da "Rinascita", 4 dicembre 2008
Mussolini e la massoneria
Maurizio Barozzi
Le brevi note con le quali, su queste stesse pagine ("Rinascita"), venerdì 28
novembre Davide D'Amario ha voluto ricordare la battaglia antimassonica di
Mussolini socialista, meritano di ampliare il discorso e di rapportarlo alla
posizione storica di Mussolini rispetto alla Massoneria in tutto l'arco della
sua vicenda storica.
Tutti coloro che si sono impegnati nelle ricerche storiche su Mussolini,
esaminando un excursus di circa cinquanta anni di politica del rivoluzionario
romagnolo, si sono trovati di fronte a molti aspetti contraddittori o comunque
di non facile interpretazione e questo per il semplice motivo che Mussolini era
un politico, per giunta pragmatico, per cui i compromessi, le manovre e le
intuizioni politiche, nelle necessità del momento, erano un arma essenziale e
ampiamente praticata.
Egli era anche un maestro nel gestire queste situazioni convinto che comunque
l'importante fosse tenere in mano le leve del potere per attuare cambiamenti
rivoluzionari fatti di lente tappe riformatrici attraverso l'opera legislativa
del suo governo e l'entusiasmo popolare che con il suo carisma riusciva a
suscitare.
Ma al di la di questo pragmatismo, di questo suo operare politico, in un certo
senso svincolato dalle strette osservanze ideologiche, nella vita di Mussolini
(la sua fase socialista, quella interventista, il fascismo sansepolcrista,
quello nazionalista e di destra del 1921-'24, il ventennio di Regime e la RSI),
si individua sempre e comunque che il suo pensiero e il suo operato hanno una
inequivocabile costante che si può riassumere nel presupposto, inconciliabile
con la massoneria e gli interessi dell'Alta Finanza, di una concezione dello
Stato in cui i fattori etici e politici sono preminenti rispetto a quelli
economici e finanziari.
È questo un "crimine" che l'Alta Finanza internazionale e massonica non
perdonerà mai al Duce e che lo porterà a piazzale Loreto.
Detto questo cerchiamo ora di riassumere quella parte della vita politica di
Mussolini che può essere confrontata con un certo ruolo massonico.
Lo faremo attraverso una realistica rievocazione storica rifuggendo dalle
favolette edulcorate e agiografiche della propaganda politica e dalle
trascrizioni storiografiche ad uso e consumo degli interessi di regime. Per
ragioni di spazio non potremo portare documentazioni, spiegazioni e analisi
approfondite a comprova di quanto andiamo ad esporre, ma chi sa e chi ha
studiato questa parte di storia, sa anche che le cose e i fatti stanno proprio
come noi li andremo ad esporre.
Premettiamo intanto, per anticipare eventuali critiche ed obiezioni, di fronte
ad una esposizione nuda e cruda della storia, il non indifferente particolare
che la grande politica e le rivoluzioni, non si fanno senza i soldi (tanti) e i
soldi se non ci sono o si espropriano armi alla mano, o ci si fa finanziarie. E
chi ti finanzia lo fa per paura o per interesse.
Le collusioni trasversali e l'illegalità rispondono a leggi storiche ricorrenti
e inevitabili.
Mussolini, come noto, già socialista, ma non inquadrabile nello stretta
osservanza marxista, rompe con i socialisti nel momento in cui, di fronte alla
guerra europea e al disfacimento della II internazionale, ha l'intuizione che un
processo rivoluzionario, comunque socialista, possa attuarsi attraverso le forze
e le energie che la guerra stessa aveva messo in moto, tra l'altro, spazzando
definitivamente via quel "socialismo da saghe paesane" e quello barricadiero a
parole, da sempre inconcludenti.
Da qui la scelta "interventista" (che si riallaccia giocoforza alla nostra
storia risorgimentale) e la rottura drastica con i vecchi compagni, scelta che
comporta anche l'inevitabile presupposto di una ricomposizione tra i valori del
combattentismo, quelli sociali e quelli nazionali (in pratica un Socialismo da
realizzarsi nella Nazione, spurgandolo da tutti gli orpelli e le utopie di
carattere internazionalista).
Nella scelta interventista e poi successivamente in quella "sansepolcrista" del
marzo 1919, si faceva leva sulla valorizzazione di Vittorio Veneto,
appoggiandosi quindi a reminiscenze risorgimentali di stampo massonico, ma
volenti o nolenti era "quella" la nostra storia patria dalla quale partire, per
innescare un programma ambizioso di rinascita nazionale.
Come sempre accade nella storia, a fronte di grandi eventi, grandi uomini ed
energie nuove, vanno a destarsi interessi eterogenei che tendono a utilizzare il
"fatto nuovo" per determinati scopi.
La massoneria, una delle grandi forze storiche che, volenti o nolenti a partire
dalla rivoluzione americana aveva sempre messo lo zampino nella storia
dell'umanità e buona parte aveva avuto nelle cause che portarono alla Grande
Guerra (qui nell'ottica di eliminare definitivamente dalla scena europea le
ultime vestigia di "trono e altare" e porre i presupposti per realizzare gli
atavici ideali di una Repubblica Universale), non si lasciò sfuggire l'occasione
che l'azione mussoliniana gli presentava.
Con l'evidente scopo di portare l'Italia in guerra contro gli Imperi Centrali,
attraverso quel grande faccendiere che al tempo era il direttore de "il Resto
del Carlino", Fillippo Naldi, gli ambienti massonici intesero partecipare al
finanziamento de "il Popolo d'Italia" di Mussolini che ben rispondeva a questi
scopi. La stessa cosa si ripresentò quando, a guerra conclusa, l'abilità
politica di Mussolini, il suo carisma e il suo pragmatismo politico, indussero i
massoni a puntare su di lui, sul suo fascismo interventista di sinistra, al fine
di farne un piccolo e locale Napoleone atto a scardinare nel paese i settori più
ostici alla massoneria (con Napoleone, volente o nolente, la massoneria esportò
le sue idee e la sua presenza, dappertutto in Europa).
Mussolini, da buon rivoluzionario, prese tutto quello che poteva prendere e che
gli poteva tornare utile per la sua azione politica, ma la storia dimostrerà
comunque che per Mussolini (alquanto lontano dagli ideali massonici), come per
tanti altri grandi rivoluzionari, i necessari e inevitabili finanziamenti e gli
appoggi trasversali (come saranno poi quelli degli agrari e degli industriali
spaventati dalle violenze dei "rossi") furono sempre e solo un mezzo, un mezzo
che lo poté a volte condizionare, ma mai piegare definitivamente agli interessi
di parte.
Molti ricercatori storici si sono spesso meravigliati nel costatare come
all'atto di nascita del fascismo e anche negli anni successivi (nonostante
l'incompatibilità tra fascismo e massoneria, richiesta da Mussolini nel 1923),
si trovi una assoluta maggioranza di massoni nelle fila fasciste.
Orbene, bisogna allora considerare il panorama italiano post risorgimentale dal
quale nasce l'epoca storica in cui ebbe a operare Mussolini.
È un fatto che, agli inizi del secolo XX in Italia, quasi tutti coloro che
volevano o dovevano fare politica e non erano clericali o legati a vecchie e
oramai decadenti aristocrazie, ovvero degli ultra conservatori, erano massoni,
laddove la Massoneria era al centro del pensiero culturale "illuminato" del
tempo.
Senza esagerare possiamo affermare che Massonica, o comunque non antitetica alla
massoneria, era tutta la nostra finanza che conta; alla massoneria si doveva,
nel secolo precedente, la nascita e lo sviluppo della imprenditoria italiana,
ecc., e forti presenze massoniche si potevano contare in tutti i settori più
importanti delle Istituzioni e della società, come la diplomazia, la
Magistratura, l'Esercito, casa Savoia, e così via. E questa diffusa presenza
massonica comportava anche una implicita invadenza, culturale ed economico
finanziaria, anglo-francese nella nostra società.
Erano così massoni anche molti dirigenti e capi storici della sinistra
socialista (la prima camera del Lavoro fu fondata nel 1891 dal massone Osvaldo
Gnocchi Viani) e massone fu Andrea Costa il primo socialista ad entrare al
parlamento, così come Antonio Labriola. Massoni erano vari esponenti del
movimento anarchico (come Micaeil Bakunin, in Italia tra il 1865 e 1867), delle
Unioni Sindacali fondate dai "fratelli" Filippo Corridoni, Cesare Rossi, Michele
Bianchi, Alceste De Ambris ed Edmondo Rossoni, nonché la maggior parte di coloro
che il 23 marzo del 1919 in piazza S. Sepolcro a Milano, attorno a Mussolini,
avevano dato vita ai Fasci di Combattimento.
Tanto per avere qualche informazione in più è bene sapere che la sala della
riunione di Piazza San Sepolcro 9, venne messa a disposizione dall'industriale
massone Cesare Goldmann, quindi alla storica riunione intervennero i "fratelli"
Eucardio Momigliano, Camillo Bianchi e Pietro Bottini. Poi Michele Bianchi,
affiliato a Piazza del Gesù, come Ambrogio Binda (medico di Mussolini), Federico
Cerasola di Palazzo Giustiniani, come Roberto Farinacci (che poi nel 1921 passò
alla massoneria di Piazza del Gesù). Altri massoni erano Decio Canzio Garibaldi
e Mario Giampaoli, Luigi Lanfranconi, Giovanni Marinelli, Umberto Pasella, Guido
Podrecca (direttore de "l'Asino") e Cesare Rossi.
Quasi tutta di stampo e di elementi massonici sarà di lì a poco, l'impresa
dannunziana di fiume, a cominciare dal D'Annunzio stesso e il suo staff di
ufficiali.
Nel 1922 il quadrunvirato che aveva avuto il compito di organizzare e comandare
la marcia su Roma: Balbo, De Vecchi, De Bono e Bianchi, era praticamente
costituito tutto da massoni anche se, più che altro, in Balbo e Bianchi oramai
prevalevano gli interessi e la coscienza del fascismo.
Questo è quello che al tempo passava il convento e non sarà poi un caso che per
i personaggi coinvolti a vari titoli nel caso Matteotti sarà veramente difficile
trovare qualcuno che non sia affiliato alla setta visto che quel delitto, in un
colpo solo, si prefiggeva di mettere a tacere il deputato socialista che
minacciava di denunciare grossi scandali di un putrido «ambiente politico
affaristico» (come disse Mussolini al socialista Carlo Silvestri) e un capo di
governo che con la sua pretesa di imprimere un carattere dirigista alla politica
governativa, di aprire ai socialisti unitari, ai confederati e ai popolari le
porte del governo e di accarezzare, già dal 1923, l'idea di ricomporre il
dissidio tra stato e Chiesa, si era posto di traverso proprio al mondo massonico
e finanziario.
E se questo allora passava il convento, proprio con questo ambiente storico e
materiale umano di non eccelse qualità "guerriere", Mussolini doveva fare i
conti e non ci si può quindi meravigliare delle profonde contraddizioni che pur
vengono a riscontrarsi nell'esame complessivo del suo operato.
A chi spesso gli chiedeva perchè non avesse fatto piazza pulita di pesi morti e
traditori, ovvero non avesse portato la rivoluzione fascista alle estreme
conseguenze, Mussolini soleva rispondere che con il fango non si fanno le
rivoluzioni (ma non usava la parola "fango"...).
Il 25 luglio e l'8 settembre non avverranno a caso!
Riassumiamo ora brevemente alcuni passaggi storici.
Come abbiamo visto Mussolini aveva creato il Fascismo nel marzo del 1919 sulla
scia dell'interventismo, della difesa e valorizzazione di Vittorio Veneto e
sull'intuizione di un socialismo da realizzare nella nazione.
Ma il fascismo era anche sorto come reazione violenta ad un possibile avvento
rivoluzionario del bolscevismo italiano e anche questo fatto avrà ben presto il
suo peso negli avvenimenti successivi.
Consequenziale alla sua storia di socialista, massimalista prima e nazionale
poi, egli ne impiantò il programma originario (sansepolcrista) sui dettami
ideali di un «interventismo di sinistra».
Questo primogenito fascismo di sinistra, però, per altro sconfitto alle elezioni
del novembre 1919, si rivelò ben presto inadeguato nel processo rivoluzionario.
La necessità di far avanzare il movimento fascista e di provare a prendere il
potere portò quindi Mussolini, già dal maggio del 1920, a rettificare le
posizioni politiche del fascismo, rispetto all'atteggiamento verso la borghesia
e alla sua pregiudiziale repubblicana che si cominciò infatti ad accantonare.
Questa nuova politica spostò gradualmente il fascismo su posizioni di destra,
predisponendolo ad utilizzare gli appoggi di agrari e capitalisti vari al tempo
spaventati dalle violenze dei rossi.
Al contempo, inevitabilmente, le file fasciste si riempirono di elementi della
più disparata origine ed estrazione ideale e sociale, provenienti
prevalentemente dalla media borghesia tanto che ci fu chi definì quella
fascista, la «rivoluzione delle classi medie».
Il congresso fascista di Roma del novembre 1921 sancì quindi la svolta a destra,
già da tempo in atto, del fascismo stesso e successivamente porto
all'apparentamento con i nazionalisti.
Abbiamo poi i governi di Mussolini post marcia su Roma, nei quali si impose, per
necessità nazionali, una decisa economia liberista e successivamente il
fallimento, a causa del delitto Matteotti, del suo tentativo di apertura a
sinistra (dove attraverso un equilibrato corporativismo avrebbe voluto
realizzare una specie di socialismo), e si finì inevitabilmente nel regime
totalitario.
Durante il ventennio, la diarchia con casa Savoia, gli equilibri di potere
raggiunti e le necessità del paese, proiettato verso una sua espansione
nazionale e internazionale a tutti i livelli, imposero una politica
"conservatrice", temperata dal Duce con profonde riforme sociali, a carattere
popolare e la realizzazione di grandi opere pubbliche.
Non crediamo di esagerare se affermiamo che senza il forte impulso riformista e
creativo del fascismo, l'Italia sarebbe rimasta un paese profondamente arretrato
come certi stati balcanici.
Come sappiamo, infine, per le note vicissitudini belliche e la resa dei conti
alla quale si pervenne con tutto un mondo non fascista o fascista per interessi,
solo con la Repubblica Sociale Italiana Mussolini potrà finalmente realizzare
quelle profonde riforme sociali che aveva sempre avuto in mente, come ad
esempio, ma non solo, la socializzazione delle aziende e del grande commercio e
il controllo statale del mercato azionario.
In definitiva l'operato di Mussolini, una volta andato al governo con la marcia
su Roma, e preso atto di tutte le carenze complessive della Nazione (e del
fascismo stesso), delle "invadenze" che potevano condizionare il fascismo e
l'apparato statale, fece di necessità virtù e realisticamente cercò di
coinvolgere tutte le componenti della nazione, anche se antitetiche, ostiche ed
eterogenee, su un progetto di rinascita nazionale, puntando sia sulle ambizioni
personali di quanti venivano chiamati a collaborare e sia sulla possibilità che
di fronte ai grandi compiti e alle grandi tensioni ideali, i settarismi, i
"grembiulini" massonici ed i particolarismi potessero essere posti in secondo
piano.
Una prassi tattica ideale, questa di Mussolini, che con alcuni valenti e onesti
personaggi funzionò senz'altro (per esempio il futuro ministro Carlo Biggini,
molto stimato dal Duce seppur massone), ma con lo scoppio della seconda guerra
mondiale, la geopolitica italiana in contrasto con quella britannica e
l'andamento negativo della guerra e soprattutto con l'immediato "richiamo
all'obbedienza" proveniente dai "fratelli d'oltreoceano", la quasi totalità dei
masso-pseudo fascisti, ma non solo loro, non ci pensarono su due volte a gettare
a mare Mussolini e la Patria.
Comunque, mano a mano che il fascismo si stava dando una sua ideologia,
divenendo al contempo anche partito di governo, affermando quindi il senso dello
Stato e la sua autorità, la massoneria che aveva considerato il fascismo come un
fenomeno da utilizzare transitoriamente prese (in testa il Grande Oriente di
Palazzo Giustiniani, di Domizio Torrigiani, Gran Maestro dal 1919) a rivoltarsi
contro il fascismo stesso e sopratutto contro Mussolini.
Il dissenso aprì nel paese forti tensioni tanto che Mussolini, come già aveva
fatto nel PSI, al tempo in cui era socialista, a febbraio del 1923 impose
l'incompatibilità tra il fascismo e la setta (l'enunciazione, peraltro, rimase
sulla carta, ma comportò una situazione imbarazzante e potenzialmente nociva per
i "fratelli"). Le Logge vennero poi sciolte per legge nel novembre del 1925 e il
Gran Maestro Torrigiani di Palazzo Giustiniani, legato alle Logge
anglo-americane, arrestato il 24 aprile del 1926, finì al confino a Lipari.
A questo proposito è bene ricordare che nel 1908, si era prodotta una scissione
nel Grande Oriente, dalla quale era nata la massoneria di Piazza del Gesù
(filiazione della Grande Loggia di Francia) che anni dopo ebbe come Gran Maestro
Raul Vittorio Palermi.
La massoneria di Raul Palermi, costituì all'epoca un fenomeno a parte, visto che
cercò sempre il compromesso con il fascismo. Anzi il Palermi, di cui la maggior
parte degli esponenti fascisti erano iscritti alla sua loggia, si prese la briga
di "elevare" il Duce a Gran maestro onorario, e quando a novembre del 1925 venne
decretato lo scioglimento delle sette massoniche, egli si adeguò sciogliendo
tutte le "officine" di Piazza del Gesù e ricostituendole con "fratelli"
disponibili verso il regime fascista. Il 2 dicembre poi, il Palermi convocò il
Supremo Consiglio e decise di cessare ogni attività massonica, proclamando la
fedeltà dei "fratelli" verso il Duce.
Malgrado questo, tempo dopo, la sede di Piazza del Gesù venne saccheggiata dai
fascisti, sembra per ordine del nazionalista Federzoni (cfr. F. Pinotti,
"Fratelli d'Italia", Bur 2007).
Molti gerarchi e capi fascisti dovettero scegliere, se stare con la massoneria o
con il fascismo, ma mentre alcuni (vedi Farinacci e Bianchi) avevano da tempo
già scelto il fascismo con convinzione, altri lo fecero solo per opportunismo.
Note sono le vendette massoniche verso Mussolini che si possono riscontrare
anche nella ispirazione di alcuni attentati da lui subiti nei primi anni del
regime totalitario.
Fatto sta però che, con l'avvento della dittatura, la Massoneria ben presto
ritenne più conveniente entrare in "sonno" e così continuare a gestire
segretamente uomini e importanti settori della società, tanto più che Mussolini,
all'occorrenza, non disdegnava di utilizzare elementi di alta levatura tecnica
(come per esempio farà con Alberto Beneduce all'IRI) pur se massoni.
Mussolini, come ben sottolineò Bruno Spampanato, per l'interesse nazionale,
quando trovava una persona qualificata tecnicamente, non andava tanto per il
sottile e faceva carte false per accaparrarselo.
La massoneria si sveglierà dal "sonno" quando, compatta, dovrà rispondere alla
"chiamata d'oltreoceano" per sabotare la guerra del 1940 e silurare
definitivamente Mussolini l'odiato avversario delle Logge massoniche e della
grande Finanza cosmopolita.
Il Duce, in ogni caso, era ben conscio di tutto questo ed in parte anche delle
cause che stavano dietro il secondo conflitto mondiale. In uno dei suoi ultimi
scritti, da alcuni messo in dubbio, ma comunque rispondente allo stile ed al
pensiero di Mussolini, si può leggere quanto segue:
«Tra le cause principali del tracollo del fascismo io pongo la lotta sorda ed
implacabile di taluni gruppi industriali e finanziari, che nel loro folle
egoismo temevano ed odiano il fascismo come il peggior nemico dei loro inumani
interessi. Devo dire per ragioni di giustizia che il capitale italiano, quello
legittimo, che si regge con la capacità delle sue imprese, ha sempre compreso le
esigenze sociali, anche quando doveva allungare il collo per far fronte ai nuovi
patti di lavoro».
Ed ancora, in una sua sottolineatura a matita, come era uso fare, di un discorso
di Churchill ai Comuni del maggio 1944, Mussolini evidenziò quanto segue:
«La giustizia dovrà essere fatta ed il castigo cadrà sui malvagi e sui crudeli.
Gli sciagurati che hanno macchinato per soggiogare prima l'Europa e quindi il
Mondo devono essere puniti. Così dovranno esserlo anche i loro agenti che in
tante nazioni hanno perpetrato orribili delitti. Essi devono essere condotti ad
affrontare il giudizio delle popolazioni che hanno oltraggiato, sulle stesse
scene delle loro atrocità».
Non è un caso che quel Filippo Naldi, personaggio di grosso spessore e a suo
tempo ponte tra Mussolini e i finanziamenti al Popolo d'Italia nel 1914, poi
implicato nell'affaire massonico-affaristico del delitto Matteotti, lo
ritroveremo dopo l'8 settembre del 1943 a fianco dei governi Badoglio e Bonomi e
degli Alleati, quasi a suggellare, con il suo svolazzare laddove ci sono
interessi massonici, il profondo abisso che divideva il Duce da questa setta.
Crediamo con queste sintetiche note di aver dato un certo contributo alla
chiarificazione storica della nostra recente vicenda nazionale.
Non essendo alla nostra portata abbiamo voluto tralasciare certi aspetti
esoterici da cui le vicende massoniche non possono prescindere, per cui lasciamo
ad altri di affrontare questi problemi laddove sarebbe il caso di rievocare ed
analizzare un certo interessante tentativo di far emergere, fuori dalla
massoneria moderna, sovversiva e antitradizionale, una tradizione propriamente
italica e romana che a nostro avviso avrebbe potuto portare un notevole
contributo al fascismo e non costituire un antitesi con il fascismo stesso.
I precedenti articoli di Luigi Carlo Schiavone e di Roberto Sestito su Arturo
Reghini, pubblicati in queste pagine sono stati a questo proposito molto
interessanti.
Maurizio Barozzi
|