "cammina sicuro e spedito" per quei
viottoli, dopo aver lui stesso osservato che ha uno stivale sdrucito dietro,
quando oggi sappiamo che, invece, quello stivale era totalmente impossibilitato
ad essere allacciato (chiusura lampo saltata alla base) e quindi non era
possibile camminarci normalmente?
Ma ancor più, perché le segnalazioni di quei pochi testimoni che hanno visto, o
meglio gli è stato fatto vedere, un "corteo" di due presunti Mussolini e
Petacci, scortati dalla piazzetta del Lavatoio fino alla macchina che li porterà
davanti al cancello di Villa Belmonte, indicano un presunto, ma non
riconosciuto, Mussolini senza notare, come invece avrebbe dovuto essere se
quello era veramente il Duce, che non poteva camminare a causa di uno stivale
rotto?
E perché questo presunto Duce era rimpannucciato con i baveri del pastrano
rialzati, il berretto calato sugli occhi, mentre la stessa presunta Petacci
venne descritta con indosso degli stivali da "equitazione"?
9. Perché i ministri e i componenti RSI della colonna fermata a Musso sono stati
rabbiosamente e nonostante le proteste esecutati in piazza, davanti a donne e
bambini, ed alla schiena, mentre per Mussolini, "il capo dei malfattori", è
stato progettato di ucciderlo, già dalla partenza di Valerio da Dongo, oltre che
in fretta e furia, anche di nascosto e concedendogli l’onore di una fucilazione
frontale?
10. Perché Valerio, a Dongo, nello stilare la lista dei prigionieri condannati a
morte include e nomina subito la Petacci, tra l’altro sembra non compresa nel
foglio che aveva sottomano con i famosi 31 nomi dei prigionieri più noti?
Eppure è una donna e non può avere avuto l’ordine di fucilarla. È evidente che
sapeva che era già morta e quindi doveva in qualche modo includerla nella lista
dei condannati!
11. Perché tutte le descrizioni, continuamente variate e ingarbugliate, della
modalità e dinamica della fucilazione, fatte da Audisio, Lampredi e Moretti, non
concordano assolutamente con i riscontri dinamici e balistici che è possibile
dedurre dal verbale autoptico, dalla comune esperienza sulle armi da sparo e
dalla osservazione delle foto delle ferite sui cadaveri? Vediamo alcune
discrasie:
Mussolini risulta attinto da vivo da 9 colpi, sparati con polidirezionalità di
tiro (dall’emisoma destro a quello sinistro e dal colpo più basso al fianco dx,
a quello più alto sottomentoniero), con inclinazioni varie, alcune addirittura
opposte (quella al fianco dx dall’alto in basso e quella sottomentoniera dal
basso in alto) e tutte le ferite, tranne la rosa di 4 colpi di mitra alla spalla
sinistra, hanno una rilevante distanzialità tra loro, mentre altre sembrano
mostrare una evidente ravvicinatezza di sparo.
La Petacci poi risulta raggiunta da una sventagliata di mitra alla schiena e
presenta anche una tumefazione, pre mortale, nella zona dello zigomo destro.
Tutti elementi questi che concretamente stanno ad indicare la presenza di almeno
due tiratori e con due armi diverse e corpi dei fucilatori e/o dei fucilati
impegnati in strani movimenti e forse precedenti fasi di lotta che hanno
prodotto il ferimento del Duce al fianco e forse al braccio. Varie sono le
dinamiche balistiche che è possibile ipotizzare, ma quella del solo esecutore
Valerio, che spara ad un impietrito Mussolini da tre passi, è impossibile che
possa essersi realmente verificata.
12. Perché si vuol sostenere che il colpo che raggiunse Mussolini al braccio dx,
tra l’altro fuoriuscito con traiettoria quasi tangenziale e non perforante da
parte a parte, sia stato determinato da un gesto di parata con la mano, quando
si sa benissimo che per un condannato messo al muro, è altamente improbabile
questo tipo di reazione?
Ed inoltre come si spiega che il muretto del cancello di Villa Belmonte, alto in
quel punto circa 1,24 cm., risulta colpito da qualche colpo a metà altezza, come
se si fosse sparato al petto di soggetti della statura di un nano?
13. Perché ci sono state descritte, dai diretti partecipanti alla fucilazione,
tre diversi e opposti atteggiamenti di Mussolini di fronte alla Morte?
a) Audisio descrive un Duce come tremante, pavido, immobile, incapace di dire e
fare alcun chè (tranne, biascicare frasi improbabili e senza senso);
b) per Lampredi, invece il Duce, dopo essersi scosso da questa inanità,
aprendosi il pastrano (che tra l’altro indosso al cadavere risulterà abbottonato
fino al collo e imperforato!), griderebbe: "Mirate al cuore!" e scrive Lampredi
che di questo ne è al corrente anche Moretti che si impegna a tacerlo;
c) Moretti, infine, molti anni dopo, confesserà che lo vide non troppo sorpreso
e quindi lo sentì gridare con gran foga: "viva l’Italia!, ma la cosa, dice, non
gli diede fastidio perché, per lui, si trattava dell’Italia di Mussolini, non
della sua.
14. Perché risulta molto improbabile, per la somma complessiva di tutti i
seguenti elementi, che la morte di Mussolini e della Petacci sia avvenuta alle
ore 16,10 del 28 aprile? Vediamo:
a) per il fatto che lo stomaco del Duce, nonostante si disse che, poco dopo
mezzogiorno, avesse mangiato polenta (forse) e un po’ di pane e salame è
risultato privo di ogni residuo di cibo e con poco liquido torbido bilioso
(indice di un digiuno prolungato).
Quindi l’allestimento dei resti del pasto nella stanza fu una evidente messa in
scena;
oppure, viceversa, come si disse in seguito, non aveva affatto mangiato, ma
allora ci sarebbe una contraddizione con la richiesta o l’offerta accettata di
cibo del mezzogiorno e il non averlo poi consumato, pur digiuni dalla sera
prima, addirittura fino alle 16, mentre la stanza non viene più sparecchiata in
modo da mostrare una bella messa in scena.
b) le testimonianze che hanno notato il particolare del rigor mortis presente
alla raccolta dei cadaveri davanti a villa Belmonte e poi al loro caricamento
sul camion al bivio di Azzano (i due cadaveri sono stati maneggiati per
caricarli, prima sull’auto e poi sul camion, verso la sera poco meno di 2,30 / 3
ore dopo le 16, ma se risultavano già rigidi, si deve concludere che la morte è
avvenuta molto prima).
c) la valutazione, sia pure solo indicativa (vista la mancanza di una precisa
indagine necroscopia e le vicissitudini subite dai cadaveri), delle foto dei due
cadaveri, tra il tardo pomeriggio e l’alba del 29/30 aprile (non si sa) nei
corridoi dell’obitorio che mostrano i due corpi già abbastanza sciolti al collo,
al tronco, al polso e alle braccia, indicando una risoluzione in stato avanzato
e quindi una morte di molto anticipata rispetto le 16,10 del 28 aprile come
asserito dalla versione ufficiale. Una constatazione questa che seppur non
oggettiva per risalire all’ora del decesso, pone però almeno gravi interrogativi
sul rilievo del professor Cattabeni che nel suo verbale autoptico scrisse:
"Rigidità cadaverica risolta alla mandibola, persistente agli arti".
15. Perché non venne eseguita l’autopsia sul cadavere della Petacci, che pur era
stata fucilata assieme a Mussolini? E perché quel tale Guido, generale medico
della Direzione Generale di Sanità del Comando Generale del CVL, presente in
sala settoria, firmò il verbale autoptico e poi scomparve letteralmente nel
nulla e mai fu possibile rintracciarlo o dargli un nome? Che gravi motivi aveva
per comportarsi così e poi per essere in questo modo tenuto nascosto dalle
autorità della Resistenza?
16. Perché nonostante l’utilizzo di tecniche computerizzate e di alta
definizione, dalle foto e filmati del vestiario, non risultano fori o strappi su
quello strano giaccone indosso al cadavere del Duce e a quanto sembra neppure su
la camicia nera di Mussolini?
Addirittura si vede un probabile alone di sparo sul braccio dx nudo, il
rispettivo foro di uscita, ma nessun foro sulla manica dx del giaccone! Stessa
cosa sulla parasternale destra e sulla spalla sinistra dove qui il Duce venne
attinto da una raffica, alquanto ravvicinata, di 4 colpi. Niente, il giaccone è
intatto! È indubbio: Mussolini non fu ucciso con indosso quel giaccone!
Anche i mutandoni al polpaccio che si rendono visibili solo quando al cadavere
di Mussolini, appeso alle pensilina, viene sfilata la camicia che li copriva e
proteggeva, mostrano delle slabbrature sul davanti indice di un precedente
trascinamento di un cadavere seminudo o altre manipolazioni.
Sono tutti questi dei rilievi oggettivi e concreti che configurano una uccisione
precedente di un uomo privo di indumenti, tranne la maglietta di salute, i
mutandoni e forse i pantaloni e poi rivestito in qualche modo e con difficoltà a
causa del subentrante stato di rigidità cadaverica!
17. Perché le foto del cadavere di Mussolini e il verbale autoptico mostrano un
colpo chiaramente post mortem alla nuca? Un colpo che non può essere stato
sparato in Piazzale Loreto perché è già presente quando il cadavere venne
gettato a terra ed adagiato sul petto della Petacci (dunque non molto tempo dopo
l’arrivo dei cadaveri in piazza) ed è molto difficile che sia stato sparato con
arma tenuta quasi rasoterra e orizzontale, in mezzo alla gente. Quando fu
sparato, allora, quel colpo post mortem sulla nuca del Duce?
Non sta forse ad indicare un goffo e stupido tentativo di simulare un colpo di
grazia?
18. Perché non sono mai state mostrate le armi, ovvero il mitra e la pistola per
il colpo di grazia, impiegate in questa impresa di giustizia popolare, per la
quale si richiese un alta onorificenza?
Perché far credere, per decenni, che l’arma (dicesi un mitra Mas mod. 38 calibro
7,65 L.), fosse stata smembrata ed i pezzi donati come cimeli, oppure che è
stata spedita a Mosca, o ancora che la conservasse Moretti ed infine invece,
come oggi si dice, ma non tutti ci credono (e sempre che poi sia l’arma
effettivamente usata per uccidere il Duce e non magari quella usata per la
sceneggiata della finta fucilazione), fatta sparire nel 1957 in Albania, dodici
anni dopo i fatti, con l’impegno di tenerla segreta?
Eppure la consegna dell’arma alle autorità, descritta persino con l’indicazione
di un nastrino rosso alla canna e numero di matricola, oltre che ad assolvere ad
un dovere storico verso la Resistenza, avrebbe potuto chiarire i tanti dubbi che
nel frattempo si addensavano su le famose e contraddittorie versioni di Valerio.
19. Perché già dalle 14 di quel 28 aprile ci fu un subdolo "invito" per spedire
la gente di Azzano, Giulino e Bonzanigo a lasciare le loro case e a recarsi
sulla sottostante strada provinciale a veder transitare nel primo pomeriggio un
Mussolini prigioniero?
Quali motivi c’erano a far sfollare le strade interne proprio di quei posti
quando, oltretutto, Audisio stava arrivando a Dongo e ancora non sapeva dove si
trovava nascosto Mussolini?
20. Perché risultano così confusi e incongruenti i racconti che si sono ricavati
dai coniugi De Maria proprietari della casa di Bonzanigo e che ebbero il Duce e
la Petacci in custodia? Sia quelli sulla descrizione del presunto Valerio, ma
soprattutto il fatto che Giacomo De Maria dalle 14 se ne era andato
tranquillamente a veder passare per strada il Duce prigioniero, lasciando la
moglie molte ore da sola con i prigionieri e gli uomini armati!
21. Perché, sia pure da confuse e non ben controllate testimonianze, ma comunque
tutte al tempo raccolte sul posto, risultano molti particolari non collimanti
con la "storica versione", che danno il senso di un qualcosa di diversamente
accaduto quel giorno a Bonzanigo?
Per esempio: strani via vai di partigiani al mattino, spari nel paese, arrivi di
macchine, gruppetti di partigiani che bloccano l’accesso a determinate strade
poco prima che arrivi Valerio, ecc., tutti eventi che non avrebbero dovuto
verificarsi se, come si sostiene, nessuno sapeva dove erano rinchiusi Mussolini
e la Petacci (casa De Maria) e Valerio era partito improvvisamente da Dongo per
Bonzanigo alle 15,10. Addirittura la zona di Giulino di Mezzegra risulta che era
stata isolata e bloccata da nord e da sud da svariati partigiani armati alquanto
prima della fucilazione delle 16,10.
22. Perché gli abitanti del circondario Bonzanigo, Mezzegra e Azzano (e non
solo), come è stato ampiamente accertato, vennero per anni minacciati di morte e
ritorsioni se avessero divulgato fatti e particolari avvenuti quel 28 aprile?
Ancora nel 2008 il vicesindaco di Mezzegra Vittorio Bianchi confermava che al
tempo gli abitanti di quelle parti vennero "zittiti". Se i fatti fossero andati
come la "storica versione" recitava, che bisogno c’era di imporre con le minacce
un silenzio almeno cinquantennale alla popolazione? Cosa non doveva essere
rivelato?
Maurizio Barozzi
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