Novecento segreto
Anticipiamo alcuni stralci, con la presentazione di Giorgio
Vitali di un importantissimo libro di Gian Paolo Pucciarelli "Novecento segreto"
di imminente pubblicazione
Presentazione di Giorgio Vitali
Il lavoro di Gian Paolo
Pucciarelli, basato sulla rigorosa analisi di pubblicazioni di
storici più che autorevoli, mai tradotte in Italia, costituisce un
contributo fondamentale per chiunque voglia approfondire la storia
del XX Secolo, l'origine e lo sviluppo dei due principali conflitti
del secolo, compreso lo sciame di guerre complementari che hanno
costellato il periodo che va dal 1945 alla caduta del Muro di
Berlino (fine dell'URSS) del novembre 1989.
È peraltro sempre più evidente che l'origine dei due conflitti, le
sue premesse storiche, geopolitiche ed economico-finanziarie, hanno
ben poco a che vedere con quanto asserito dalla propaganda bellica
dei due schieramenti in lotta, con prevalente falsificazione da
parte dei presunti vincitori della bicentenaria tenzone, secondo la
nota asserzione che: «chi vince ha sempre ragione».
L'importanza dell'opera, la cui lettura deve costituire stimolo per
ulteriori approfondimenti nei singoli settori esaminati, consiste
anche nell'aver esposto le molteplici componenti, sempre più
intricate fra di loro, quali sono state sintetizzate nelle scelte
decisionali dei pochi personaggi che effettivamente hanno avuto il
massimo della rappresentazione mediatica.
Con ciò si intende significare che, mentre apparentemente le Nazioni
definite "totalitarie" avevano ai vertici personalità che gli
avversari chiamavano "dittatori", non diversamente i paesi
"democratici" dipendevano integralmente, nelle scelte finali, da
individui "preminenti" destinati ad esporsi in prima persona.
Nei momenti cruciali del XX secolo, infatti, il potere posto nelle
mani di un Churchill o di un Roosevelt fu nettamente superiore alle
disponibilità operative di un Mussolini, o di Hitler, come hanno
dimostrato con chiarezza eventi quali il 25 luglio 1943 e l'8
settembre dello stesso anno, nonchè il 20 luglio 1944.
Questa necessaria centralizzazione decisionale dimostra
inequivocabilmente che, senza peraltro voler sminuire i problemi del
secolo precedente, il XX secolo ha dovuto far fronte ad una quantità
incredibile di situazioni impreviste ed imprevedibili,
intersecantesi fra di loro, e molto difficilmente districabili.
Alcuni fattori devono essere presi in considerazione, proprio perché
difficilmente citati nella letteratura corrente.
Possiamo far risalire la presa di coscienza del secolo, alla fine
ottocento, con la guerra Cino-Giapponese per il protettorato sulla
Corea. Con stupore, l'opinione pubblica euro-americana dovette
prendere atto del risveglio rapidissimo del mondo Asiatico, del
quale battistrada era stato lo sviluppo improvviso di una nazione e
la nascita di una potenza oceanica da quello che fino a poco prima
era stato un isolatissimo Stato feudale.
La batosta inferta alla Russia zarista nello stesso periodo,
costrinse ad un lavoro febbrile tutte le potenze del Globo al fine
di riuscire a fronteggiare il nuovo pericolo. E le persone
lungimiranti, (in quel periodo nasceva anche una nuova scienza
consona ai tempi, la geopolitica), capirono che sarebbe stato
necessario attrezzarsi per i tempi della nuova "Civiltà delle
Macchine".
Per prima fu la Gran Bretagna che interpretò la sconfitta della
flotta russa del Baltico presso Port Arthur come necessità di
trasformazione del propellente per le proprie navi da guerra, l'arma
fondamentale dell'impero marittimo per eccellenza. Fu la fine
strategica del carbone e l'inizio della guerra per il petrolio
(vedi: Von Zischka: "La guerra segreta per il petrolio", Bompiani,
1936).
Contemporaneamente si cominciò a capire che la produzione
industriale delle armi da guerra era un'ulteriore ed irrinunciabile
elemento di potenza.
Questa iniziale intuizione avrà con il primo conflitto mondiale una
terrificante conferma, aumentando a dismisura il potere
dell'industria pesante (vedasi la situazione interna degli USA,
strozzati nella tenaglia fra industria bellica ed industria
dell'usura).
Va da sé, che in questa situazione ne escono avvantaggiati i paesi
ricchi di minerali più o meno preziosi, paesi ricchi di giacimenti
petroliferi (gli USA lucrarono a dismisura nella fornitura di
petrolio e gas agli eserciti alleati durante il periodo di non
belligeranza), e paesi che, come l'Inghilterra, disponevano di una
struttura "imperiale" che garantiva loro di giocare "in casa". In
questo caso, che vale anche per il Belgio ma non per la Germania o
l'Italia, bastava la sicurezza delle rotte marittime e la presenza
di eserciti coloniali, che furono utilizzati anche in Europa. È
pertanto ovvio pensare che il vecchio sistema colonialista inizi a
preoccuparsi per la difesa di una struttura messa in opera, non
senza difficoltà, e basterebbe pensare alle guerre napoleoniche,
contro gli assalti di coloro che, arrivati tardi all'appuntamento,
aspirino a partecipare al banchetto.
E in questo caso occorre pensare anche all'Italia, paese di fresca
unificazione, sotto protettorato della potenza, quella inglese, che
ne aveva assecondato il processo risorgimentale per tenere ancor più
sotto controllo le rotte del Mediterraneo, priva di materie prime e
di ricchezze naturali, ma ricchissima di ingegno e con alto sviluppo
demografico.
Quanto sinora scritto illustra un quadro internazionale
caratterizzato dalle trasformazioni impresse alla storia umana dal
progresso tecnologico.
Tuttavia ulteriori considerazioni devono essere esposte.
Lo shock del primo conflitto mondiale, idest "Lotta di Macchine"
(vedi: E. Junger, "Tempeste d'acciaio" e "Il Lavoratore") impone la
necessità di centralizzare la produzione bellica, anche perché gli
investimenti diventano sempre più massicci e richiedono interventi
pubblici crescenti. Non solo: le strutture produttive si adeguano ad
un sistema di comando di tipo militare, che permette un controllo
sempre più stretto dei lavoratori (tecnici e operai), e le società
civili stesse ricevono l'imprinting delle strutture militari.
Non a caso assistiamo anche a una "militarizzazione figurata", con
gli attivisti dei partiti che vestono una specifica divisa.
Beninteso, questo fenomeno non riguarda soltanto i paesi "fascisti"
o ispirati dal Fascismo, ma anche i paesi cosiddetti "democratici",
come quelli che costituiscono il mondo anglosassone. Dove peraltro
ha sempre comandato, senza interruzioni, un'esigua minoranza di
ricchi borghesi. Inutile aggiungere l'esempio della Russia
bolscevica ove per tutto il periodo della sua esistenza il sistema
si è caratterizzato come un grande campo di concentramento per
l'industrializzazione forzata.
Ricordiamo che nel caso degli USA è la stessa costituzione di quella
Confederazione di Stati, che risale al 1776, a prevedere un solo
presidente con ampia libertà decisionale.
Mentre, grazie al secondo conflitto mondiale, le libertà civili sono
gradualmente, spesso impercettibilmente ridotte, assistiamo
all'ascesa nei posti di comando, degli uomini della finanza. Il
processo di finanziarizzazione dell'economia è indubbiamente
facilitato proprio dalla riduzione dei margini di potere della
"politica" nei confronti di altre potestà tecniche.
Pertanto, l'evoluzione della seconda parte del XX secolo porta alla
ribalta coloro che regolano gli scambi finanziari dell'intero orbe
terracqueo. Siamo alla cosiddetta "globalizzazione". Infatti, non è
concepibile una teoria della globalizzazione senza lo strumento che
la genera: i flussi monetari, gli scambi "virtuali". Pertanto, pur
essendo vero che i finanziatori hanno sempre accompagnato, ma sempre
in disparte, nel tempo storico, le imprese dei potenti e dei
"grandi", nel contesto attuale emerge la forza politica delle
Organizzazioni finanziarie e dei loro uomini di punta (banche, enti
di controllo, fondi), i quali applicano metodi di condizionamento
della vita sociale di tutte le popolazioni del globo basati sulla
tecnica manipolatoria delle Borse (aumento o diminuzione artificiosi
e aleatori del valore dei beni scambiati). Pertanto, uno degli
aspetti maggiormente significativi delle conseguenze "reali" del
secondo conflitto mondiale è costituito proprio dagli accordi di
Bretton Woods (New Hampshire, USA) del 1-22 luglio 1944, FMI, BIRD,
predominio del Dollaro sulle altre valute, e dalla sospensione della
convertibilità del dollaro in oro (Nixon, 15 agosto 1971), con la
crescita del ruolo della banca Mondiale e del FMI, i quali
intervengono d'imperio su tutti i paesi, apparentemente indebitati,
con obbligo di privatizzazione delle imprese statali, tagli alle
spese sociali, agevolazioni varie alla penetrazione delle
Multinazionali. Pertanto, step by step, siamo arrivati all'
instaurazione di una dittatura della banconota e del debito
virtuale, che si estrinseca attraverso l'imposizione fisica nei
gangli vitali dello Stato (ancora di diritto?) di individui che
dipendono integralmente dalle direzioni del marketing finanziario
globalista.
Non sappiamo come inquadrare storicamente la situazione, ma di
certo, la situazione attuale richiede un' attenta valutazione.
Sicuramente viviamo un passaggio cruciale della storia del mondo. LA
TRANSIZIONE DRAMMATICA ALLA QUALE ASSISTIAMO HA TUTTI I CARATTERI
DELLE FASI D'INSTAURAZIONE DELLE NUOVE SOVRANITÀ.
Gli stessi fenomeni si produssero in Italia nel XVI secolo, quando
gli Stati vollero imporre la loro sovranità giuridica ai principi
feudali. Gli Orsini, i Malatesta, i Colonna, pretendevano di avere
diritto di Giustizia sulle loro terre. Non comprendevano
assolutamente nulla dei processi che la Repubblica di Venezia ed il
Papa intentavano loro, e morirono persuasi del loro buon diritto.
Convinti che i nemici volessero sbarazzarsi di loro, (ed era vero…)
raccontando frottole. Gli Orsini, i Malatesta, i Colonna sparirono
come sovrani e i loro discendenti sono divenuti docili sudditi del
Papa e del Granduca di Toscana.
Noi non sappiamo cosa pensano i "banksters" di loro stessi. Non
sappiamo se credono di rappresentare nuove forme di rappresentanza
socio politica, come lo furono i nuovi Stati italiani che
sostituirono i signori feudali. Tuttavia non riteniamo confacente
alla dimensione umana l'assoggettamento ad un anonimo potere
finanziario. Nemmeno per una promessa sub umanità di androidi
prevista dagli scrittori di fantascienza.
CONCLUSIONE: oggi si definisce "antipolitica" quei gruppi di persone
che lottano contro il potere finanziario, ormai senza freni di
carattere morale o giuridico.
In realtà l'antipolitica è proprio questo ANTIPOTERE (definito
antipotere perché privo di qualsiasi legittimità, tanto da dover
essere imposto con la truffa ed il raggiro). Ma per seguire nel
dettaglio le tappe che hanno portato, attraverso due secoli di
scontri e di lotte, alla situazione attuale, occorre leggere con
molta attenzione il libro di Gian Paolo Pucciarelli.
Giorgio Vitali |
Novecento segreto
- stralci -
Gian Paolo Pucciarelli
Capitolo I
Sotto il Segno dello Scorpione
Nell'agosto del 1991 i moscoviti non pensavano di dover maledire Gorbacev e la
perestroika per il resto della loro esistenza e tanto meno di ricevere in premio
disoccupazione e miseria per il contributo di sangue da essi preteso, prologo e
corollario delle previste esequie del PCUS e, poco più tardi, dell'ingombrante e
anacronistica Unione Sovietica. La sommossa popolare di Mosca doveva riprodurre
il raccapriccio di Piazza Tienamen e Timisoara, del resto atteso dal cranio
calcolatore di Milton Friedman, come effetto collaterale di una vasta manovra,
tesa a introdurre l'economia di mercato in estremo Oriente, nell'Est europeo e
nel paradiso perduto dei Soviet.
Come la protesta cinese e romena, quella sollevata al cospetto del Cremlino
chiedeva il rispetto che sarebbe stato giusto riconoscere al sacrificio di tre
generazioni, disposte a patire fame e carestie e a farsi massacrare in pace e in
guerra, ma riluttanti e certamente impreparate ad affrontare la forza d'urto del
capitalismo, quando questo volesse dire recessione e perdita del potere
d'acquisto della propria moneta. A tutto ciò si aggiungevano i frantumi di
troppi sogni infranti e la convinzione che, tutto sommato, il rigore dispotico
di Ceausescu, di Mao e Den Xiaoping e i "benefici" dell'economia pianificata,
fossero preferibili a un futuro incerto, per quanto battuto qua e là da soffi di
un presunto buon vento democratico.
Allora forse non sfiorava nemmeno le menti di Eltzin e del fido Putin (già
impegnate nel progetto mondialista) il sospetto che non bastassero la glasnost e
una rinnovata Duma, né la messinscena di un colpo di stato, a convincere il
popolo russo che non fosse in atto la costruzione di un'altra, meno visibile,
tirannia. Di quest'ultima i dimostranti moscoviti sopportavano gli effetti, come
l'inflazione al 23%, la mancanza di generi alimentari e di prima necessità,
l'assenza assoluta di qualsiasi opportunità di lavoro, per cui non pareva tanto
lecito mandare a quel paese Marx e la teoria del plusvalore. Evidentemente
ignari del fatto che dal 1990 si stavano riversando sulla Russia valanghe di
rubli, per farne precipitare la già precaria economia, i russi si sarebbero
trovati in mano moneta svalutata e quasi inservibile, senza sapere a chi
attribuirne la colpa. Serio problema, ingigantito allora, ma permanente anche un
decennio più tardi, quando il virtuale ingresso della Russia nella NATO, sarebbe
coinciso con l'attesa crescita del PIL russo, effetto della concordata presenza
di Gazprom sul mercato europeo, allorché proprio l'Europa occidentale diventava
la destinataria di quei gravami sociali (come i flussi migratori dalle aree
d'oltre cortina dimostravano) che appesantivano il passo della ripresa economica
russa, peraltro accompagnata dalle inesauste e giustificate proteste popolari
non sempre controllate all'interno della Federazione Russa dalle squadre
antisommossa di Putin.
Nel 1991 dunque, l'Unione Sovietica, fra delusioni e sorprese, sarebbe anch'essa
diventata… inservibile, perché si riteneva esaurita la carica persuasiva
dell'utopia marxista e superflua la funzione che essa avrebbe svolto nel periodo
della Guerra Fredda. Anche se reso, sulle prime, illeggibile dalla diffusa
retorica del comunismo, destinata, in Russia e altrove, a ottenere il plauso e
l'adesione di vaste masse popolari, il piano rivoluzionario proclamato da Marx
in realtà avrebbe avuto altri scopi, più tardi emersi, quando sarebbe venuto a
mancare il senso stesso di una missione politica dagli esiti improbabili e
sempre più incerti. Sfumato anche il proposito di mantenere le promesse di una
rivolta planetaria, condotta in nome e per conto di una mera astrazione, si
sarebbero moltiplicati i dubbi di chi si chiedeva fin dall'inizio quale
antropomorfa dittatura o meno definibile sistema autoritario, avrebbe infine
sostituito il Proletariato, chiarendo i ruoli di Lenin e dei Bolscevichi, i fini
non dichiarati dei piani quinquennali e dello stesso dispotismo staliniano,
propenso a espandere (contrariamente alle promesse dei tempi difficili) il
sistema sovietico e il comunismo, col solo mezzo che rendesse possibile la
realizzazione di un piano globale: la guerra.
Lo stesso compito (assunto e dichiarato) di condurre una rivoluzione mondiale
non avrebbe ammesso, del resto, condizioni di pacifica convivenza, ma preteso
invece il sistematico ricorso allo scontro armato e all'aggressione, che la
stessa etica rivoluzionaria marxista avrebbe pienamente giustificato.
L'occupazione del territorio altrui, necessariamente connessa al piano di
esportazione del comunismo, avrebbe anche previsto lo scaltro uso della guerra…
degli altri. La strategia adottata, in tal caso, sarebbe stata attendista:
qualunque ne fosse stato l'esito, la guerra avrebbe indebolito le forze dei
paesi belligeranti, facendone obiettivi delle mire sovietiche e terreno ideale
per accendervi focolai rivoluzionari, indispensabili alla successiva invasione
dell'Armata Rossa.
Yuri Lina - Le confessioni di un estone
La storia dell'URSS, fra orrori e repressioni, avrebbe quindi seguito un proprio
corso, all'insegna di una rigida segretezza, necessaria a svolgere i ruoli ad
essa assegnati nel primo e nel secondo dopoguerra, e a nascondere un dato
costante dei suoi bilanci economici dal 1923 al '91: il primato assoluto delle
spese per gli armamenti. Così sarebbe gradualmente emerso, non certo grazie alla
glasnost, che la percentuale del prodotto interno lordo dell'Unione Sovietica,
destinata alla fabbricazione e all'acquisto di armi, non è mai scesa, dalla sua
costituzione fino al suo (presunto) "decesso", al di sotto del 35%. Un primo
"messaggio di pace" ai popoli della Terra lo avrebbero tuttavia lanciato Lenin
nel '22 e Stalin nel 1927, quando quest'ultimo, mettendo in pratica le idee del
predecessore, inaugurò i tre piani quinquennali (1927-1942) che avrebbero
provocato in Unione Sovietica le carestie degli anni Venti e Trenta e portato le
spese per gli armamenti a superare talvolta il 50% del PIL sovietico. Chi non
credesse attendibili queste cifre, può chiederne conferma all'estone Yuri Lina,
autore del saggio che reca il titolo "Under the Sign of the Scorpio", il quale,
documenti di Cremlino e Lubianka alla mano (pubblicati da "Pravda" e "Isvestia"
in tempi non sospetti e dunque non soggetti a cancellazioni o smentite), può
provare che corrispondono al vero.
Nella stessa opera si trovano numerose indicazioni utili a chiarire, fra
l'altro, il fine implicito del collettivismo sovietico e a comprendere realmente
perché fosse stato necessario ricorrere a metodi brutali e sanguinari per
imporre il sistema economico pianificato e proclamarne l'infallibilità. Lo
stesso autore conferma che la propensione a riservare una cospicua percentuale
del bilancio alla costruzione e all'acquisto di armi, sarebbe stata
riconducibile al compito istituzionale, attribuito all'Unione Sovietica, fin
dalle sue origini. Tale inclinazione offensiva, implicitamente riconosciuta
nelle stesse attività del Comintern (il sostegno finanziario elargito dai
sovietici ai rivoluzionari comunisti nella Germania del 1923, ne sarebbe stato
un primo chiaro esempio; seguito nel 1936 dall'appoggio militare e logistico che
Stalin generosamente concesse ai repubblicani filo marxisti durante la guerra di
Spagna) si sarebbe in particolare manifestata il 17 settembre 1939, quando il
leader sovietico ordinò all'Armata Rossa di occupare il territorio polacco fino
al corso della Vistola, nel quadro di un progetto di espansione comunista, che
avrebbe previsto in tempi brevi l'invasione sovietica della Germania, unico e
vero scopo, secondo la strategia staliniana, della sottoscrizione del noto patto
Ribbentrop-Molotov.
The Icebreaker
Nell'opera che reca il titolo "Ledokol" (Rompighiaccio, in russo), Victor
Suvorov, alias Vladimir Rezun, già ufficiale del sovietico GRU (Glavnoe
Razvedyvatelnoye Upravlenie - Direzione delle Informazioni Militari), sostiene
che le intenzioni bellicose di Stalin, del resto accertate due mesi dopo con
l'aggressione sovietica della Finlandia, sarebbero state chiaramente espresse
all'indomani dell'accordo stipulato coi Nazisti il 23 agosto del fatidico anno
1939, quando negli ambienti riservati del Cremlino il leader sovietico avrebbe
ampiamente discusso i segreti risvolti del patto stesso, evidentemente ignorati
dalla controparte germanica. L'autore di "Ledokol" (l'unica edizione italiana è
stata pubblicata nel 2000 col titolo "Stalin, Hitler e la Rivoluzione Bolscevica
Mondiale"), sottolinea infatti gli aspetti della singolare relazione stabilita
tra Hitler e Stalin, utile in gran parte a semplificare il compito che,
soprattutto in quella particolare occasione, l'Unione Sovietica avrebbe dovuto
svolgere. Secondo Suvorov, il patto di non aggressione avrebbe permesso al
leader sovietico di ordinare la mobilitazione generale fin dal settembre del
1939 e di predisporre il dislocamento di 160 divisioni dell'Armata Rossa lungo i
confini occidentali dell'URSS (Carelia, Repubbliche Baltiche e territorio
polacco situato a est della Vistola), in attesa del colossale attacco che Stalin
avrebbe poi sferrato contro la Germania. A tale scopo, il Capo supremo del
Cremlino avrebbe ordinato, nel gennaio del '40, il richiamo di un milione di
riservisti, portando a 3.500.000 il numero dei combattenti dell'Armata Rossa
(giunta così a costituire, con i 7.500 carri armati e i 6.000 caccia bombardieri
a sua disposizione, una potenza bellica senza uguali nel mondo) e incaricato il
maresciallo Georghy Zhukov di definire il piano di invasione della Germania,
detto anche Operazione "Groza" (Tempesta), da attuarsi non più tardi del 15
giugno 1941. L'ex agente del GRU, evidentemente propenso ad esporre gli
avvenimenti successivi alla data del 23 agosto 1939, secondo la visuale dello
stratega militare e a trascurare più del dovuto i risvolti politici sottostanti
al patto di non aggressione (cautela derivante forse dal timore di compromettere
le proprie relazioni con lo Stato occidentale che gli avrebbe poi offerto asilo
politico), descrive dettagliatamente i preparativi dell'attacco sovietico che
Stalin avrebbe scatenato contro la Germania di Hitler, non appena quest'ultima
(impegnata a condurre la guerra sul fronte occidentale, grazie anche alle
forniture di materie prime e petrolio, concesse al Reich dalla stessa Unione
Sovietica) avesse manifestato i primi segni di cedimento e dimostrato di non
poter sostenere l'impegno bellico su un doppio fronte.
A sostegno delle tesi esposte nel suo "Rompighiaccio" e ribadite nei successivi
lavori ("M-Day", "The Chief Culprit", "The Last Republic"), Suvorov cita più
volte il discorso (pubblicato da "Isvestja" nel 1994) che Stalin tenne nel
maggio del 1941 ai neo ufficiali dell'Accademia militare di Mosca. Occasione in
cui il leader sovietico manifestò l'intento di dare attuazione al più presto al
piano di conquista dell'Europa, attaccando prima la Germania. Le intenzioni di
Stalin, di cui il Fuhrer ebbe certezza solo nell'autunno del '40, avrebbero
indotto quest'ultimo a emettere, nel dicembre dello stesso anno, la direttiva n.
21, tesa a disporre un piano di contenimento dell'ormai sicuro attacco
sovietico, che il massiccio schieramento delle divisioni corazzate dell'Armata
Rossa lungo il fronte nord occidentale faceva ritenere assai prossimo. I timori
del Fuhrer sarebbero stati giustificati, considerando per lo meno improbabile
che la strategia militare, allora corrente, avesse suggerito questa disposizione
delle truppe sovietiche a soli scopi difensivi. Il contemporaneo impegno delle
forze armate germaniche in Nord Africa, in Europa e nei Balcani, avrebbe poi
indotto Stalin a stabilire la data d'inizio dell'Operazione Tempesta nel 15
giugno 1941, termine, consigliato da Zhukov, entro il quale l'Armata Rossa
avrebbe dovuto attaccare la Prussia Orientale e procedere all'occupazione
dell'intera Germania, se l'imprevisto volo di Rudolph Hess in Scozia del maggio
precedente non avesse causato le perplessità di Stalin e destato in lui il
dubbio (poi infondato) che la Gran Bretagna, grazie all'intervento del Vice di
Hitler, stesse concludendo trattative di armistizio con il Reich Tedesco.
Eventualità che avrebbe costretto Stalin a rivedere interamente i suoi piani e a
rinviare al successivo 6 luglio l'invasione della Germania. Il fatto avrebbe
permesso a Hitler di anticipare le mosse di Stalin, ordinando l'attacco
preventivo del 22 giugno 1941, nel disperato tentativo di salvare la Germania
dall'ormai certa occupazione sovietica. L'avvio dell'Operazione Barbarossa
sorprese Stalin, solamente perché il leader sovietico era fermamente convinto
che Hitler, vista la sostanziale inferiorità delle sue truppe rispetto alle
quelle sovietiche (ben sette volte superiori in numero e mezzi), avrebbe atteso
tempi migliori per impegnarsi su un doppio fronte. Lo stesso Suvorov definirà
l'Operazione Barbarossa "Suicidio" (Samoubyistvo in russo), titolo del libro che
egli completerà nel 2001, nel quale avrà modo di dimostrare che la sopravvivenza
della Germania dipendeva esclusivamente dal preventivo attacco a sorpresa che il
Fuhrer fu costretto a sferrare il 22 giugno 1941 contro soverchianti forze
sovietiche.
In tale circostanza, l'Armata Rossa avrebbe mostrato il proprio punto debole
precisamente nella disposizione offensiva delle proprie truppe, preparate
all'attacco e per questo schierate lungo le linee del nuovo confine con il Reich
tedesco, lasciando sguarniti i settori del territorio sovietico interno,
destinati invece a fronteggiare l'urto della blitzkrieg nazista. "The Icebreaker"
avrebbe dunque tentato di alzare il velo sulle relazioni tedesco-sovietiche che
precedettero l'Operazione Barbarossa e sui motivi che ne furono alla base,
allorché Victor Suvorov, nel 1987, ritenne, forse troppo temerariamente, che i
tempi della glasnost avrebbero permesso al suo libro di iniziare una graduale
opera di esumazione dei segreti del sovietismo, utile a confermare le
inclinazioni aggressive di Stalin, particolarmente evidenti nel periodo che
precede la Seconda Guerra Mondiale. Sebbene "il Rompighiaccio" abbia
inizialmente suscitato perplessità (vedi il libro "The Grand Delusion" di
Gabriel Gorodetsky), alimentate del resto dalla persistente propaganda di regime
anche dopo il crollo dell'Unione Sovietica, le rivelazioni di Suvorov sembrano
aver acquisito ulteriore merito, in considerazione del procedimento giudiziario
promosso dal tribunale speciale contro l'autore, accusato di alto tradimento dal
governo dei soviet e condannato alla pena di morte, tuttora pendente sul
colpevole, malgrado le presunte trasparenze, talvolta concesse ai mezzi
d'informazione della Federazione Russa.
Le opere di Suvorov, che tarda accoglienza avrebbero trovato nell'editoria
anglosassone, nonostante storici russi del calibro di Boris Sokolov, Alla
Paperno e scrittori come Alexander Solzhenytzyn ne raccomandassero una rapida
divulgazione in occidente, avrebbero invece destato vasta eco in Germania
(ovviamente), ottenendo conferme e sostegno da Joachim Hoffmann, autore
dell'opera "Stalins Vernichtungskrieg" (Stalin's War of Extermination - The
Stalin's Plan To conquer Europe), lettura essenziale per la comprensione delle
cause del secondo conflitto mondiale, insieme a quella dei libri scritti sullo
stesso argomento dall'austriaco Ernst Topitsch. Tutto ciò avrebbe permesso, se
non altro, di avanzare seri dubbi sulla tradizionale immagine, artificialmente
costruita, di una pacifica Unione Sovietica, vittima della criminale aggressione
nazista.
Gli storici rapporti fra Stati Uniti e la Russia zarista
Dalle opere sopra descritte, che offrono abbondante documentazione sulla
sostanziale inclinazione sovietica a fare la guerra, si può trarre conferma che
l'URRS fu creata e continuamente sostenuta per svolgere una fondamentale
funzione politica-militare, tesa a contrastare sul nascere la costituzione di
"Centri" autonomi di potere economico in Europa e in Estremo Oriente. Opinione
condivisa da Albert Loren Weeks nel suo libro "Russia's Life Saver", in cui
l'autore americano mette a fuoco il secolare sodalizio, costituito tra la Russia
Zarista e gli Industriali statunitensi, nella prima metà dell'Ottocento, per
consolidarsi, nel corso della Guerra Civile americana. In tale epoca infatti lo
Zar Alessandro II avrebbe offerto determinante sostegno agli Stati Unionisti,
ponendo le basi di una lunga relazione economica che, nel corso dei successivi
decenni, si sarebbe ulteriormente intensificata. Esemplare a questo proposito
sarebbe stata, nel 1867, la rapida conclusione delle trattative per l'acquisto
dell'Alaska da parte degli Stati Uniti (piano Seward), raccomandato con
insistenza alla Casa Bianca dai Signori di Wall Street, con l'ossequioso
appoggio del Congresso. Nelle previsioni almeno, questo avrebbe permesso di
creare una via di comunicazione meno tortuosa tra gli Stati Uniti e la Russia,
concentrando nel porto di Vladivostok il maggior flusso delle merci, per
soddisfare le esigenze connesse con l'intensificarsi degli scambi commerciali e
delle attività finanziarie americane in Russia, che i piani zaristi di sviluppo
della rete ferroviaria e dell'agricoltura intendevano promuovere, col
determinante sostegno finanziario dei Gruppi Vanderbilt, Rockefeller, Morgan e
Carnagie. L'importante nodo di Vladivostock (capolinea fra l'altro della
Ferrovia Transiberiana e principale punto di arrivo del materiale bellico,
inviato da Washington ai sovietici per sostenere lo sforzo della grande e poi
vittoriosa "guerra patriottica" del 1941-'45) sarebbe stato, nel frattempo,
oggetto delle mire giapponesi, tese a contrastare lo sviluppo di questa rotta
commerciale sul Pacifico, che evidentemente comprometteva gli interessi del Sol
Levante.
I cosiddetti Wall Streeters, già padroni della Federal Reserve Bank of New York,
avrebbero in seguito deciso di favorire l'instaurazione in Russia di un regime,
al quale il popolare consenso avrebbe attribuito una straordinaria solidità,
indispensabile a neutralizzare le velleità espansionistiche di Nicola II e a
costituire un argine contro l'imperialismo giapponese, ma soprattutto a
garantire gli enormi interessi americani, di natura economica e finanziaria,
negli sconfinati territori della Russia zarista.
L'impero finanziario di Wall Street, non avrebbe dimenticato nell'occasione di
evitare che la secolare e feconda cooperazione russo-americana, fosse in futuro
turbata da probabili e sgradite interferenze europee, in particolare,
germaniche; in considerazione delle avanzate tecniche di cui disponevano i
tedeschi, naturalmente orientati a penetrare nel retrogrado sistema economico
della Russia zarista. Nel 1914 dunque, in attesa del generale coinvolgimento
delle Potenze europee nel primo conflitto mondiale, la Power Elite Finanziaria,
operante negli Stati Uniti attraverso la Borsa newyorkese, avrebbe messo a punto
un piano di finanziamenti, stanziati a favore della Rivoluzione Bolscevica,
applicando i criteri del neonato Federal Reserve System, (vedere in proposito il
volume di Anthony Ciryl Sutton "Wall Street and the Bolshevik Revolution",
Buccaneer Books, New York, 1974) ed elaborato un sistema di pluriennali sostegni
finanziari da far pervenire al governo dei soviet, affinché quest'ultimo potesse
attuare al suo interno un sistema di economia chiusa e sviluppare un programma
di potenziamento degli armamenti, adeguato al compito che avrebbe dovuto
svolgere. Restando tuttavia da accertare il non secondario fine, opportunamente
mascherato dall'ambiguo pensiero marxiano, che l'Unione Sovietica avrebbe fra
l'altro dovuto perseguire, non certo nell'interesse del proletariato: la
costituzione di una società collettivista globale, fortemente auspicata dai
Centri del potere finanziario statunitense e dal "braccio esecutivo" di
quest'ultimo, detto anche "International Corporate Banking". Questa prospettiva
avrebbe determinato le svolte nella politica internazionale, auspicate nel 1919,
in occasione della Conferenza di Parigi, dal governo degli Stati Uniti, propenso
a ridefinire, in via preliminare, l'aspetto geopolitico euroasiatico,
privilegiando gli obiettivi del Capitalismo Finanziario Monopolistico
angloamericano, che consistevano precisamente nell'acquisire il controllo delle
fonti energetiche e nel sottoporre gli sviluppi delle economie mondiali al
proprio insindacabile arbitrio.
Capitolo II
Il nuovo strumento della "Power Elite Capitalistica"
L'Europa, appena uscita dalla Prima Guerra Mondiale, rappresentava il principale
campo d'azione dell'Impero Finanziario newyorkese, autentico coordinatore,
attraverso la borsa di Wall Street, del flusso di capitali destinati alla
ricostruzione postbellica del Vecchio Continente. Le Corporations di matrice
statunitense, miranti ad acquisire il controllo dell'economia europea,
stabilivano nel dollaro la moneta di riferimento delle transazioni
internazionali, legate al costo dei prodotti petroliferi. La Bank of England,
sotto la regia di Casa Rothschild, si poneva al servizio della Corona inglese,
più incline a seguire i consigli dei Finanzieri internazionali che a garantire
autonomia politica in seno alle Camere dei Lord e dei Comuni, dimostrando come i
centri chiave della politica di Washington dipendessero dalle attività febbrili
delle Accepting Houses londinesi e quanto logore fossero le parvenze d'un
sistema democratico parlamentare in stridente contrasto col regime monarchico.
Ma il fatto nuovo che l'Impero Britannico avrebbe dovuto accettare nel contesto
politico del dopoguerra era la presenza di una Unione di Stati guardiani,
costituita con il preciso compito di impedire che in Europa e in Asia si
formassero sistemi economici indipendenti, o comunque non soggetti al controllo
del Capitalismo Finanziario d'oltreoceano, alias International Corporate
Banking. Il ruolo svolto dall'URSS, avrebbe assunto estrema importanza nei
rapporti, stabiliti tra Gran Bretagna e Stati Uniti, in base ai quali si
sarebbero definite nuove aree di influenza nel versante atlantico e nel
Pacifico, e ribadito l'irrinunciabile diritto inglese al controllo del
Mediterraneo, a guardia del quale sarebbe stato costituito lo Stato ebraico in
Palestina, garante fra l'altro delle pretese avanzate dalle Compagnie
petrolifere americane sui territori del Medio Oriente e del Golfo Persico. Già
in fase di progetto, la costituzione dello Stato di Israele assumeva
inestimabile portata dal punto di vista economico, risultando poi determinante
nel condizionare le relazioni politiche internazionali, volte a trovare un senso
e una giustificazione, solo ove e quando esse servissero ad affermare l'idea di
potenza, legata all'imprescindibile diritto di prevalere sugli altri, grazie a
mezzi finanziari adeguati e al controllo quasi assoluto delle fonti energetiche.
The Hidden Tiranny
Nel nuovo scenario politico del dopo Versailles, assume dunque rilievo, analogo
a quello attribuito alla "Russia Bolscevica", il progetto di costituzione dello
Stato ebraico in Palestina, degno probabilmente di scarsa notorietà alla
Conferenza di Parigi e cautamente omesso dal Presidente degli Stati Uniti,
Woodrow Wilson, nell'enunciazione dei celebri "Quattordici Punti", essenziale
catechismo da apprendere e seguire, da parte di chiunque, in un modo o
nell'altro, si trovasse alla guida di governi e popoli nell'auspicato, futuro
"mondo di pace". È forse il caso di aprire una parentesi, semplicemente per
riportare il punto di vista di un ebreo americano, che a suo tempo faceva parte
dell'Organizzazione Sionista Mondiale, di cui egli fu socio fondatore, insieme a
Theodor Hertzl, nel 1898. Costui, in un suo volumetto di una cinquantina di
pagine scritto negli Anni Trenta, rende noto, a tutti coloro che potrebbero
essere interessati all'argomento, più o meno, quanto segue: «Gli accordi
relativi alla fondazione di uno Stato ebraico in Palestina, in chiaro contrasto
con gli interessi delle popolazioni islamiche palestinesi, sarebbero stati
sottoscritti in forma ufficiosa, nel dicembre del 1916, dal premier inglese
David Lloyd George e da Woodrow Wilson, in seguito a non meglio precisate
pressioni, esercitate sul presidente americano da tale Samuel Untermeyer,
titolare di un potente studio legale newyorkese ed esponente di spicco
dell'Organizzazione Sionista Mondiale, il quale avrebbe assicurato (bontà sua!)
l'intervento degli Stati Uniti nel primo conflitto mondiale a fianco della Gran
Bretagna, a condizione che il governo inglese "garantisse" la futura fondazione
dello Stato di Israele. Il felice esito di questi accordi (gli Stati Uniti
intervennero nella Prima Guerra Mondiale il 6 aprile 1917), legittimati più
tardi nella nota Dichiarazione Balfour del 2 novembre, sarebbe però dipeso in
massima parte, da un'altra, apparentemente curiosa, intesa, raggiunta in
singolare coincidenza con la garanzia che i britannici furono costretti a
offrire per il costituendo Stato ebraico: l'intesa "giudaico-bolscevica"».
Il libretto in questione che reca il titolo di "Zionism - The Hidden Tiranny",
non è altro che la confessione di Benjamin Freedman (questo il nome
dell'autore), il quale sostiene che l'Unione Sovietica (la cui costituzione
avrebbe dovuto essere preliminare alla fondazione dello Stato ebraico in
Palestina) sarebbe stata una creatura del Potere Finanziario Ebraico (detto
anche Talmudista), imperante negli Stati Uniti fin dai tempi della guerra civile
americana e teso a condizionarne la politica, al fine di estendersi e acquisire
l'assoluto controllo della finanza internazionale, dei mezzi d'informazione e
comunicazione, delle risorse energetiche e di ogni sistema produttivo. L'autore,
lasciando intuire i probabili motivi dell'insospettabile sodalizio, in via di
costituzione fra sovietici ed sionisti-americani, riferisce circostanze e
dettagli di un finanziamento di 20 milioni di dollari fatto pervenire nella
primavera del 1917 dal banchiere ebreo Jacob Schiff a Lenin e Trotzski, per
instaurare in Russia il governo rivoluzionario bolscevico. Conferme dei
successivi e costanti aiuti finanziari disposti da Wall Street a favore del
governo dei Soviet ci giungono dal già citato Anthony Cyril Sutton, il quale
fornisce indiscutibile documentazione e copie delle ricevute bancarie
(conservate negli archivi del Dipartimento di Stato) attestanti i trasferimenti
di denaro a favore dell'Unione Sovietica, disposti per il tramite della borsa
newyorkese. L'analisi delle opere scritte sullo stesso argomento da autori come
i già ricordati, Yuri Lina (Under the Sign of the Scorpio e Architects of
Deception), Albert Loren Weeks (Russia's Life Saver) e Joachim Hoffmann (Stalin's
War of Extermination), oltre a quella di Myron Fagan (The Federal Reserve and
the CFR) consentono di elaborare un quadro abbastanza verosimile delle funzioni
"implicite" svolte dall'Unione Sovietica nella realizzazione del proprio compito
istituzionale. Per la Finanza Capitalista, esportare il comunismo significava
soprattutto creare le condizioni che avrebbero giustificato il successivo
intervento liberatore delle cosiddette forze democratiche o, più verosimilmente,
dei governi che per tradizione si fossero arbitrariamente attribuite le capacità
di rappresentarle. Il crollo dell'Unione Sovietica avrebbe così, fra l'altro,
rivelato lo scopo del confronto fra le due Superpotenze e i prevedibili sviluppi
del cosiddetto bipolarismo, tali da rendere evidente il tracciato del
costituendo nuovo ordine mondiale.
Il Federal Reserve System e la costituzione dell'URSS - Due buoni motivi per
far scoppiare una guerra mondiale
Il "Quarterly Journal of Economics", in un articolo pubblicato a Washington nel
mese di Aprile del 1887, rileva l'insostenibile debito pubblico dei Paesi
europei, formulando l'auspicio d'un urgente risanamento dei loro bilanci,
esplicitamente espresso nel seguente monito: «Le finanze d'Europa sono a tal
punto compromesse dall'indebitamento generale che i governi dovrebbero chiedersi
se una guerra, malgrado i suoi orrori, non sia preferibile al mantenimento di
una precaria e costosa pace».
Fra lo sconcerto generale che, come si può supporre, il menzionato articolo ebbe
allora modo di provocare, si apprendeva che le Potenze Europee, sottoposte a
rigidi vincoli finanziari, perché debitrici, sarebbero state costrette a seguire
fra il 1887 e il 1914 determinati orientamenti politici tali da condurre a un
conflitto senza precedenti nella storia, allo scopo di pagare il loro debito
pubblico (public debts of Europe (sic)). In breve la guerra (mondiale) sarebbe
stata la sola alternativa alla bancarotta.
Il "trimestrale", destinato a diventare prestigioso negli ambienti economici
internazionali, attribuiva l'origine del colossale debito pubblico europeo
(qualcosa come 5.300 milioni di dollari di allora da pagare annualmente in linea
interessi) alle allegre gestioni dei cosiddetti "sinking funds" (fondi
governativi, costituiti a garanzia dei bonds emessi dallo Stato), omettendo di
precisare che proprio questi sono parte fondamentale del meccanismo adottato dal
Sistema Bancario Internazionale per indebitare i governi e dichiararli
insolventi, quando il prelievo fiscale non sia più sufficiente a rimborsare (in
linea capitale e interessi) il "prestito" loro concesso. La tecnica, dell'Investment
Banking, prevede fra l'altro la "mobilizzazione del credito", cioè il
reinvestimento dei fondi (attraverso i servizi della Banca Centrale), e
particolare attenzione alle procedure di ammortamento cui sono soggetti gli
strumenti (per esempio gli armamenti) che il debitore ha acquisito, grazie al
prestito concessogli. Nell'Europa d'inizio Novecento il clima politico, carico
di tensioni, sembrava prossimo a scatenare la tempesta, del resto annunciata da
fermenti rivoluzionari e pressanti rivendicazioni delle forze sociali, restando
alle diplomazie il merito di aver riconosciuto il diritto di autodeterminazione
dei popoli, senza ledere naturalmente certi privilegi imperialistici.
Circostanza da cui emergeva la necessità di provvedere comunque all'incremento
delle spese per la difesa, malgrado il già insostenibile debito pubblico o,
viceversa, proprio in conseguenza di questo. Le banche (internazionali e/o le
affiliate, operanti nei rispettivi paesi), erogatrici del prestito, intendevano
in ogni caso tutelare il proprio capitale investito con il reintegro e
l'aggiornamento degli armamenti, resi obsoleti dal rapido sviluppo industriale,
suggerendone in molti casi l'urgente impiego. Anche l'industria pesante si
sarebbe adeguata al nuovo indirizzo, che obbligava i governi a disporre
conversioni della produzione economica, da cui le banche avrebbero tratto doppio
profitto, in previsione e nel corso dell'eventuale conflitto (acquisto di armi)
e nella fase successiva alla fine delle ostilità (ricostruzione). Il Sistema
Bancario Internazionale agiva in perfetta simbiosi con le proprie affiliate
(acciaierie, chimica, munizioni) formando l'efficiente struttura
finanziaria-industriale, chiamata anche "Conglomerate" o "Corporate Banking",
tesa ad alimentare ostilità di vecchia data nel teatro europeo e a seminare
discordie col volontario aiuto delle diplomazie.
Gli effetti dell'influenza esercitata sui governi dalle banche internazionali
sono evidenti in particolare nel cruciale periodo 1907-1914 (crisi finanziaria,
intrighi a non finire intorno alla Anglo Persian Oil Company, piano di
saccheggio del dissolvendo Impero Turco Ottomano, costituzione del Federal
Reserve System) durante il quale si osservano chiari segnali dell'imminente
conflitto. In questo scenario, la Gran Bretagna intende consolidare il proprio
impero (India) e affermare il proprio dominio sugli oceani, senza dimenticare
l'influenza finanziaria che essa esercita, grazie alla Bank of England, sulla
sua ex colonia nordamericana, gli Stati Uniti d'America, attraverso il binomio,
all'epoca costituito fra Re Giorgio V e Leopold Rothschild della Rothschild
House di Londra (che a sua volta si avvale dei propri agenti negli States,
Morgan e Rockefeller). Principale antagonista della Gran Bretagna è la Germania
del Kaiser Guglielmo II (nipote del Re inglese Edoardo VII), incline a
potenziare la flotta per la conservazione delle proprie colonie e a non
rinunciare alle aspirazioni germaniche sui territori dell'Impero Turco Ottomano.
Spinta dal revanscismo, dopo la sconfitta nella guerra franco prussiana, la
Francia è acerrima nemica della Germania per l'eterna contesa dell'Alsazia-Lorena.
L'Italia giolittiana, concluso a suo vantaggio nel 1912 la guerra con la Turchia
per la Libia, si annovera fin dal 1850 fra i migliori clienti di Casa
Rothschild, cui si dovrebbe, secondo alcuni, grazie ai pluriennali finanziamenti
ai Savoia, la sospirata Unità Nazionale. Il quadro non è completo. Manca la
Russia zarista, che nello scenario prebellico costituisce un caso a parte, se
vogliamo credere a chi sostiene che tra gli equivoci delle Tesi su Feuerbach e
le proteste sociali dell'epoca c'era di mezzo, come sempre… la Banca. Vale a
dire che si può anche pagare lautamente l'aria fritta, purché, rivenduta in
forma d'ideologia, svolga opportune funzioni livellatrici, determinando
illusioni sufficienti a preferire alla fame i presunti benefici dell'economia
collettiva. Ciò significa fra l'altro che la diffusione di un ideale
rivoluzionario e l'indebitamento generale sono mezzi giustificati dallo stesso
fine: il controllo delle masse. Nel contesto, il ruolo della "Banca" si svolge
secondo le regole del già citato "Sistema" che comprende l'Istituto di emissione
(Banca Centrale), le Banche d'investimenti, le Banche commerciali e l'intera
rete delle banche locali. Il sistema, operante attraverso articolazioni
nazionali, dovrebbe adeguarsi alla politica economica dei singoli Paesi, secondo
le direttive impartite alla Banca Centrale dai Ministeri di Economia, Tesoro e
Finanze. Ma così non avviene, perché la Banca Centrale controlla lo Stato,
invece di essere da questo controllata. Questo succede perché il capitale di
maggioranza dell'Istituto di Emissione è in mani private, dietro le quali
operano tranquillamente le Banche d'Investimenti Internazionali. È del resto
quanto precisamente prevede una "clausola" del contratto di prestito erogato
dalle Investment International Banks, per cui il ruolo dell'"Istituto di
emissione" diviene ad esse subalterno. Questo è determinato dalla progressiva
cessione di quote o azioni del proprio capitale, pretesa ogniqualvolta le Banche
d'Investimento internazionali erogano un prestito a favore dello Stato
(procedura che può facilitare in tempi brevi l'acquisizione dell'intero capitale
della Banca Centrale - vedi al proposito il caso dell'odierna Bankitalia).
Il creditore dello Stato (la Banca finanziatrice che detiene in garanzia beni
dello Stato, oltre a gran parte dei bonds dallo stesso emessi per un valore
uguale alla circolante moneta) può dunque pretendere il rimborso del prestito,
quando a suo giudizio, il debito pubblico diventasse insostenibile. In tal caso
la dichiarazione d'insolvenza permetterebbe al creditore di pretendere
l'immediato rimborso del prestito, obbligando il governo ad adottare idonee
misure finanziarie o, in alternativa, iniziative della politica estera miranti a
creare nuove opportunità d'investimento, che prevedono fra l'altro il ricorso al
più efficace degli strumenti finanziari, la guerra.
Nell'inverno del 1914, divenne urgente rispettare le scadenze, sotto la
minaccia, incombente su molte teste coronate dell'Europa di allora, di veder
confiscati i propri tesori, ben custoditi nei forzieri delle Banche londinesi,
aderenti al "Sistema delle Banche Internazionali".
Il caso dei Romanov è significativo.
Vale la pena al proposito osservare lo sviluppo delle relazioni anglo-russe a
cominciare dal 1876, anno in cui si costituiscono a Londra, grazie anche agli
introiti della Società del Canale di Suez (finanziata al 50% dalla Rothschild
Bank che acquista un anno prima per conto della Corona inglese la quota
egiziana, pagando 4 milioni di sterline a Ismail Pascià), quelle che saranno poi
chiamate "Accepting Houses", speciali organismi bancari, affiliati alla Hambros
e alla Rothschild Bank, che avranno il compito di amministrare il mercato dei
bonds o obbligazioni emesse dallo Stato debitore (oggetto di particolari
attenzioni sarebbe stato ad esempio il debito per le riparazioni di guerra di 31
miliardi di dollari della Repubblica di Weimar). Ma nel caso della Russia
Zarista, sembra documentato il contratto a lungo termine che Alessandro II
stipulò con la Rothschild Bank di Londra al fine di ottenere sostegno
finanziario per muovere guerra alla Turchia nel 1877. Le pretese che lo Zar
avanzò, a guerra conclusa, su Costantinopoli e il Bosforo, furono respinte dal
primo ministro britannico Benjamin Disraeli, non solo perché intralciavano le
rotte inglesi verso l'India, ma anche perché l'Impero di tutte le Russie
risultava insolvente nei confronti dei Rothschild. Ragione per cui lo stesso
Disraeli prospettò l'opportunità politica di concedere prestiti contro il
rilascio di garanzie reali da parte del successore di Alessandro II, lo Zar
Alessandro III, risultato poi altrettanto inaffidabile. La costituzione "in
pegno" di buona parte del tesoro dei Romanov, custodita nelle casse delle
Accepting Houses londinesi, faceva peraltro riscontro al successivo ingresso
della Russia fra le Potenze dell'Intesa, dopo che Nicola II era stato convinto
che un ulteriore aiuto finanziario dei Rothschild (secondo la procedure e le
clausole sopra descritte) gli sarebbe stato necessario per potenziare un
esercito sufficiente a fronteggiare la presunta minaccia degli Imperi Centrali.
Visto poi che lo Zar continuava ad essere insolvente anche per gli esiti nefasti
della guerra russo-giapponese, Londra (o meglio, le Filiali londinesi dell'Investment
Banking) predisponevano il gigantesco tranello di cui sarebbero state vittime lo
stesso Zar e il popolo russo. Non prima però che si fosse resa politicamente
giustificabile quella guerra totale da tempo prevista per "salvare" i governi
europei dalla bancarotta. Il tutto preceduto dall'avvio di un piano, concordato
a tavolino con gli Stati Uniti, rappresentati dal Presidente Theodore Roosevelt.
Costui infatti si sarebbe proposto quale diligente servitore dell' International
Banking fin dalla guerra ispano-americana, condotta allo scopo di favorire il
nascente monopolio della canna da zucchero di Cuba e l'espansionismo degli
States nei Caraibi e sul Pacifico (Porto Rico e Filippine). La collaborazione
con le "Accepting Houses" londinesi sarebbe stata poi evidente nel pool di
banche internazionali, costituito allo scopo di determinare il crollo
dell'Impero Zarista. Il fine apparente sarebbe stato perseguito a tutela degli
interessi delle banche inglesi e a salvaguardia dell'Impero Britannico. La
potente Bank of England, che nel frattempo avrebbe fatto carte false per fondare
negli Stati Uniti la propria filiale (cioè la Federal Reserve Bank), avrebbe
avuto ampie possibilità di azione nelle Borse internazionali, principalmente
Wall Street, attraverso cui sarebbero stati disposti flussi di denaro, destinati
alla fondazione dell'Unione Sovietica. Sembrano ampiamente documentati i
trasferimenti di denaro eseguiti a favore dei rivoluzionari Bolscevichi fra il
1905 e il 1920 attraverso la Kuhn Loeb & Company di New York, i banchieri Jacob
Schiff e Olof Aschberg, i quali operavano sotto la regia di Alexander Helphand,
alias "Parvus", il coordinatore dei finanziamenti ai rivoltosi per conto delle
banche tedesche Warburg. Fra i diretti beneficiari di tali fondi si contavano
gli illustri Vladimir Ilich Ulianov, detto Lenin, e Lev Trotzki, profeti del
marxismo e costruttori della futura società sovietica. (Nel 2008, all'Hoover
Institution Archives di Stanford, California sono state declassificate ricevute
bancarie dei trasferimenti di denaro, per complessivi 20 milioni di dollari,
eseguiti da Jacob Schiff a favore di Lenin e Trotzky dal 1915 al 1917).
Manovre finanziarie d'indubbia efficacia, rispetto ai meno soddisfacenti
risultati di analoghe operazioni, eseguite per esempio a sostegno della rivolta
dei Boxer in Cina nel primo anno del XX secolo, che in ogni caso rappresentavano
un banco di prova per i successivi interventi dell'International Banking al
fianco d'ingorde corporations anglo-americane, decise in quel tempo a
primeggiare nel sistematico saccheggio delle risorse minerarie cinesi. Gli
americani, saldamente stabiliti a Canton, e gli inglesi nella valle del fiume
Yang Tse, sembravano decisi a sloggiare i Russi da Port Arthur, i giapponesi da
Formosa e dalla Corea, i tedeschi dalle miniere dello Shantung, i francesi
dall'Indocina e dai territori meridionali. In quella circostanza i soldi
consegnati ai rivoltosi (Boxer) sarebbero serviti a giustificare la presenza sul
territorio cinese di ventimila Marines, guidati dal tecnico minerario e
faccendiere Herbert Hoover (futuro Presidente degli Stati Uniti) contro gli
stessi Boxer; la conveniente tattica adottata dagli americani consisteva nel
sostenere prima la rivolta, per poi sedarla, trasformandola in pretesto per
acquisire nuove terre di sfruttamento, facendosi largo fra i concorrenti. Questo
precedente potrebbe suggerire la risposta agli interrogativi che un dubbio
troppo ingombrante obbligava a porsi: perché i Capitalisti occidentali avrebbero
sostenuto la rivoluzione bolscevica e favorito la costituzione di una società
comunista nell'Unione Sovietica? Una risposta che può avere chiunque osservi gli
sviluppi del Capitalismo nell'arco di tempo, compreso tra il 1919 e il 1989, e
possa rilevare, dietro la politica del confronto, che peraltro sarebbe stato
necessario ribadire nel secondo conflitto mondiale, la funzione di controllo
indiretto assegnata all'Unione Sovietica, allo scopo di impedire il pericoloso
flusso sul mercato del libero scambio di materie prime, offerte a prezzi
sensibilmente inferiori, rispetto a quelli stabiliti dai Cartelli occidentali,
membri di un selezionato gruppo, chiamato anche Capitalismo oligarchico, cui
sarebbe spettata, grazie alla proficua collaborazione dell'International
Banking, la facoltà arbitraria ed esclusiva di condurre, direttamente o
indirettamente, ogni attività produttiva e commerciale della libera economia di
mercato. Fra gli obiettivi immediati del Sistema Bancario Internazionale che
allora sosteneva i rivoluzionari bolscevichi, vi erano: il già citato crollo del
regime Zarista, il sequestro del tesoro dei Romanov (conservato nelle casse
della Rothschild Bank, dopo la messa in mora di Nicola II) e l'eliminazione di
un pericoloso concorrente (lo stesso Zar) nella corsa al petrolio del Golfo
Persico. Lo stesso Capitalismo, del resto, (in procinto di confrontarsi con un
sistema che rappresentasse, più o meno formalmente, il suo esatto "opposto")
avrebbe anche (e proprio per questo) avuto modo di attestarsi su posizioni più
radicali, per altro giustificate, o in via di eterna giustificazione, dalle
teorie in esso congenite (legge del massimo profitto col minimo impiego). Il
cosiddetto liberismo, in cui dominerebbe il principio del "laissez faire", o
delle limitazioni dell'intervento dello Stato nelle attività della libera
impresa, avrebbe tratto dalle tesi marxiane occasione di svilupparsi in senso
verticale, riducendo il libero mercato a un'area di privilegio, in cui il
rischio d'impresa sarebbe stato sensibilmente ridotto, a giovamento esclusivo di
chi potesse disporre di mezzi finanziari, idonei a influenzare l'economia dello
Stato attraverso il perpetuo "debito-ricatto". Superfluo aggiungere che la
costituzione del sistema sovietico, in cui vige il divieto di attivare ogni
libera impresa, e la prevista minaccia dell'espansione comunista, sarebbero
stati funzionali all'idea di un "monopolio" del capitale, non solo dividendo il
mondo in zone di competenza territoriale, ma favorendo l'affermazione in
Occidente di un'esclusiva "Power Elite" capitalistica. Il Capitalismo
oligopolistico avrebbe così avuto modo di consolidarsi, grazie al comunismo,
scongiurando il rischio che dalla Russia Zarista potesse nascere una federazione
di Stati, tesa ad espandersi nell'Est Europeo e in Asia per crearvi una nuova
forza capitalistica, pronta ad entrare in competizione con gli Stati Uniti
d'America. Il Manifesto del Comunismo avrebbe assunto così valore di simulacro a
Wall Street, dove Lenin sarebbe stato selezionato quale guida di uno Stato
accentratore, garante dell'illusorio potere conferito al proletariato, allo
scopo di pervenire al controllo assoluto delle masse, attraverso il sistema
dell'economia pianificata. Primo passo: la nazionalizzazione delle banche russe,
e la costituzione di una Banca Statale Sovietica, prevista nel programma di
Lenin e con favore accolta da Wall Street.
A sostegno di queste tesi, sembra opportuno osservare certi aspetti della
strategia di mercato, legata agli sviluppi dell'industria petrolifera americana,
a partire dai primi anni del Novecento. Di particolare interesse, a tal
proposito, sono le iniziative adottate dal Gruppo Petrolifero
Rothschild-Rockfeller, all'indomani dell'entrata in vigore della legge
"antitrust", lo Sherman Act, e in previsione dei piani Ford per la costruzione
di automobili in serie. Circostanza che avrebbe spinto il Gruppo (l'associazione
dei due imperi "Banche-Petrolio" non è ovviamente casuale) ad assumere un rigido
controllo del mercato petrolifero internazionale, in conseguenza dello
smembramento della Standard Oil e a seguito del cosiddetto "Caso Spindletop"
(*). Il riferimento alla moneta statunitense (Petrodollari), sarebbe stato da
allora preteso per ogni transazione sul mercato internazionale riguardante i
prodotti petroliferi, adottando un sistema di contenimento delle fluttuazioni
del prezzo del greggio che scongiurasse pericolose e non lucrative tendenze al
ribasso. Il che avrebbe indotto il Gruppo Rothschild-Rockfeller a promuovere
efficaci campagne di stampa tese a diffondere infondate notizie sulla presunta
scarsità delle riserve (e risorse) petrolifere mondiali, al fine di evitare che
si producessero dannosi effetti "dumping" nel mercato interno (visto che la
domanda di combustibile era in crescita grazie al lancio dell'automobile Ford
Modello T). Ma sarebbe stato soprattutto opportuno non limitare la capacità di
competizione del Gruppo sui mercati internazionali. A tal scopo, era evidente
che il controllo politico delle aree petrolifere mondiali più promettenti, come
quelle del Golfo Persico, Medio Oriente, Caucaso e Caspio, sarebbe stato
indispensabile. L'Impero Zarista, che comprendeva allora anche l'immensa area
del Kazakhstan, avrebbe rappresentato uno dei più temibili concorrenti fra i
potenziali produttori di petrolio, certamente deciso a sfruttare i propri
giacimenti e a commercializzare il suo combustibile sul mercato internazionale a
un prezzo assolutamente più basso rispetto a quello imposto dalle Compagnie del
Gruppo Rothschild-Rockefeller, per via della scarsa domanda di petrolio,
determinata dal non florido sviluppo industriale della Russia Zarista. Per
evitare tale evenienza, il Gruppo in questione avrebbe così sostenuto i
rivoluzionari bolscevichi e il nuovo regime che fosse stato in grado di
garantire il controllo politico di popoli e territori dell'ex Impero Zarista,
grazie al vasto consenso popolare, di cui si proponeva interprete, impegnandosi
a costruire la società comunista e ad imporre e esportare (sotto il velo del
nobile compito assegnato al Komintern) il severo divieto a intraprendere
qualsiasi attività economica o industriale non sottoposta al controllo dello
"Stato Accentratore" e dunque in contrasto col piano anti-concorrenza del
Capitalismo occidentale.
Nello stesso progetto si possono inquadrare le ragioni che indussero il World
Jewish Congress a realizzare il piano di costituzione di uno Stato Ebraico in
Palestina, posto a guardia del Canale di Suez e degli interessi petroliferi
angloamericani in Medio Oriente. Non trascurando infine le iniziative, prese nel
primo dopoguerra tendenti ad impedire la formazione di un secondo polo
capitalistico nell'Europa continentale.
L'esordio della Federal Reserve avviene nel 1914 e qualche mese più tardi
scoppia la Prima Guerra Mondiale. Una coincidenza!? La FED opera a stretto
contatto con la Borsa Newyorkese, autentico ponte costruito nell'occasione fra
l'America e l'Europa, allo scopo di rendere vane le pretese del Kaiser sul
territorio iracheno (ferrovia Berlino-Baghdad), e obbligando il suo naturale
alleato, l'impero austro-ungarico, a far divampare la "polveriera balcanica". A
tale scopo sono costituiti il Belgian Relief Committee (per aiutare il
"neutrale" Belgio invaso dalle truppe germaniche, ma soprattutto per permettere
a queste ultime di continuare a combattere una guerra non voluta) e l'American
International Corporation, grazie alla quale a Wall Street sarà dato il via a
una serie di investimenti, da cui trarranno profitti colossali il gruppo
Rothschild-Rockfeller e il "pool" di banche internazionali ad esso associato.
Nell'occasione diventerà operativo il già citato Corporate Banking, creato
apposta per obbligare i governi delle Potenze belligeranti ad usufruire del
sostegno finanziario, destinato all'acquisto di armi dal War Industry Board di
Bernard Baruch, banchiere associato al "pool", esponente di spicco
dell'Organizzazione Sionista Mondiale e persuasivo consigliere dei Presidenti
americani. Il grande business della guerra!? Non occorre chiederlo a Lord Walter
Rothschild, né all'esimio Colonnello Mandell House che nel 1913 ha già stilato i
Quattordici Punti, enunciati dal Presidente Wilson alla Conferenza di pace di
Parigi del 1919 (valgono un Premio Nobel, la frantumazione di tre imperi e
focolai infiniti d'odio e rancori dal mare del Nord all'Oceno Indiano). La
strategia dell'Investment Banking, coordinata dalle Rothschild Houses e da
quella che diverrà nota col nome di Standard Oil Company of New Jersey (poi
Exxon), risulta dunque vincente anche negli States grazie al Sistema FED,
attraverso il quale sono già rientrati, sotto forma di tasse pagate dai
contribuenti americani, i 25 miliardi di dollari, creati dal nulla, e anticipati
ai belligeranti per dare inizio alla Prima Guerra Mondiale. Nell'occasione si
distinguono i Chairmen della FED, Charles S. Hamlin e William P. G. Harding,
quest'ultimo manager del War Finance Corporation, attivissimo nelle forniture di
armamenti ancor prima dell'entrata in guerra degli Stati Uniti il 6 aprile 1917.
Nel bel mezzo della guerra, ha modo fra l'altro di prendere forma la cultura
dello stereotipo, o dell'estrema semplificazione cui tenderebbe a conformarsi il
giudizio dell'immaginario collettivo, indispensabile alla costruzione del
consenso e più tardi all'interpretazione "ragionata" del cosiddetto
"politicamente corretto". (Tante grazie a Walter Lippmann e al suo indimenticato
"Public Opinion"!)
A Wall Street e alla FED di New York intanto gli Investitori si fregano le mani.
In attesa che il già concepito Committee on Foreign Relations, succursale a
Washington del Royal Institut for International Affairs di Londra, dia inizio
alle sue poliedriche attività, la strategia bellica anglo americana trova
proficua applicazione in tre settori: finanziario (come abbiamo visto), militare
e propagandistico. Compito della stampa americana è, ad esempio, inventare di
sana pianta atrocità che i tedeschi avrebbero commesso, in pace e in guerra. La
tecnica del reiterato inganno, perpetrato ai danni del popolo statunitense, sarà
più tardi chiaramente visibile nell'intero operato dell'Amministrazione Wilson,
per quanto un giudizio critico sul ruolo dei Presidenti degli Stati Uniti fosse
fin da allora apertamente ammesso dalla storiografia ufficiale. Presupposto che
rende legittima, almeno sul piano etico, una piena adesione alle tesi del
Professor Carroll Quigley, diffusamente espresse nel suo "Tragedy & Hope", in
cui si rileva, sulla base di indiscutibili prove, l'assoluta dipendenza della
Casa Bianca dalla volontà dei Banchieri Internazionali. Esempi significativi
della costruzione del consenso, teso a legittimare azioni impopolari del Governo
e comunque ritenute socialmente e politicamente dannose al rivestimento
democratico della leadership statunitense, sembrano i casi Lusitania e Sussex,
creati ad arte (come poi l'effetto Pearl Harbour e decenni più tardi,
l'incidente del Tonchino, senza dimenticare il più recente "911") per convincere
l'opinione pubblica americana sull'opportunità dell'entrata in guerra
(dichiarata o no) degli Stati Uniti.
Nel complesso calcolo dei rischi di guerra, anche se una certa tattica può
giustificare il trasporto in segreto di munizioni e proiettili di grosso calibro
su navi mercantili di Stati "neutrali", risulterà poi certo l'intento
provocatorio, utile a dar luogo all'ovvia e prevista reazione della parte
belligerante, contro cui quel materiale bellico sarebbe stato sicuramente
utilizzato, in modo che le conseguenze acquisiscano l'attesa, enorme rilevanza
propagandistica. Lo provano il Lusitania, le tonnellate di munizioni che il
mercantile trasporta in Inghilterra dai neutrali Stati Uniti, il
"provvidenziale" siluro dell' U-Boat germanico, che provocherà l'affondamento
della nave, la morte di centinaia di civili e il calcolato sdegno dell'opinione
pubblica americana. Ancora oggi, i media televisivi insistono nel presentare
l'affondamento del Lusitania come uno dei più efferati crimini tedeschi, quando
anche i cretini sanno, che un paese neutrale non può procurare munizioni ai
belligeranti, senza commettere con questo un atto ostile, equivalente ad una
dichiarazione di guerra. Ancora oggi l'avvertimento dell'ambasciatore tedesco a
Washington, Zimmermann, è accuratamente cancellato dal testo degli speciali TV
di argomento storico, lasciando intendere che la responsabilità dell'eccidio
doveva per forza ricadere sulla sola Germania. Alla cultura dello stereotipo si
affiancherà poi la cosiddetta "Spirale del Silenzio", teoria sviluppata da Betty
Neumann, secondo la quale il potere dei media (e dei più importanti "oracoli"
accademici) si manifesta soprattutto attraverso gli effetti persuasivi che
riesce a produrre sul pubblico di massa, il quale non può fare a meno, salvo
rare eccezioni, di prendere per vera la versione di un fatto storico che gli è
imposta, sebbene risultino chiari i propositi censori a fini propagandistici dei
mezzi d'informazione. Per cui, chi dissentisse da una "verità multimediale"
accettata e condivisa dalle moltitudini, rinuncerebbe alla fine a porla in
discussione, constatando di rappresentare una minoranza ristretta e
"inaffidabile". (Per fortuna le vittime della spirale del silenzio tendono a
diminuire, producendo stimoli a un'indagine non mutuata dai media "ufficiali", e
comunque propensa a considerare menzogne… le mezze verità.)
L'affondamento del Lusitania avviene nel 1915, seguito dal siluramento della
S.S. Sussex, che all'inizio del 1916 sarebbe stata colpita dal solito
"criminale" U-Boat tedesco nel Canale della Manica. Naturalmente il traghetto
avrebbe trasportato cittadini americani, 50 dei quali sarebbero periti in fondo
al mare. Lo stesso Presidente degli Stati Uniti sarebbe stato pronto a
dichiarare questa "verità", costruita ad arte, quando avrebbe chiesto al
Congresso, in data 2 aprile 1917, di approvare la dichiarazione di guerra alla
Germania (malgrado l'offerta di pace da quest'ultima proposta alla Gran
Bretagna, già sul punto di chiedere invece, visto il corso degli eventi bellici
ad essa sfavorevoli, la resa incondizionata). Fra i pochi estimatori della
Verità (quella che non offende il buon senso e il Divino Creatore), si annovera
l'ebreo Benjamin Freedman, che dimostrerà sulla scorta di prove inconfutabili
come le fotografie pubblicate dalla stampa americana e inglese non
riproducessero la carcassa della S.S. Sussex, ma quelle di un traghetto francese
in riparazione nei cantieri di Boulogne sur Mère.
Gli accordi segreti Sykes-Picot del 1916 sulla spartizione dei territori della
Siria e dell'Iraq tra Francia e Gran Bretagna (peraltro ben noti
all'intelligence americana), non avrebbero destato serie preoccupazioni nella
leadership politica degli Stati Uniti, stante il fatto che le Banche Kuhn Loeb e
Morgan detenevano i bonds emessi dai rispettivi governi, francese e inglese, a
garanzia del prestito loro concesso, tramite i Rothschild. Condizione
indispensabile ad assicurare in ogni caso la "porta aperta" alle compagnie
petrolifere americane in Medio Oriente dopo la guerra. L'affondamento del
Lusitania (1915) acquistava peso politico dopo la seconda elezione del
Presidente Wilson (la Casa Bianca si conquista anche con le menzogne!). Ma
l'opinione pubblica americana si convince con le buone o con le cattive. Ci
penserà il "Quarto Potere" di William Randolph Hearst, magnate dell'editoria, ad
avviare opportune campagne interventiste, per salvare la faccia di Woodrow
Wilson dagli sputi dei suoi elettori. Intanto (dicembre 19169 i tempi per un
ingresso degli Stati Uniti nella Guerra Mondiale sembrano maturi, anche perché
gli inglesi sollecitavano gli americani a mantenere le promesse fatte. Infatti
fra i memorabili e meno noti intrighi che avrebbero determinato il successivo
corso della Prima Guerra Mondiale e costituito le premesse della Seconda, sembra
opportuno annoverare quelli che costrinsero Gran Bretagna e Stati Uniti a
sottoscrivere in segreto nel mese di ottobre del 1916 il cosiddetto Accordo di
Londra.
L'intervento degli States segnava una svolta decisiva negli sviluppi del primo
conflitto. In pochi mesi a partire dall'aprile 1917, il corso della guerra,
decisamente favorevole alle Potenze dell'Intesa, determinava fra l'altro le
condizioni propizie per il successo della Rivoluzione Bolscevica nell'ottobre
del 1917. Evento calcolato, nell'imminenza della prevista pace separata tra
Russia e Germania, caldamente suggerita dagli anglo americani, visto il
malcontento che regnava fra le truppe dello Zar, dalle quali si registravano
quotidiane diserzioni in massa. Il Kaiser, visto l'andamento della guerra,
avrebbe poi accolto l'invito di levarsi dai piedi, archiviando per sempre le
aspirazioni di un grande Impero Germanico, esteso a lambire le acque del Golfo
Persico. Nell'occasione, gli sarebbe stato richiesto l'ultimo favore: consentire
libero transito al treno blindato che trasportava Lenin e Company fino a
Pietrogrado, per instauravi il nuovo regime, poco incline ad accettare le
esitazioni "socialdemocratiche" di Kerenski, ma ben disposto a ricevere tanti
auguri d'un radioso futuro dal liberale Presidente americano Wilson, fin troppo
pronto a manifestare alla Conferenza di Parigi la necessità d'un appoggio,
morale e materiale, degli Stati Uniti al governo che Lenin avrebbe meditato e
scelto di instaurare sulle rovine dell'Impero Zarista.
Capitolo III
I Pogrom nella Russia Zarista
Le secolari relazioni, intrattenute dal potente Gruppo Finanziario Sionista con
la Russia degli Zar, sembrano fra l'altro offrire un'inedita chiave di lettura
dello scenario geopolitico del secondo dopoguerra, consentendo forse di
comprendere, al di fuori dei limiti imposti dalla storiografia corrente, quanti
altri, oltre a quelli noti, sarebbero stati i colpevoli autori delle tragedie
vissute dalle popolazioni ebraiche.
L'ebreo Myron C. Fagan, già membro dell'Organizzazione Sionista Mondiale,
commediografo, produttore e regista nella Hollywood degli anni d'oro, in un'
intervista rilasciata nel 1967 e quasi ignorata dai media americani e
internazionali, spiega i motivi per cui sarebbe stata fortemente sostenuta nel
primo decennio del secolo scorso l'elezione alla Casa Bianca di un candidato
democratico, da tempo individuato nel Professor Thomas Woodrow Wilson, che si
dimostrasse meno immune rispetto ad altri (Teddy Roosevelt e Taft) all'influenza
e alle pressioni del potente gruppo finanziario, guidato dai Sionisti, per dare
origine fra l'altro al Federal Reserve System. Per inciso, ribadendo che l'URSS
sarebbe nata per volere e con il sostegno del pool di banche internazionali
coordinato dal Gruppo Rothschild-Rockefeller e che la realizzazione di questo
progetto sarebbe stata direttamente connessa con la fondazione dello Stato di
Israele, Fagan conferma fra l'altro che fin dai primi Anni Venti sarebbero stati
decisi e scrupolosamente programmati i futuri esodi dall'Europa centro-orientale
degli ebrei in Palestina (utili riferimenti sull'argomento sono reperibili nel
libro di Leonid Mlecin dal titolo "Perché Stalin Creò Israele". Mosca 2008, e
nell'opera del già citato Yuri Lina, in cui si descrive il coinvolgimento del
leader sovietico nel piano di costituzione dello Stato ebraico e l'epilogo dello
stalinismo, coincidente nel marzo del 1953 con l'eliminazione di Stalin, nella
cui mente si era radicato il sospetto di essere vittima designata di una
cospirazione sionista).
Nell'intervista citata, Myron Fagan esordisce affermando che nella Terra degli
Zar del 1890 avvenne qualcosa di atroce e inaspettato che determinò una svolta
nella politica internazionale del XX secolo.
In quell'anno infatti una serie impressionante di "pogrom" iniziò a sconvolgere
la Russia. Nelle città e nelle campagne fu organizzata una vera e propria caccia
all'ebreo. Squadre di Cosacchi a cavallo, ai quali si unirono popolani locali,
ingaggiati allo scopo, massacrarono sistematicamente per intere settimane,
migliaia di uomini, donne e bambini ebrei. Il bilancio del genocidio, dopo due
mesi, fu agghiacciante: oltre diecimila morti. I sopravvissuti trovarono rifugio
nei centri costituiti col sostegno finanziario di Jacob Schiff, banchiere ebreo,
agente dei Rothschild, emigrato a New York. Costui, sionista e fondatore fra
l'altro della Anti Defamation League (ADL), sembrava spinto da sentimenti
umanitari. In realtà aveva il compito di costringere gli ebrei, scampati ai
massacri, a emigrare negli Stati Uniti. L'ordine in tal senso gli fu impartito
da Leopold Rothschild, che dei pogrom sarebbe stato anche il promotore. Nel giro
di pochi mesi si preparò l'esodo di trecentomila ebrei russi, imbarcati nel
porto di Odessa a bordo di navi che attraversarono il Bosforo, i Dardanelli e lo
stretto di Gibilterra, per prendere poi le rotte atlantiche e trasportare il
folto e dolente carico umano fino a New York. Ai profughi ebrei, appena giunti
dalla Russia negli Stati Uniti, fu immediatamente concessa la cittadinanza
americana, a condizione che le loro preferenze elettorali fossero dirette al
Partito Democratico, per formare un blocco di elettori che avrebbe poi permesso
di mandare al Congresso, deputati graditi all'American Jewish Council. Secondo
Fagan, lo scopo dei pogrom sarebbe stato evidente e intuibili i non secondari
motivi delle successive persecuzioni degli ebrei. L'esodo di ebrei russi verso
il Nord America continuò nella prima decade del secolo scorso, incrementando il
numero del blocco democratico, che al momento opportuno sarebbe servito a
interrompere il malaugurato dominio dei repubblicani alla Casa Bianca, che dal
1897 intralciava non poco la "auspicata" riforma monetaria degli Stati Uniti.
L'occasione attesa non tardò a presentarsi, grazie alle manovre di Paul Warburg,
banchiere tedesco, agente Rothschild, da poco naturalizzato americano, che
convinse anche la folta schiera di emigrati germanici a unirsi al blocco di
profughi ebrei-russi, per sostenere il candidato democratico alla Presidenza,
Thomas Woodrow Wilson, il quale, una volta eletto Presidente, si sarebbe
affrettato a varare il Vreeland - Aldrich Act, legge che istituì il Federal
Reserve System. Scoppiava intanto la Prima Guerra Mondiale. Al Presidente Wilson
furono assegnati altri delicatissimi compiti, come minimo tre, che egli avrebbe
puntualmente svolto, per creare fra l'altro nell'Europa in guerra le condizioni
favorevoli all'instaurazione di un sistema monetario, il FED System, già
sperimentato appunto negli Stati Uniti. Non si ignorò allora che la Casa Bianca
era fra l'altro un luogo, nel quale si teneva una contabilità particolare, come
ci spiega lo stesso Benjamin Freedman nel già citato "The Hidden Tyranny", cioè
quella relativa al "debito" del Presidente in carica nei confronti del Comitato
elettorale, grazie al quale è stato eletto. Il Capo della Casa Bianca sarebbe
stato quasi sempre costretto a estinguerlo nella sola moneta che un certo Gruppo
Talmudista, meglio identificato nel World Jewish Congress, intendeva essere
ripagato, ed equivaleva allora (come oggi del resto) alla rinuncia all'autonomia
e indipendenza che il ruolo di Presidente dovrebbe invece pretendere. Woodrow
Wilson in pratica fu obbligato a prendere decisioni politiche di enorme portata
internazionale, seguendo le indicazioni del suddetto Gruppo, rappresentato da
due personaggi, meno noti negli ambienti politici dell'epoca, ma decisamente
influenti: il Colonnello Edward Mandel House, (già legato all'industria
cotoniera dei Rothschild e da questi imposto in qualità di consigliere del
Presidente americano) e il già citato Samuel Untermeyer, miliardario ebreo e
socio del potentissimo Studio Legale newyorkese, Guggenheim-Untermeyer-Marshall,
in acerrima concorrenza con l'agenzia legale Sullivan & Cromwell degli
antisemiti fratelli Foster e Allen Dulles. Mandell House e Untermeyer avrebbero
dunque indotto la Casa Bianca a dichiarare guerra alla Germania nell'aprile del
1917, costringendo, contemporaneamente, il Presidente Wilson ad agevolare
l'operazione di finanziamento di 20 milioni di dollari, disposta da Jacob
Schiff, in stretta collaborazione con la Rothschild House Londinese, a favore
dei Rivoluzionari Bolscevichi, e ad intervenire presso il Governo britannico,
affinché una dichiarazione sull'impegno di Londra a sostenere il costituendo
Stato ebraico in Palestina, fosse ufficialmente inviata a Lord Walter Rothschild
dal Ministro degli Esteri inglese, Lord Arthur Balfour, il 2 novembre 1917.
Non sembrò poco!
Ma il bello doveva ancora venire. I due personaggi sopra descritti avrebbero poi
"guidato" la delegazione degli Stati Uniti alla Conferenza di Pace di Parigi nel
1919, imbastendo il gran pasticcio di Versailles, perfettamente congeniale alla
realizzazione dei loro piani; Lloyd George e Daladier esultarono alla
proclamazione di condanna a morte dell'eterna nemica, la Germania, doppiamente
tradita e offesa, se è vero che il Kaiser fin dal 1916 offrì ripetutamente la
pace a Gran Bretagna e Francia, senza nulla pretendere. L'Italia non provò
rimorsi e pianse i suoi caduti, anche se, con sommo disappunto del Re, dovette
ritenersi vittima dell'inganno (il patto di Londra non fu riconosciuto da
Woodrow Wilson!) e dei debiti del Savoia con Casa Rothschild. La Gran Bretagna
ebbe modo di constatare che la propria egemonia sarebbe stata presto compromessa
dall'irreversibile processo di decadenza economica, a stento contenuto dalle
risorse del suo Impero, dovendo più tardi ammettere che essa era in realtà
principalmente dovuta alla scomparsa dal mercato europeo degli scambi
internazionali di uno dei suoi migliori clienti: la Germania del Kaiser.
Il Gruppo Talmudista -secondo le tesi del Freedman e di Fagan- sarebbe stato il
vero promotore dei piani Dawes e Young, nonché delle assurde richieste di
rimborso dei danni di guerra, che la Germania dovette accettare, insieme
all'inflazione a quote iperboliche e alle tante disattenzioni del governo di
Weimar che, irresponsabile, sonnecchiava, mentre Wall Street, divenuto padrone
della Reichbank, avviava la predazione del patrimonio pubblico tedesco. In
Russia si registravano, qualche anno dopo, i primi effetti della rivoluzione
bolscevica e dell'economia collettiva sovietica: tre milioni di morti, bilancio
provvisorio della carestia del 1921/23. In Italia il popolo, stanco di orrori e
sventure della guerra, sopportava fame e privazioni, insieme al peso
dell'incertezza nel proprio avvenire.
Capitolo IV
Il "British Lake"
Nel dopoguerra, la posizione geografica dell'Italia assumeva l'antica rilevanza
nel computo dei supremi interessi inglesi, evidentemente legati alla
distribuzione in Europa dei prodotti petroliferi e del greggio proveniente dal
Golfo Persico. Il quadro politico del Vecchio Continente, definito nel 1919 alla
Conferenza di Parigi in ragione del privilegio britannico, attribuiva a Londra
illimitata autorità nel trasporto marittimo, connessa con le esigenze della sola
Compagnia che in Persia e regioni confinanti rappresentava il Regno Unito. Tutto
questo era provato fra l'altro dalla nazionalizzazione dell'Anglo Persian Oil
Company (APOC) che indicava in quale misura fosse essenziale per la Gran
Bretagna il controllo del Mediterraneo, indispensabile a garantire, se non il
tradizionale ruolo di dominatrice degli oceani, il fabbisogno di combustibile
necessario alla propria sopravvivenza. La politica estera inglese, orientata a
mantenere la maggior parte delle concessioni petrolifere del Golfo Persico,
grazie all'influenza esercitata su Baghdad e Tehran, trovava comunque il
sostanziale appoggio delle Banche londinesi, guidate dalla Bank of England, nota
fra l'altro per le sue poliedriche attività. Fra queste spiccavano le manovre
finanziarie, da cui sarebbe scaturito il cosiddetto accordo della Porta Aperta,
sorta di "gentlemen agreement", stabilito fra le Compagnie petrolifere
angloamericane, per un più equo sfruttamento del petrolio mediorientale, che in
realtà mirava a escludere la concorrenza di terzi fornitori in Europa e a
limitare, specialmente sul mercato italiano, la distribuzione dei prodotti
petroliferi della Standard Oil of New Jersey. Il governo di Londra avrebbe
dunque avuto buoni motivi per moltiplicare le sue attenzioni sull'Italia e
rinnovare gli antichi rapporti con Casa Savoia. Una ragione in più per
intensificare le relazioni italo-britanniche del periodo, nel corso delle quali
al Re Vittorio Emanuele III, ormai rassegnato ad accettare la beffarda "vittoria
mutilata", si sarebbe prospettata l'esigenza di affidare la guida dell'Italia a
un governo che promettesse lunga stabilità, ricordando infine al monarca che a
Buckingham Palace e a Downing Street il "Mare Nostrum" era ritenuto a tutti gli
effetti un "lago britannico" (non casuale il riferimento all'acquisto, avvenuto
qualche decennio prima, della Società del Canale di Suez, da parte della
Rothschild House londinese), lasciando con questo intendere che la politica
italiana (interna ed estera) non avrebbe potuto in futuro non essere influenzata
dalla Gran Bretagna.
L'intrusione inglese negli affari italiani sarebbe stata in particolare evidente
nell'aprile del 1915, allorché fu sottoscritto il Patto di Londra, in seguito
alle insistenze del premier Lord Asquith, a sua volta soggetto all'influenza dei
potenti gruppi di pressione inglesi, coordinati da Winston Churchill (allora
Primo Lord dell'Ammiragliato Britannico) e da John A. Fisher (detto anche "The
oil maniac"). Come noto, il Patto di Londra sanciva l'accordo, in base al quale
l'Italia sarebbe entrata nella Prima Guerra Mondiale a fianco di Gran Bretagna,
Francia e Russia, sebbene un trattato, sottoscritto con Germania e
Austria-Ungheria, vincolasse il nostro Paese agli obblighi assunti con la
"Triplice Alleanza". I compensi promessi all'Italia in caso di vittoria, che
comprendevano, fra l'altro, alcuni territori dell'ex Impero Turco Ottomano e
l'assegnazione di ulteriori fasce territoriali in Eritrea, Somalia e Libia,
sarebbero stati oggetto di scarsa considerazione alla Conferenza di Pace di
Parigi, per il rifiuto del Presidente Wilson di riconoscere la validità del
Patto. Il Presidente americano nell'occasione si sarebbe limitato al testuale,
laconico commento: «A readjustment of the frontiers of Italy should be effected
along clearly recognizable lines of nationality». («I confini d'Italia dovranno
essere ridefiniti secondo criteri che tengano dovuto conto delle diverse
nazionalità») (vedi il punto nove dei celebri quattordici, enunciati da Wilson a
Versailles).
Questo sbrigativo regolamento degli impegni assunti con l'Italia rendeva, fra
l'altro, chiara la volontà degli Stati Uniti di assecondare la condizione di
sudditanza del nostro Paese nei confronti della Gran Bretagna, concorde nel
ritenere che la costituzione in Italia di uno stabile governo, idoneo a
garantire la solidità dei confini sull'Arco Alpino e ad impedire tentativi di
penetrazione nel Mediterraneo, dovesse in ogni caso risultare conforme agli
interessi di Londra e Washington.
Il Leader Italiano stimato dagli inglesi
Visti gli storici rapporti tra la Corona britannica e i Savoia, il regime
politico in grado di garantire la solidità del governo d'Italia, avrebbe dovuto
in primo luogo essere gradito ai britannici. La condizione necessaria a ottenere
il consenso inglese sarebbe stata velatamente espressa, formulando l'auspicio
che il Capo dell'Esecutivo, posto alla guida del nostro Paese, potesse
attribuirsi facoltà decisionali, non compromesse o ritardate dal complesso iter
legislativo, spesso impercorribile, a causa delle eterne discordie socialiste e
dei minacciosi propositi del neonato Partito Comunista Italiano. Il che sarebbe
avvenuto nella prospettiva che una rapida attuazione del programma politico
italiano, avrebbe permesso all'Italia di svolgere fra l'altro il ruolo di
garante degli interessi britannici nel Mediterraneo. Fra questi ultimi, si
annoverava, oltre al già ricordato buon rapporto con Casa Savoia, tutti i
vantaggi che agli inglesi ne sarebbero derivati, compresa l'influenza che Londra
avrebbe inteso esercitare sull'economia italiana, dipendente, come noto, dalla
disponibilità dell'altrui petrolio. La scelta del leader idoneo alla guida
dell'Italia doveva dunque essere subordinata alle esigenze delle Compagnie
petrolifere inglesi, propense a sostenere la candidatura di un Capo del governo
italiano che diventasse anche loro buon cliente, guadagnando l'autorità
sufficiente a privilegiare le forniture del petrolio britannico. Tale pretesa
che, negli auspici di Londra, permetteva di prevedere una buona penetrazione nel
mercato italiano dei prodotti petroliferi inglesi, avrebbe suggerito a Londra di
adottare la prassi diplomatica d'oltremanica, non certo propensa a scoraggiare
eventuali svolte totalitarie, qualora risultassero utili al consolidamento e
allo sviluppo del rapporto commerciale anglo-italiano, pur sempre subordinato a
una ipotetica alleanza politica, che in ogni caso escludeva interferenze,
derivanti da prevedibili aspirazioni imperialistiche del nostro Paese.
Londra si sarebbe dunque espressa in favore della candidatura di un leader
italiano, corrispondente al modello richiesto dalla ragion politica inglese.
Secondo i calcoli britannici, il Capo del governo posto alla guida politica
dell'Italia avrebbe dunque potuto assumere orientamenti autoritari, non tanto
per risolvere i problemi interni, quanto per non porsi in contrasto con gli
interessi inglesi.
Questo significava, fra l'altro, che nell'ipotesi in cui gli interessi italiani
fossero stati divergenti da quelli inglesi, la diplomazia britannica,
tradizionalmente rappresentativa della democrazia parlamentare, avrebbe
facilmente ravvisato gli estremi di una condotta antidemocratica del governo
italiano, legittimo motivo di condanna sul piano politico.
Si sarebbe così appreso (grazie anche al pensiero di Guy Debord, felicemente
espresso nel suo indimenticato "La Società dello Spettacolo" in cui l'autore
sostiene che: la democrazia non vive tanto dei propri meriti, ma sopravvive in
virtù dei propri nemici) che una certa tecnica dei regimi democratici si sarebbe
a tal punto perfezionata da ritenere indispensabile alla sopravvivenza della
democrazia la creazione di un suo antagonista. In altri termini, i regimi
democratici, o sedicenti tali, avrebbero spesso favorito la costituzione delle
dittature laddove le ritenessero confacenti ai loro interessi politici ed
economici, perché ogni azione da essi intrapresa per tutelarli o ripristinarli,
quando rischiassero di essere compromessi o fossero stati lesi, sarebbe stata
democraticamente giustificata e magari degna del plauso popolare.
Il leader designato per l'Italia, forse inconsapevole di essere stato prescelto
fin dal 1914, avrebbe guadagnato popolarità grazie alle sue doti di comunicatore
e ai mezzi finanziari messi a sua disposizione da Londra.
L'illusione di poter agire nell'esclusivo interesse del popolo italiano e per il
bene dell'Italia sarebbe stata fin troppo evidente in quella sorta di inedito
vangelo, politico, culturale e forse anche religioso, che egli avrebbe concepito
e redatto per darlo in uso alle italiche genti, proponendosi, forse con
eccessiva presunzione, ideologo e profeta di una rinascita nazionale, le cui vie
si sarebbero più tardi confuse tra i bagliori della guerra. A fare di costui un
colpevole di turno avrebbero in larga misura contribuito tutti gli italiani che
lo seguirono per poi ritenerlo responsabile delle loro delusioni. Non
giovandogli certamente, nel bilancio della sua opera complessiva,
l'imperdonabile errore di aver contratto un debito perpetuo con i Servizi
Segreti inglesi.
La Storia…"declassificata"
Numerosi documenti riservati, riguardanti la Seconda Guerra Mondiale, ma anche
il periodo che la precede, sarebbero da qualche tempo consultabili presso
l'archivio dello State Department americano e quello inglese di Kew Gardens,
grazie alla concorde decisione del Presidente Bill Clinton e del Premier inglese
Tony Blair di abolire il segreto di stato che li avrebbe coperti per oltre
settant'anni. O, più precisamente, perché al Committee on Foreign Relations (CFR)
della Rayburn House Building - (Washington - D.C.), di comune accordo col Royal
Institute of International Affairs, ospitato nella Chatham House londinese, si
era ritenuto che i tempi (anno 2000) fossero maturi per renderli pubblici. E
forse perché insostenibili erano diventate le inosservanze del "Freedom of
Information Act" (FOIA), legge che dal 1966 garantisce la "libertà"
d'informazione, estesa anche a far luce sui segreti del passato politico
americano e inglese, forse trascurati dalla storiografia ufficiale.
Questa "declassificazione" avrebbe fra l'altro permesso di raccogliere prove e
avere indicazioni utili a conoscere quanto sarebbe avvenuto dietro le quinte nel
corso delle relazioni internazionali, prima dell'avvento del Fascismo e ad
illuminare gli angoli oscuri della storia d' Italia del secondo dopoguerra,
grazie anche al lavoro di alcuni ricercatori italiani contemporanei (Nicola
Tranfaglia, Giuseppe Casarrubea, Mario Cereghino, Giovanni Fasanella).
I documenti, non più segreti, conservati negli archivi inglesi, attestano per
esempio che nel 1914, Benito Mussolini beneficiò di un finanziamento di 500.000
lire* (*una lira di allora corrisponde, secondo calcoli attendibili, a 6.480
lire del 2001) per fondare "Il Popolo D'Italia". Intermediario della gentile
elargizione sarebbe stato l'allora direttore de "Il Resto del Carlino", Filippo
Naldi, promotore della campagna interventista, in stretto rapporto con il
Foreign Office londinese, deciso allora a convincere l'opinione pubblica
italiana sull'opportunità dell'ingresso in guerra dell'Italia a fianco delle
Potenze dell'Intesa. A tal fine il governo britannico avrebbe versato soldi a
profusione nelle casse di molti giornali italiani, attraverso canali bancari
inglesi, francesi e italiani, con l'autorevole mediazione del Ministro degli
Esteri, Marchese di Sangiuliano. Più tardi, nel 1917, la pista britannica dei
fondi "neri" messi a disposizione di Mussolini sarebbe chiaramente emersa per
ammissione di chi ebbe l'incarico dal governo inglese (precisamente l'agenzia
dei servizi d'informazione MI5) di far pervenire con continuità (e frequenza
talvolta settimanale) le cospicue somme di denaro al futuro Capo del Fascismo,
per un periodo che quasi sicuramente si estende dal 1914 fino al 1925. Costui si
chiamava Sir Samuel Hoare, Segretario di Stato agli Affari Esteri nel 1935 e
personaggio di notevole influenza nell'ambiente dei Conservatori inglesi. Già
Capo dell'Intelligence d'oltremanica, avrebbe assunto, dal 1941 al '44, la
carica di ambasciatore di Sua Maestà britannica in Spagna, contribuendo
direttamente, in piena guerra mondiale, a convincere il Generalissimo Franco
sull'opportunità di mantenere lo stato di non belligeranza.
Sir Hoare avrebbe anche ideato e costituito nella "neutrale" penisola iberica un
sicuro punto di riferimento dell'efficiente rete d'intelligence alleata, al fine
di coordinare la lotta antifascista, avvalendosi del sostegno, logistico e
strategico, di due regimi, la Spagna appunto e il Portogallo di Salazar,
marcatamente fascisti, ma politicamente controllati dalla Gran Bretagna.
Il rapporto di amicizia fra Mussolini e Hoare sarebbe stato fra l'altro alla
base dell'iniziativa anglo francese promossa nel 1935 allo scopo di trovare un
comodato per evitare la guerra d'Etiopia. La caparbietà del Duce nel condurre e
portare a termine l'impresa etiopica avrebbe anche offerto a Hoare l'occasione
di guadagnare in patria la popolarità necessaria alla sua elezione alla Camera
dei Comuni e a ricoprire la carica di Segretario agli Esteri. Proclamandosi
promotore delle sanzioni contro l'Italia, Hoare avrebbe infatti ottenuto i voti
sufficienti a essere eletto, grazie al consenso dell'opinione pubblica inglese,
pronunciatasi per una severa condanna dell'intervento italiano in Etiopia. Il
governo del Premier conservatore Stanley Baldwin prometteva peraltro, nelle
aspettative di Mussolini, maggiore elasticità nel giudicare l'impresa italiana,
soprattutto quando del governo britannico fosse entrato a far parte, in qualità
di responsabile delle relazioni estere, il vecchio "benefattore" del Duce, cioè
lo stesso Samuel Hoare, quel distinto inglese, dimostratosi capace di
trasformare, nell'interesse supremo della Gran Bretagna, un buon giornalista in
un dittatore. Il disorientamento di Mussolini, derivante dal pur prevedibile
atteggiamento di Hoare, conforme alla linea sanzionatoria del Ministro per la
Società delle Nazioni, Anthony Eden, avrebbe indotto il Duce a cercare, per
quanto non gradita, la solidarietà della Germania. Vista anche l'esitazione
della Francia a comporre, su binari più favorevoli all'Italia, il caso Etiopia,
Mussolini avrebbe condotto a termine la sua impresa, con l'inespresso plauso
degli anglo francesi, i quali prevedevano che l'impegno italiano nella costosa
Campagna Etiopica avrebbe costretto l'Italia ad abbandonare per sempre i propri
interessi sul petrolio iracheno di Mosul e Quayara. Viceversa l'incoraggiamento
(e forse anche il sostegno) della Germania a portare a termine con successo la
guerra etiopica, avrebbe anche convinto Mussolini della possibilità di fare a
meno in futuro dei vecchi alleati, responsabili fra l'altro del pericoloso
isolamento dell'Italia, orientandolo a ricercare un'alleanza con la Germania
nazista. Inconsapevole del fatto che questo sarebbe avvenuto, in perfetta
aderenza con i piani inglesi e, come si vedrà più avanti, con gli stessi
programmi americani del New Deal rooseveltiano (tesi a creare il comune,
antidemocratico nemico, contro il quale sarebbe stato in qualsiasi momento
legittimo condurre una guerra di "liberazione"), Mussolini si lasciava
coinvolgere nella guerra di Spagna, spinto dagli stessi motivi, per cui altri
l'avrebbero provocata, al fine di evitare l'instaurazione di uno Stato marxista
nel Mediterraneo (cioè il Mare Nostrum, che a Londra chiamavano "British Lake")
e interferenze sulle rotte inglesi che attraversano Gibilterra.
L'Asse Roma-Berlino trovava dunque buone ragioni per essere costituito… secondo
gli auspici britannici (vedi a tal proposito la "Storia della Seconda Guerra
Mondiale" di Winston Churchill, alla pagina 208).
Gian Paolo Pucciarelli
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