Italia - Repubblica - Socializzazione

 

Novecento segreto

 

Anticipiamo alcuni stralci, con la presentazione di Giorgio Vitali di un importantissimo libro di Gian Paolo Pucciarelli "Novecento segreto" di imminente pubblicazione

 

Presentazione di Giorgio Vitali

 

Il lavoro di Gian Paolo Pucciarelli, basato sulla rigorosa analisi di pubblicazioni di storici più che autorevoli, mai tradotte in Italia, costituisce un contributo fondamentale per chiunque voglia approfondire la storia del XX Secolo, l'origine e lo sviluppo dei due principali conflitti del secolo, compreso lo sciame di guerre complementari che hanno costellato il periodo che va dal 1945 alla caduta del Muro di Berlino (fine dell'URSS) del novembre 1989.
È peraltro sempre più evidente che l'origine dei due conflitti, le sue premesse storiche, geopolitiche ed economico-finanziarie, hanno ben poco a che vedere con quanto asserito dalla propaganda bellica dei due schieramenti in lotta, con prevalente falsificazione da parte dei presunti vincitori della bicentenaria tenzone, secondo la nota asserzione che: «chi vince ha sempre ragione».
L'importanza dell'opera, la cui lettura deve costituire stimolo per ulteriori approfondimenti nei singoli settori esaminati, consiste anche nell'aver esposto le molteplici componenti, sempre più intricate fra di loro, quali sono state sintetizzate nelle scelte decisionali dei pochi personaggi che effettivamente hanno avuto il massimo della rappresentazione mediatica.
Con ciò si intende significare che, mentre apparentemente le Nazioni definite "totalitarie" avevano ai vertici personalità che gli avversari chiamavano "dittatori", non diversamente i paesi "democratici" dipendevano integralmente, nelle scelte finali, da individui "preminenti" destinati ad esporsi in prima persona.
Nei momenti cruciali del XX secolo, infatti, il potere posto nelle mani di un Churchill o di un Roosevelt fu nettamente superiore alle disponibilità operative di un Mussolini, o di Hitler, come hanno dimostrato con chiarezza eventi quali il 25 luglio 1943 e l'8 settembre dello stesso anno, nonchè il 20 luglio 1944.
Questa necessaria centralizzazione decisionale dimostra inequivocabilmente che, senza peraltro voler sminuire i problemi del secolo precedente, il XX secolo ha dovuto far fronte ad una quantità incredibile di situazioni impreviste ed imprevedibili, intersecantesi fra di loro, e molto difficilmente districabili.
Alcuni fattori devono essere presi in considerazione, proprio perché difficilmente citati nella letteratura corrente.
Possiamo far risalire la presa di coscienza del secolo, alla fine ottocento, con la guerra Cino-Giapponese per il protettorato sulla Corea. Con stupore, l'opinione pubblica euro-americana dovette prendere atto del risveglio rapidissimo del mondo Asiatico, del quale battistrada era stato lo sviluppo improvviso di una nazione e la nascita di una potenza oceanica da quello che fino a poco prima era stato un isolatissimo Stato feudale.
La batosta inferta alla Russia zarista nello stesso periodo, costrinse ad un lavoro febbrile tutte le potenze del Globo al fine di riuscire a fronteggiare il nuovo pericolo. E le persone lungimiranti, (in quel periodo nasceva anche una nuova scienza consona ai tempi, la geopolitica), capirono che sarebbe stato necessario attrezzarsi per i tempi della nuova "Civiltà delle Macchine".
Per prima fu la Gran Bretagna che interpretò la sconfitta della flotta russa del Baltico presso Port Arthur come necessità di trasformazione del propellente per le proprie navi da guerra, l'arma fondamentale dell'impero marittimo per eccellenza. Fu la fine strategica del carbone e l'inizio della guerra per il petrolio (vedi: Von Zischka: "La guerra segreta per il petrolio", Bompiani, 1936).
Contemporaneamente si cominciò a capire che la produzione industriale delle armi da guerra era un'ulteriore ed irrinunciabile elemento di potenza.
Questa iniziale intuizione avrà con il primo conflitto mondiale una terrificante conferma, aumentando a dismisura il potere dell'industria pesante (vedasi la situazione interna degli USA, strozzati nella tenaglia fra industria bellica ed industria dell'usura).
Va da sé, che in questa situazione ne escono avvantaggiati i paesi ricchi di minerali più o meno preziosi, paesi ricchi di giacimenti petroliferi (gli USA lucrarono a dismisura nella fornitura di petrolio e gas agli eserciti alleati durante il periodo di non belligeranza), e paesi che, come l'Inghilterra, disponevano di una struttura "imperiale" che garantiva loro di giocare "in casa". In questo caso, che vale anche per il Belgio ma non per la Germania o l'Italia, bastava la sicurezza delle rotte marittime e la presenza di eserciti coloniali, che furono utilizzati anche in Europa. È pertanto ovvio pensare che il vecchio sistema colonialista inizi a preoccuparsi per la difesa di una struttura messa in opera, non senza difficoltà, e basterebbe pensare alle guerre napoleoniche, contro gli assalti di coloro che, arrivati tardi all'appuntamento, aspirino a partecipare al banchetto.
E in questo caso occorre pensare anche all'Italia, paese di fresca unificazione, sotto protettorato della potenza, quella inglese, che ne aveva assecondato il processo risorgimentale per tenere ancor più sotto controllo le rotte del Mediterraneo, priva di materie prime e di ricchezze naturali, ma ricchissima di ingegno e con alto sviluppo demografico.
Quanto sinora scritto illustra un quadro internazionale caratterizzato dalle trasformazioni impresse alla storia umana dal progresso tecnologico.
Tuttavia ulteriori considerazioni devono essere esposte.
Lo shock del primo conflitto mondiale, idest "Lotta di Macchine" (vedi: E. Junger, "Tempeste d'acciaio" e "Il Lavoratore") impone la necessità di centralizzare la produzione bellica, anche perché gli investimenti diventano sempre più massicci e richiedono interventi pubblici crescenti. Non solo: le strutture produttive si adeguano ad un sistema di comando di tipo militare, che permette un controllo sempre più stretto dei lavoratori (tecnici e operai), e le società civili stesse ricevono l'imprinting delle strutture militari.
Non a caso assistiamo anche a una "militarizzazione figurata", con gli attivisti dei partiti che vestono una specifica divisa. Beninteso, questo fenomeno non riguarda soltanto i paesi "fascisti" o ispirati dal Fascismo, ma anche i paesi cosiddetti "democratici", come quelli che costituiscono il mondo anglosassone. Dove peraltro ha sempre comandato, senza interruzioni, un'esigua minoranza di ricchi borghesi. Inutile aggiungere l'esempio della Russia bolscevica ove per tutto il periodo della sua esistenza il sistema si è caratterizzato come un grande campo di concentramento per l'industrializzazione forzata.
Ricordiamo che nel caso degli USA è la stessa costituzione di quella Confederazione di Stati, che risale al 1776, a prevedere un solo presidente con ampia libertà decisionale.
Mentre, grazie al secondo conflitto mondiale, le libertà civili sono gradualmente, spesso impercettibilmente ridotte, assistiamo all'ascesa nei posti di comando, degli uomini della finanza. Il processo di finanziarizzazione dell'economia è indubbiamente facilitato proprio dalla riduzione dei margini di potere della "politica" nei confronti di altre potestà tecniche.
Pertanto, l'evoluzione della seconda parte del XX secolo porta alla ribalta coloro che regolano gli scambi finanziari dell'intero orbe terracqueo. Siamo alla cosiddetta "globalizzazione". Infatti, non è concepibile una teoria della globalizzazione senza lo strumento che la genera: i flussi monetari, gli scambi "virtuali". Pertanto, pur essendo vero che i finanziatori hanno sempre accompagnato, ma sempre in disparte, nel tempo storico, le imprese dei potenti e dei "grandi", nel contesto attuale emerge la forza politica delle Organizzazioni finanziarie e dei loro uomini di punta (banche, enti di controllo, fondi), i quali applicano metodi di condizionamento della vita sociale di tutte le popolazioni del globo basati sulla tecnica manipolatoria delle Borse (aumento o diminuzione artificiosi e aleatori del valore dei beni scambiati). Pertanto, uno degli aspetti maggiormente significativi delle conseguenze "reali" del secondo conflitto mondiale è costituito proprio dagli accordi di Bretton Woods (New Hampshire, USA) del 1-22 luglio 1944, FMI, BIRD, predominio del Dollaro sulle altre valute, e dalla sospensione della convertibilità del dollaro in oro (Nixon, 15 agosto 1971), con la crescita del ruolo della banca Mondiale e del FMI, i quali intervengono d'imperio su tutti i paesi, apparentemente indebitati, con obbligo di privatizzazione delle imprese statali, tagli alle spese sociali, agevolazioni varie alla penetrazione delle Multinazionali. Pertanto, step by step, siamo arrivati all' instaurazione di una dittatura della banconota e del debito virtuale, che si estrinseca attraverso l'imposizione fisica nei gangli vitali dello Stato (ancora di diritto?) di individui che dipendono integralmente dalle direzioni del marketing finanziario globalista.
Non sappiamo come inquadrare storicamente la situazione, ma di certo, la situazione attuale richiede un' attenta valutazione. Sicuramente viviamo un passaggio cruciale della storia del mondo. LA TRANSIZIONE DRAMMATICA ALLA QUALE ASSISTIAMO HA TUTTI I CARATTERI DELLE FASI D'INSTAURAZIONE DELLE NUOVE SOVRANITÀ.
Gli stessi fenomeni si produssero in Italia nel XVI secolo, quando gli Stati vollero imporre la loro sovranità giuridica ai principi feudali. Gli Orsini, i Malatesta, i Colonna, pretendevano di avere diritto di Giustizia sulle loro terre. Non comprendevano assolutamente nulla dei processi che la Repubblica di Venezia ed il Papa intentavano loro, e morirono persuasi del loro buon diritto. Convinti che i nemici volessero sbarazzarsi di loro, (ed era vero…) raccontando frottole. Gli Orsini, i Malatesta, i Colonna sparirono come sovrani e i loro discendenti sono divenuti docili sudditi del Papa e del Granduca di Toscana.
Noi non sappiamo cosa pensano i "banksters" di loro stessi. Non sappiamo se credono di rappresentare nuove forme di rappresentanza socio politica, come lo furono i nuovi Stati italiani che sostituirono i signori feudali. Tuttavia non riteniamo confacente alla dimensione umana l'assoggettamento ad un anonimo potere finanziario. Nemmeno per una promessa sub umanità di androidi prevista dagli scrittori di fantascienza.
CONCLUSIONE: oggi si definisce "antipolitica" quei gruppi di persone che lottano contro il potere finanziario, ormai senza freni di carattere morale o giuridico.
In realtà l'antipolitica è proprio questo ANTIPOTERE (definito antipotere perché privo di qualsiasi legittimità, tanto da dover essere imposto con la truffa ed il raggiro). Ma per seguire nel dettaglio le tappe che hanno portato, attraverso due secoli di scontri e di lotte, alla situazione attuale, occorre leggere con molta attenzione il libro di Gian Paolo Pucciarelli.

 

Giorgio Vitali

   

Novecento segreto
- stralci -

Gian Paolo Pucciarelli      
 

Capitolo I

Sotto il Segno dello Scorpione

Nell'agosto del 1991 i moscoviti non pensavano di dover maledire Gorbacev e la perestroika per il resto della loro esistenza e tanto meno di ricevere in premio disoccupazione e miseria per il contributo di sangue da essi preteso, prologo e corollario delle previste esequie del PCUS e, poco più tardi, dell'ingombrante e anacronistica Unione Sovietica. La sommossa popolare di Mosca doveva riprodurre il raccapriccio di Piazza Tienamen e Timisoara, del resto atteso dal cranio calcolatore di Milton Friedman, come effetto collaterale di una vasta manovra, tesa a introdurre l'economia di mercato in estremo Oriente, nell'Est europeo e nel paradiso perduto dei Soviet.
Come la protesta cinese e romena, quella sollevata al cospetto del Cremlino chiedeva il rispetto che sarebbe stato giusto riconoscere al sacrificio di tre generazioni, disposte a patire fame e carestie e a farsi massacrare in pace e in guerra, ma riluttanti e certamente impreparate ad affrontare la forza d'urto del capitalismo, quando questo volesse dire recessione e perdita del potere d'acquisto della propria moneta. A tutto ciò si aggiungevano i frantumi di troppi sogni infranti e la convinzione che, tutto sommato, il rigore dispotico di Ceausescu, di Mao e Den Xiaoping e i "benefici" dell'economia pianificata, fossero preferibili a un futuro incerto, per quanto battuto qua e là da soffi di un presunto buon vento democratico.
Allora forse non sfiorava nemmeno le menti di Eltzin e del fido Putin (già impegnate nel progetto mondialista) il sospetto che non bastassero la glasnost e una rinnovata Duma, né la messinscena di un colpo di stato, a convincere il popolo russo che non fosse in atto la costruzione di un'altra, meno visibile, tirannia. Di quest'ultima i dimostranti moscoviti sopportavano gli effetti, come l'inflazione al 23%, la mancanza di generi alimentari e di prima necessità, l'assenza assoluta di qualsiasi opportunità di lavoro, per cui non pareva tanto lecito mandare a quel paese Marx e la teoria del plusvalore. Evidentemente ignari del fatto che dal 1990 si stavano riversando sulla Russia valanghe di rubli, per farne precipitare la già precaria economia, i russi si sarebbero trovati in mano moneta svalutata e quasi inservibile, senza sapere a chi attribuirne la colpa. Serio problema, ingigantito allora, ma permanente anche un decennio più tardi, quando il virtuale ingresso della Russia nella NATO, sarebbe coinciso con l'attesa crescita del PIL russo, effetto della concordata presenza di Gazprom sul mercato europeo, allorché proprio l'Europa occidentale diventava la destinataria di quei gravami sociali (come i flussi migratori dalle aree d'oltre cortina dimostravano) che appesantivano il passo della ripresa economica russa, peraltro accompagnata dalle inesauste e giustificate proteste popolari non sempre controllate all'interno della Federazione Russa dalle squadre antisommossa di Putin.
Nel 1991 dunque, l'Unione Sovietica, fra delusioni e sorprese, sarebbe anch'essa diventata… inservibile, perché si riteneva esaurita la carica persuasiva dell'utopia marxista e superflua la funzione che essa avrebbe svolto nel periodo della Guerra Fredda. Anche se reso, sulle prime, illeggibile dalla diffusa retorica del comunismo, destinata, in Russia e altrove, a ottenere il plauso e l'adesione di vaste masse popolari, il piano rivoluzionario proclamato da Marx in realtà avrebbe avuto altri scopi, più tardi emersi, quando sarebbe venuto a mancare il senso stesso di una missione politica dagli esiti improbabili e sempre più incerti. Sfumato anche il proposito di mantenere le promesse di una rivolta planetaria, condotta in nome e per conto di una mera astrazione, si sarebbero moltiplicati i dubbi di chi si chiedeva fin dall'inizio quale antropomorfa dittatura o meno definibile sistema autoritario, avrebbe infine sostituito il Proletariato, chiarendo i ruoli di Lenin e dei Bolscevichi, i fini non dichiarati dei piani quinquennali e dello stesso dispotismo staliniano, propenso a espandere (contrariamente alle promesse dei tempi difficili) il sistema sovietico e il comunismo, col solo mezzo che rendesse possibile la realizzazione di un piano globale: la guerra.
Lo stesso compito (assunto e dichiarato) di condurre una rivoluzione mondiale non avrebbe ammesso, del resto, condizioni di pacifica convivenza, ma preteso invece il sistematico ricorso allo scontro armato e all'aggressione, che la stessa etica rivoluzionaria marxista avrebbe pienamente giustificato.
L'occupazione del territorio altrui, necessariamente connessa al piano di esportazione del comunismo, avrebbe anche previsto lo scaltro uso della guerra… degli altri. La strategia adottata, in tal caso, sarebbe stata attendista: qualunque ne fosse stato l'esito, la guerra avrebbe indebolito le forze dei paesi belligeranti, facendone obiettivi delle mire sovietiche e terreno ideale per accendervi focolai rivoluzionari, indispensabili alla successiva invasione dell'Armata Rossa.

Yuri Lina - Le confessioni di un estone
La storia dell'URSS, fra orrori e repressioni, avrebbe quindi seguito un proprio corso, all'insegna di una rigida segretezza, necessaria a svolgere i ruoli ad essa assegnati nel primo e nel secondo dopoguerra, e a nascondere un dato costante dei suoi bilanci economici dal 1923 al '91: il primato assoluto delle spese per gli armamenti. Così sarebbe gradualmente emerso, non certo grazie alla glasnost, che la percentuale del prodotto interno lordo dell'Unione Sovietica, destinata alla fabbricazione e all'acquisto di armi, non è mai scesa, dalla sua costituzione fino al suo (presunto) "decesso", al di sotto del 35%. Un primo "messaggio di pace" ai popoli della Terra lo avrebbero tuttavia lanciato Lenin nel '22 e Stalin nel 1927, quando quest'ultimo, mettendo in pratica le idee del predecessore, inaugurò i tre piani quinquennali (1927-1942) che avrebbero provocato in Unione Sovietica le carestie degli anni Venti e Trenta e portato le spese per gli armamenti a superare talvolta il 50% del PIL sovietico. Chi non credesse attendibili queste cifre, può chiederne conferma all'estone Yuri Lina, autore del saggio che reca il titolo "Under the Sign of the Scorpio", il quale, documenti di Cremlino e Lubianka alla mano (pubblicati da "Pravda" e "Isvestia" in tempi non sospetti e dunque non soggetti a cancellazioni o smentite), può provare che corrispondono al vero.
Nella stessa opera si trovano numerose indicazioni utili a chiarire, fra l'altro, il fine implicito del collettivismo sovietico e a comprendere realmente perché fosse stato necessario ricorrere a metodi brutali e sanguinari per imporre il sistema economico pianificato e proclamarne l'infallibilità. Lo stesso autore conferma che la propensione a riservare una cospicua percentuale del bilancio alla costruzione e all'acquisto di armi, sarebbe stata riconducibile al compito istituzionale, attribuito all'Unione Sovietica, fin dalle sue origini. Tale inclinazione offensiva, implicitamente riconosciuta nelle stesse attività del Comintern (il sostegno finanziario elargito dai sovietici ai rivoluzionari comunisti nella Germania del 1923, ne sarebbe stato un primo chiaro esempio; seguito nel 1936 dall'appoggio militare e logistico che Stalin generosamente concesse ai repubblicani filo marxisti durante la guerra di Spagna) si sarebbe in particolare manifestata il 17 settembre 1939, quando il leader sovietico ordinò all'Armata Rossa di occupare il territorio polacco fino al corso della Vistola, nel quadro di un progetto di espansione comunista, che avrebbe previsto in tempi brevi l'invasione sovietica della Germania, unico e vero scopo, secondo la strategia staliniana, della sottoscrizione del noto patto Ribbentrop-Molotov.

The Icebreaker
Nell'opera che reca il titolo "Ledokol" (Rompighiaccio, in russo), Victor Suvorov, alias Vladimir Rezun, già ufficiale del sovietico GRU (Glavnoe Razvedyvatelnoye Upravlenie - Direzione delle Informazioni Militari), sostiene che le intenzioni bellicose di Stalin, del resto accertate due mesi dopo con l'aggressione sovietica della Finlandia, sarebbero state chiaramente espresse all'indomani dell'accordo stipulato coi Nazisti il 23 agosto del fatidico anno 1939, quando negli ambienti riservati del Cremlino il leader sovietico avrebbe ampiamente discusso i segreti risvolti del patto stesso, evidentemente ignorati dalla controparte germanica. L'autore di "Ledokol" (l'unica edizione italiana è stata pubblicata nel 2000 col titolo "Stalin, Hitler e la Rivoluzione Bolscevica Mondiale"), sottolinea infatti gli aspetti della singolare relazione stabilita tra Hitler e Stalin, utile in gran parte a semplificare il compito che, soprattutto in quella particolare occasione, l'Unione Sovietica avrebbe dovuto svolgere. Secondo Suvorov, il patto di non aggressione avrebbe permesso al leader sovietico di ordinare la mobilitazione generale fin dal settembre del 1939 e di predisporre il dislocamento di 160 divisioni dell'Armata Rossa lungo i confini occidentali dell'URSS (Carelia, Repubbliche Baltiche e territorio polacco situato a est della Vistola), in attesa del colossale attacco che Stalin avrebbe poi sferrato contro la Germania. A tale scopo, il Capo supremo del Cremlino avrebbe ordinato, nel gennaio del '40, il richiamo di un milione di riservisti, portando a 3.500.000 il numero dei combattenti dell'Armata Rossa (giunta così a costituire, con i 7.500 carri armati e i 6.000 caccia bombardieri a sua disposizione, una potenza bellica senza uguali nel mondo) e incaricato il maresciallo Georghy Zhukov di definire il piano di invasione della Germania, detto anche Operazione "Groza" (Tempesta), da attuarsi non più tardi del 15 giugno 1941. L'ex agente del GRU, evidentemente propenso ad esporre gli avvenimenti successivi alla data del 23 agosto 1939, secondo la visuale dello stratega militare e a trascurare più del dovuto i risvolti politici sottostanti al patto di non aggressione (cautela derivante forse dal timore di compromettere le proprie relazioni con lo Stato occidentale che gli avrebbe poi offerto asilo politico), descrive dettagliatamente i preparativi dell'attacco sovietico che Stalin avrebbe scatenato contro la Germania di Hitler, non appena quest'ultima (impegnata a condurre la guerra sul fronte occidentale, grazie anche alle forniture di materie prime e petrolio, concesse al Reich dalla stessa Unione Sovietica) avesse manifestato i primi segni di cedimento e dimostrato di non poter sostenere l'impegno bellico su un doppio fronte.
A sostegno delle tesi esposte nel suo "Rompighiaccio" e ribadite nei successivi lavori ("M-Day", "The Chief Culprit", "The Last Republic"), Suvorov cita più volte il discorso (pubblicato da "Isvestja" nel 1994) che Stalin tenne nel maggio del 1941 ai neo ufficiali dell'Accademia militare di Mosca. Occasione in cui il leader sovietico manifestò l'intento di dare attuazione al più presto al piano di conquista dell'Europa, attaccando prima la Germania. Le intenzioni di Stalin, di cui il Fuhrer ebbe certezza solo nell'autunno del '40, avrebbero indotto quest'ultimo a emettere, nel dicembre dello stesso anno, la direttiva n. 21, tesa a disporre un piano di contenimento dell'ormai sicuro attacco sovietico, che il massiccio schieramento delle divisioni corazzate dell'Armata Rossa lungo il fronte nord occidentale faceva ritenere assai prossimo. I timori del Fuhrer sarebbero stati giustificati, considerando per lo meno improbabile che la strategia militare, allora corrente, avesse suggerito questa disposizione delle truppe sovietiche a soli scopi difensivi. Il contemporaneo impegno delle forze armate germaniche in Nord Africa, in Europa e nei Balcani, avrebbe poi indotto Stalin a stabilire la data d'inizio dell'Operazione Tempesta nel 15 giugno 1941, termine, consigliato da Zhukov, entro il quale l'Armata Rossa avrebbe dovuto attaccare la Prussia Orientale e procedere all'occupazione dell'intera Germania, se l'imprevisto volo di Rudolph Hess in Scozia del maggio precedente non avesse causato le perplessità di Stalin e destato in lui il dubbio (poi infondato) che la Gran Bretagna, grazie all'intervento del Vice di Hitler, stesse concludendo trattative di armistizio con il Reich Tedesco. Eventualità che avrebbe costretto Stalin a rivedere interamente i suoi piani e a rinviare al successivo 6 luglio l'invasione della Germania. Il fatto avrebbe permesso a Hitler di anticipare le mosse di Stalin, ordinando l'attacco preventivo del 22 giugno 1941, nel disperato tentativo di salvare la Germania dall'ormai certa occupazione sovietica. L'avvio dell'Operazione Barbarossa sorprese Stalin, solamente perché il leader sovietico era fermamente convinto che Hitler, vista la sostanziale inferiorità delle sue truppe rispetto alle quelle sovietiche (ben sette volte superiori in numero e mezzi), avrebbe atteso tempi migliori per impegnarsi su un doppio fronte. Lo stesso Suvorov definirà l'Operazione Barbarossa "Suicidio" (Samoubyistvo in russo), titolo del libro che egli completerà nel 2001, nel quale avrà modo di dimostrare che la sopravvivenza della Germania dipendeva esclusivamente dal preventivo attacco a sorpresa che il Fuhrer fu costretto a sferrare il 22 giugno 1941 contro soverchianti forze sovietiche.
In tale circostanza, l'Armata Rossa avrebbe mostrato il proprio punto debole precisamente nella disposizione offensiva delle proprie truppe, preparate all'attacco e per questo schierate lungo le linee del nuovo confine con il Reich tedesco, lasciando sguarniti i settori del territorio sovietico interno, destinati invece a fronteggiare l'urto della blitzkrieg nazista. "The Icebreaker" avrebbe dunque tentato di alzare il velo sulle relazioni tedesco-sovietiche che precedettero l'Operazione Barbarossa e sui motivi che ne furono alla base, allorché Victor Suvorov, nel 1987, ritenne, forse troppo temerariamente, che i tempi della glasnost avrebbero permesso al suo libro di iniziare una graduale opera di esumazione dei segreti del sovietismo, utile a confermare le inclinazioni aggressive di Stalin, particolarmente evidenti nel periodo che precede la Seconda Guerra Mondiale. Sebbene "il Rompighiaccio" abbia inizialmente suscitato perplessità (vedi il libro "The Grand Delusion" di Gabriel Gorodetsky), alimentate del resto dalla persistente propaganda di regime anche dopo il crollo dell'Unione Sovietica, le rivelazioni di Suvorov sembrano aver acquisito ulteriore merito, in considerazione del procedimento giudiziario promosso dal tribunale speciale contro l'autore, accusato di alto tradimento dal governo dei soviet e condannato alla pena di morte, tuttora pendente sul colpevole, malgrado le presunte trasparenze, talvolta concesse ai mezzi d'informazione della Federazione Russa.
Le opere di Suvorov, che tarda accoglienza avrebbero trovato nell'editoria anglosassone, nonostante storici russi del calibro di Boris Sokolov, Alla Paperno e scrittori come Alexander Solzhenytzyn ne raccomandassero una rapida divulgazione in occidente, avrebbero invece destato vasta eco in Germania (ovviamente), ottenendo conferme e sostegno da Joachim Hoffmann, autore dell'opera "Stalins Vernichtungskrieg" (Stalin's War of Extermination - The Stalin's Plan To conquer Europe), lettura essenziale per la comprensione delle cause del secondo conflitto mondiale, insieme a quella dei libri scritti sullo stesso argomento dall'austriaco Ernst Topitsch. Tutto ciò avrebbe permesso, se non altro, di avanzare seri dubbi sulla tradizionale immagine, artificialmente costruita, di una pacifica Unione Sovietica, vittima della criminale aggressione nazista.

Gli storici rapporti fra Stati Uniti e la Russia zarista
Dalle opere sopra descritte, che offrono abbondante documentazione sulla sostanziale inclinazione sovietica a fare la guerra, si può trarre conferma che l'URRS fu creata e continuamente sostenuta per svolgere una fondamentale funzione politica-militare, tesa a contrastare sul nascere la costituzione di "Centri" autonomi di potere economico in Europa e in Estremo Oriente. Opinione condivisa da Albert Loren Weeks nel suo libro "Russia's Life Saver", in cui l'autore americano mette a fuoco il secolare sodalizio, costituito tra la Russia Zarista e gli Industriali statunitensi, nella prima metà dell'Ottocento, per consolidarsi, nel corso della Guerra Civile americana. In tale epoca infatti lo Zar Alessandro II avrebbe offerto determinante sostegno agli Stati Unionisti, ponendo le basi di una lunga relazione economica che, nel corso dei successivi decenni, si sarebbe ulteriormente intensificata. Esemplare a questo proposito sarebbe stata, nel 1867, la rapida conclusione delle trattative per l'acquisto dell'Alaska da parte degli Stati Uniti (piano Seward), raccomandato con insistenza alla Casa Bianca dai Signori di Wall Street, con l'ossequioso appoggio del Congresso. Nelle previsioni almeno, questo avrebbe permesso di creare una via di comunicazione meno tortuosa tra gli Stati Uniti e la Russia, concentrando nel porto di Vladivostok il maggior flusso delle merci, per soddisfare le esigenze connesse con l'intensificarsi degli scambi commerciali e delle attività finanziarie americane in Russia, che i piani zaristi di sviluppo della rete ferroviaria e dell'agricoltura intendevano promuovere, col determinante sostegno finanziario dei Gruppi Vanderbilt, Rockefeller, Morgan e Carnagie. L'importante nodo di Vladivostock (capolinea fra l'altro della Ferrovia Transiberiana e principale punto di arrivo del materiale bellico, inviato da Washington ai sovietici per sostenere lo sforzo della grande e poi vittoriosa "guerra patriottica" del 1941-'45) sarebbe stato, nel frattempo, oggetto delle mire giapponesi, tese a contrastare lo sviluppo di questa rotta commerciale sul Pacifico, che evidentemente comprometteva gli interessi del Sol Levante.
I cosiddetti Wall Streeters, già padroni della Federal Reserve Bank of New York, avrebbero in seguito deciso di favorire l'instaurazione in Russia di un regime, al quale il popolare consenso avrebbe attribuito una straordinaria solidità, indispensabile a neutralizzare le velleità espansionistiche di Nicola II e a costituire un argine contro l'imperialismo giapponese, ma soprattutto a garantire gli enormi interessi americani, di natura economica e finanziaria, negli sconfinati territori della Russia zarista.
L'impero finanziario di Wall Street, non avrebbe dimenticato nell'occasione di evitare che la secolare e feconda cooperazione russo-americana, fosse in futuro turbata da probabili e sgradite interferenze europee, in particolare, germaniche; in considerazione delle avanzate tecniche di cui disponevano i tedeschi, naturalmente orientati a penetrare nel retrogrado sistema economico della Russia zarista. Nel 1914 dunque, in attesa del generale coinvolgimento delle Potenze europee nel primo conflitto mondiale, la Power Elite Finanziaria, operante negli Stati Uniti attraverso la Borsa newyorkese, avrebbe messo a punto un piano di finanziamenti, stanziati a favore della Rivoluzione Bolscevica, applicando i criteri del neonato Federal Reserve System, (vedere in proposito il volume di Anthony Ciryl Sutton "Wall Street and the Bolshevik Revolution", Buccaneer Books, New York, 1974) ed elaborato un sistema di pluriennali sostegni finanziari da far pervenire al governo dei soviet, affinché quest'ultimo potesse attuare al suo interno un sistema di economia chiusa e sviluppare un programma di potenziamento degli armamenti, adeguato al compito che avrebbe dovuto svolgere. Restando tuttavia da accertare il non secondario fine, opportunamente mascherato dall'ambiguo pensiero marxiano, che l'Unione Sovietica avrebbe fra l'altro dovuto perseguire, non certo nell'interesse del proletariato: la costituzione di una società collettivista globale, fortemente auspicata dai Centri del potere finanziario statunitense e dal "braccio esecutivo" di quest'ultimo, detto anche "International Corporate Banking". Questa prospettiva avrebbe determinato le svolte nella politica internazionale, auspicate nel 1919, in occasione della Conferenza di Parigi, dal governo degli Stati Uniti, propenso a ridefinire, in via preliminare, l'aspetto geopolitico euroasiatico, privilegiando gli obiettivi del Capitalismo Finanziario Monopolistico angloamericano, che consistevano precisamente nell'acquisire il controllo delle fonti energetiche e nel sottoporre gli sviluppi delle economie mondiali al proprio insindacabile arbitrio.


Capitolo II

Il nuovo strumento della "Power Elite Capitalistica"
L'Europa, appena uscita dalla Prima Guerra Mondiale, rappresentava il principale campo d'azione dell'Impero Finanziario newyorkese, autentico coordinatore, attraverso la borsa di Wall Street, del flusso di capitali destinati alla ricostruzione postbellica del Vecchio Continente. Le Corporations di matrice statunitense, miranti ad acquisire il controllo dell'economia europea, stabilivano nel dollaro la moneta di riferimento delle transazioni internazionali, legate al costo dei prodotti petroliferi. La Bank of England, sotto la regia di Casa Rothschild, si poneva al servizio della Corona inglese, più incline a seguire i consigli dei Finanzieri internazionali che a garantire autonomia politica in seno alle Camere dei Lord e dei Comuni, dimostrando come i centri chiave della politica di Washington dipendessero dalle attività febbrili delle Accepting Houses londinesi e quanto logore fossero le parvenze d'un sistema democratico parlamentare in stridente contrasto col regime monarchico. Ma il fatto nuovo che l'Impero Britannico avrebbe dovuto accettare nel contesto politico del dopoguerra era la presenza di una Unione di Stati guardiani, costituita con il preciso compito di impedire che in Europa e in Asia si formassero sistemi economici indipendenti, o comunque non soggetti al controllo del Capitalismo Finanziario d'oltreoceano, alias International Corporate Banking. Il ruolo svolto dall'URSS, avrebbe assunto estrema importanza nei rapporti, stabiliti tra Gran Bretagna e Stati Uniti, in base ai quali si sarebbero definite nuove aree di influenza nel versante atlantico e nel Pacifico, e ribadito l'irrinunciabile diritto inglese al controllo del Mediterraneo, a guardia del quale sarebbe stato costituito lo Stato ebraico in Palestina, garante fra l'altro delle pretese avanzate dalle Compagnie petrolifere americane sui territori del Medio Oriente e del Golfo Persico. Già in fase di progetto, la costituzione dello Stato di Israele assumeva inestimabile portata dal punto di vista economico, risultando poi determinante nel condizionare le relazioni politiche internazionali, volte a trovare un senso e una giustificazione, solo ove e quando esse servissero ad affermare l'idea di potenza, legata all'imprescindibile diritto di prevalere sugli altri, grazie a mezzi finanziari adeguati e al controllo quasi assoluto delle fonti energetiche.

The Hidden Tiranny
Nel nuovo scenario politico del dopo Versailles, assume dunque rilievo, analogo a quello attribuito alla "Russia Bolscevica", il progetto di costituzione dello Stato ebraico in Palestina, degno probabilmente di scarsa notorietà alla Conferenza di Parigi e cautamente omesso dal Presidente degli Stati Uniti, Woodrow Wilson, nell'enunciazione dei celebri "Quattordici Punti", essenziale catechismo da apprendere e seguire, da parte di chiunque, in un modo o nell'altro, si trovasse alla guida di governi e popoli nell'auspicato, futuro "mondo di pace". È forse il caso di aprire una parentesi, semplicemente per riportare il punto di vista di un ebreo americano, che a suo tempo faceva parte dell'Organizzazione Sionista Mondiale, di cui egli fu socio fondatore, insieme a Theodor Hertzl, nel 1898. Costui, in un suo volumetto di una cinquantina di pagine scritto negli Anni Trenta, rende noto, a tutti coloro che potrebbero essere interessati all'argomento, più o meno, quanto segue: «Gli accordi relativi alla fondazione di uno Stato ebraico in Palestina, in chiaro contrasto con gli interessi delle popolazioni islamiche palestinesi, sarebbero stati sottoscritti in forma ufficiosa, nel dicembre del 1916, dal premier inglese David Lloyd George e da Woodrow Wilson, in seguito a non meglio precisate pressioni, esercitate sul presidente americano da tale Samuel Untermeyer, titolare di un potente studio legale newyorkese ed esponente di spicco dell'Organizzazione Sionista Mondiale, il quale avrebbe assicurato (bontà sua!) l'intervento degli Stati Uniti nel primo conflitto mondiale a fianco della Gran Bretagna, a condizione che il governo inglese "garantisse" la futura fondazione dello Stato di Israele. Il felice esito di questi accordi (gli Stati Uniti intervennero nella Prima Guerra Mondiale il 6 aprile 1917), legittimati più tardi nella nota Dichiarazione Balfour del 2 novembre, sarebbe però dipeso in massima parte, da un'altra, apparentemente curiosa, intesa, raggiunta in singolare coincidenza con la garanzia che i britannici furono costretti a offrire per il costituendo Stato ebraico: l'intesa "giudaico-bolscevica"».
Il libretto in questione che reca il titolo di "Zionism - The Hidden Tiranny", non è altro che la confessione di Benjamin Freedman (questo il nome dell'autore), il quale sostiene che l'Unione Sovietica (la cui costituzione avrebbe dovuto essere preliminare alla fondazione dello Stato ebraico in Palestina) sarebbe stata una creatura del Potere Finanziario Ebraico (detto anche Talmudista), imperante negli Stati Uniti fin dai tempi della guerra civile americana e teso a condizionarne la politica, al fine di estendersi e acquisire l'assoluto controllo della finanza internazionale, dei mezzi d'informazione e comunicazione, delle risorse energetiche e di ogni sistema produttivo. L'autore, lasciando intuire i probabili motivi dell'insospettabile sodalizio, in via di costituzione fra sovietici ed sionisti-americani, riferisce circostanze e dettagli di un finanziamento di 20 milioni di dollari fatto pervenire nella primavera del 1917 dal banchiere ebreo Jacob Schiff a Lenin e Trotzski, per instaurare in Russia il governo rivoluzionario bolscevico. Conferme dei successivi e costanti aiuti finanziari disposti da Wall Street a favore del governo dei Soviet ci giungono dal già citato Anthony Cyril Sutton, il quale fornisce indiscutibile documentazione e copie delle ricevute bancarie (conservate negli archivi del Dipartimento di Stato) attestanti i trasferimenti di denaro a favore dell'Unione Sovietica, disposti per il tramite della borsa newyorkese. L'analisi delle opere scritte sullo stesso argomento da autori come i già ricordati, Yuri Lina (Under the Sign of the Scorpio e Architects of Deception), Albert Loren Weeks (Russia's Life Saver) e Joachim Hoffmann (Stalin's War of Extermination), oltre a quella di Myron Fagan (The Federal Reserve and the CFR) consentono di elaborare un quadro abbastanza verosimile delle funzioni "implicite" svolte dall'Unione Sovietica nella realizzazione del proprio compito istituzionale. Per la Finanza Capitalista, esportare il comunismo significava soprattutto creare le condizioni che avrebbero giustificato il successivo intervento liberatore delle cosiddette forze democratiche o, più verosimilmente, dei governi che per tradizione si fossero arbitrariamente attribuite le capacità di rappresentarle. Il crollo dell'Unione Sovietica avrebbe così, fra l'altro, rivelato lo scopo del confronto fra le due Superpotenze e i prevedibili sviluppi del cosiddetto bipolarismo, tali da rendere evidente il tracciato del costituendo nuovo ordine mondiale.

Il Federal Reserve System e la costituzione dell'URSS - Due buoni motivi per far scoppiare una guerra mondiale
Il "Quarterly Journal of Economics", in un articolo pubblicato a Washington nel mese di Aprile del 1887, rileva l'insostenibile debito pubblico dei Paesi europei, formulando l'auspicio d'un urgente risanamento dei loro bilanci, esplicitamente espresso nel seguente monito: «Le finanze d'Europa sono a tal punto compromesse dall'indebitamento generale che i governi dovrebbero chiedersi se una guerra, malgrado i suoi orrori, non sia preferibile al mantenimento di una precaria e costosa pace».
Fra lo sconcerto generale che, come si può supporre, il menzionato articolo ebbe allora modo di provocare, si apprendeva che le Potenze Europee, sottoposte a rigidi vincoli finanziari, perché debitrici, sarebbero state costrette a seguire fra il 1887 e il 1914 determinati orientamenti politici tali da condurre a un conflitto senza precedenti nella storia, allo scopo di pagare il loro debito pubblico (public debts of Europe (sic)). In breve la guerra (mondiale) sarebbe stata la sola alternativa alla bancarotta.
Il "trimestrale", destinato a diventare prestigioso negli ambienti economici internazionali, attribuiva l'origine del colossale debito pubblico europeo (qualcosa come 5.300 milioni di dollari di allora da pagare annualmente in linea interessi) alle allegre gestioni dei cosiddetti "sinking funds" (fondi governativi, costituiti a garanzia dei bonds emessi dallo Stato), omettendo di precisare che proprio questi sono parte fondamentale del meccanismo adottato dal Sistema Bancario Internazionale per indebitare i governi e dichiararli insolventi, quando il prelievo fiscale non sia più sufficiente a rimborsare (in linea capitale e interessi) il "prestito" loro concesso. La tecnica, dell'Investment Banking, prevede fra l'altro la "mobilizzazione del credito", cioè il reinvestimento dei fondi (attraverso i servizi della Banca Centrale), e particolare attenzione alle procedure di ammortamento cui sono soggetti gli strumenti (per esempio gli armamenti) che il debitore ha acquisito, grazie al prestito concessogli. Nell'Europa d'inizio Novecento il clima politico, carico di tensioni, sembrava prossimo a scatenare la tempesta, del resto annunciata da fermenti rivoluzionari e pressanti rivendicazioni delle forze sociali, restando alle diplomazie il merito di aver riconosciuto il diritto di autodeterminazione dei popoli, senza ledere naturalmente certi privilegi imperialistici. Circostanza da cui emergeva la necessità di provvedere comunque all'incremento delle spese per la difesa, malgrado il già insostenibile debito pubblico o, viceversa, proprio in conseguenza di questo. Le banche (internazionali e/o le affiliate, operanti nei rispettivi paesi), erogatrici del prestito, intendevano in ogni caso tutelare il proprio capitale investito con il reintegro e l'aggiornamento degli armamenti, resi obsoleti dal rapido sviluppo industriale, suggerendone in molti casi l'urgente impiego. Anche l'industria pesante si sarebbe adeguata al nuovo indirizzo, che obbligava i governi a disporre conversioni della produzione economica, da cui le banche avrebbero tratto doppio profitto, in previsione e nel corso dell'eventuale conflitto (acquisto di armi) e nella fase successiva alla fine delle ostilità (ricostruzione). Il Sistema Bancario Internazionale agiva in perfetta simbiosi con le proprie affiliate (acciaierie, chimica, munizioni) formando l'efficiente struttura finanziaria-industriale, chiamata anche "Conglomerate" o "Corporate Banking", tesa ad alimentare ostilità di vecchia data nel teatro europeo e a seminare discordie col volontario aiuto delle diplomazie.
Gli effetti dell'influenza esercitata sui governi dalle banche internazionali sono evidenti in particolare nel cruciale periodo 1907-1914 (crisi finanziaria, intrighi a non finire intorno alla Anglo Persian Oil Company, piano di saccheggio del dissolvendo Impero Turco Ottomano, costituzione del Federal Reserve System) durante il quale si osservano chiari segnali dell'imminente conflitto. In questo scenario, la Gran Bretagna intende consolidare il proprio impero (India) e affermare il proprio dominio sugli oceani, senza dimenticare l'influenza finanziaria che essa esercita, grazie alla Bank of England, sulla sua ex colonia nordamericana, gli Stati Uniti d'America, attraverso il binomio, all'epoca costituito fra Re Giorgio V e Leopold Rothschild della Rothschild House di Londra (che a sua volta si avvale dei propri agenti negli States, Morgan e Rockefeller). Principale antagonista della Gran Bretagna è la Germania del Kaiser Guglielmo II (nipote del Re inglese Edoardo VII), incline a potenziare la flotta per la conservazione delle proprie colonie e a non rinunciare alle aspirazioni germaniche sui territori dell'Impero Turco Ottomano. Spinta dal revanscismo, dopo la sconfitta nella guerra franco prussiana, la Francia è acerrima nemica della Germania per l'eterna contesa dell'Alsazia-Lorena. L'Italia giolittiana, concluso a suo vantaggio nel 1912 la guerra con la Turchia per la Libia, si annovera fin dal 1850 fra i migliori clienti di Casa Rothschild, cui si dovrebbe, secondo alcuni, grazie ai pluriennali finanziamenti ai Savoia, la sospirata Unità Nazionale. Il quadro non è completo. Manca la Russia zarista, che nello scenario prebellico costituisce un caso a parte, se vogliamo credere a chi sostiene che tra gli equivoci delle Tesi su Feuerbach e le proteste sociali dell'epoca c'era di mezzo, come sempre… la Banca. Vale a dire che si può anche pagare lautamente l'aria fritta, purché, rivenduta in forma d'ideologia, svolga opportune funzioni livellatrici, determinando illusioni sufficienti a preferire alla fame i presunti benefici dell'economia collettiva. Ciò significa fra l'altro che la diffusione di un ideale rivoluzionario e l'indebitamento generale sono mezzi giustificati dallo stesso fine: il controllo delle masse. Nel contesto, il ruolo della "Banca" si svolge secondo le regole del già citato "Sistema" che comprende l'Istituto di emissione (Banca Centrale), le Banche d'investimenti, le Banche commerciali e l'intera rete delle banche locali. Il sistema, operante attraverso articolazioni nazionali, dovrebbe adeguarsi alla politica economica dei singoli Paesi, secondo le direttive impartite alla Banca Centrale dai Ministeri di Economia, Tesoro e Finanze. Ma così non avviene, perché la Banca Centrale controlla lo Stato, invece di essere da questo controllata. Questo succede perché il capitale di maggioranza dell'Istituto di Emissione è in mani private, dietro le quali operano tranquillamente le Banche d'Investimenti Internazionali. È del resto quanto precisamente prevede una "clausola" del contratto di prestito erogato dalle Investment International Banks, per cui il ruolo dell'"Istituto di emissione" diviene ad esse subalterno. Questo è determinato dalla progressiva cessione di quote o azioni del proprio capitale, pretesa ogniqualvolta le Banche d'Investimento internazionali erogano un prestito a favore dello Stato (procedura che può facilitare in tempi brevi l'acquisizione dell'intero capitale della Banca Centrale - vedi al proposito il caso dell'odierna Bankitalia).
Il creditore dello Stato (la Banca finanziatrice che detiene in garanzia beni dello Stato, oltre a gran parte dei bonds dallo stesso emessi per un valore uguale alla circolante moneta) può dunque pretendere il rimborso del prestito, quando a suo giudizio, il debito pubblico diventasse insostenibile. In tal caso la dichiarazione d'insolvenza permetterebbe al creditore di pretendere l'immediato rimborso del prestito, obbligando il governo ad adottare idonee misure finanziarie o, in alternativa, iniziative della politica estera miranti a creare nuove opportunità d'investimento, che prevedono fra l'altro il ricorso al più efficace degli strumenti finanziari, la guerra.
Nell'inverno del 1914, divenne urgente rispettare le scadenze, sotto la minaccia, incombente su molte teste coronate dell'Europa di allora, di veder confiscati i propri tesori, ben custoditi nei forzieri delle Banche londinesi, aderenti al "Sistema delle Banche Internazionali".
Il caso dei Romanov è significativo.
Vale la pena al proposito osservare lo sviluppo delle relazioni anglo-russe a cominciare dal 1876, anno in cui si costituiscono a Londra, grazie anche agli introiti della Società del Canale di Suez (finanziata al 50% dalla Rothschild Bank che acquista un anno prima per conto della Corona inglese la quota egiziana, pagando 4 milioni di sterline a Ismail Pascià), quelle che saranno poi chiamate "Accepting Houses", speciali organismi bancari, affiliati alla Hambros e alla Rothschild Bank, che avranno il compito di amministrare il mercato dei bonds o obbligazioni emesse dallo Stato debitore (oggetto di particolari attenzioni sarebbe stato ad esempio il debito per le riparazioni di guerra di 31 miliardi di dollari della Repubblica di Weimar). Ma nel caso della Russia Zarista, sembra documentato il contratto a lungo termine che Alessandro II stipulò con la Rothschild Bank di Londra al fine di ottenere sostegno finanziario per muovere guerra alla Turchia nel 1877. Le pretese che lo Zar avanzò, a guerra conclusa, su Costantinopoli e il Bosforo, furono respinte dal primo ministro britannico Benjamin Disraeli, non solo perché intralciavano le rotte inglesi verso l'India, ma anche perché l'Impero di tutte le Russie risultava insolvente nei confronti dei Rothschild. Ragione per cui lo stesso Disraeli prospettò l'opportunità politica di concedere prestiti contro il rilascio di garanzie reali da parte del successore di Alessandro II, lo Zar Alessandro III, risultato poi altrettanto inaffidabile. La costituzione "in pegno" di buona parte del tesoro dei Romanov, custodita nelle casse delle Accepting Houses londinesi, faceva peraltro riscontro al successivo ingresso della Russia fra le Potenze dell'Intesa, dopo che Nicola II era stato convinto che un ulteriore aiuto finanziario dei Rothschild (secondo la procedure e le clausole sopra descritte) gli sarebbe stato necessario per potenziare un esercito sufficiente a fronteggiare la presunta minaccia degli Imperi Centrali. Visto poi che lo Zar continuava ad essere insolvente anche per gli esiti nefasti della guerra russo-giapponese, Londra (o meglio, le Filiali londinesi dell'Investment Banking) predisponevano il gigantesco tranello di cui sarebbero state vittime lo stesso Zar e il popolo russo. Non prima però che si fosse resa politicamente giustificabile quella guerra totale da tempo prevista per "salvare" i governi europei dalla bancarotta. Il tutto preceduto dall'avvio di un piano, concordato a tavolino con gli Stati Uniti, rappresentati dal Presidente Theodore Roosevelt. Costui infatti si sarebbe proposto quale diligente servitore dell' International Banking fin dalla guerra ispano-americana, condotta allo scopo di favorire il nascente monopolio della canna da zucchero di Cuba e l'espansionismo degli States nei Caraibi e sul Pacifico (Porto Rico e Filippine). La collaborazione con le "Accepting Houses" londinesi sarebbe stata poi evidente nel pool di banche internazionali, costituito allo scopo di determinare il crollo dell'Impero Zarista. Il fine apparente sarebbe stato perseguito a tutela degli interessi delle banche inglesi e a salvaguardia dell'Impero Britannico. La potente Bank of England, che nel frattempo avrebbe fatto carte false per fondare negli Stati Uniti la propria filiale (cioè la Federal Reserve Bank), avrebbe avuto ampie possibilità di azione nelle Borse internazionali, principalmente Wall Street, attraverso cui sarebbero stati disposti flussi di denaro, destinati alla fondazione dell'Unione Sovietica. Sembrano ampiamente documentati i trasferimenti di denaro eseguiti a favore dei rivoluzionari Bolscevichi fra il 1905 e il 1920 attraverso la Kuhn Loeb & Company di New York, i banchieri Jacob Schiff e Olof Aschberg, i quali operavano sotto la regia di Alexander Helphand, alias "Parvus", il coordinatore dei finanziamenti ai rivoltosi per conto delle banche tedesche Warburg. Fra i diretti beneficiari di tali fondi si contavano gli illustri Vladimir Ilich Ulianov, detto Lenin, e Lev Trotzki, profeti del marxismo e costruttori della futura società sovietica. (Nel 2008, all'Hoover Institution Archives di Stanford, California sono state declassificate ricevute bancarie dei trasferimenti di denaro, per complessivi 20 milioni di dollari, eseguiti da Jacob Schiff a favore di Lenin e Trotzky dal 1915 al 1917).
Manovre finanziarie d'indubbia efficacia, rispetto ai meno soddisfacenti risultati di analoghe operazioni, eseguite per esempio a sostegno della rivolta dei Boxer in Cina nel primo anno del XX secolo, che in ogni caso rappresentavano un banco di prova per i successivi interventi dell'International Banking al fianco d'ingorde corporations anglo-americane, decise in quel tempo a primeggiare nel sistematico saccheggio delle risorse minerarie cinesi. Gli americani, saldamente stabiliti a Canton, e gli inglesi nella valle del fiume Yang Tse, sembravano decisi a sloggiare i Russi da Port Arthur, i giapponesi da Formosa e dalla Corea, i tedeschi dalle miniere dello Shantung, i francesi dall'Indocina e dai territori meridionali. In quella circostanza i soldi consegnati ai rivoltosi (Boxer) sarebbero serviti a giustificare la presenza sul territorio cinese di ventimila Marines, guidati dal tecnico minerario e faccendiere Herbert Hoover (futuro Presidente degli Stati Uniti) contro gli stessi Boxer; la conveniente tattica adottata dagli americani consisteva nel sostenere prima la rivolta, per poi sedarla, trasformandola in pretesto per acquisire nuove terre di sfruttamento, facendosi largo fra i concorrenti. Questo precedente potrebbe suggerire la risposta agli interrogativi che un dubbio troppo ingombrante obbligava a porsi: perché i Capitalisti occidentali avrebbero sostenuto la rivoluzione bolscevica e favorito la costituzione di una società comunista nell'Unione Sovietica? Una risposta che può avere chiunque osservi gli sviluppi del Capitalismo nell'arco di tempo, compreso tra il 1919 e il 1989, e possa rilevare, dietro la politica del confronto, che peraltro sarebbe stato necessario ribadire nel secondo conflitto mondiale, la funzione di controllo indiretto assegnata all'Unione Sovietica, allo scopo di impedire il pericoloso flusso sul mercato del libero scambio di materie prime, offerte a prezzi sensibilmente inferiori, rispetto a quelli stabiliti dai Cartelli occidentali, membri di un selezionato gruppo, chiamato anche Capitalismo oligarchico, cui sarebbe spettata, grazie alla proficua collaborazione dell'International Banking, la facoltà arbitraria ed esclusiva di condurre, direttamente o indirettamente, ogni attività produttiva e commerciale della libera economia di mercato. Fra gli obiettivi immediati del Sistema Bancario Internazionale che allora sosteneva i rivoluzionari bolscevichi, vi erano: il già citato crollo del regime Zarista, il sequestro del tesoro dei Romanov (conservato nelle casse della Rothschild Bank, dopo la messa in mora di Nicola II) e l'eliminazione di un pericoloso concorrente (lo stesso Zar) nella corsa al petrolio del Golfo Persico. Lo stesso Capitalismo, del resto, (in procinto di confrontarsi con un sistema che rappresentasse, più o meno formalmente, il suo esatto "opposto") avrebbe anche (e proprio per questo) avuto modo di attestarsi su posizioni più radicali, per altro giustificate, o in via di eterna giustificazione, dalle teorie in esso congenite (legge del massimo profitto col minimo impiego). Il cosiddetto liberismo, in cui dominerebbe il principio del "laissez faire", o delle limitazioni dell'intervento dello Stato nelle attività della libera impresa, avrebbe tratto dalle tesi marxiane occasione di svilupparsi in senso verticale, riducendo il libero mercato a un'area di privilegio, in cui il rischio d'impresa sarebbe stato sensibilmente ridotto, a giovamento esclusivo di chi potesse disporre di mezzi finanziari, idonei a influenzare l'economia dello Stato attraverso il perpetuo "debito-ricatto". Superfluo aggiungere che la costituzione del sistema sovietico, in cui vige il divieto di attivare ogni libera impresa, e la prevista minaccia dell'espansione comunista, sarebbero stati funzionali all'idea di un "monopolio" del capitale, non solo dividendo il mondo in zone di competenza territoriale, ma favorendo l'affermazione in Occidente di un'esclusiva "Power Elite" capitalistica. Il Capitalismo oligopolistico avrebbe così avuto modo di consolidarsi, grazie al comunismo, scongiurando il rischio che dalla Russia Zarista potesse nascere una federazione di Stati, tesa ad espandersi nell'Est Europeo e in Asia per crearvi una nuova forza capitalistica, pronta ad entrare in competizione con gli Stati Uniti d'America. Il Manifesto del Comunismo avrebbe assunto così valore di simulacro a Wall Street, dove Lenin sarebbe stato selezionato quale guida di uno Stato accentratore, garante dell'illusorio potere conferito al proletariato, allo scopo di pervenire al controllo assoluto delle masse, attraverso il sistema dell'economia pianificata. Primo passo: la nazionalizzazione delle banche russe, e la costituzione di una Banca Statale Sovietica, prevista nel programma di Lenin e con favore accolta da Wall Street.
A sostegno di queste tesi, sembra opportuno osservare certi aspetti della strategia di mercato, legata agli sviluppi dell'industria petrolifera americana, a partire dai primi anni del Novecento. Di particolare interesse, a tal proposito, sono le iniziative adottate dal Gruppo Petrolifero Rothschild-Rockfeller, all'indomani dell'entrata in vigore della legge "antitrust", lo Sherman Act, e in previsione dei piani Ford per la costruzione di automobili in serie. Circostanza che avrebbe spinto il Gruppo (l'associazione dei due imperi "Banche-Petrolio" non è ovviamente casuale) ad assumere un rigido controllo del mercato petrolifero internazionale, in conseguenza dello smembramento della Standard Oil e a seguito del cosiddetto "Caso Spindletop" (*). Il riferimento alla moneta statunitense (Petrodollari), sarebbe stato da allora preteso per ogni transazione sul mercato internazionale riguardante i prodotti petroliferi, adottando un sistema di contenimento delle fluttuazioni del prezzo del greggio che scongiurasse pericolose e non lucrative tendenze al ribasso. Il che avrebbe indotto il Gruppo Rothschild-Rockfeller a promuovere efficaci campagne di stampa tese a diffondere infondate notizie sulla presunta scarsità delle riserve (e risorse) petrolifere mondiali, al fine di evitare che si producessero dannosi effetti "dumping" nel mercato interno (visto che la domanda di combustibile era in crescita grazie al lancio dell'automobile Ford Modello T). Ma sarebbe stato soprattutto opportuno non limitare la capacità di competizione del Gruppo sui mercati internazionali. A tal scopo, era evidente che il controllo politico delle aree petrolifere mondiali più promettenti, come quelle del Golfo Persico, Medio Oriente, Caucaso e Caspio, sarebbe stato indispensabile. L'Impero Zarista, che comprendeva allora anche l'immensa area del Kazakhstan, avrebbe rappresentato uno dei più temibili concorrenti fra i potenziali produttori di petrolio, certamente deciso a sfruttare i propri giacimenti e a commercializzare il suo combustibile sul mercato internazionale a un prezzo assolutamente più basso rispetto a quello imposto dalle Compagnie del Gruppo Rothschild-Rockefeller, per via della scarsa domanda di petrolio, determinata dal non florido sviluppo industriale della Russia Zarista. Per evitare tale evenienza, il Gruppo in questione avrebbe così sostenuto i rivoluzionari bolscevichi e il nuovo regime che fosse stato in grado di garantire il controllo politico di popoli e territori dell'ex Impero Zarista, grazie al vasto consenso popolare, di cui si proponeva interprete, impegnandosi a costruire la società comunista e ad imporre e esportare (sotto il velo del nobile compito assegnato al Komintern) il severo divieto a intraprendere qualsiasi attività economica o industriale non sottoposta al controllo dello "Stato Accentratore" e dunque in contrasto col piano anti-concorrenza del Capitalismo occidentale.
Nello stesso progetto si possono inquadrare le ragioni che indussero il World Jewish Congress a realizzare il piano di costituzione di uno Stato Ebraico in Palestina, posto a guardia del Canale di Suez e degli interessi petroliferi angloamericani in Medio Oriente. Non trascurando infine le iniziative, prese nel primo dopoguerra tendenti ad impedire la formazione di un secondo polo capitalistico nell'Europa continentale.
L'esordio della Federal Reserve avviene nel 1914 e qualche mese più tardi scoppia la Prima Guerra Mondiale. Una coincidenza!? La FED opera a stretto contatto con la Borsa Newyorkese, autentico ponte costruito nell'occasione fra l'America e l'Europa, allo scopo di rendere vane le pretese del Kaiser sul territorio iracheno (ferrovia Berlino-Baghdad), e obbligando il suo naturale alleato, l'impero austro-ungarico, a far divampare la "polveriera balcanica". A tale scopo sono costituiti il Belgian Relief Committee (per aiutare il "neutrale" Belgio invaso dalle truppe germaniche, ma soprattutto per permettere a queste ultime di continuare a combattere una guerra non voluta) e l'American International Corporation, grazie alla quale a Wall Street sarà dato il via a una serie di investimenti, da cui trarranno profitti colossali il gruppo Rothschild-Rockfeller e il "pool" di banche internazionali ad esso associato. Nell'occasione diventerà operativo il già citato Corporate Banking, creato apposta per obbligare i governi delle Potenze belligeranti ad usufruire del sostegno finanziario, destinato all'acquisto di armi dal War Industry Board di Bernard Baruch, banchiere associato al "pool", esponente di spicco dell'Organizzazione Sionista Mondiale e persuasivo consigliere dei Presidenti americani. Il grande business della guerra!? Non occorre chiederlo a Lord Walter Rothschild, né all'esimio Colonnello Mandell House che nel 1913 ha già stilato i Quattordici Punti, enunciati dal Presidente Wilson alla Conferenza di pace di Parigi del 1919 (valgono un Premio Nobel, la frantumazione di tre imperi e focolai infiniti d'odio e rancori dal mare del Nord all'Oceno Indiano). La strategia dell'Investment Banking, coordinata dalle Rothschild Houses e da quella che diverrà nota col nome di Standard Oil Company of New Jersey (poi Exxon), risulta dunque vincente anche negli States grazie al Sistema FED, attraverso il quale sono già rientrati, sotto forma di tasse pagate dai contribuenti americani, i 25 miliardi di dollari, creati dal nulla, e anticipati ai belligeranti per dare inizio alla Prima Guerra Mondiale. Nell'occasione si distinguono i Chairmen della FED, Charles S. Hamlin e William P. G. Harding, quest'ultimo manager del War Finance Corporation, attivissimo nelle forniture di armamenti ancor prima dell'entrata in guerra degli Stati Uniti il 6 aprile 1917.
Nel bel mezzo della guerra, ha modo fra l'altro di prendere forma la cultura dello stereotipo, o dell'estrema semplificazione cui tenderebbe a conformarsi il giudizio dell'immaginario collettivo, indispensabile alla costruzione del consenso e più tardi all'interpretazione "ragionata" del cosiddetto "politicamente corretto". (Tante grazie a Walter Lippmann e al suo indimenticato "Public Opinion"!)
A Wall Street e alla FED di New York intanto gli Investitori si fregano le mani. In attesa che il già concepito Committee on Foreign Relations, succursale a Washington del Royal Institut for International Affairs di Londra, dia inizio alle sue poliedriche attività, la strategia bellica anglo americana trova proficua applicazione in tre settori: finanziario (come abbiamo visto), militare e propagandistico. Compito della stampa americana è, ad esempio, inventare di sana pianta atrocità che i tedeschi avrebbero commesso, in pace e in guerra. La tecnica del reiterato inganno, perpetrato ai danni del popolo statunitense, sarà più tardi chiaramente visibile nell'intero operato dell'Amministrazione Wilson, per quanto un giudizio critico sul ruolo dei Presidenti degli Stati Uniti fosse fin da allora apertamente ammesso dalla storiografia ufficiale. Presupposto che rende legittima, almeno sul piano etico, una piena adesione alle tesi del Professor Carroll Quigley, diffusamente espresse nel suo "Tragedy & Hope", in cui si rileva, sulla base di indiscutibili prove, l'assoluta dipendenza della Casa Bianca dalla volontà dei Banchieri Internazionali. Esempi significativi della costruzione del consenso, teso a legittimare azioni impopolari del Governo e comunque ritenute socialmente e politicamente dannose al rivestimento democratico della leadership statunitense, sembrano i casi Lusitania e Sussex, creati ad arte (come poi l'effetto Pearl Harbour e decenni più tardi, l'incidente del Tonchino, senza dimenticare il più recente "911") per convincere l'opinione pubblica americana sull'opportunità dell'entrata in guerra (dichiarata o no) degli Stati Uniti.
Nel complesso calcolo dei rischi di guerra, anche se una certa tattica può giustificare il trasporto in segreto di munizioni e proiettili di grosso calibro su navi mercantili di Stati "neutrali", risulterà poi certo l'intento provocatorio, utile a dar luogo all'ovvia e prevista reazione della parte belligerante, contro cui quel materiale bellico sarebbe stato sicuramente utilizzato, in modo che le conseguenze acquisiscano l'attesa, enorme rilevanza propagandistica. Lo provano il Lusitania, le tonnellate di munizioni che il mercantile trasporta in Inghilterra dai neutrali Stati Uniti, il "provvidenziale" siluro dell' U-Boat germanico, che provocherà l'affondamento della nave, la morte di centinaia di civili e il calcolato sdegno dell'opinione pubblica americana. Ancora oggi, i media televisivi insistono nel presentare l'affondamento del Lusitania come uno dei più efferati crimini tedeschi, quando anche i cretini sanno, che un paese neutrale non può procurare munizioni ai belligeranti, senza commettere con questo un atto ostile, equivalente ad una dichiarazione di guerra. Ancora oggi l'avvertimento dell'ambasciatore tedesco a Washington, Zimmermann, è accuratamente cancellato dal testo degli speciali TV di argomento storico, lasciando intendere che la responsabilità dell'eccidio doveva per forza ricadere sulla sola Germania. Alla cultura dello stereotipo si affiancherà poi la cosiddetta "Spirale del Silenzio", teoria sviluppata da Betty Neumann, secondo la quale il potere dei media (e dei più importanti "oracoli" accademici) si manifesta soprattutto attraverso gli effetti persuasivi che riesce a produrre sul pubblico di massa, il quale non può fare a meno, salvo rare eccezioni, di prendere per vera la versione di un fatto storico che gli è imposta, sebbene risultino chiari i propositi censori a fini propagandistici dei mezzi d'informazione. Per cui, chi dissentisse da una "verità multimediale" accettata e condivisa dalle moltitudini, rinuncerebbe alla fine a porla in discussione, constatando di rappresentare una minoranza ristretta e "inaffidabile". (Per fortuna le vittime della spirale del silenzio tendono a diminuire, producendo stimoli a un'indagine non mutuata dai media "ufficiali", e comunque propensa a considerare menzogne… le mezze verità.)
L'affondamento del Lusitania avviene nel 1915, seguito dal siluramento della S.S. Sussex, che all'inizio del 1916 sarebbe stata colpita dal solito "criminale" U-Boat tedesco nel Canale della Manica. Naturalmente il traghetto avrebbe trasportato cittadini americani, 50 dei quali sarebbero periti in fondo al mare. Lo stesso Presidente degli Stati Uniti sarebbe stato pronto a dichiarare questa "verità", costruita ad arte, quando avrebbe chiesto al Congresso, in data 2 aprile 1917, di approvare la dichiarazione di guerra alla Germania (malgrado l'offerta di pace da quest'ultima proposta alla Gran Bretagna, già sul punto di chiedere invece, visto il corso degli eventi bellici ad essa sfavorevoli, la resa incondizionata). Fra i pochi estimatori della Verità (quella che non offende il buon senso e il Divino Creatore), si annovera l'ebreo Benjamin Freedman, che dimostrerà sulla scorta di prove inconfutabili come le fotografie pubblicate dalla stampa americana e inglese non riproducessero la carcassa della S.S. Sussex, ma quelle di un traghetto francese in riparazione nei cantieri di Boulogne sur Mère.
Gli accordi segreti Sykes-Picot del 1916 sulla spartizione dei territori della Siria e dell'Iraq tra Francia e Gran Bretagna (peraltro ben noti all'intelligence americana), non avrebbero destato serie preoccupazioni nella leadership politica degli Stati Uniti, stante il fatto che le Banche Kuhn Loeb e Morgan detenevano i bonds emessi dai rispettivi governi, francese e inglese, a garanzia del prestito loro concesso, tramite i Rothschild. Condizione indispensabile ad assicurare in ogni caso la "porta aperta" alle compagnie petrolifere americane in Medio Oriente dopo la guerra. L'affondamento del Lusitania (1915) acquistava peso politico dopo la seconda elezione del Presidente Wilson (la Casa Bianca si conquista anche con le menzogne!). Ma l'opinione pubblica americana si convince con le buone o con le cattive. Ci penserà il "Quarto Potere" di William Randolph Hearst, magnate dell'editoria, ad avviare opportune campagne interventiste, per salvare la faccia di Woodrow Wilson dagli sputi dei suoi elettori. Intanto (dicembre 19169 i tempi per un ingresso degli Stati Uniti nella Guerra Mondiale sembrano maturi, anche perché gli inglesi sollecitavano gli americani a mantenere le promesse fatte. Infatti fra i memorabili e meno noti intrighi che avrebbero determinato il successivo corso della Prima Guerra Mondiale e costituito le premesse della Seconda, sembra opportuno annoverare quelli che costrinsero Gran Bretagna e Stati Uniti a sottoscrivere in segreto nel mese di ottobre del 1916 il cosiddetto Accordo di Londra.
L'intervento degli States segnava una svolta decisiva negli sviluppi del primo conflitto. In pochi mesi a partire dall'aprile 1917, il corso della guerra, decisamente favorevole alle Potenze dell'Intesa, determinava fra l'altro le condizioni propizie per il successo della Rivoluzione Bolscevica nell'ottobre del 1917. Evento calcolato, nell'imminenza della prevista pace separata tra Russia e Germania, caldamente suggerita dagli anglo americani, visto il malcontento che regnava fra le truppe dello Zar, dalle quali si registravano quotidiane diserzioni in massa. Il Kaiser, visto l'andamento della guerra, avrebbe poi accolto l'invito di levarsi dai piedi, archiviando per sempre le aspirazioni di un grande Impero Germanico, esteso a lambire le acque del Golfo Persico. Nell'occasione, gli sarebbe stato richiesto l'ultimo favore: consentire libero transito al treno blindato che trasportava Lenin e Company fino a Pietrogrado, per instauravi il nuovo regime, poco incline ad accettare le esitazioni "socialdemocratiche" di Kerenski, ma ben disposto a ricevere tanti auguri d'un radioso futuro dal liberale Presidente americano Wilson, fin troppo pronto a manifestare alla Conferenza di Parigi la necessità d'un appoggio, morale e materiale, degli Stati Uniti al governo che Lenin avrebbe meditato e scelto di instaurare sulle rovine dell'Impero Zarista.


Capitolo III

I Pogrom nella Russia Zarista
Le secolari relazioni, intrattenute dal potente Gruppo Finanziario Sionista con la Russia degli Zar, sembrano fra l'altro offrire un'inedita chiave di lettura dello scenario geopolitico del secondo dopoguerra, consentendo forse di comprendere, al di fuori dei limiti imposti dalla storiografia corrente, quanti altri, oltre a quelli noti, sarebbero stati i colpevoli autori delle tragedie vissute dalle popolazioni ebraiche.
L'ebreo Myron C. Fagan, già membro dell'Organizzazione Sionista Mondiale, commediografo, produttore e regista nella Hollywood degli anni d'oro, in un' intervista rilasciata nel 1967 e quasi ignorata dai media americani e internazionali, spiega i motivi per cui sarebbe stata fortemente sostenuta nel primo decennio del secolo scorso l'elezione alla Casa Bianca di un candidato democratico, da tempo individuato nel Professor Thomas Woodrow Wilson, che si dimostrasse meno immune rispetto ad altri (Teddy Roosevelt e Taft) all'influenza e alle pressioni del potente gruppo finanziario, guidato dai Sionisti, per dare origine fra l'altro al Federal Reserve System. Per inciso, ribadendo che l'URSS sarebbe nata per volere e con il sostegno del pool di banche internazionali coordinato dal Gruppo Rothschild-Rockefeller e che la realizzazione di questo progetto sarebbe stata direttamente connessa con la fondazione dello Stato di Israele, Fagan conferma fra l'altro che fin dai primi Anni Venti sarebbero stati decisi e scrupolosamente programmati i futuri esodi dall'Europa centro-orientale degli ebrei in Palestina (utili riferimenti sull'argomento sono reperibili nel libro di Leonid Mlecin dal titolo "Perché Stalin Creò Israele". Mosca 2008, e nell'opera del già citato Yuri Lina, in cui si descrive il coinvolgimento del leader sovietico nel piano di costituzione dello Stato ebraico e l'epilogo dello stalinismo, coincidente nel marzo del 1953 con l'eliminazione di Stalin, nella cui mente si era radicato il sospetto di essere vittima designata di una cospirazione sionista).
Nell'intervista citata, Myron Fagan esordisce affermando che nella Terra degli Zar del 1890 avvenne qualcosa di atroce e inaspettato che determinò una svolta nella politica internazionale del XX secolo.
In quell'anno infatti una serie impressionante di "pogrom" iniziò a sconvolgere la Russia. Nelle città e nelle campagne fu organizzata una vera e propria caccia all'ebreo. Squadre di Cosacchi a cavallo, ai quali si unirono popolani locali, ingaggiati allo scopo, massacrarono sistematicamente per intere settimane, migliaia di uomini, donne e bambini ebrei. Il bilancio del genocidio, dopo due mesi, fu agghiacciante: oltre diecimila morti. I sopravvissuti trovarono rifugio nei centri costituiti col sostegno finanziario di Jacob Schiff, banchiere ebreo, agente dei Rothschild, emigrato a New York. Costui, sionista e fondatore fra l'altro della Anti Defamation League (ADL), sembrava spinto da sentimenti umanitari. In realtà aveva il compito di costringere gli ebrei, scampati ai massacri, a emigrare negli Stati Uniti. L'ordine in tal senso gli fu impartito da Leopold Rothschild, che dei pogrom sarebbe stato anche il promotore. Nel giro di pochi mesi si preparò l'esodo di trecentomila ebrei russi, imbarcati nel porto di Odessa a bordo di navi che attraversarono il Bosforo, i Dardanelli e lo stretto di Gibilterra, per prendere poi le rotte atlantiche e trasportare il folto e dolente carico umano fino a New York. Ai profughi ebrei, appena giunti dalla Russia negli Stati Uniti, fu immediatamente concessa la cittadinanza americana, a condizione che le loro preferenze elettorali fossero dirette al Partito Democratico, per formare un blocco di elettori che avrebbe poi permesso di mandare al Congresso, deputati graditi all'American Jewish Council. Secondo Fagan, lo scopo dei pogrom sarebbe stato evidente e intuibili i non secondari motivi delle successive persecuzioni degli ebrei. L'esodo di ebrei russi verso il Nord America continuò nella prima decade del secolo scorso, incrementando il numero del blocco democratico, che al momento opportuno sarebbe servito a interrompere il malaugurato dominio dei repubblicani alla Casa Bianca, che dal 1897 intralciava non poco la "auspicata" riforma monetaria degli Stati Uniti. L'occasione attesa non tardò a presentarsi, grazie alle manovre di Paul Warburg, banchiere tedesco, agente Rothschild, da poco naturalizzato americano, che convinse anche la folta schiera di emigrati germanici a unirsi al blocco di profughi ebrei-russi, per sostenere il candidato democratico alla Presidenza, Thomas Woodrow Wilson, il quale, una volta eletto Presidente, si sarebbe affrettato a varare il Vreeland - Aldrich Act, legge che istituì il Federal Reserve System. Scoppiava intanto la Prima Guerra Mondiale. Al Presidente Wilson furono assegnati altri delicatissimi compiti, come minimo tre, che egli avrebbe puntualmente svolto, per creare fra l'altro nell'Europa in guerra le condizioni favorevoli all'instaurazione di un sistema monetario, il FED System, già sperimentato appunto negli Stati Uniti. Non si ignorò allora che la Casa Bianca era fra l'altro un luogo, nel quale si teneva una contabilità particolare, come ci spiega lo stesso Benjamin Freedman nel già citato "The Hidden Tyranny", cioè quella relativa al "debito" del Presidente in carica nei confronti del Comitato elettorale, grazie al quale è stato eletto. Il Capo della Casa Bianca sarebbe stato quasi sempre costretto a estinguerlo nella sola moneta che un certo Gruppo Talmudista, meglio identificato nel World Jewish Congress, intendeva essere ripagato, ed equivaleva allora (come oggi del resto) alla rinuncia all'autonomia e indipendenza che il ruolo di Presidente dovrebbe invece pretendere. Woodrow Wilson in pratica fu obbligato a prendere decisioni politiche di enorme portata internazionale, seguendo le indicazioni del suddetto Gruppo, rappresentato da due personaggi, meno noti negli ambienti politici dell'epoca, ma decisamente influenti: il Colonnello Edward Mandel House, (già legato all'industria cotoniera dei Rothschild e da questi imposto in qualità di consigliere del Presidente americano) e il già citato Samuel Untermeyer, miliardario ebreo e socio del potentissimo Studio Legale newyorkese, Guggenheim-Untermeyer-Marshall, in acerrima concorrenza con l'agenzia legale Sullivan & Cromwell degli antisemiti fratelli Foster e Allen Dulles. Mandell House e Untermeyer avrebbero dunque indotto la Casa Bianca a dichiarare guerra alla Germania nell'aprile del 1917, costringendo, contemporaneamente, il Presidente Wilson ad agevolare l'operazione di finanziamento di 20 milioni di dollari, disposta da Jacob Schiff, in stretta collaborazione con la Rothschild House Londinese, a favore dei Rivoluzionari Bolscevichi, e ad intervenire presso il Governo britannico, affinché una dichiarazione sull'impegno di Londra a sostenere il costituendo Stato ebraico in Palestina, fosse ufficialmente inviata a Lord Walter Rothschild dal Ministro degli Esteri inglese, Lord Arthur Balfour, il 2 novembre 1917.
Non sembrò poco!
Ma il bello doveva ancora venire. I due personaggi sopra descritti avrebbero poi "guidato" la delegazione degli Stati Uniti alla Conferenza di Pace di Parigi nel 1919, imbastendo il gran pasticcio di Versailles, perfettamente congeniale alla realizzazione dei loro piani; Lloyd George e Daladier esultarono alla proclamazione di condanna a morte dell'eterna nemica, la Germania, doppiamente tradita e offesa, se è vero che il Kaiser fin dal 1916 offrì ripetutamente la pace a Gran Bretagna e Francia, senza nulla pretendere. L'Italia non provò rimorsi e pianse i suoi caduti, anche se, con sommo disappunto del Re, dovette ritenersi vittima dell'inganno (il patto di Londra non fu riconosciuto da Woodrow Wilson!) e dei debiti del Savoia con Casa Rothschild. La Gran Bretagna ebbe modo di constatare che la propria egemonia sarebbe stata presto compromessa dall'irreversibile processo di decadenza economica, a stento contenuto dalle risorse del suo Impero, dovendo più tardi ammettere che essa era in realtà principalmente dovuta alla scomparsa dal mercato europeo degli scambi internazionali di uno dei suoi migliori clienti: la Germania del Kaiser.
Il Gruppo Talmudista -secondo le tesi del Freedman e di Fagan- sarebbe stato il vero promotore dei piani Dawes e Young, nonché delle assurde richieste di rimborso dei danni di guerra, che la Germania dovette accettare, insieme all'inflazione a quote iperboliche e alle tante disattenzioni del governo di Weimar che, irresponsabile, sonnecchiava, mentre Wall Street, divenuto padrone della Reichbank, avviava la predazione del patrimonio pubblico tedesco. In Russia si registravano, qualche anno dopo, i primi effetti della rivoluzione bolscevica e dell'economia collettiva sovietica: tre milioni di morti, bilancio provvisorio della carestia del 1921/23. In Italia il popolo, stanco di orrori e sventure della guerra, sopportava fame e privazioni, insieme al peso dell'incertezza nel proprio avvenire.


Capitolo IV

Il "British Lake"
Nel dopoguerra, la posizione geografica dell'Italia assumeva l'antica rilevanza nel computo dei supremi interessi inglesi, evidentemente legati alla distribuzione in Europa dei prodotti petroliferi e del greggio proveniente dal Golfo Persico. Il quadro politico del Vecchio Continente, definito nel 1919 alla Conferenza di Parigi in ragione del privilegio britannico, attribuiva a Londra illimitata autorità nel trasporto marittimo, connessa con le esigenze della sola Compagnia che in Persia e regioni confinanti rappresentava il Regno Unito. Tutto questo era provato fra l'altro dalla nazionalizzazione dell'Anglo Persian Oil Company (APOC) che indicava in quale misura fosse essenziale per la Gran Bretagna il controllo del Mediterraneo, indispensabile a garantire, se non il tradizionale ruolo di dominatrice degli oceani, il fabbisogno di combustibile necessario alla propria sopravvivenza. La politica estera inglese, orientata a mantenere la maggior parte delle concessioni petrolifere del Golfo Persico, grazie all'influenza esercitata su Baghdad e Tehran, trovava comunque il sostanziale appoggio delle Banche londinesi, guidate dalla Bank of England, nota fra l'altro per le sue poliedriche attività. Fra queste spiccavano le manovre finanziarie, da cui sarebbe scaturito il cosiddetto accordo della Porta Aperta, sorta di "gentlemen agreement", stabilito fra le Compagnie petrolifere angloamericane, per un più equo sfruttamento del petrolio mediorientale, che in realtà mirava a escludere la concorrenza di terzi fornitori in Europa e a limitare, specialmente sul mercato italiano, la distribuzione dei prodotti petroliferi della Standard Oil of New Jersey. Il governo di Londra avrebbe dunque avuto buoni motivi per moltiplicare le sue attenzioni sull'Italia e rinnovare gli antichi rapporti con Casa Savoia. Una ragione in più per intensificare le relazioni italo-britanniche del periodo, nel corso delle quali al Re Vittorio Emanuele III, ormai rassegnato ad accettare la beffarda "vittoria mutilata", si sarebbe prospettata l'esigenza di affidare la guida dell'Italia a un governo che promettesse lunga stabilità, ricordando infine al monarca che a Buckingham Palace e a Downing Street il "Mare Nostrum" era ritenuto a tutti gli effetti un "lago britannico" (non casuale il riferimento all'acquisto, avvenuto qualche decennio prima, della Società del Canale di Suez, da parte della Rothschild House londinese), lasciando con questo intendere che la politica italiana (interna ed estera) non avrebbe potuto in futuro non essere influenzata dalla Gran Bretagna.
L'intrusione inglese negli affari italiani sarebbe stata in particolare evidente nell'aprile del 1915, allorché fu sottoscritto il Patto di Londra, in seguito alle insistenze del premier Lord Asquith, a sua volta soggetto all'influenza dei potenti gruppi di pressione inglesi, coordinati da Winston Churchill (allora Primo Lord dell'Ammiragliato Britannico) e da John A. Fisher (detto anche "The oil maniac"). Come noto, il Patto di Londra sanciva l'accordo, in base al quale l'Italia sarebbe entrata nella Prima Guerra Mondiale a fianco di Gran Bretagna, Francia e Russia, sebbene un trattato, sottoscritto con Germania e Austria-Ungheria, vincolasse il nostro Paese agli obblighi assunti con la "Triplice Alleanza". I compensi promessi all'Italia in caso di vittoria, che comprendevano, fra l'altro, alcuni territori dell'ex Impero Turco Ottomano e l'assegnazione di ulteriori fasce territoriali in Eritrea, Somalia e Libia, sarebbero stati oggetto di scarsa considerazione alla Conferenza di Pace di Parigi, per il rifiuto del Presidente Wilson di riconoscere la validità del Patto. Il Presidente americano nell'occasione si sarebbe limitato al testuale, laconico commento: «A readjustment of the frontiers of Italy should be effected along clearly recognizable lines of nationality». («I confini d'Italia dovranno essere ridefiniti secondo criteri che tengano dovuto conto delle diverse nazionalità») (vedi il punto nove dei celebri quattordici, enunciati da Wilson a Versailles).
Questo sbrigativo regolamento degli impegni assunti con l'Italia rendeva, fra l'altro, chiara la volontà degli Stati Uniti di assecondare la condizione di sudditanza del nostro Paese nei confronti della Gran Bretagna, concorde nel ritenere che la costituzione in Italia di uno stabile governo, idoneo a garantire la solidità dei confini sull'Arco Alpino e ad impedire tentativi di penetrazione nel Mediterraneo, dovesse in ogni caso risultare conforme agli interessi di Londra e Washington.

Il Leader Italiano stimato dagli inglesi
Visti gli storici rapporti tra la Corona britannica e i Savoia, il regime politico in grado di garantire la solidità del governo d'Italia, avrebbe dovuto in primo luogo essere gradito ai britannici. La condizione necessaria a ottenere il consenso inglese sarebbe stata velatamente espressa, formulando l'auspicio che il Capo dell'Esecutivo, posto alla guida del nostro Paese, potesse attribuirsi facoltà decisionali, non compromesse o ritardate dal complesso iter legislativo, spesso impercorribile, a causa delle eterne discordie socialiste e dei minacciosi propositi del neonato Partito Comunista Italiano. Il che sarebbe avvenuto nella prospettiva che una rapida attuazione del programma politico italiano, avrebbe permesso all'Italia di svolgere fra l'altro il ruolo di garante degli interessi britannici nel Mediterraneo. Fra questi ultimi, si annoverava, oltre al già ricordato buon rapporto con Casa Savoia, tutti i vantaggi che agli inglesi ne sarebbero derivati, compresa l'influenza che Londra avrebbe inteso esercitare sull'economia italiana, dipendente, come noto, dalla disponibilità dell'altrui petrolio. La scelta del leader idoneo alla guida dell'Italia doveva dunque essere subordinata alle esigenze delle Compagnie petrolifere inglesi, propense a sostenere la candidatura di un Capo del governo italiano che diventasse anche loro buon cliente, guadagnando l'autorità sufficiente a privilegiare le forniture del petrolio britannico. Tale pretesa che, negli auspici di Londra, permetteva di prevedere una buona penetrazione nel mercato italiano dei prodotti petroliferi inglesi, avrebbe suggerito a Londra di adottare la prassi diplomatica d'oltremanica, non certo propensa a scoraggiare eventuali svolte totalitarie, qualora risultassero utili al consolidamento e allo sviluppo del rapporto commerciale anglo-italiano, pur sempre subordinato a una ipotetica alleanza politica, che in ogni caso escludeva interferenze, derivanti da prevedibili aspirazioni imperialistiche del nostro Paese.
Londra si sarebbe dunque espressa in favore della candidatura di un leader italiano, corrispondente al modello richiesto dalla ragion politica inglese. Secondo i calcoli britannici, il Capo del governo posto alla guida politica dell'Italia avrebbe dunque potuto assumere orientamenti autoritari, non tanto per risolvere i problemi interni, quanto per non porsi in contrasto con gli interessi inglesi.
Questo significava, fra l'altro, che nell'ipotesi in cui gli interessi italiani fossero stati divergenti da quelli inglesi, la diplomazia britannica, tradizionalmente rappresentativa della democrazia parlamentare, avrebbe facilmente ravvisato gli estremi di una condotta antidemocratica del governo italiano, legittimo motivo di condanna sul piano politico.
Si sarebbe così appreso (grazie anche al pensiero di Guy Debord, felicemente espresso nel suo indimenticato "La Società dello Spettacolo" in cui l'autore sostiene che: la democrazia non vive tanto dei propri meriti, ma sopravvive in virtù dei propri nemici) che una certa tecnica dei regimi democratici si sarebbe a tal punto perfezionata da ritenere indispensabile alla sopravvivenza della democrazia la creazione di un suo antagonista. In altri termini, i regimi democratici, o sedicenti tali, avrebbero spesso favorito la costituzione delle dittature laddove le ritenessero confacenti ai loro interessi politici ed economici, perché ogni azione da essi intrapresa per tutelarli o ripristinarli, quando rischiassero di essere compromessi o fossero stati lesi, sarebbe stata democraticamente giustificata e magari degna del plauso popolare.
Il leader designato per l'Italia, forse inconsapevole di essere stato prescelto fin dal 1914, avrebbe guadagnato popolarità grazie alle sue doti di comunicatore e ai mezzi finanziari messi a sua disposizione da Londra.
L'illusione di poter agire nell'esclusivo interesse del popolo italiano e per il bene dell'Italia sarebbe stata fin troppo evidente in quella sorta di inedito vangelo, politico, culturale e forse anche religioso, che egli avrebbe concepito e redatto per darlo in uso alle italiche genti, proponendosi, forse con eccessiva presunzione, ideologo e profeta di una rinascita nazionale, le cui vie si sarebbero più tardi confuse tra i bagliori della guerra. A fare di costui un colpevole di turno avrebbero in larga misura contribuito tutti gli italiani che lo seguirono per poi ritenerlo responsabile delle loro delusioni. Non giovandogli certamente, nel bilancio della sua opera complessiva, l'imperdonabile errore di aver contratto un debito perpetuo con i Servizi Segreti inglesi.

La Storia…"declassificata"
Numerosi documenti riservati, riguardanti la Seconda Guerra Mondiale, ma anche il periodo che la precede, sarebbero da qualche tempo consultabili presso l'archivio dello State Department americano e quello inglese di Kew Gardens, grazie alla concorde decisione del Presidente Bill Clinton e del Premier inglese Tony Blair di abolire il segreto di stato che li avrebbe coperti per oltre settant'anni. O, più precisamente, perché al Committee on Foreign Relations (CFR) della Rayburn House Building - (Washington - D.C.), di comune accordo col Royal Institute of International Affairs, ospitato nella Chatham House londinese, si era ritenuto che i tempi (anno 2000) fossero maturi per renderli pubblici. E forse perché insostenibili erano diventate le inosservanze del "Freedom of Information Act" (FOIA), legge che dal 1966 garantisce la "libertà" d'informazione, estesa anche a far luce sui segreti del passato politico americano e inglese, forse trascurati dalla storiografia ufficiale.
Questa "declassificazione" avrebbe fra l'altro permesso di raccogliere prove e avere indicazioni utili a conoscere quanto sarebbe avvenuto dietro le quinte nel corso delle relazioni internazionali, prima dell'avvento del Fascismo e ad illuminare gli angoli oscuri della storia d' Italia del secondo dopoguerra, grazie anche al lavoro di alcuni ricercatori italiani contemporanei (Nicola Tranfaglia, Giuseppe Casarrubea, Mario Cereghino, Giovanni Fasanella).
I documenti, non più segreti, conservati negli archivi inglesi, attestano per esempio che nel 1914, Benito Mussolini beneficiò di un finanziamento di 500.000 lire* (*una lira di allora corrisponde, secondo calcoli attendibili, a 6.480 lire del 2001) per fondare "Il Popolo D'Italia". Intermediario della gentile elargizione sarebbe stato l'allora direttore de "Il Resto del Carlino", Filippo Naldi, promotore della campagna interventista, in stretto rapporto con il Foreign Office londinese, deciso allora a convincere l'opinione pubblica italiana sull'opportunità dell'ingresso in guerra dell'Italia a fianco delle Potenze dell'Intesa. A tal fine il governo britannico avrebbe versato soldi a profusione nelle casse di molti giornali italiani, attraverso canali bancari inglesi, francesi e italiani, con l'autorevole mediazione del Ministro degli Esteri, Marchese di Sangiuliano. Più tardi, nel 1917, la pista britannica dei fondi "neri" messi a disposizione di Mussolini sarebbe chiaramente emersa per ammissione di chi ebbe l'incarico dal governo inglese (precisamente l'agenzia dei servizi d'informazione MI5) di far pervenire con continuità (e frequenza talvolta settimanale) le cospicue somme di denaro al futuro Capo del Fascismo, per un periodo che quasi sicuramente si estende dal 1914 fino al 1925. Costui si chiamava Sir Samuel Hoare, Segretario di Stato agli Affari Esteri nel 1935 e personaggio di notevole influenza nell'ambiente dei Conservatori inglesi. Già Capo dell'Intelligence d'oltremanica, avrebbe assunto, dal 1941 al '44, la carica di ambasciatore di Sua Maestà britannica in Spagna, contribuendo direttamente, in piena guerra mondiale, a convincere il Generalissimo Franco sull'opportunità di mantenere lo stato di non belligeranza.
Sir Hoare avrebbe anche ideato e costituito nella "neutrale" penisola iberica un sicuro punto di riferimento dell'efficiente rete d'intelligence alleata, al fine di coordinare la lotta antifascista, avvalendosi del sostegno, logistico e strategico, di due regimi, la Spagna appunto e il Portogallo di Salazar, marcatamente fascisti, ma politicamente controllati dalla Gran Bretagna.
Il rapporto di amicizia fra Mussolini e Hoare sarebbe stato fra l'altro alla base dell'iniziativa anglo francese promossa nel 1935 allo scopo di trovare un comodato per evitare la guerra d'Etiopia. La caparbietà del Duce nel condurre e portare a termine l'impresa etiopica avrebbe anche offerto a Hoare l'occasione di guadagnare in patria la popolarità necessaria alla sua elezione alla Camera dei Comuni e a ricoprire la carica di Segretario agli Esteri. Proclamandosi promotore delle sanzioni contro l'Italia, Hoare avrebbe infatti ottenuto i voti sufficienti a essere eletto, grazie al consenso dell'opinione pubblica inglese, pronunciatasi per una severa condanna dell'intervento italiano in Etiopia. Il governo del Premier conservatore Stanley Baldwin prometteva peraltro, nelle aspettative di Mussolini, maggiore elasticità nel giudicare l'impresa italiana, soprattutto quando del governo britannico fosse entrato a far parte, in qualità di responsabile delle relazioni estere, il vecchio "benefattore" del Duce, cioè lo stesso Samuel Hoare, quel distinto inglese, dimostratosi capace di trasformare, nell'interesse supremo della Gran Bretagna, un buon giornalista in un dittatore. Il disorientamento di Mussolini, derivante dal pur prevedibile atteggiamento di Hoare, conforme alla linea sanzionatoria del Ministro per la Società delle Nazioni, Anthony Eden, avrebbe indotto il Duce a cercare, per quanto non gradita, la solidarietà della Germania. Vista anche l'esitazione della Francia a comporre, su binari più favorevoli all'Italia, il caso Etiopia, Mussolini avrebbe condotto a termine la sua impresa, con l'inespresso plauso degli anglo francesi, i quali prevedevano che l'impegno italiano nella costosa Campagna Etiopica avrebbe costretto l'Italia ad abbandonare per sempre i propri interessi sul petrolio iracheno di Mosul e Quayara. Viceversa l'incoraggiamento (e forse anche il sostegno) della Germania a portare a termine con successo la guerra etiopica, avrebbe anche convinto Mussolini della possibilità di fare a meno in futuro dei vecchi alleati, responsabili fra l'altro del pericoloso isolamento dell'Italia, orientandolo a ricercare un'alleanza con la Germania nazista. Inconsapevole del fatto che questo sarebbe avvenuto, in perfetta aderenza con i piani inglesi e, come si vedrà più avanti, con gli stessi programmi americani del New Deal rooseveltiano (tesi a creare il comune, antidemocratico nemico, contro il quale sarebbe stato in qualsiasi momento legittimo condurre una guerra di "liberazione"), Mussolini si lasciava coinvolgere nella guerra di Spagna, spinto dagli stessi motivi, per cui altri l'avrebbero provocata, al fine di evitare l'instaurazione di uno Stato marxista nel Mediterraneo (cioè il Mare Nostrum, che a Londra chiamavano "British Lake") e interferenze sulle rotte inglesi che attraversano Gibilterra.
L'Asse Roma-Berlino trovava dunque buone ragioni per essere costituito… secondo gli auspici britannici (vedi a tal proposito la "Storia della Seconda Guerra Mondiale" di Winston Churchill, alla pagina 208).

 

Gian Paolo Pucciarelli      

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