Nuovi scenari mondiali:
fine delle ideologie e rinascita delle religioni
e delle identità culturali
Clemente Sparaco
Premessa
Realizzatosi in modo sorprendente ed improvviso con la caduta del Muro di
Berlino (1989), il crollo del comunismo ha fatto sorgere la convinzione che
sarebbero tramontati anche i grandi conflitti internazionali e che si sarebbe
estinta la conflittualità a livello globale. Il futuro non sarebbe stato più
dedito, quindi, a risolvere grandi scontri ideologici, ma problemi concreti,
economici e tecnici. In particolare, in Occidente si è dato per scontato che la
democrazia liberale avesse definitivamente trionfato e che di lì a poco il
modello occidentale si sarebbe diffuso in tutto il mondo.
Sembrava suffragare questa convinzione il fatto che la scienza e la tecnica
avevano reso ormai omogenee molte società, quanto a stili di vita, e che le
democrazie liberali si erano diffuse un po' dappertutto. Il capitalismo
appariva, senz'altro, come l'assetto economico prevalente e la democrazia il
regime politico meglio compatibile con questo assetto. In realtà, dietro queste
certezze si nascondeva un preconcetto. Esso riposava sul pregiudizio che l'unica
alternativa al comunismo era la democrazia liberale. Sembrava logico, quindi,
che la fine del comunismo avrebbe comportato la diffusione su scala mondiale
della democrazia a base capitalistica.
Globalizzazione economica e omologazione culturale
La globalizzazione economica del mondo ha dato forza, dapprima, all'ipotesi di
un mondo pacifico e occidentalizzato. Nuovi processi di integrazione economica,
culturale e sociale sembravano, infatti, affermarsi e creare interdipendenza
economica, favorendo la libera circolazione dei capitali e, di fatto, il
superamento dei confini politici tra gli Stati.
Tuttavia, nel mondo globalizzato, che diventa sempre più unito e interdipendente
economicamente, per interconnessioni, intrecci e relazioni, i motivi profondi di
divisione non solo sussistono, ma si acuiscono. Le sperequazioni economiche e
ingiustizie sociali si accentuano. La disuguaglianza tra gli Stati, e
all'interno degli Stati, tocca proporzioni incredibili. Il "mercato mondiale"
dell'economia conosce, infatti, squilibri che derivano dall'azione spontanea,
non guidata, dei meccanismi economici. L'epoca della globalizzazione coincide,
quindi, non con il futuro radioso immaginato all'indomani della fine del
comunismo, ma con la deregulation, con il riconoscimento del mercato quale
garante unico della possibilità di arricchimento individuale.
Nuove aree di miseria economica e morale, intanto, si diffondono. Si
approfondisce la divisione nel mondo tra paesi che dispongono del superfluo e
paesi che sono ancora afflitti dai problemi della sopravvivenza quotidiana. Si
approfondisce la forbice, all'interno delle società, fra ricchi e poveri, fra
coloro cui sono concesse opportunità di impiego, di lavoro e di realizzazione e
coloro ai quali quelle stesse opportunità sono negate. Nuove miserie si
diffondono nei paesi di vecchia industrializzazione, inedite, ma, per certi
versi, più insidiose, perché minacciano direttamente la dignità e la libertà
della persona.
Alla miseria vecchia e nuova, alla miseria antica dei paesi del Terzo Mondo e
alle nuovi insorgenti aree di malessere, si connette, quindi, l'insorgere di
tensioni foriere di instabilità, sia sul piano mondiale sia sul piano interno.
La sperequazione globale acuisce e fa riemergere atavici contrasti di civiltà e
ancestrali conflitti, che covavano sotto la cenere della storia.
Su questa nuova conflittualità pesano motivi non solo economici, ma anche
culturali, religiosi. Essi si innestano laddove, insieme
all'internazionalizzazione della produzione e dei capitali, insieme alla
diffusione della rivoluzione informatica, procede anche la diffusione di una
stessa cultura di massa. Frutto culturale della globalizzazione è, infatti,
quella melassa di convinzioni che fanno il nuovo conformismo globale. Esso ha un
enorme impatto sui modi di vita, sul costume e sulle convinzioni alla moda.
Valori laici e laicisti attardati su un orizzonte di illuminismo stantio,
professioni politiche che ripetono stancamente vecchi slogans e un diffuso
consumismo, spacciato per democrazia del consumo, delineano il volto
irrimediabilmente materialista e ottuso della società globalizzata.
In occidente il nichilismo invade ogni manifestazione spirituale. È la nuova
ideologia dominante, sottile, pervadente, che non ammette deroghe al proprio
orizzonte negativo. Di tutti i valori esso ci lascia solo una libertà, posta
contraddittoriamente ed acriticamente come assoluto. Ma è una libertà senza
indirizzo, incapace di suscitare movimenti propositivi, come nel passato,
ridotta a un contenitore vuoto o, meglio ancora, ad un feticcio, cosa
paradossale in un'epoca che dovrebbe essere post-mitica e post-moderna.
La rinascita della religione e delle identità culturali
Tuttavia, c'è da osservare, che, come ha scritto J. Ratzinger, dopo il 1989,
«qualcosa accadde. La religione tornò a essere un fenomeno moderno».
Intendiamo qui religione in un senso più ampio di quello strettamente
confessionale, come del resto lo stesso Ratzinger fa nel passo su citato. Il
punto è che nel momento di impatto della globalizzazione culturale, nel momento
in cui il fenomeno economico e tecnologico è andato ad investire la sfera delle
convinzioni e dei costumi, ecco che la stessa globalizzazione ha stimolato il
suo contrario, e cioè il particolarismo, che si configura come una sorta di
resistenza all'assimilazione culturale. La tendenza all'unificazione del mondo
si è scontrata, allora, con una contemporanea riaffermazione delle identità e
delle culture locali.
A questo punto sono ritornati in gioco fattori già estromessi dalla storia,
fattori che si credevano perduti in un passato superato dal progresso delle idee
e della tecnologia. Si è realizzato, pertanto, il paradosso di una
modernizzazione che ha risuscitato per reazione le culture tradizionali. Le
civiltà, le identità culturali sono ritornate a contare sul palcoscenico della
storia. Si sono dimostrate, anzi, più radicate e sedimentate delle differenze
ideologiche, importanti almeno quanto i fattori economici. Accade, così, che
oggi fattori come l'etnia, i valori morali e spirituali, la religione,
determinano – come ha osservato S. Huntington nel suo tanto discusso, quanto
poco letto, Lo scontro delle civiltà - di fatto, le dinamiche della politica
mondiale.
La religione, in particolare, si sta rivelando la più possente arma di
resistenza alla globalizzazione. Essa pare offrire risposte soddisfacenti ai
problemi di identità assediate dalla massificazione e dall'omologazione. E
questo appare evidente specie presso i popoli non occidentali, dove la rivolta
veste i panni di una protesta atipica e indistinta verso tutto quanto sa di
laicismo relativista, di Occidente materialista, e, quindi, tanto verso il
marxismo, quanto verso il liberalismo e la democrazia (vedi il mondo islamico).
Tutto questo rompe una sorta di crosta sclerotizzata, che è poi quel modo
ideologico di leggere i fatti, erede della storiografia marxista,
pregiudizialmente teso a misconoscere il peso di fattori spirituali ed ideali
nei processi storici. Ma nel crollo di una visione della storia ci sentiamo di
affermare che qualcosa di ancora più epocale accade. Viene meno non tanto, o
soltanto, una visione ideologica, ma viene meno la stessa matrice ideologica a
fondamento delle ideologie. Muore, in altri termini, la visione progressiva e
progressista della storia. Ciò significa la fine delle illusioni illuministiche,
la messa in crisi, quindi, della concezione intellettuale a fondamento tanto del
marxismo, quanto del liberalismo.
Questa concezione aveva il suo punto di forza nella secolarizzazione, e cioè
nell'estromissione della religione dal corso storico, nell'estromissione di Dio
dalle vicende degli uomini e nel suo relegamento intimistico alle coscienze dei
singoli. In questo senso il progresso della storia coincideva con
l'emancipazione dai miti del passato e fra questi miti c'era innanzitutto quello
religioso. La secolarizzazione era, pertanto, l'asse intorno a cui ruotavano
tanto le grandi costruzioni ideologiche quanto le ricostruzioni storiche e le
teorie della storia.
Bisogna prendere atto oggi che la religione, sia quella tradizionale che quella
fondamentalista, sta ritornando con i suoi simboli e con i suoi riti a
determinare il corso storico. Croci, mezzelune, e persino copricapo, tornano a
contare più di ogni altra cosa. Si dimostrano capaci di motivare e mobilitare
masse. Suscitano sentimenti profondi e reazioni a volte radicali. La religione
"penetra in misura sempre maggiore negli affari internazionali". Va a cercarsi
uno spazio che va ben al di là di quello intimistico che il laicismo era
disposto a riconoscerle come legittimo. Si rivitalizza proprio nel momento in
cui le ideologie sembrano tramontare.
Smarrimento ideologico
C'è da sottolineare, tuttavia, che «l'esperienza storica ha screditato
l'ideologia ma non ha scalfito il potere alienante, che l'illusione ha
esercitato su coloro che avrebbero dovuto confutarla e contrastarla» (Piero
Vassallo, Eclissi del pensiero moderno). Questo significa che oggi, seppure
screditata, l'ideologia: comunista, modernista, liberale, illuminista,
scientista, sopravvive a livello culturale. Un potere culturale di sacerdoti
strettamente osservanti del mito progressista continua a governare i giornali,
ad influenzare le case editrici, a condizionare le emittenti televisive, a
selezionare le fonti della storiografia, a manipolare il passato a diffondere e
smerciare concetti e preconcetti andati a male.
Per tutte queste ragioni quello che si ammanta di rivoluzionarismo spicciolo, di
buonismo, di pensiero debole, di snobismo sinistrosso, dovunque attecchisca,
rappresenta oggi la conservazione comoda del luogo comune modernista. Dicevamo
dovunque attecchisca, perché a quest'ideologismo postcomuniusta, postgiacobino e
radical chic, viene tributato un singolare "consenso postumo" anche da destra,
in ambienti moderati o in settori del pensiero cattolico.
In questo contesto culturalmente insulso prolifera una nuova povertà culturale,
senza memoria e senza progetto. È quella che impronta non solo una cultura, ma
anche un costume di vita in cui l'unico orizzonte è il presente, un presente
senza prospettive, che schiaccia in un'immanenza senza respiro. Pensieri, gusti
e valori vanno omologandosi e massificandosi, come modi di vivere, di agire e di
pensare all'insegna del superficiale e del vacuo. Il materialismo dialettico si
trasforma in consumismo pratico, la liberalizzazione dei costumi diventa
edonismo rozzo, le aspirazioni ideologiche arrivismo spicciolo, il libertarismo
individualismo egoistico, il collettivismo pura e semplice massificazione dei
cervelli.
Clemente Sparaco .
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