la NOTA di Maurizio
Barozzi
Leggere questo importante articolo presentazione di Giorgio Vitali
del libro di Giorgio Mario Bergamo, "Nuovissimo
annuncio di Mussolini" già edito negli anni '60.
Un libro indispensabile non solo per capire il fascismo e
Mussolini, ma anche tutte quelle tensioni ideali e fermenti di idee
nell'Italia dal 1919 al 1945.
Ci si renderà così conto come il fascismo, fu veramente legato alle
esigenze geopolitiche della Nazione e in sintonia con gli accelerati
sviluppi tecnologici dell'industria e della società.
E a questi fini si sforzò di realizzare una sintesi tra tutte le
componenti veramente rivoluzionare del secolo. Una specie di
nazional-comunismo che niente aveva a che vedere con il comunismo
bolscevico.
Niente di più distante da quella immonda collocazione nella destra
qualunquista e reazionaria in cui venne relegato il neofascismo dal
MSI nel dopoguerra, ponendo quella destra al servizio degli
atlantici, proprio coloro che furono i nostri più irriducibili
nemici, divenuti ora i nostri colonizzatori.
Maurizio Barozzi |
Presentazione
"Nuovissimo annuncio
di Mussolini"
Giorgio Vitali
Premessa indispensabile: qualsiasi
presentazione di un testo, specialmente se di carattere politico o
culturale, non dovrebbe mai rappresentare un esercizio di calligrafia o di
belle lettere, ma garantire alcune informazioni di base per i lettori, al
fine di facilitarne la comprensione e soprattutto l'acquisizione di tutte le
informazioni collaterali riscontrabili nella letteratura facilmente
accessibile. Per fortuna oggi possiamo avvalerci del prezioso contributo di
Internet, per cui è sufficiente una documentazione essenziale.
È necessario tuttavia chiarire alcuni aspetti fondamentali inerenti al
periodo in esame, per fare chiarezza sulla realtà vissuta e sulle menzogne
sparse a piene mani nel dopoguerra. Queste menzogne hanno contribuito alla
creazione di una cristallizzazione mentale sulla natura del Fascismo e
soprattutto degli uomini del Fascismo che ben poco hanno a che vedere con la
realtà vissuta all'epoca.
La prima persona a non corrispondere agli schemi mentali divulgati dalla
propaganda occidentale durante la guerra e nel dopoguerra è proprio
Mussolini. E questo libro ne è la dimostrazione.
Di recente ha conseguito un notevole successo, un libro pubblicato nel 2011.
Si tratta di "Sangue romagnolo. I compagni del Duce: Arpinati, Bombacci,
Nanni" di Giancarlo Mazzuca e Luciano Foglietta (decano dei giornalisti
romagnoli). Prefazione di Sergio Zavoli (il socialista di Dio).
In questo libro si documenta la persistenza di un'amicizia nata durante le
battaglie sociali e sindacali ante primo conflitto mondiale che mai fu
scalfita dall'asprezza delle divergenze politiche apparse nel dopoguerra e
fino al 1945. Si trattava di persone che agivano nel tentativo di
trasformazione della società italiana e le loro opinioni divergevano nelle
modalità d'azione, non nella sostanza della soluzione politica.
D'altronde le rivoluzioni, almeno quelle più efficaci, a cominciare dal
Primo Triunvirato romano, finiscono sempre con lo scontro armato fra i
vecchi associati. D'altronde, come narra un testimone, anche Pietro Nenni,
ancorché provato da vicissitudini famigliari, alla notizia dell'assassinio
di Mussolini pianse.
Mussolini in questo si può contraddistinguere fra i rivoluzionari storici.
Per aver conservato l'amicizia di tanti ex compagni di lotta da lui
separatisi, anche con asprezza, durante il lungo periodo che va dal 1922 al
1945.
Da notare che in questa storia c'è anche, immancabile, la presenza della
morte.
Arpinati e Nanni sono assassinati il 22 aprile 1945 da "partigiani". Non se
ne conoscono le ragioni, ma possiamo immaginarle. Bombacci è assassinato da
"partigiani" dell'Oltrepò pavese a Dongo. A costoro va aggiunto un altro
nome molto importante: Bruno Buozzi, assassinato alla Storta, località a
Nord di Roma, sulla Cassia, la notte prima dell'ingresso degli Atlantici a
Roma. Anche della sua morte, del tutto inattesa per gli amici e i parenti,
non si hanno giustificazioni, ma se ne possono intuire le ragioni.
Buozzi era sicuramente uomo capace di contribuire alla creazione di una
nuova Costituzione "repubblicana e sociale", come auspicata da Mario
Bergamo.
Possiamo così immaginare che anche a Bergamo sarebbe stata riservata la
stessa fine qualora avesse risposto positivamente all'invito che Mussolini
gli fece alla fine del 1943. Nella storia d'Italia,soprattutto perché
sistematicamente rimosse, devono essere principalmente considerate tutte le
morti "non accidentali" che hanno colpito molti di coloro che volevano agire
con onestà d'intenti nell'interesse del popolo e per la sostanziale
indipendenza della Nazione.
Mario Bergamo
La biografia di Mario Bergamo è lineare.
Egli nasce a Montebelluna (Treviso) l'8 febbraio 1892. Fratello di Guido.
Si laurea in Legge a Bologna nel 1914 e subito dopo s'iscrive a lettere
nella stessa Università. Fonda, con N. Mazzola, la "Alleanza Universitaria
Repubblicana". Interventista e rivoluzionario, (scrive: "Guerra alla
guerra"), è volontario e più volte citato nei Bollettini di guerra. Nel
dopoguerra si schiera su posizioni di "Repubblica Sociale", presto definita
"Corrente bergamiana". Con Leandro Arpinati, Pietro Nenni e il fratello
Guido è fondatore il 9 aprile 1919 del Fascio di Combattimento di Bologna,
da cui si dimette il 4 marzo 1920 di fronte alla progressiva svolta a destra
del movimento fascista (peraltro determinata da contingenze sociali che
conosciamo, e dalla nefasta opera di personaggi come Dino Grandi). Nello
scontro inevitabile che ne seguì, egli fu capo dei repubblicani bolognesi e
subì le violenze degli squadristi. Nello stesso periodo si trovò molto
vicino ai Gruppi dannunziani deambrisiani. In particolare alla "Riscossa dei
Legionari Fiumani" che sostenne in polemica con "l'Assalto", organo dei
fascisti bolognesi. Nel 1924 fu eletto deputato per il PRI. Nel Partito
combatté le correnti ottocentesche ancora molto presenti fra i cosiddetti
"repubblicani storici", in nome del suo fondamentale progetto di Repubblica
Sociale. Nel congresso di Milano del PRI fu eletto segretario politico.
(Vedi anche: "Socialismo mazziniano", raccolta di scritti economico-sociali
di Giulio Andrea Belloni, a cura di Vittorio Parmentola, presentazione di
Giovanni Spadolini, ed. Archivio Trimestrale, 1982).
Dalle colonne della "Voce Repubblicana" fu un tenace oppositore del
Fascismo, ma in polemica con gli "Aventiniani" egli negò l'esistenza di
un'isolata "questione morale", e contemporaneamente tentò la costituzione di
un movimento repubblicano-socialista.
Dalla nostra posizione di studiosi di quell'interessante periodo politico,
oggi riteniamo che lui avesse ragione. Non solo per l'inanità di quella
posizione del liberalismo borghese, (combattuta anche da Antonio Gramsci),
che facilitò, nella sostanza, il rafforzamento della tendenza autoritaria
del Fascismo, ma anche perché tutta la questione, compresa la strana morte
di Matteotti, nel momento in cui Mussolini stava portando a compimento il
patto di pacificazione coi socialisti, ci appare con sempre maggiore
chiarezza una congiura ben congegnata, con diramazioni nemmeno tanto
nascoste da far risalire alla finanza della City.
Dopo l'attentato a Mussolini del 31 ottobre 1926 a Bologna, egli fu accusato
da "certi" fascisti di esserne il mandante ed il 12 novembre successivo
fuggì con Pietro Nenni in Svizzera da dove si trasferì definitivamente a
Parigi.
Qui ricostituì la direzione del PRI, che rappresentò in seno alla
Concentrazione Antifascista. In questo periodo redasse "L'Italia del
Popolo", organo ufficiale del PRI. (Testata ripresa, negli anni 70-80, dal
movimento pacciardiano, direttore Giano Accame).
Nel 1928, per contrasti con i seguaci ormai integrati nella politica della
Concentrazione, si dimise da segretario politico. Nello stesso periodo tenta
la grande iniziativa di una "Internazionale Repubblicana" a spiccato
carattere sociale. (Vedi: M. B. "L'Internazionale Repubblicana" in "La
Difesa", S. Paolo del Brasile, 16, 23, 30 dic. 1928).
In questo tentativo egli vi difese una sua idea di Nazional-Comunismo.
(Nulla da spartire, ovviamente, col comunismo bolscevico, del quale
conosceva molto bene la natura).
Da qui il suo quasi totale isolamento dall'emigrazione antifascista,
isolamento contro il quale reagì con molti scritti che furono discussi anche
in Italia su "il Popolo d'Italia", "Regime Fascista" e "Bibliografia
Fascista".
Nel 1931 sostenne l'esigenza di una Repubblica franco-italiana, federale,
nell'ambito del progetto mazziniano della Confederazione di Stati sovrani
europei.
Nel 1932 scrisse "Saturnia o l'elogio della discordia" pubblicato a Parigi,
anche su suggerimento di R. Rossetti in polemica con le posizioni della
Concentrazione.
Nel 1933-34 pubblicò ventotto numeri di una rivistina quindicinale: "I
novissimi annunci", che inviava regolarmente anche a Mussolini. Una delle
pochissime pubblicazioni vive e stimolanti del cosiddetto "Antifascismo".
Nel 1938-39 aderì alla Lega internazionale dei Combattenti per la Pace.
A fine 1943 Mussolini lo invitò tramite un suo agente (Farinacci) a
collaborare per la stesura della Costituzione della R.S.I.
Riconoscendogli il merito di antesignano («… l'espressione repubblica
sociale è vostra …»), ma Bergamo non accettò la proposta, rispondendo:
«Troppo tardi! Però verrò con Voi a sant'Elena». Non immaginava invece
quello che sarebbe successo (non conosceva bene gli anglosassoni e il loro
potere finanziario). Fu allora che Buffarini Guidi si rivolse al fratello
Guido, il quale respinse l'offerta, legandosi, in seguito, ai partigiani.
Fu pertanto al solo Nicola Bombacci (anche Bruno Buozzi era stato
assassinato), che toccò il peso della partecipazione degli ex antifascisti
alla compilazione della Costituzione (vedi: Franco Franchi, "Caro nemico",
Settimo Sigillo, 1990; Franco Franchi, "Le Costituzioni della RSI", Sugarco,
1987).
Vanno aggiunte altre considerazioni, in riferimento al tentativo di
coniugare socialismo e repubblicanesimo. La questione fu trattata da Santi
Fedele nella sua "Storia della Concentrazione antifascista", Feltrinelli,
1976, e il più recente "I repubblicani di fronte al Fascismo", 1990.
Importanti gli articoli di Enrico Landolfi pubblicati su "l'Italia del
Popolo" degli anni 80-90, dedicati alle radici del pensiero
nazional-popolare, con riflessioni sul pensiero di Mario Bergamo, Giovanni
Amendola, Salvatore Barzilai. Mario Bergamo non rientrò neppure dopo la fine
della guerra, rifiutandosi di riconoscere validità morale e politica alla
restaurazione liberale attuata dalle forze del Capitalismo occidentale.
Egli fu pertanto definito, come Mazzini, esule per antonomasia.
Gli ultimi anni della sua vita furono tranquilli. Fu assunto come
consigliere legale dal noto editore Cino Del Duca, che in Italia, tra
l'altro, pubblicava il settimanale "Tempo", che ospitava grandi firme del
giornalismo e della letteratura nazionale. Memorabili sono le pagine
affidate a Malaparte e a P. P. Pasolini. E si diede anche alla poesia.
Scrisse ancora opere politiche come: "L'Italia che resta" (1960), "Novissimo
Annuncio di Mussolini" (1962), il libro che presentiamo. Il bilancio morale
e politico della sua esperienza di vita e del suo nazionalcomunismo, da non
confondere con il bolscevismo, [Vedi: "Nazionalcomunismo", a cura di Giorgio
Bergamo, 1965, raccolta di scritti scelti.]
Mario Bergamo morì a Parigi il 24 maggio (data molto significativa per lui,
che fu accanito interventista), 1963.
Giorgio Mario Bergamo
Se Mario Bergamo fu, come già detto, l'esule per antonomasia, il figlio
Giorgio rientrò al più presto in Italia, ove scelse la Repubblica Sociale
«per un mio bisogno intimo di pulizia e, più in generale, di coerenza
nazionale» come scrive lui stesso in un elzeviro del 19 gennaio 1984,
intitolato "Fratelli d'Italia", ed ove esercitò la professione di medico
cardiologo. Fu anche il curatore delle ultime opere del padre: "L'Italia che
resta" (1961), "Novissimo Annuncio di Mussolini" (1962), "Nazionalcomunismo"
(1965), "Laicismo integrale" (1968).
Per lungo tempo egli collaborò alla terza pagina de "il Gazzettino",
quotidiano del Veneto, sotto la direzione di Gianni Crovato e di Gustavo
Selva, con una serie di elzeviri intitolati "Fuorisacco". Questo fu anche il
titolo di un libro pubblicato nel 1990 da Mursia, raccolta di buona parte
degli elzeviri. Libro da leggere per la passione e l'onestà morale che ne
traspare, tanto che l'autore fu definito, da Riccardo Bacchelli, carattere
di rigore morale e di probità intellettuale, ma anche per comprendere come
siano andate realmente le cose durante quegli anni (1920-1945).
Terribile, nel libro, la pagina dedicata al massacro di Oderzo, dove furono
assassinati, dopo orribili torture, 138 fascisti, per lo più giovanissimi.
Considerazioni conclusive
La pubblicazione di questo libro dovrebbe contribuire alla comprensione di
un periodo, quello fra il 1914 e il 1945, che è stato fra i più vivaci della
vita del popolo italiano.
Il fatto che in questo dopoguerra l'informazione "ufficiale" sia stata
schiacciata in conformità a un'idea ossessiva basata su slogan privi di
logicità, tra l'altro in contrasto con il progresso a livello internazionale
degli studi sociologici e antropologici, deve spingere gli studiosi seri,
quei pochi che rimangono, alla "intelligenza" degli eventi.
Nell'attuale immaginario popolare, l'ascesa al potere del Movimento Fascista
è vissuta come un'oppressione di minoranze su un intero popolo. Per di più,
è stata accettata per vera la propaganda degli anni 20 dei socialisti,
secondo cui il Fascismo sarebbe una forma di reazione borghese alle istanze
popolari. Nulla di più falso.
Infatti, il Fascismo fu, nella sostanza, e lo dice anche il nome, un
tentativo di elaborare e interpretare in termini di sintesi totale (da qui
l'utilizzazione del termine "totalitario" da parte di Mussolini) tutte le
istanze politiche e sociali emerse con l'esplosione della tecnica (presa
d'atto da parte di tutti i popoli dell'importanza della tecnica dopo il
primo conflitto mondiale). Questo fu l'immane sforzo del Fascismo, tanto che
ne restano ancora vivissime le tracce non solo in Europa.
Nel suo fondamentale testo "Tramonto di una civiltà", Casini, 1969, lo
storico William H. McNeill dimostra che tutti i paesi occidentalizzati
reagirono alla presa di coscienza scaturita dal trauma del primo conflitto
mondiale aumentando il controllo sociale. Pertanto, il regime autoritario
(fatto passare per dittatura) instaurato in Italia dagli anni 20, fu una
conseguenza diretta di esigenze concrete, dovute anche alla necessità di
introdurre una programmazione della produzione agricola e industriale,
fin'allora del tutto assente nel nostro paese. Che va paragonato a quanto di
feroce fu fatto in URSS nello stesso periodo e per lo stesso scopo. Va anche
aggiunto che nei paesi anglosassoni questo cambiamento fu meno avvertito
semplicemente perché, è bene ripeterlo, in quei paesi la "democrazia" è del
tutto formale. Non esistendo un reale ricambio sociale ed essendo la classe
politica egemone quella stessa emersa nel XVII secolo, come conseguenza
delle rapine piratesche e delle conquiste dell'Impero commerciale per
antonomasia.
D'altronde l'attuale spettacolo della falsa lotta per la presidenza degli
USA è facilmente decifrabile per chiunque abbia capacità di raziocinio.
Durante il "ventennio", se si esclude l'infima minoranza dei fuorusciti, (ma
la maggioranza di costoro era espatriata poiché massoni mentre molti la
pensavano come Bergamo), tutti gli antifascisti o liberali prefascisti
ebbero vita facile e poterono manifestare la loro attività professionale
senza interferenze. Non solo. Molti di costoro continuarono a fregiarsi del
titolo di Senatori del Regno. Mentre proseguiva quel tenace tentativo di
sintesi sociale che, è giusto si capisca, non è di facile attuazione. E oggi
ancor meno di ieri.
Si è a lungo scritto dell'attenzione che Mussolini riservava ai suoi ex
compagni socialisti e repubblicani, favorendo il loro mantenimento quando
erano in difficoltà. (Caso esemplare: Errico Malatesta). Atteggiamento
interpretato come una forma della bontà d'animo del Duce. In realtà
Mussolini cercava di tenere vivo il retaggio della molteplicità del pensiero
rivoluzionario e popolare presente nel nostro paese. Retaggio che, dopo
oltre settanta anni di DOMINIO culturale liberal-occidentale impostato con
grande spreco di mezzi, sembra del tutto scomparso. (Vedi: Alessandro
Luparini, "Anarchici di Mussolini. Dalla Sinistra al Fascismo, tra
rivoluzione e revisionismo", M.I.R. 2001).
Il fatto che moltissimi anarchici abbiano confluito nel Fascismo tanto negli
anni 20 quanto durante il breve periodo della RSI dovrebbe far riflettere.
Il libro di Luparini documenta attraverso la biografia di Mario Gioda,
Edoardo Malusardi e Massimo Rocca, uno dei periodi più intensi della storia
d'Italia. Paragonabile, a mio avviso, a quel meraviglioso Cinquecento
italiano che vide il fiorire della forza creatrice del nostro popolo in
tutte le scienze e le arti, su uno sfondo di conflitti europei di grandi
dimensioni. Va inteso, peraltro, che la figura morale ed esistenziale
dell'Anarchico va studiata partendo da quello che fu detto circa l'Anarca di
Junger: «la figura dell'Operaio, del Ribelle e dell'Anarca può riassumersi
in una rivolta antiborghese, all'insegna di un nichilismo attivo, di
ascendenza nietzschiana che dischiude nuove sacralizzazioni nella fusione
incandescente della tradizione con la modernità» [Marcello Veneziani].
Per la precisione ricordiamo alcune fasi dell'instaurarsi di quella che
sarebbe diventata, ma solo all'approssimarsi del secondo conflitto mondiale,
la molto opinabile dittatura personale di Mussolini.
La nomina di Mussolini a Presidente del Consiglio ebbe luogo dopo le
consuete, seppure affrettate, consultazioni, per opera del Capo dello Stato,
col R.D. 31 ottobre 1922, e le Camere, nelle quali i fascisti erano una
minoranza, poco dopo votarono la fiducia al nuovo governo, delegandogli anzi
i pieni poteri per la riforma della Pubblica Amministrazione.
Così, parimenti, il R.D. 14 gennaio 1923 n. 31 che creò alla Milizia
Volontaria per la Sicurezza Nazionale. Il R.D.L. 15 luglio 1923, n.3288,
assai limitativo della libertà di stampa, e la nuova legge elettorale
politica 18 novembre 1923, n. 2444 (c.d. Acerbo) fu approvata con buona
maggioranza dalle Camere.
Solo dal 1925 al 1929, e, ora lo sappiamo, sotto la pressione delle
contingenze internazionali, la trasformazione in senso autoritario delle
strutture di governo: abolizione del sistema parlamentare, netto predominio
assunto dal Potere Esecutivo, il preannuncio della nuova rivoluzionaria
organizzazione corporativa e l'inserimento del Gran Consiglio del Fascismo
fra gli organi costituzionali dello Stato.
In sintesi: un governo legittimo ma rivoluzionario allo stesso tempo, perché
per la prima volta nella storia italiana, ma anche e soprattutto nella
storia del Regno d'Italia, si trattò della presa del potere, sia pure in
modo semi pacifico, da parte del popolo delle trincee.
Fermo restando quanto emerso il 25 luglio 1943 a proposito di un
"intimamente fascista" Gran Consiglio, dobbiamo paragonare questa sequenza
di avvenimenti a quanto sta accadendo al presente in Italy. Abbiamo un
governo di persone non elette in precedenti elezioni (Colpo di Stato
Napolitano-Monti). Si tratta d'individui rappresentativi d'interessi non
italiani, anzi, palesemente anti-italiani, selezionati in conformità a
appartenenze a gruppi bancari, economici, massonici chiaramente
globalizzati.
Chiamano governo tecnico un governo composto di persone che occupano posti
ministeriali che nulla hanno a che fare con la loro reale attività
professionale. E, per concludere, tale colpo di stato è avvenuto con la
giustificazione di un'emergenza, il debito pubblico, che è palesemente un
falso. Infatti, il debito pubblico italiano è costituito non già dal debito
reale, ma dal debito contratto dallo Stato per l'acquisto dalla BCE che è
privata, di cartamoneta, gravata da un interesse che non trova alcuna logica
giustificazione.
Giorgio Vitali