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Morte Mussolini:

una storiografia penosa e ridicola

 

Maurizio Barozzi     

     

La penosa situazione della letteratura storiografica in Italia, in merito al "mistero" della morte di Mussolini, è tale che non consente di fare chiarezza su questo argomento, nè di sgombrare almeno il campo dalle tante versioni assurde e non comprovate che, di volta in volta, vengono propinate o riciclate a lettori di bocca buona.

Molti storici e giornalisti storici che in qualche modo si sono fatti un nome, se ne escono ogni tanto con panzane e osservazioni talmente assurde e demenziali che si stenta a credere che queste "firme" possano albergare in una letteratura che si rispetti.

Nè le case editrici e gli Istituti storici sono da meno, tutti interessanti, per interessi di cassetta o para politici, a conservare questa confusione. Del resto le stesse case editrici più importanti hanno a libro paga un loro "consulente" storico, di solito ingaggiato dalle firme su menzionate, perpetuando così il circolo vizioso della disinformazione.

In questa sede vogliamo illustrare il non edificante panorama delle più importanti "versioni" su la morte di Mussolini le quali, prese tutte assieme, essendo impossibile che siano tutte veritiere, anzi ognuna esclude categoricamente tutte le altre, danno un quadro veramente ridicolo della situazione.

Non ci riferiamo a quei giornalisti storici o ex partigiani che hanno avanzato loro ipotesi sulla morte di Mussolini, come ad esempio, Franco Bandini ("Vita e morte segreta di Mussolini", Mondadori 1978), Urbano Lazzaro (Dongo mezzo secolo di menzogne, Mondadori 1993), Alessandro Zanella ("L'ora di Dongo", Rusconi 1993), regalandoci tutte ipotesi fantasiose e senza uno straccio di prova, ma consideriamo invece quelle "versioni" riportate da presunti partecipanti o presenti alla fucilazione di Mussolini, dunque presunti testimoni o autori diretti di quella morte.

Orbene, c'è dallo sbellicarsi dal ridere nel costatare le incongruenze e contraddizioni che costoro raccontano, oltre al fatto, come accennato, che ognuno di loro esclude categoricamente tutte le verità degli altri e quindi, nella migliore delle ipotesi, saremmo in presenza di altrettanti spudorati bugiardi.

Le versioni "dirette", da parte di asseriti partecipanti all'evento, possono riassumersi in due categorie: una che naviga nelle acque fangose della "vulgata" ovvero quelle che comunque attestano una fucilazione pomeridiana al cancello di Villa Belmonte, in Giulino di Mezzegra, ed un altra che invece indica una morte in altro luogo e altro orario e quindi una successiva messa in scena, con tanto di finta fucilazione, al cancello di Villa Belmonte.

Vediamole separatamente iniziando dalle prime versioni quelle della "vulgata".

 

Le versioni della "vulgata".

1. la "vulgata" classica. La "storica versione" è attestata, sia pure con molte diversità e contraddizioni, dal trio dei "giustizieri" ciellenisti: Walter Audisio alias colonnello Valerio, Aldo Lampredi alias Guido Conti e Michele Moretti alias Pietro Gatti. È la versione che, come noto, indica Walter Audisio che il 28 aprile 1945 alle ore 16,10 da tre passi spara e uccide, tutto da solo e con il mitra Mas prestatogli al momento da Moretti perchè il suo si era inceppato, Mussolini e la Petacci al cancello di Villa Belmonte. Audisio finirà poi Mussolini con un colpo di grazia al petto (?) con la pistola prestatagli ancora da Moretti.

Questa versione venne riportata da "l'Unità" nel dopoguerra, ma la possiamo compendiare nel libro postumo di Audisio "In nome del popolo italiano", Teti 1975, nella "Relazione riservata al PCI", scritta da Aldo Lampredi nel 1972 e nelle testimonianze di Michele Moretti raccolte da Giusto Perretta in "Dongo 28 aprile. La verità", Actac 1990.

In questa "vulgata" si può aggiungere la versione di Giovanbattista Geninazza, l'autista che portò a Bonzanigo il trio di "giustizieri" ciellenisti e asserì poi di aver assistito alla fucilazione da due passi, già riportata da Franco Bandini con le interviste a questo autista pubblicate nel 1956 su "l'Europeo", aumentando in tal modo le incongruenze e contraddizioni tra tutti costoro, visto che i loro racconti sono simili, ma non uguali.

 

2. la "vulgata del comasco". Questa difforme "vulgata", cosiddetta del comasco, perchè tramandata nelle località di quegli avvenimenti, venne rilasciata da Martin Bisa Caserotti il capo partigiano nella tremezzina, dicesi presente al fatto e che sparò il colpo di grazia a Mussolini. Il Caserotti la divulgò a maggio del 1945, attraverso una relazione per il CLN comasco fatta compilare a sua nipote Angela Bianchi e la ripetè poi in prima persona, nel 1962 al giornalista Franco Serra per un lungo servizio sulla Settimana Incom Illustrata. Questa versione, con poche varianti e con l'aggiunta di qualche altra testimonianza, è presente anche nei rapporti all'Oss statunitense dell'agente americano Valerian Lada Mocarsky e come tale è stata fatta propria dagli scrittori storici Giorgio Cavalleri e Franco Giannantoni che l'hanno presentata con il libro, firmato anche dal ricercatore storico J. Cereghino, "La Fine. Gli ultimi giorni di Benito Mussolini nei documenti dei servizi segreti americani", Garzanti 2009. In questo libro gli autori, però, sostituiscono assurdamente al partigiano di una unità locale, che sarebbe il Caserotti, il Luigi Canali alias capitano Neri, ma in ogni caso la sostanza della versione non cambia.

Qui diversamente dalla "vulgata classica", si indica che Mussolini venne ucciso sempre al cancello di Villa Belmonte e alle 16,10, tramite un paio di colpi di revolver al fianco e quindi con una sventagliata di mitra. La Petacci a sua volta venne fulminata da un altra sventagliata di mitra. In pratica sono attestati uccisori: il tiratore con la pistola (colonnello Valerio), quello con il mitra (forse il Michele Moretti Pietro) ed un altro ancora con il mitra (non individuato). A questi occorre poi aggiungere il Caserotti, che per il Cavalleri-Giannantoni sarebbe invece Luigi Canali, che spara il colpo di grazia a Mussolini.

 

La fine ingloriosa di tutte queste "vulgate".

Si da il caso però che tutte queste versioni della "vulgata", per una morte pomeridiana di Mussolini e la Petacci, sono oramai state definitivamente spazzate via dalle moderne tecniche d'indagine che hanno fatto emergere un paio di prove oggettive con le quali si è oggi in grado di attestarne, a prescindere, la falsità; in sintesi:

 

Prima prova oggettiva: perizie, altamente specializzate, hanno dimostrato che il cadavere di Mussolini indossava un giaccone privo di fori o strappi quali esiti di una fucilazione. I colpi, infatti, si trovano solo su la maglietta bianca intima a mezze maniche che venne attinta direttamente [1]. Ergo Mussolini era stato ucciso in altro luogo e altro orario, avendo indosso solo quella maglietta e forse i pantaloni e quindi buttato ai piedi del cancello di Villa Belmonte per simulare una fucilazione.

Qualcuno per sfuggire a questo rilievo impietoso, sussurra l'ipotesi che il pastrano con cui Mussolini fu fucilato forse venne sostituito durante il viaggio del camion con i cadaveri da Azzano a Milano. Una vera amenità secondo la quale, tra i cadaveri insanguinati ammucchiati su quel camion, qualcuno decise che a quello del Duce era meglio sostituirgli il cappotto, cosa oltretutto non facile per il rigor mortis del cadavere.

Al di là del ridicolo, resta il fatto che non esistono indicazioni di un cambio di cappotto al cadavere durante il viaggio di ritorno verso Milano, da parte di nessuno di coloro che portarono a Piazzale Loreto i 18 fucilati.

Ma oltretutto la perizia di Pavia ha evidenziato, su la maglietta bianca, aloni e microparticelle che ogni colpo d'arma da fuoco deposita sul corpo colpito se lo sparo vi arriva direttamente da una distanza non superiore ai 50 cm.!

 

Seconda prova oggettiva: Il reperto degli stivali di Mussolini e le foto di Piazzale Loreto mostrano che lo stivale dx aveva la lampo, cioè la saracinesca di chiusura saltata all'altezza del tallone. In quelle condizioni Mussolini non poteva deambulare normalmente per arrivare alla macchina che lo aspettava in fondo alla piazzetta con il Lavatoio per essere condotto alla fucilazione e comunque, se così fosse stato, quei pochi testimoni del posto lo avrebbero notato e segnalato.

Quindi questo stivale non solo smentisce la "fucilazione" pomeridiana, ma dimostra anche la messa in scena che venne mostrata a chi vide il "corteo" di un uomo e una donna, scortati da uomini armati. Ergo, quei due, non erano Mussolini e la Petacci!

Insomma, queste due prove smentiscono, senza appello, una fucilazione al cancello di Villa Belmonte: in un immaginario Tribunale non ci sarebbe stato bisogno di altro. Punto.

 

Le versioni alternative

Tra le cosiddette versioni alternative alla "vulgata", quali farina del sacco di presunti attori di quella vicende, ne indichiamo due che, come per le altre, non solo sono ovviamente in opposizione a tutte le precedenti, ma oltretutto si elidono tra loro.

Parliamo delle versioni dei partigiani Bruno G. Lonati e quella di Orfeo G. Landini raccolta dallo scrittore Fabrizio Bernini. Entrambe prevedono poi una seconda finta fucilazione a Villa Belmonte.

 

1. la versione di Bruno G. Lonati. Questo Lonati asserì di aver lui ucciso Mussolini assieme ad un misterioso agente inglese, che a sua volta uccise la Petacci, tale John, a Bonzanigo in un viottolo a lato di via del Riale intorno alle 11 del mattino del 28 aprile. Un racconto fantasioso, privo di un minimo di prove concrete, un vero e proprio fumettone, riportato nel libro di Lonati, Quel 28 aprile Mussolini e Claretta La verità, Mursia 1994.

 

2. la versione di Giovanni Landini. Questa versione, raccolta dallo scrittore Fabrizio Bernini che, incredibilmente, vi ha dedicato ben due libri (F. Bernini: "Così uccidemmo il Duce", Ed. CDL 1998 e Sul selciato di Piazzale Loreto Ed. Ma.Ro. 2000) altrettanto fantasiosa e priva di riscontri concreti indica una uccisione di Mussolini, da parte di Alfredo Mordini Riccardo e Michele Moretti Pietro, circa una mezzora prima dell'orario asserito dalla "vulgata", quindi intorno alle 15,30, in un viottolo di lato a via del Riale. Tra l'altro una vera e propria idiozia, se poi questi mentecatti dovevano subito dopo recitare un altra finta fucilazione a Giulino di Mezzegra.

In ogni caso, oltre la loro inattendibilità, queste due versioni, come le si rigira e così come la "vulgata classica", non trovano alcuna conferma nella probabile ipotesi balistica di quelle uccisioni [2], ma oltretutto indicano la fucilazione eseguita in un viottolo con un muretto di lato a via del Riale che all'epoca, nel 1945, non esisteva ancora, il che è tutto dire!

 

 

Un desolante panorama storiografico

Ecco, questo è il desolante panorama della storiografia in merito al mistero della morte di Mussolini, e c'è da dire che abbiamo omesso almeno un decina di altre "versioni alternative" tutte fantasiose e non comprovate, essendoci limitati a riportare solo quelle di asseriti attori presenti a quell'evento.

Nessuno ha interesse a fare pulizia, a spazzare definitivamente via tutto questo ciarpame inattendibile, a indicare una volta per tutte quella che fu la più probabile fine di Mussolini.

Eppure c'è una testimonianza di un teste all'epoca residente a Bonzanigo a circa 100 metri in linea d'aria dalla casa dei De Maria dove erano nascosti Mussolini e la Petacci e che a 19 anni assistette ad avvenimenti che collocavano la morte di Mussolini e della Petacci in orario antimeridiano nel cortile sotto casa dei De Maria e per la Petacci poco più sotto di fianco alla mulattiera.

 

Uno squarcio di verità: la testimonianza di Dorina Mazzola

Ci riferiamo alla testimonianza di Dorina Mazzola, raccolta da Giorgio Pisanò e presentata con il libro Gli ultimi cinque secondi di Mussolini, Il Saggiatore 1996. Una versione questa, da molti ambiguamente e con malizia definita la versione di Pisanò, quando invece è il racconto di un testimone diretto, confermata da due elementi decisivi:

1. gli avvenimenti che racconta la signora collimano con i rilievi peritali che prima abbiamo esposto. In sintesi, la signora, dopo un trambusto e un paio di colpi di pistola provenienti da casa De Maria, vide un uomo calvo, claudicante che a piccoli passetti venne condotto nel cortile del palazzo, dove poco dopo ci fu una sparatoria. Quell'uomo aveva indosso solo una maglietta bianca a mezze maniche. Erano circa le 10. Due ore dopo, la Mazzola assistette alla uccisione di una donna (la Petacci) in un viottolo a prato di fianco a casa sua, fulminata alla schiena da una raffica di mitra, esplosa forse da un partigiano esagitato che aveva creduto che la donna volesse scappare.

2. È anche confermata da due testimonianze, quella di Savina Santi vedova di Guglielmo Cantoni Sandrino, uno dei due partigiani rimasti a guardia di Mussolini e la Petacci in casa De Maria a Bonzanigo e quella di un certo "Carlo" partigiano di Dongo.

La vedova di Sandrino rilasciò una importante testimonianza, circa una confidenza avuta dal marito, che indirettamente conferma i racconti di Dorina Mazzola: «Mio marito mi disse che quella mattina lui si trovava di guardia con il partigiano Lino, alla stanza dove c'erano i prigionieri, quando vide salire le scale Michele Moretti e altri due partigiani che non aveva mai visto nè conosciuto. I tre gli ordinarono di restare sul pianerottolo fuori della stanza ed entrarono nel locale. Mio marito, restando sul pianerottolo, udì uno dei tre che diceva: "adesso vi portiamo a Dongo per fucilarvi", e un altro gridare: "No, vi uccidiamo qui!". Poi mio marito udì altre voci concitate, le urla della donna e colpi d'arma da fuoco...».

L'ex partigiano "Carlo" di Dongo, invece, prima di morire, ha rilasciato una testimonianza audio, registrata dal suo amico Giorgio Milani e mandata in onda da RaiTre, nel corso di "La Grande Storia" del 6 luglio 2012. Questo "Carlo" ricorda che la mattina del 28 aprile 1945 alcuni partigiani salirono nella stanza dove erano rinchiusi Mussolini e la Petacci e Mussolini venne ferito da un colpo di pistola al fianco.

 

Le testimonianze indirette a conferma del racconto della Mazzola

A queste due testimonianze che confermano la testimonianza Mazzola, possiamo poi aggiungere altre testimonianze indirette, ma di un certo interesse:

- Massimo Caprara, l'ex segretario di Palmiro Togliatti, riferì una affermazione di Celeste Negarville (esponente comunista già direttore de "l'Unità" nel '44 e poi senatore): «Con la Petacci Lampredi non c'entra. La Petacci è stata uccisa altrove. Lampredi si trovò un cadavere in più, che non era nel conto».

Affermazioni queste non ben specificate, ma quell'«altrove» non ammette dubbi [3].

- Elena Curti, probabile figlia naturale di Mussolini, presente nella colonna Mussolini, fermata a Musso e al tempo imprigionata a Dongo, ha invece raccontato nel 2007 al professor Alberto Bertotto un suo importante ricordo:

«Dieci anni fa, un ragazzo che all'epoca aveva solo 15 anni (Osvaldo Gobetti un comunista di Dongo - n.d.r.), al quale i partigiani davano incarichi come ricaricare le armi, mi ha riferito, dopo averlo saputo da un compagno che aveva assistito ai fatti di Bonzanigo, che la Petacci era stata uccisa mentre tentava di allontanarsi»;

Stava correndo su un prato, ha raccontato la Curti, quando venne falciata proditoriamente da una raffica di mitra alle spalle. Lo stesso partigiano che lo raccontava al Gobetti era rimasto scioccato [4]. Proprio quello che vide il teste di Bonzanigo, Dorina Mazzola.

- Ancora la Elena Curti ha più volte ricordato che il carabiniere Ettore Manzi che lei conobbe quando venne imprigionata a Dongo gli confidò in privato che quella mattina del 28 aprile '45 partigiani andarono su casa De Maria. Anzi il Manzi, che gli disse di essere stato sul posto, sembra che gli avrebbe confidato che Mussolini aveva anche tentato un suicidio, non ben specificato e non riuscito.

- Domenico Gini di Villaguardia, ex partigiano, ebbe a raccontare di aver incontrato il suo amico Giuseppe Frangi, Lino, il 2 o il 3 giugno 1945, che definisce comunista intransigente e non certo un chiacchierone, il quale gli raccontò «Li abbiamo portati in una stalla e li abbiamo uccisi». Un racconto un pò confuso, ma Mussolini venne ucciso proprio nel cortile di casa De Maria davanti al portone di una specie di stalla [5].

- Angelo Carbone, al tempo un 83 enne ex partigiano di Rivanazzano in Oltrepò, amico di Sandro Pertini, pur nel contesto di racconti alquanto raffazzonati e sinceramente poco credibili, fece importanti affermazioni ricordando di essere stato presente ai noti eventi (riferendosi però al Cancello di Villa Belmonte), ma aggiunse: «Non è vero che Claretta Petacci fu uccisa con Mussolini davanti al cancello di Villa Belmonte. È una storia inventata di sana pianta» [6]. Secondo lui la Petacci venne uccisa nella stanza, ma anche se queste sono affermazioni non ben specificate, scoordinate, confuse, ugualmente danno il senso di un qualcosa di molto diverso dalla storica versione.

- Un oramai ultra novantenne medico, il dottor Pierluigi Cova Villoresi, che sembra abbia presenziato alla autopsia di Mussolini stilando anche una sua personale e divenuta famosa relazione, a dicembre 2003, raccontò nel corso di una intervista quanto segue, evidentemente da lui appreso (il Cova sta parlando dei cadaveri):

«Li avevano rinchiusi nell'albergo vicino al posto dove poi sono stati fucilati».

«Ah quindi non nella camera da letto dei De Maria?» chiese l'intervistatore riferendosi alle note ipotesi di una uccisione dentro la stanza.

Cova: «No, no, no, fuori!.. erano fuori... Lì c'è una specie di terrazzo dal lato stradale col limite in ferro tra la strada e il lago e c'è una piazzetta...».

E sulla Petacci, parlando del cancello di Villa Belmonte ebbe a precisare:

«... quel cancello lì è sbagliato, perché dove l'hanno uccisa è sulla curva di una stradina che parte dal lago, parte dalla strada, c'è la strada che praticamente è parallela al margine del lago» [7].

Queste del Cova saranno pure delle informazioni di "riporto", ma sono significative: i cadaveri rinchiusi nell'albergo (evidentemente il Milano sulla via Albana), Mussolini ucciso fuori di casa, ma nei pressi e la Petacci da un altra parte sulla curva di una stradina: tutti particolari in sintonia con la testimonianza Mazzola.

 

Maurizio Barozzi          

 

 Note

[1] Vedere: F. Andriola: "Morte Mussolini: una macabra messa in scena" - Rivista Storia in Rete maggio 2006. Ancor più dettagliato, da un punto di vista delle immagini, è anche il documentario in DVD di Storia in Rete: "Mussolini una morte da riscrivere", Ed. 2011.

I colpi solo sulla maglietta bianca intima e il giaccone o pastrano imperforato, sono stati confermati anche dal medico legale prof. Costantino Ciallella, Università la Sapienza di Roma, intervistato nella trasmissione di Rai Tre "La Grande Storia" del 6 luglio 2012.

[2] Vedere: Alessiani A., "Il teorema del verbale 7241", reperibile on line in: http://www.larchivio.org/xoom/alessiani.htm; Consulenza del prof. Giovanni Pierucci, riportata in Pisanò Giorgio, "Gli ultimi cinque secondi di Mussolini", il Saggiatore 1996; Baima Bollone P. L., "Le ultime ore di Mussolini", Mondatori 2005.

[3] M. Caprara: "Quando le Botteghe erano oscure", Il Saggiatore 1997

[4] A. Bertotto: "La morte di Mussolini: una storia da riscrivere", P.D.C. 2008; e A. Bertotto su "Rinascita", 14 ottobre 2007

[5] Vedesi "La provincia Giornale di Como", 14 luglio 1996.

[6] Settimanale "Gente" numero dell'8 maggio 1999.

[7] A. Fontana: Intervista al dott. Cova Villoresi, a puntate su "Italia Tricolore per la Terza Repubblica", N.ri vari anno 2005.   
 

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