Di recente, uno storico sicuramente NON allineato, ha
scritto un libro basato su documenti certi, che riguarda la nascita del MSI. Si
tratta di rivelazioni che Noi conoscevamo da tempo perchè, se da una parte
conoscevamo i nostri polli, dall'altra non potevamo non aspettarci che certi
"regali" dai nostri "amici" di oltre oceano.
La questione non è cosa da poco e dovrebbe servire a far aprire ulteriormente
gli occhi (e le orecchie) ai tanti gonzi che popolano le nostre terre. Scrivo
gonzi, ma dovrei scrivere "ignoranti" ed "analfabeti" perchè di libri che
segnalano questi avvenimenti ne sono usciti molti, a cominciare da quel testo
scritto da Caretto-Marolo: "Made in USA. Le origini americane della Repubblica
Italiana". Rizzoli, 1996. Sono poi usciti di recente alcuni libri editi dalla
BUR, per finire con il testo veramente fondamentale pubblicato postumo
quest'anno e scritto da un grande storico recentemente scomparso, Franco
Bandini: "1943. L' estate delle tre tavolette". Iuculano editore.
Sono convinto che se ci fossimo trovati in un paese abitato da persone meno
infantili e leggermente più colte la situazione italiana sarebbe notevolmente
diversa. Soprattutto non sarebbe stato dato spazio ad un partito, il MSI prima,
ed AN adesso, il cui fine è stato sempre quello di paralizzare energie
altrimenti utilizzabili.
Per il momento è utile leggere l'articolo che qui presentiamo e che è stato di
recente pubblicato su "la Repubblica".
Giorgio Vitali
da “la Repubblica”, giovedì 9
novembre 2006 (“Cultura”, pag. 50 e 51)
La nascita del MSI fu favorita
dai servizi segreti americani
Nel dopoguerra capi della Decima Mas reclutati per addestrare reparti israeliani
Una stona taciuta.
I contatti segreti di Romualdi e Borghese con agenti dell'OSS durante la guerra
Neofascisti, una storia
taciuta
Un saggio da discutere. Intervista a Giuseppe Parlato
Esce oggi da “il Mulino” un documentato libro sul neofascismo in Italia a cura
dello storico Giuseppe Parlato. Un volume ricco sul piano della ricerca
(materiali anche inediti, tratti dagli archivi americani e dagli archivi privati
dei protagonisti, oltre che carte riservate del ministero degli Interni), ma che
non mancherà di suscitare discussione sia per alcune interpretazioni, sia per
l'intonazione complessiva, che pare ispirata da un sostanziale superamento della
bussola antifascista.
“Fascisti senza Mussolini” -questo il titolo, con il sottotitolo: “Le origini
del neofascismo in Italia 1943-1948”- esce a ridosso del sessantesimo
anniversario del Movimento Sociale Italiano, fondato a Roma il 26 dicembre del
1946. Parlato ne rovescia la tradizionale lettura d'un partito meramente
nostalgico, lumeggiando i rapporti con gli USA in funzione anticomunista.
Un'estesa trama di contatti -quelli tra neofascisti e amministrazione americana-
che risale a prima della fine della guerra, grazie al lavoro di tessitura di
alcuni fascisti clandestini al Sud, oltre che di Borghese e Romualdi, con
ambienti dei servizi segreti statunitensi. Non mancano pagine sorprendenti,
specie sul reclutamento nell'immediato dopoguerra degli uomini della Decima Mas
(tra le più zelanti nel difendere il Fuhrer dell'Olocausto) come addestratori
dei reparti d'assalto israeliani. L'autore di “Fascisti senza Mussolini” è un
allievo di Renzo De Felice, insegna Storia contemporanea alla Libera Università
San Pio V di Roma, presso la quale ricopre la carica di Rettore. È anche
vicepresidente della “Fondazione Ugo Spirito”.
Professor Parlato, lei riconduce le origini del Movimento Sociale al fascismo
clandestino operante tra il 1943 e il 1945 nel Sud dell'Italia liberata.
«Sì, da lì discendono una serie di legami che consentono di leggere la nascita
del MSI in modo totalmente diverso: non un movimento di reduci, ma una forza
atlantica e nazionale nel quadro della Guerra fredda. Tra i personaggi-chiave
della tessitura segreta negli anni della guerra spicca il principe Valerio
Pignatelli della Cerchiara, un irrequieto e romantico personaggio mandato nel
Sud per organizzare i gruppi fascisti. Le carte che ho consultato nei NARA, i
National Archivesand Records Administration, mostrano i contatti del nobile
calabrese, che di fatto era il capo del fascismo clandestino, e soprattutto
della sua influente moglie con ambienti dell'OSS, che facevano capo ad
Angleton».
Quali episodi le paiono rivelatori?
«Nell'aprile del 1944 la principessa Pignatelli -che aveva collaborato con il
marito nella creazione di una vasta rete clandestina tra Calabria, Campania,
Puglia e Sicilia- attraversò l'Italia scortata da agenti dell'OSS. Ora appare
sconcertante che in piena guerra la moglie di uno dei capi riconosciuti del
fascismo clandestino meridionale potesse tranquillamente varcare le linee,
attesa dai tedeschi e poi da Mussolini, e più tardi tornarsene a Napoli con
l'appoggio logistico e morale dell'OSS».
C'è anche il particolare del figlio.
«A Roma nello stesso periodo operava Emanuele De Seta, figlio della principessa
e collaboratore di Peter Tompkins, agente segreto americano in Italia. In
seguito Valerio Pignatelli si sarebbe guardato bene dal parlare del
coinvolgimento dei servizi. E in campo neofascista questa ipotesi della
collaborazione con il nemico storico è sempre stata rigettata con veemenza».
Anche Valerio Junio Borghese, capo della Decima Mas, andava tessendo rapporti
con i servizi statunitensi.
«Sì, in quel caso il tramite fu l'ammiraglio Agostino Calosi, responsabile
dell'Ufficio Informazioni della Regia Marina del Sud. L'attenzione degli
americani per la Decima Mas fu notevole. Basti pensare che il 26 aprile del 1945
Borghese riuscì a rifugiarsi a casa di amici, per poi essere messo in salvo
dallo stesso Angleton, che andò a prenderselo a Milano. I documenti americani
non dicono quando esattamente cominciarono i primi contatti sotterranei,
probabilmente alla fine del 1944. È evidente che anticiparono d'un paio d’anni
la guerra fredda».
Meno conosciuto, in questa trama segreta, è il ruolo di Pino Romualdi.
«Sin dall'autunno del 1944 Romualdi, che era vicesegretario del Partito Fascista
Repubblicano, entrò in contatto con l'OSS attraverso il suo segretario,
l'ingegner Nadotti. Fu grazie a queste relazioni che il 27 aprile del 1945
riuscì a scampare alla fucilazione. Ma non furono contatti finalizzati alla
salvezza personale. Sia Romualdi, sia Borghese e i fascisti clandestini di
Pignatelli si ponevano il problema del "dopo", creando le basi del futuro
Movimento Sociale».
Ma gli americani se ne fidavano?
«Quando nel 1946 Nino Buttazzoni, altro capo riconosciuto della Decima Mas,
tenta di sottolineare presso gli Alleati la potenzialità anticomunista dei
neofascisti, l'agente informatore che redige il rapporto si mostra disponibile
al progetto. Però attenzione alle semplificazioni. I servizi americani non erano
omogenei. In molte note informative la destra neofascista è vista con timore e
perplessità. Se ci furono aperture e spiragli, fu per la paura del pericolo
comunista: questo era molto avvertito negli ambienti vicini ad Angleton».
Lei scrive che il reclutamento dei neofascisti iniziò prestissimo,
all'indomani della Liberazione: sia da parte della DC che del PCI.
«Il proselitismo cominciò nei campi di concentramento, circa centodieci, dove
furono rinchiusi i fascisti. A Terni, al principio del 1946, durante la visita
del vescovo agli internati, si fece capire ai fascisti che, se avessero voluto
uscire presto, l'iscrizione alla DC non sarebbe stata inopportuna».
Anche la Chiesa, lei documenta, ebbe un ruolo nell'ordito di rapporti che
darà poi origine al MSI.
«Molti fascisti latitanti, tra cui reduci di Salò, trovarono riparo presso il
Seminario maggiore al Laterano, lo stesso che durante l'occupazione tedesca
aveva ospitato De Gasperi, Nenni e Saragat. Figure come quelle di Giorgio Pini e
Giorgio Almirante ebbero lavoro presso istituzioni ecclesiastiche. Roma si
presentava come "una mammona sensibile e accogliente", così la raccontano i
testimoni».
Lei insiste anche sulla campagna di reclutamento ad opera del PCI.
«Ha raccontato Sandro Curzi che nel campo di reclusione di Coltano ci andava
anche lui, insieme ad altri suoi compagni: la direttiva del partito era
conquistare gli internati alla causa comunista. Già durante la guerra, alla fine
del 1941, dai microfoni di radio “Milano Libertà” Togliatti s'era rivolto a chi
aveva creduto nel fascismo. Dopo la fine della guerra fu Pajetta ad aprire per
primo la strada al recupero, con una serie di interventi su “l'Unità”».
Quest'apertura è nota, come l'appello di Togliatti ai fratelli in camicia
nera. Lei però va oltre, sostenendo che l'idea di Togliatti era quella di
travasare nel PCI l'intera classe dirigente fascista.
«Naturalmente è una mia interpretazione, e come tale può essere discussa.
D'altra parte analogo processo era avvenuto sul piano sindacale: la CGIL ereditò
dirigenti e struttura organizzativa del sindacato fascista. Ma il progetto di
Togliatti era ancora più ambizioso: annettere al partito la spina dorsale
dell'amministrazione che aveva operato sotto il fascismo. L'amnistia e
l'affossamento dell'epurazione vanno visti in questa chiave».
Sempre secondo la sua ricostruzione, la DC comprese l'operazione.
«Intanto Togliatti non si aspettava che i rapporti tra fascisti e servizi
segreti americani fossero così intensi. E poi i democristiani smontarono il
piano di Togliatti, opponendovi subito una contromossa: intanto la reimmissione
nello Stato dei funzionari e degli impiegati già epurati, successivamente la
"non opposizione" alla costituzione di un unico movimento neofascista, legale,
strutturato, e in grado di partecipare alle elezioni. In questo modo De Gasperi
riuscì a sventare la campagna comunista di conquista dei fascisti».
Fu grazie al referendum del 1946 che Romualdi acquistò un ruolo politico.
«Si trattò in realtà di una beffa, che però gli riuscì. Promise sia ai
monarchici che ai repubblicani la neutralità dei neofascisti in cambio della
promessa dell'amnistia. Va detto che intanto lavorava sotterraneamente per far
arrivare al governo la minaccia d'una possibile azione eversiva. Infatti i
verbali del consiglio dei ministri, prima e dopo il referendum, ci mostrano
tutta la preoccupazione per un possibile golpe da parte della Corona con l'aiuto
della manovalanza fascista».
Un dettaglio non secondario è che Romualdi era latitante, condannato a morte
in contumacia da una straordinaria Corte d'Assise.
«Ma non mancarono incontri segreti con esponenti dei vari partiti, dal PSI alla
DC, che schierò alcuni dirigenti molto vicini a De Gasperi. Colloqui che si
intensificheranno in vista dell'amnistia. Con il falso nome di Dottor Rossi,
Romualdi andò a parlare con Ivanoe Bonomi nell'appartamento privato dei nipoti,
in piazza della Libertà, a Roma. Probabilmente l'ex-capo del governo non
realizzò con chi stesse parlando, ma accettò di porre fine alla legislazione
straordinaria contro i fascisti e di favorire l'amnistia».
Una pagina sorprendente è quella sui rapporti tra Decima Mas e Israele.
«Fu Ada Sereni, nel giugno del 1946, a rivolgersi all'ammiraglio Calosi perché
le indicasse elementi fidati che da un lato potessero condurre le imbarcazioni
dirette in Israele, dall'altro fossero in grado di addestrare alla guerriglia le
formazioni militari degli ebrei palestinesi presenti in Italia: questo in vista
dell’inevitabile scontro con gli inglesi decisi ad opporsi allo sbarco degli
ebrei in Palestina. Calosi le indicò uomini della Decima Mas, che furono
reclutati a tale scopo. Due anni più tardi sarà Fiorenzo Capriotti ad accettare
l'incarico di trasferirsi in Israele per addestrare unità specializzate della
neonata marina. Diventerà in brevissimo tempo uno dei più apprezzati consiglieri
militari».
Secondo la sua ricostruzione l'attentato all'ambasciata britannica,
nell'ottobre del 1946, fu il risultato della collaborazione tra fascisti e
destra sionista.
«Sì, Romualdi confessò che c'era anche il loro zampino».
Professore, posso muoverle un'obiezione? Lei da una ricostruzione molto
dettagliata del neofascismo, ma un ragazzo che non sappia cos'è stato il
fascismo non coglie minimamente la drammaticità della dittatura e della
Repubblica di Salò. Molti dei personaggi dei quali lei tratta furono
responsabili di violenze o comunque conniventi con un regime oppressivo e
persecutore. L'ideologia nera lascerà poi una traccia nella storia d'Italia,
fino alla stagione delle stragi.
«Penso che il compito d'uno storico sia ricostruire le vicende nella loro
fattualità, soprattutto se di quel periodo è stato scritto finora molto poco.
Non credo che debbano intervenire giudizi di carattere etico. Se entro in
un'ottica morale, se faccio l'errore di avvertire il lettore "guarda, sono dei
criminali", finisco per condizionarlo, anche perché "criminali" si trovano anche
nelle file avversarie. E così che l'ideologia annulla la ricerca storica».
Da un libro sull'eredità del fascismo ci si aspetta la sottolineatura delle
vaste zone d'ombra. Nella sua narrazione si sorvola sulle vittime dei fascisti,
mentre ci si sofferma a lungo sulle vittime delle violenze partigiane. Anche il
fatto che molte figure compromesse con la dittatura e con Salò rimangano in
posti chiave dello Stato non sembra turbarla più di tanto. Altri storici, a
cominciare dalle ricerche fondamentali di Claudio Pavone, individuano in questa
continuità un grave vulnus per la crescita democratica del paese.
«Ma il mio compito non è scandalizzarmi. Certo, lei mi fa notare che sulla
continuità tra fascismo e postfascismo e uscito un libro importante come quello
di Claudio Pavone, ma con accenti molto diversi dai miei. Considero positivo che
emerga una nuova generazione di storici capace di sottrarsi a categorie
moralistiche».
Morali, non moralistiche, professore, non disgiunte da ricostruzioni
storiografiche documentate.
«Va bene, morali. Ma io rimango persuaso che lo storico debba compiere un passo
indietro rispetto all'etica Solo così può capire la storia del Novecento
italiano. Credo poi che il mio libro scontenterà sostanzialmente un'altra
categoria di lettori, ossia coloro che hanno sempre coltivato un'immagine
reducistica e testimoniale del MSI. Non è un caso che i contatti con i servizi
segreti americani, con gli ambienti ecclesiastici, con i gruppi monarchici, con
settori massonici, ebbene tutta questa tessitura sia rimasta per sessant'anni
sotto una coltre di silenzio. Il mio lavoro riempie una pagina rimasta fin
troppo a lungo bianca».
Simonetta
Fiori
da “la Repubblica”, giovedì 9
novembre 2006
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