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Mussolini, la geopolitica e le contraddizioni dell'Asse

Mussolini segreto "nemico" di Hitler?

 

Maurizio Barozzi    

   ("RInascita", 19 maggio 2010 - copia integrale)    

 

Un certo dibatto storico ritorna periodicamente su un argomento alquanto nebuloso, inerente la valutazione esatta della politica di Mussolini nei confronti dell'alleato germanico.
Che in Italia ambienti della Corona e delle Forze Armate (e non solo) non avevano mai visto positivamente l'asse Roma-Berlino, salvo condividere poi l'entrata in guerra dell'Italia nel momento in cui i venti bellici sembravano favorevoli, era noto e lo stesso "8 settembre" non fu altro che il culmine di una situazione che veniva da lontano.
Diversa invece è la valutazione della politica mussoliniana, della sua non belligeranza e di quella guerra "parallela" con una Germania alleata, ma non strategicamente e politicamente univoca nel raggiungimento degli stessi obiettivi.
L'argomento è di estremo interesse e la pregevole rivista "Storia in Rete" nell'ultimo numero di aprile, con un articolo del suo direttore Fabio Andriola "Dai nemici mi guardi Dio che dagli "amici" mi guardo io..." ha rievocato lo "strano" (a dir poco) comportamento dell'Italia, non solo durante il periodo della nostra non belligeranza, ma addirittura fino al 1942 inoltrato, quando si procedeva alacremente a costruire imponenti fortificazioni (confidenzialmente soprannominate la "linea non mi fido") in Cadore, Carnia e al Tarvisio, a protezione dell'Italia da una eventuale invasione tedesca.
Incredibilmente, mentre si combatteva una guerra a fianco della Germania, al contempo l'Italia si premuniva e si attrezzava come se, prima o poi, dovesse far fronte alla nazione amica.
Il gerarca Tullio Cianetti che andò in visita a quei cantieri, scrisse nel suo diario che gli era venuto il dubbio se si stava lavorando per la guerra dell'Asse oppure contro.
Cosa stava accadendo? Quali furono le conseguenze di questa politica dal "doppio binario" che, per esempio, a dicembre del 1939, dopo il discorso di Ciano alla Camera (ispirato da Mussolini), con il quale si presero le distanze dalle ragioni di guerra dei tedeschi, rischiò seriamente di incrinare l'alleanza con la Germania?
Rispondere non è difficile, anche se è alquanto complicato perchè tutta questa situazione rientra perfettamente nel quadro di certe conseguenze storiche e leggi geopolitiche che possono meravigliare solo chi non le conosce. Qui, senza entrare in giudizi, vogliamo dare delle semplici indicazioni proprio per aiutare a capire certi avvenimenti storici.
Si da il caso che noi abbiamo del periodo 1937-1945, quello in cui fu in vigore l'alleanza con la Germania nazionalsocialista, una visione ristretta frutto di una storiografia superficiale e della propaganda che imperversò in quegli anni sia nel campo degli stati fascisti che nell'antifascismo.
La vittoria degli Alleati poi, con l'imposizione della loro "propaganda di guerra" assurta a "verità storica" ha finito per fare il resto.
Le cose però non stanno affatto nel modo in cui appaiono dalle superficiali cronache storiche e quindi occorre affrontare il problema con più introspezione e oltretutto con occhi che siano avulsi da qualsiasi condizionamento ideologico.
La storia, in definitiva, si può analizzare nei suoi particolari svolgimenti contingenti, oppure riassumerla ed inquadrarla "fuori dal tempo e dallo spazio" ovvero in una dimensione metastorica.
In quest'ultimo caso, per stare in argomento, è perfettamente legittimo inquadrare il fascismo ed il nazionalsocialismo come un portato della civiltà europea, una manifestazione della "Tradizione" nei tempi ultimi, confacente al secolo delle masse laddove, una comune visione della vita e del mondo portarono l'Italia e la Germania ad intraprendere una "guerra del sangue contro l'oro", contro le democrazie dell'occidente liberista ed il bolscevismo sovietico.
Questo però è appunto un discorso metastorico che investe il campo ideologico, mentre invece nel campo storiografico gli avvenimenti vanno visti da un altra prospettiva laddove i fattori ideologici non sempre vanno di pari passo con gli interessi geopolitici.
Per intenderci la storia, anche se poco conosciuta, di tutta una serie di iniziative, situazioni e accordi più o meno segreti, divergenti da una politica di alleanza tra Italia e Germania, ha fatto addirittura supporre un Mussolini segretamente "nemico" di Hitler" (lo stesso Andriola è autore di un "Mussolini segreto nemico di Hitler", Ed. Piemme 1997), se non addirittura "traditore" dell'alleato.
Del pari si potrebbero anche portare alla luce molte situazioni e manovre segrete dei tedeschi a danno dell'Italia, indice evidente che gli obiettivi della guerra e gli interessi in gioco non erano poi proprio gli stessi per le due nazioni.
Le ricerche storiche, però, possono anche fuorviare e finire per rendere incomprensibile la nostra storia recente se non si possiede una chiave interpretativa degli eventi storici e la conoscenza di quel motore della storia che è la geopolitica.
Solo così ci si renderà conto che se pur certe divergenze nell'Asse furono indubbiamente di ampia portata, proprio perchè legate ad esigenze geopolitiche diverse, il problema del "tradimento" non si pone, è un non senso. Fermo restando però che questi scollamenti ebbero un peso forse decisivo nella sconfitta di una guerra che invece avrebbe dovuto essere comune perchè oltretutto coinvolgeva il destino dell'intera civiltà europea,
Per capirci qualcosa dobbiamo necessariamente iniziare prendendo in considerazione, sia pure approssimativamente, le figure di Hitler e Mussolini la cui politica diede una personale impronta alla conduzione ed alle necessità geopolitiche delle rispettive nazioni.
È sufficiente leggere, oltre ovviamente al Main Kampf, che pur essendo un opera di stampo propagandistico e di partito, Hitler vi si mantenne coerente fino alla fine, nonchè le "Conversazioni di Hitler a tavola" (vedi: A. Hitler, Idee sul destino del mondo, Ed. di Ar 1980), oltre ai suoi Ultimi discorsi (A. Hitler, Ed. di Ar 1988), per comprendere che il nazionalsocialismo del führer, era sostanzialmente rapportato e confacente agli interessi del popolo tedesco, configurandosi nella formula ein Volk, ein Reich, ein Führer e nella prospettiva del pangermanesimo. Una Weltanschauung in qualche modo influenzata anche da una certa impronta darwinista (la lotta per la selezione dei migliori) che sfociava in una concezione della razza in parte di stampo biologico.
Certamente quella del führer non era la sola e unica visione ideologica del nazionalsocialismo, tuttavia fu proprio quella concezione strategica che improntò prevalentemente la politica dello Stato Germanico e la condotta della guerra e quindi a quella concezione, storicamente, dobbiamo fare riferimento visto che, tra l'altro e per fare un esempio, se ne pagarono le conseguenze perchè condizionò l'atteggiamento verso le popolazioni della Russia sovietica che invece avrebbero potuto dare un contributo alla lotta contro Stalin.
Possiamo comunque trarne la considerazione che la geopolitica del führer era improntata al dominio nel continente europeo ed ad una conquista dello spazio vitale (lebensraum) ad est a spese dell'URSS come unica possibilità di sopravvivenza futura di una grande Germania.
Ma il punto chiave di questa politica, il fulcro centrale, era un auspicato accordo globale con la "cugina di razza", l'Inghilterra, alla quale si garantiva, anche nello stesso interesse tedesco ed europeo, l'Impero.
Questa visione geopolitica riteneva oggettivamente l'Italia, con la sua presenza nel sud Europa e nel mediterraneo, un alleata indispensabile per la Germania e possiamo dire che non cozzava con i nostri interessi in quel settore, tranne che per via indiretta ovvero in conseguenza di quel possibile accordo globale anglo-tedesco che, in relazione agli interessi britannici, non poteva edificarsi senza ledere le nostre prospettive e speranze di essere una piccola, ma importante potenza nel mediterraneo (irriducibilità dei contrasti e degli interessi italiani ed inglese).
Per l'Italia una grande Germania, poneva però, sia pure in prospettiva futura, un grosso punto interrogativo rispetto all'Alto Adige ed ai nostri confini dell'est, raggiunti in virtù della vittoria nella Grande Guerra e che, seppur garantiti personalmente dal führer, non erano di certo stati definitivamente digeriti a Vienna e Berlino.
Detto questo veniamo a Mussolini. Per il Duce la cui forza e incidenza di potere in Italia, a causa della diarchia con la Monarchia, non era certamente paragonabile a quella di Hitler in Germania, il discorso è un poco più complesso.
E' noto che Mussolini nasce socialista, sia pure di un socialismo alquanto distante dalla stretta prassi e concezione marxiana. In lui troviamo elementi e intuizioni di Nietzsche, di Oriani, di Sorel, di Mazzini e dei sindacalisti rivoluzionari, ecc.
Tutte componenti queste che si fusero col tempo in una sintesi aliena dai rigidi schematismi ideologici, praticando in politica un pragmatismo, sostanzialmente teso a cercare una via al Socialismo attraverso la Nazione, appoggiandosi anche ai valori del combattentismo già interventista.
Mussolini, infatti, era stato "interventista" convinto e intransigente, un interventista di sinistra che dalle pagine del suo "Il Popolo d'Italia", prima e durante la Grande Guerra condusse un feroce attacco al militarismo teutonico, anche con temi in parte simili a quelli della propaganda massonica. Del resto il nazionalismo di Mussolini era concepito come un compimento del Risorgimento, unica tradizione storica italiana ancora viva e a cui riferirsi, spurgandola dalle ideologie massoniche ed atto a cementare l'unità di un popolo alquanto eterogeneo e proiettare la Nazione a più alti compiti.
Questi brevi cenni biografici e politici per renderci conto della geopolitica di Mussolini e la sua condotta nella guerra, diversa da quella del führer, che altrimenti resterebbero incomprensibili.
Una geopolitica alla quale, pur tra alti e bassi contraddittori, egli si è sempre attenuto, fondata sui nostri interessi balcanici, mediterranei ed africani che si scontravano inevitabilmente con quelli inglesi, dovendo però fare i conti con i freni di una nazione con un substrato franco-anglofilo e la deleteria presenza dei Savoia che, tra l'altro, avevano i loro interessi finanziari a Londra.
Nel praticare questa geopolitica, giocoforza da junior partener, Mussolini partiva dal presupposto che in Europa potesse permanere un certo equilibrio delle forze.
Data, infatti, la nostra cronica debolezza militare ed economica e la nostra stessa necessità geopolitica che ci costringevano a muoverci su di un piano insulare mediterraneo, ma senza perdere d'occhio anche quello continentale peninsulare, era per lui auspicabile che né i tedeschi (oramai nel 1938 arrivati al Brennero), né gli inglesi (a noi avversi) potessero prevalere in modo definitivo e che neppure si mettessero d'accordo tra loro su larga scala. Da qui le sue proposte e i suoi interventi a Locarno, Stresa, e i tentativi di pace del 1938/'39.
Insomma Mussolini si muoveva essenzialmente nell'ambito degli stretti interessi nazionali (rapportati ad una suo geopolitica che, in senso più lato, poteva definirsi euroasiatica) facendo sua la massima degli antichi romani per cui la salvezza della Patria è la legge suprema e conscio che le nazioni si agitavano, si alleavano o si scontravano (la guerra quale prosecuzione della politica con altri mezzi) soprattutto in base a certe prospettive geopolitiche.
Portiamoci adesso alle soglie della guerra, quando un precipitare di situazioni nel continente, nella loro incontrollabile accelerazione, spiazzarono tutta la politica italiana.
Per Mussolini l'ideale sarebbe stato quello che in Europa si fosse potuto mantenere un certo status quo, come gli accordi di Monaco del 1938 sembravano far sperare. Un conflitto bellico o anche un accordo globale anglo tedesco, di fatto, sarebbero stati la fine delle nostre ambizioni.
Di fronte all'evidente attacco delle democrazie occidentali che non potevano tollerare oltre la presenza e lo sviluppo degli stati fascisti per Mussolini, condizionato dalle deficienze della situazione italiana, la soluzione doveva essere politico-diplomatica, giocando sulle contraddizioni dell'appeasement inglese e non quella di Hitler che, conscio del problema "tempo" che lavorava contro la Germania, spingeva le cose fino alla soglia del rischio bellico.
In quest'ottica egli mosse i suoi passi cauti e guardinghi e persino ambivalenti, nonostante una certa propaganda nazionale tendesse ad enfatizzare ed esaltare l'Asse e quando ad agosto del 1939 il conflitto sembrò oramai inevitabile (dopo un ultimo fallito tentativo di accordo segreto tra Londra e Berlino che aveva preoccupato la nostra diplomazia) Mussolini si disimpegnò immediatamente dagli obblighi che pur il "Patto di acciaio" con i tedeschi contemplavano. Nota è, in quell'occasione, la esagerata richiesta di aiuti materiali fatta alla Germania (la famosa lista "che avrebbe ammazzato un toro"), richiesta che ovviamente nascondeva, vista l'impossibilità di soddisfarli, l'intento italiano di disimpegnarsi dall'obbligo di scendere in guerra al fianco dei tedeschi.
Insomma mentre i tedeschi avevano "tradito" gli impegni presi e garantiti verso l'Italia, circa un loro atteggiamento che avrebbe tenuto lontana la guerra dal continente per almeno tre anni, gli italiani "tradirono" i dettami del Patto d'Acciaio, disimpegnandosi dall'obbligo di scendere in guerra. Erano gli interessi nazionali e dei rispettivi Stati Maggiori, italiano e tedesco che, come di sovente avviene nella storia, prevalevano su tutto il resto.
A guerra iniziata, in quella difficile situazione, il Duce si barcamenò con la formula della "non belligeranza" e con una politica apparentemente filo tedesca, nell'appoggio propagandistico alla guerra, ma sostanzialmente di equidistanza come gli interessi nazionali richiedevano.
E' in questo quadro che troviamo, tra il 1939 e il 1940 e nonostante l'alleanza con la Germania, i traffici segreti per la vendita di un certo materiale bellico agli occidentali, commercio che garantiva all'Italia di incamerare preziosa valuta estera e, come abbiamo accennato all'inizio, la prudente e sospettosa politica del "vallo alpino" o "linea non mi fido" che fece spesso raggiungere alle due nazioni alleate le punte più basse del loro rapporto. Note anche alcune esternazioni, in privato, di Mussolini che mal sopportava la nostra inferiorità rispetto ai tedeschi e la loro alterigia e quindi si augurava che potessero incorrere in qualche batosta militare che li ridimensionasse.
Di conseguenza venne anche la scelta strategica di scendere in guerra quando dopo il crollo della Francia a fine maggio 1940 il nostro intervento divenne improcrastinabile con una strategia bellica separata da quella tedesca e racchiusa nella famosa formula, coniata da Mussolini, "non per la Germania, né con la Germania, ma a fianco della Germania". En passant, il crollo repentino della Francia rischiava di portare i tedeschi anche nel Tirreno, cosa non certo auspicabile per l'Italia.
Ne conseguì una condotta bellica dell'Asse, letteralmente scollegata tra i due rispettivi Stati Maggiori, il rifiuto italiano ad una immediata offerta tedesca di appoggio militare in Africa, lo scriteriato e nefasto intervento italiano in Grecia, e così via. Tutti avvenimenti che scaturivano sostanzialmente dalla gelosa difesa della nostra geopolitica, certamente giustificati dall'interesse nazionale, ma che pesarono in maniera determinante nella bilancia bellica e gettarono le basi di una futura sconfitta.
Quello che però si aggiunse e spiazzò completamente il Duce, fu anche il criminale sabotaggio della guerra che non è difficile da individuare nei traffici massonici, nello "strano" comportamento inattivo di Supermarina, nell'operato di quelli che, non a caso, a guerra finita e vinta, furono protetti da un famigerato articolo 16 del trattato di pace che impediva di perseguire chi avesse operato, durante il periodo bellico, a favore delle nazioni Alleate.
E' tragico e raccapricciante considerare il periodo storico in cui fu costretto a muoversi Mussolini a capo di una nazione che si sottraeva in ogni modo da un serio impegno contro l'Occidente, dove la Monarchia era un corpo a sè stante e dove la Massoneria, artefice del nostro risorgimento e poi della nascita di una finanza e di una industria nazionale con innumerevoli agganci anglo francesi, usciva dal "sonno" in cui il fascismo l'aveva relegata per rispondere all'appello dei "fratelli d'oltreoceano" e sabotare la guerra.
Tanto per dare un idea su l'incidenza di certe "forze occulte" vogliamo ricordare lo storico Lucio Villari che riferì di un colloquio con il ben informato banchiere Raffaele Mattioli. Questi gli ebbe a dire che "Il colpo di stato del 25 luglio 1943 l'abbiamo gestito a Milano alla Banca Commerciale". Fino a quando non si potrà accedere a certi Archivi segreti, sfido qualsiasi storico, a decifrare quella frase significativa di Mattioli e quindi dare un nome agli ambienti di finanza che gestirono addirittura il 25 luglio, tramite quali nessi con il fascismo, la monarchia e l'esercito e in che modo ottennero quanto si erano prefissati. Questo per dire quanto sia ancora sconosciuta e complessa la nostra storia.
Ma è ancor più sconcertante rilevare che molte gerarchie dello stesso fascismo si rispecchiavano nei "desiderata" di Galeazzo Ciano che ebbe a confessare candidamente che lui: "ai tedeschi preferisco gli inglesi, con il loro whisky, il golf, il confort". Vale a dire la sconfessione piena dell'Italia marziale, guerriera e disciplinata che il fascismo retoricamente pur diceva di perseguire.
E qui è doveroso fare un distinguo tra il comportamento di Mussolini che, nell'interesse italiano, si muoveva in un ottica geopolitica difforme da quella tedesca e quindi foriera di scollamenti e colpi bassi, e quello invece di molti fascisti che avevano inteso la guerra all'Occidente come un "incidente di percorso", ma che in definitiva la loro essenza ideologica e la loro forma mentis erano sostanzialmente filo occidentali.
Date queste premesse, non meraviglia l'implosione indecorosa del Partito Nazionale Fascista il 25 luglio 1945 e l'altrettanto indecorosa fine del fascismo in quel di Como il 26 aprile 1945 con tanti dei suoi esponenti che si riciclarono nel dopoguerra come anticomunisti e antisovietici, tradendo gli interessi nazionali per il semplice fatto di essersi messi al servizio del colonialismo atlantico.
Vogliamo concludere ricordando un episodio, verificatosi alla vigilia del nostro intervento in guerra, che mostra chiaramente il modo e le condizioni in cui era costretto ad operare Mussolini ed il tipo di scelte, risultate poi sbagliate, che ritenne opportuno fare.
Verso la metà del mese di Aprile del 1940, Graziani allora Capo di Stato Maggiore dell'Esercito ebbe incarico, da parte di Mussolini (il quale a sua volta voleva dare corso ad una proposta a suo tempo avanzata dallo Stato Maggiore germanico) di elaborare un importante progetto strategico.
Questo prevedeva che per il momento in cui i tedeschi avessero investito la linea Maginot l'esercito italiano, forte da 10 a 15 divisioni, fornite di armi e di mezzi moderni da parte dei tedeschi, si sarebbe radunato alla Porta Burgunda per irrompere nella Valle del Rodano ed aggirare così tutto l'esercito francese, schierato nelle Alpi Occidentali ed ammontante a circa 25 divisioni.
Il progetto era dirompente ed, in pratica, ricalcava quello in vigore al tempo della Triplice Alleanza.
In ogni caso, per volere del Duce, ci si sarebbe mossi a guerra con quella che era la strategia politica da tempo indicata di una condotta bellica autonoma da quella tedesca.
Di conseguenza, Graziani ed il suo entourage, avvantaggiati dal fatto che nei nostri archivi militari già esisteva una traccia di un piano simile, risalente alla Grande Guerra, redassero una Memoria che venne consegnata a Mussolini ed ovviamente al Capo di Stato Maggiore Generale (Badoglio).
Badoglio però, quando gli fu esposto il progetto, ascoltò senza un commento, ed invitò Graziani a non interessarsene più visto che prendeva lui stesso la direzione della cosa!
Tempo dopo Graziani, convocato dal Duce, lo trovò nervoso ed adirato, perché evidentemente a quell'importante progetto non era più stato dato un seguito concreto. Graziani allora espresse dei dubbi circa una condotta dello Stato Maggiore Generale in sintonia con i voleri di Mussolini.
Il Duce in stato d'ira ed a voce alta gridò: "Se Badoglio non si sente di farlo se ne vada, se ne vada. Qui non si tratta di me, ma degli interessi supremi della Patria!". E quindi promise di far conoscere le sue decisioni in merito.
Il 29 maggio però, a Palazzo Venezia, durante uno storico rapporto con il Capo di Stato Maggiore Generale ed i tre capi di Stato Maggiore delle forze armate, Graziani trovò una atmosfera tranquilla e completamente diversa: era evidente che Mussolini aveva soprasseduto nei suoi intenti di costringere Badoglio ad un chiarimento e magari alle dimissioni.
E' chiaro che, dati i rapporti tra le nostre FF.AA e le istituzioni, in particolare Casa Savoia, Mussolini non poteva imporre a Badoglio -a viva forza- l'esecutività di un progetto ispirato dai tedeschi e comprensivo di un loro contributo d'armi, e neppure poteva fare a meno del Capo di Stato Maggiore generale proprio nell'imminenza della guerra.
Ma oltretutto, probabilmente, una nostra entrata in guerra era stata anche ripensata per una condotta bellica, almeno inizialmente, del tutto diversa da quella non molto prima richiesta a Graziani.
E' probabile infatti che Mussolini, dopo sondaggi segreti con Churchill, riteneva che si poteva transitoriamente entrare in guerra senza un impegno bellico a tutto campo, in forza anche di una richiesta in questo senso di Churchill, che garantiva un imminente tavolo della pace nel quale riteneva suo interesse la presenza italiana. Si tratta della famosa "intesa" presente del carteggio Mussolini-Churchill opportunamente recuperato dal britannico a guerra finita e fatto sparire. Una manna per l'Italia, per le sue disastrose condizioni economiche e militari, quella di entrare in guerra senza correre eccessivi rischi e certi della sua imminente conclusione. Come sappiamo era questa invece una trappola di Churchill il cui unico interesse era quello di allargare il teatro bellico, coinvolgervi anche l'Italia, sia pure come nemica, in modo da rendere la guerra irreversibile e portarla alle sue estreme conseguenze, nella prospettiva di un non ancora imminente, ma certo, intervento americano.
Per tornare al nostro racconto, c'è da dire che nel corso di quella riunione del 29 maggio, Badoglio tenne anche a precisare: "Quindi è inteso che, da oggi, esiste un unico comando operativo, il mio. Attraverso il quale dovrà passare qualsiasi progetto o piano".
"Certamente" sanzionò Mussolini.
Ma se Mussolini aveva soppesato tutti i pro ed i contro ed aveva valutato in questo modo il da farsi, non aveva però tenuto conto che Badoglio era un traditore già in piena attività e qualunque cosa facesse la faceva a vantaggio dei suoi amici francesi.
La favorevole occasione strategica fu quindi perduta e sappiamo invece quello che accadde: gli italiani, già schierati in posizioni difensive, dovettero poi attaccare, per la fretta che avevano preso gli avvenimenti, in ordine frontale e senza adeguata preparazione offensiva, quelle Alpi Occidentali che nessuno aveva pensato potessero superarsi in tal modo.
L'Attuazione del piano della Porta Burgunda, da Badoglio fatto boicottare, avrebbe invece offerto ben diverse prospettive di successo.
Ricorda ancora Graziani: «Allorché, dopo la conclusione dell'armistizio con la Francia, mi recai a far visita al Sovrano, egli mi disse: "Badoglio non voleva la guerra con la Francia"».
 

Maurizio Barozzi