Italia - Repubblica - Socializzazione

 

da "Rinascita"  

(Articolo in versione integrale già pubblicato, in versione ridotta, sul quotidiano Rinascita del 12 ottobre 2010 )

 

L'Olocausto nella storiografia futura

 

Maurizio Barozzi  (16 ottobre 2010) 

 

La recente vicenda della lezione di storia sulla shoah all'Università di Teramo che ha chiamato in causa, con argomenti pretestuosi e notizie inventate di sana pianta, il prof. Claudio Moffa docente ordinario di Storia e Diritto presso la Facoltà di Scienze Politiche di quella Università, a cui ha fatto seguito la richiesta del presidente della Comunità ebraica di Roma di varare al più presto "una legge che una volta per tutte in Italia renda reato il negazionismo e il ridimensionamento dei numeri della shoah", ci induce a formulare una banale riflessione sulla libertà di espressione e di ricerca storica e al contempo cogliere l'occasione per esaminare, da un punto di vista storiografico, l'argomento del contendere, l'Olocausto appunto ovvero l'asserito scientifico e programmato sterminio del popolo ebraico nel corso della seconda guerra mondiale.

Uno sterminio di proporzioni inaudite e talmente raccapricciante, cinico e assurdo che se fosse effettivamente avvenuto, con quei metodi poi (le camere a gas e i forni crematori), non potrebbe essere giustificato da nessun essere umano degno di questo nome così come, tanto per essere chiari, non trovano giustificazioni molti altri spaventosi e pianificati grandi eccidi di popolazioni innocenti quali i tedeschi dell'est nel 1945, le vittime dello stalinismo, le popolazioni vittime del terrorismo aereo statunitense (anche atomico) e così via.

Niente di strano quindi che ci siano storici e ricercatori storici che si interessino a questi avvenimenti volendo accertarne la effettiva realtà e consistenza, essendo la storiografia un naturale e continuo lavoro di revisione e aggiornamento alla luce di nuove scoperte o elementi non ben considerati in precedenza.

E' quindi assurdo e liberticida che la critica, la ricerca e la revisione storica, ragione prima e compito fondamentale dello storico, quando riferita all'Olocausto, venga tout court ritenuta una diffusione di idee fomentatrici di odio razziale, perseguendo e/o criminalizzando chi la pratica. Una accusa questa del tutto campata in aria, tanto più che a quanto si può constatare, i cosiddetti storici "revisionisti" provengono da svariati paesi e hanno eterogenee formazioni culturali e professionali e non avanzano affatto idee razziste, nè tanto meno "naziste".

I revisionisti, infatti, non negano lutti e sacrifici sopportati dal popolo ebraico in Europa, comprese fucilazioni indiscriminate e sommarie spesso eseguite con la solita e ottusa ferocia teutonica, non insultano quindi la memoria delle vittime, ma mettono in dubbio, criticano e rilevano l'inconsistenza delle prove, delle testimonianze e della letteratura portata a sostegno di un genocidio di quelle dimensioni e con quelle modalità.

Da critici e ricercatori storici essi sottopongono al vaglio della dimostrazione scientifica e delle prove documentali quanto viene storicamente asserito. Per questo è improprio il termine di negazionisti, essendo questo metodo quello da sempre utilizzato dalla storiografia.

Franco Cardini, valente storico e saggista, in un articolo ("A proposito del caso Williamson e del "revisionismo-negazionismo") ha indicato e riassunto con molta lucidità e onestà i termini generale di questo problema:

Primo: la shoah è una realtà immensa, spaventosa e incontrovertibile, comprovata da documenti e testimonianze che possono senza dubbio venir riconsiderati e all'interno dei quali possono anche trovarsi errori e perfino falsificazioni, che tuttavia non sono praticamente suscettibili di attenuare in modo sensibile le enormi responsabilità di chi tali delitti concepì e attuò e di chi ne fu esecutore o complice.

Secondo: la shoah può e dev'essere oggetto di studio attento e spregiudicato come qualunque altro avvenimento storico; se nel corso delle ricerche avvenga d'imbattersi in errori, falsificazioni, valutazioni inesatte sul numero delle vittime o altro, è dovere degli studiosi segnalarlo e della società civile accogliere criticamente tali rilievi.

Terzo: dando per scontato che qualche fanatico antisemita possa travestirsi da studioso con lo scopo da screditare la causa ebraica, quella sionista o quella israeliana attraverso un tentativo di destituzione di credito della shoah, la comunità dei ricercatori professionisti ha tutti gli strumenti per smascherarlo e la società civile il diritto e il dovere di metterlo al bando.

Quarto: premesso il punto precedente, nessuno può essere autorizzato a istituire un processo alle intenzioni contro chi s'impegni nello studio della shoah dando per scontato che questo o quell'eventuale ridimensionamento di alcuni episodi che la riguardano sia frutto di disonestà e di preconcetto antisemitismo.

Quinto: è inaccettabile, nonostante sia già accaduto in alcuni paesi, che si stabilisca per legge un'interpretazione "canonica" e "definitiva" della storia, dichiarando crimine qualunque deroga da essa; ciò corrisponde a un intollerabile attentato alla libertà di pensiero (in seguito a queste leggi aberranti si sono arrestati in Austria David Irving e in Germania non solo il sessantasettenne Ernst Zuendel, ma perfino la sua legale, avvocatessa Sylvia Stolz).

Sesto: l'antisemitismo è una cosa precisa, cioè la tesi che esista uno specifico razziale comune ed esclusivo a tutti gli ebrei e che esso sia biologicamente e deterministicamente malvagio, inferiore e criminale; l'eventuale limitazione della portata della shoah e al limite la sua negazione possono essere ingiustificate, irragionevoli e demenziali e magari possono servire da pretesto per introdurre temi antisemiti, ma in sé e per sé non hanno con l'antisemitismo nulla a che fare (al punto che un cattivo "uso della shoah" e stato condannato da studiosi che sono tuttavia ebrei, quali Norman G. Finkelstein).

Settimo: pur essendo indubbio che dietro al "revisionismo-negazionismo" possano celarsi, in certi casi, istanze antisioniste e antisemite, il sistematico processo alle intenzioni e il ricorso al ricatto-intimidazione ("dici questo, allora sei antisemita") sono sempre e comunque inaccettabili sia come metodo, sia come sistematico strumento di risposta. Sono inaccettabili sul piano morale perchè disonesti e su quello tattico-strategico perchè controproducenti. In particolare, è evidente che la critica alle scelte di questo o di quel governo israeliano non può e non deve esser pregiudizialmente sospetta di aver nulla a che fare con il razzismo e con l'antisemitismo. Il giorno che la critica alla dirigenza israeliana, o anche alla sua opinione pubblica, divenisse meno lecita di quella alle dirigenze e/o alle opinioni pubbliche francesi, canadesi o lituane, ci si troverebbe di fronte a un allarmante caso di razzismo alla rovescia.

Questo "eptalogo" è peggio che ovvio: è banale. Proprio per questo mi allarma il fatto che non sia ordinariamente e spontaneamente seguito da chiunque sia dotato di un minimo di discernimento. Ma a questo punto si profila a mio avviso una realtà allarmante.

(Vedesi: http://www.francocardini.net/Appunti/29.1.2009.html)

Nonostante queste semplici e logiche ragioni, esposte dal Cardini, prevediamo che, alla lunga, non sia possibile arrestare quanto da tempo è in animo di fare contro il "revisionismo". Stante infatti l'andazzo generale e gli interessi geopolitici in gioco, è facile prevedere che, passettino dopo passettino, per la ricerca, la critica e l'editoria su questo argomento e solo su questo, verrà posta, di forza, una "democratica" e "libertaria" pietra tombale con buona pace dell'art. 21 della nostra Costituzione.

Del resto è già da tempo in atto in vari paesi (Germania, Olanda, Francia, Svizzera, Canada, ecc.) una repressione specifica verso ogni contestazione dell'Olocausto, fin nella messa in dubbio dell'entità numerica delle vittime, ovvero i sei milioni e questo nonostante quanto sancisce l'articolo 19 della Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo stabilisca:

«Ognuno ha diritto alla libertà di opinione e di espressione, il che implica il diritto di non essere molestati per le proprie opinioni e quello di cercare, di ricevere e di diffondere, senza considerazione di frontiera, le informazioni e le idee con qualsiasi mezzo di espressione li si faccia» (Dichiarazione internazionale dei Diritti dell'Uomo, adottata dall'Assemblea generale dell'ONU a Parigi il 10 dicembre 1948).

Immaginiamo quindi (ma non troppo) che per secoli non si sentirà più parlare di negazionismo, revisionismo e quant'altro sia inerente alla messa in dubbio della Shoah (praticamente un "ritorno al passato" ovvero ai tempi di Giordano Bruno e di Galileo Galilei, laddove sia precluso il diritto alla libertà di studio, di ricerca e di messa in dubbio di certe "verità"), e questo, presupponiamo sempre, fino a quando, per qualche motivo, queste coercizioni, queste proibizioni, questa "santa inquisizione", possa venir meno.

Proiettiamoci allora, sempre con l'immaginazione, in questo ipotetico futuro e, ragionando nei soli termini storiografici, ipotizziamo cosa potrebbe accadere quando, con una riconquistata libertà di pensiero e di ricerca, gli storici potranno finalmente esprimere delle valutazioni sul supposto e scientifico sterminio del popolo ebraico da parte dei tedeschi nel XX secolo.

Personalmente da ricercatore storico mi sono sempre dedicato ad altro genere di ricerche, non avendo oltretutto la preparazione tecnico scientifica per esaminare ed affrontare nello specifico una vicenda così vasta e complicata come quella delle "camere a gas". Pertanto, pur ritenendo, sulla base della letteratura in argomento, che i "revisionisti" abbiano visto giusto, non posso però entrare nello specifico e con piena cognizione di causa nel contenzioso tra chi afferma e chi contesta quel genere di genocidio, ma in base a quanto comunemente conosciuto posso ragionare con l'esperienza e la logica del metodo storiografico, per esempio adottato, proprio in questo caso, dal professore americano Arthur R. Butz .

[Vedesi: A. R. Butz: The Hoax of the Twentieth Century, Chicago 1976 e soprattutto: "Contest and Perspective in the "Holocaust Controversy" tradotto anche in italiano in: "Contesto storico e prospettiva d'insieme nella controversia dell' olocausto", Graphos, 1999, reperibile in http://www.vho.org/aaargh/ital/ABcontesto.html), documenti questi a cui si fa qui riferimento, per gli stralci di testo riportati, anche quando non espressamente dichiarato].

In questo senso, vediamo allora cosa potrebbe accadere quando i posteri, qualificati come storici, potranno liberamente riprendere in considerazione le prove addotte a sostegno della shoah (almeno quelle fino ad oggi prodotte e conosciute), nonchè i termini e le modalità con cui è stata divulgata la Shoah attraverso una enorme mole di libri, articoli, testimonianze, finctions televisive e cinematografiche e quant'altro, oltre ad innumerevoli processi e relative condanne comminate ad ex militari ed esponenti del Terzo Reich, attestanti lo sterminio di sei milioni di ebrei, per la maggior parte eliminati tramite le camere a gas e poi inceneriti nei forni crematori.

Tanto per cominciare il professor Arthur Butz lamenta il fatto che gli storici revisionisti spesso si sono persi nel particolare invece di cogliere gli aspetti essenziali del problema:

«Quando, nel corso di una discussione su un qualunque argomento (scrive in "Contesto storico e prospettiva d'insieme nella controversia dell'olocausto", Journal of Historical Review, 1982 1983 - Graphos 1999), critichiamo una persona e diciamo che "gli alberi nascondono la foresta", abbiamo presente un tipo di difetto intellettuale molto particolare. A questa persona non rimproveriamo di essere incompetente o di avere sull'argomento delle vedute erronee o poco congrue. Al contrario, può darsi che le sue vedute poggino su ricerche la cui profondità e forza siano tali da far onore ad ogni bella intelligenza. Quel che vogliamo dire è che questa persona si concentra su dettagli fino al punto di non vedere l'insieme, più largo, del contesto; in particolare, se questa persona adottasse e mantenesse una prospettiva più elevata, risolverebbe molti dei problemi che, da principio, avevano destato in lei una curiosità di ordine generale per l'argomento».

E quindi, così conclude l'autore, con quello che è l'assunto principale del suo ragionamento inerente la valutazione che ci sia stato o meno uno sterminio di ebrei di così enorme portata:

«La più semplice delle buone ragioni di essere scettici riguardo all'accusa di uno sterminio è anche la ragione più semplice da concepire: alla fine della guerra erano sempre là».

In ogni caso, afferma ragionevolmente Butz, gli storici del futuro si troveranno alle prese con una questione che si pone più o meno in questi termini:

«Domandiamoci, per cominciare, che cos'è che susciterà di più la meraviglia della posterità. Non saranno gli "sterminî!" degli ebrei, perché non ve ne sono stati. E neanche sarà il programma di espulsione degli ebrei deciso dai tedeschi. Evidentemente, taluni potranno essere interessati a questo programma, ma solo nella misura in cui oggi gli storici sono interessati a qualsiasi genere di avvenimenti del passato. Ma, quanto al suo principio, questo programma tedesco sarà lungi dall'essere unico, perché gli ebrei sono già stati espulsi da Gerusalemme nel II secolo e dalla Spagna nel XV, per ricordare soltanto le due più celebri espulsioni tra tutte quelle che si sono avute. Il programma tedesco potrà essere deplorato, ma non apparirà straordinario. Ciò che apparirà unico sarà l'installazione della leggenda dell'"olocausto" nella società occidentale, il suo sfruttamento fino alla follia, la sua messa in discussione alcuni decenni più tardi ad opera di originali e il suo abbandono in prosieguo. Una delle conseguenze, forse istruttiva e, insieme, mortificante per i revisionisti, sarà il fatto che essi stessi saranno sottoposti ad esame minuzioso da parte degli storici, sarà, cioè, il fatto che noi una parte di quel processo storico che la posterità vedrà, e non semplicemente i pionieri della ricerca in questo processo.

Penso che ci vedranno così soprattutto a causa della tendenza che abbiamo - ne ho spiegato or ora le ragioni - ad impegolarci nei dettagli passando di lato o sopra le osservazioni che ai loro occhi avrebbero dovuto essere al tempo stesso evidenti e decisive».

Premesso questo, a nostro avviso, in qualche modo tutta la controversa pubblicistica e letteratura su l'Olocausto, dovrà essere esaminata per poterne dare un giudizio definitivo. In questo contesto, pur semplificando, bisogna partire dalla considerazione che gli storici lavorano essenzialmente su testimonianze comprovate, ma soprattutto su documenti, riscontri e prove oggettive che vengono analizzati e sottoposti ad una severa critica per poi essere inquadrati, tramite una convincente deduzione logica, in una esposizione di fatti e di risultanze storiche.

Non si tratta, in sostanza, come detto, di negare l'olocausto, quanto di attestare se ciò che lo sta a testimoniare e dimostrare ovvero se le documentazioni prodotte reggono ad una effettiva analisi e verifica storica. E già qui iniziano i guai, perché in questo caso non si potrà che prendere atto della mancanza totale di attestazioni scritte, ordini, documenti più o meno segreti, commesse, fatturazioni e quant'altro che avrebbero dovuto attivare, accompagnare e regolare, in tutti i suoi ambiti (militari, civili, tecnici e ingegneristici) questa supposta, inaudita, enorme e pluriennale strage (carenza questa che viene giustificata con la necessità per i carnefici di mantenere segreto lo sterminio). Basandoci anche su le considerazione espresse dal professor Butz, vediamo allora come stanno le cose, laddove è ovvio che gli storici del futuro andrebbero subito al nocciolo del problema formulando le seguenti sette considerazioni qui appresso riportate.

Per prima cosa, già a livello concettuale, non potranno non considerare la contraddizione insanabile presente nell'asserita politica di sterminio della Germania nazionalsocialista.

In poche parole:

- o lo sterminio totale della razza ebraica era, a prescindere, strategicamente e concettualmente presente nei postulati ideologici del nazionalsocialismo e quindi questo potrebbe giustificare il fatto che, nonostante la sua vastità, impegno, spreco di mezzi ed onerosità, trascese persino le necessità dell'economia di guerra (in questo caso, però, non spiegherebbe e sarebbe in contraddizione con la politica di espulsione ed emigrazione forzata delle popolazioni ebraiche, praticata dalla Germania nei primi due anni di guerra, spesso concertata segretamente con le organizzazioni sioniste, visto che non si espelle chi si vuol eliminare per principio!);

- oppure questo genocidio, non era ideologicamente imprescindibile e fu solo una possibilità ed una conseguenza degli sviluppi bellici. Ma quest'altra eventualità, per così dire casuale, risulta nettamente in contrasto con le necessità belliche e con la stessa produzione di guerra i cui interessi e strategie non potevano che essere assolutamente preminenti su tutto il resto e non c'erano tempi, mezzi ed energie, oltre la convenienza per dedicarsi a questo genocidio!

Per seconda cosa, come detto, dovranno prendere atto che manca l'elemento primo di ogni ricerca storiografica: la documentazione.

Gli storici, infatti, riscontreranno la mancanza di documenti attestanti l'ideazione e la pianificazione di un così vasto piano di sterminio da parte della Germania e dell'inesistenza di ordini e certificazioni scritte, inventario, fatture, mappe e commesse di materiali indispensabili allo sterminio stesso, ecc., la cui esecuzione avrebbe pur dovuto coinvolgere migliaia di autorità militari, comprimari ed esecutori, ma anche consentire di operare ad architetti, ingegneri e tecnici, fornitori, inservienti, addetti alla manutenzione, riparazione e controllo, delle camere a gas e dei forni crematori, ecc.

Tutti costoro non possono poi aver agito, in uno Stato come quello tedesco burocraticizzato e gerarchizzato, per un così vasto e prolungato impiego di carattere criminale, tramite semplici ordini verbali o mascherati; né la storiografia può concepire o credere ad una eventuale e totale successiva distruzione di tutte le possibili attestazioni scritte.

Per terza cosa, conseguenza della precedente, non potrà neppure esser presa in considerazione la giustificazione che le autorità mandatarie di questo gigantesco crimine avrebbero agito attraverso cenni d'intesa, ordini verbali o un linguaggio mascherato con il quale poter interpretare, a senso, i documenti apparentemente privi di ordini omicidi.

In questo caso, oltretutto, emergerebbe una demenzialità manifesta del modo di agire delle massime autorità naziste le quali, si afferma, avrebbero infantilmente concepito, pianificano ed attuano un piano di sterminio di queste proporzioni, i cui obiettivi ultimi erano l'uccisione totale di tutti gli ebrei nelle loro mani, pensando che potesse rimanere segreto solo perchè hanno dato direttive verbali o mascherate e comunque faranno sparire ogni documento ed ogni traccia al momento opportuno.

Anche se questo fosse stato possibile, e non può esserlo, a guerra finita poi, sia che si fosse vinta o si fosse persa o meglio ancora, come speravano i tedeschi stessi, si fosse raggiunta una pace di compromesso, come avrebbero potuto far riapparire le vittime?

A cosa sarebbe servito l'uso di un linguaggio dissimulato?

E come si può credere, infine, che migliaia e migliaia di persone, preposte alle varie fasi dello sterminio, avrebbero dovuto essere comunque in grado di comprendere e decifrare questi ordini mascherati ed al contempo la qual cosa rimanere segreta?

Come poteva la sparizione di milioni di ebrei rimanere nascosta e non venire immediatamente alla luce con tutte le sue terribili conseguenze per la Germania?

Proprio quella stessa Germania che nel 1943 aveva convocato una Commissione d'inchiesta internazionale per attestare il massacro degli ufficiali polacchi compiuto dai Sovietici a Katyn! Quale livello di ingenuità e demenza potevano aver raggiunto un Himmler, massimo responsabile delle deportazioni e altri gerarchi che cercarono un contatto con gli Alleati per mediare una resa, ben sapendo di essere sicuramente scoperti come criminali di guerra?

A questo proposito il prof. A. R. Butz, fa anche notare un particolare molto importante:

«E' interessante notare che due dei più prossimi collaboratori di Himmler, il generale SS Gottlob Berger e il generale Karl Wolff, dichiararono entrambi davanti ai tribunali di non aver saputo nulla durante la guerra di un programma di sterminio.

Ad un rappresentante del WJC (World Jewish Congress, n.d.r.) Himmler dichiarò:

Per porre termine alle epidemie siamo stati costretti a bruciare i corpi di un numero incalcolabile di persone che erano morte di malattia. Siamo dunque stati costretti a costruire dei crematorî, ed è con ciò che quelli [gli Alleati e i sovietici] stanno preparando la corda per impiccarci.

V'è una coerenza essenziale tra questo tentativo di discolpa da parte di Himmler e il quadro che ci tracciano i documenti riuniti dai nemici di Himmler nei tre anni che sono seguiti alla sua morte. Bisogna credere che questa coerenza sia casuale, oppure che sia stata procurata da Himmler grazie ad un'accuratezza e ad una prescienza sovrumane?».

Per quarta cosa gli storici, valuteranno il fatto, non indifferente, che milioni di persone, sia civili che militari, ma sopratutto gli stessi deportati, che hanno transitato o soggiornato, in particolare - nel - e - attorno al centro industriale coattivo di Auschwitz ed altri campi simili, non avrebbero potuto rimanere all'oscuro di queste innumerevoli uccisioni.

Come afferma A. R. Butz, per Auschwitz stiamo parlando di una estensione territoriale grande quasi quanto un continente, di un coinvolgimento di militari, civili, nonché gli stessi deportati, ammontanti ad alcuni milioni di individui e di una durata temporale ininterrotta di circa tre anni! Sottolineando inoltre che molti altri storici hanno dovuto prendere atto che:

«Tra il maggio del '42 e il giugno '44 neanche gli interessati avevano sentito parlare di sterminî di massa ad Auschwitz; che non si sarebbe potuto nascondere per lungo tempo al mondo l'esistenza ad Auschwitz di questi sterminî (...) Le istanze ebraiche fuori dall'Europa occupata, come il JDC [Joint Distribution Committee], il WJC [World Jewish Congress], la JA [Jewish Agency] ecc., non hanno avuto il comportamento di chi credesse alle proprie accuse di "sterminio"».

Quindi, la deduzione consequenziale che ne scaturisce è quella che non è assolutamente possibile che milioni di ebrei, siano stati condotti tranquillamente a farsi gassare, portandoci figli e genitori, perchè ripetutamente ingannati o illusi in qualche modo dai loro assassini!

Si consideri che, nella vita quotidiana dei campi di concentramento e nei loro dintorni, oltre ad esservi detenute intere e numerose famiglie, tra l'altro in contatto in qualche modo con i centri di assistenza ebraica di tutto il mondo, vi era un immenso via vai di vita civile e militare, sia stazionaria che pendolare (per esempio ad Auschwitz, provenienti da fuori, arrivavano giornalmente circa 1000 lavoratori, dipendenti di circa 100 aziende preposte alla manutenzione del campo, che ogni sera tornavano a casa loro).

Di conseguenza si sarebbe sicuramente percepito e comunque sarebbe stato confidato da qualcuno dei tanti addetti al crimine o a conoscenza di queste uccisioni, che era in atto uno sterminio totale e quindi, i prigionieri lo avrebbero immediatamente messo in relazione alla sparizione di tanti di loro.

Non scherziamo! la percezione di questo genocidio avrebbe sicuramente scatenato il panico e quindi vaste ed incontrollate ribellioni. Visto che tutto questo non è accaduto gli storici non potranno che prenderne atto e trarne le dovute conseguenze.

Come quinto ed importante elemento, gli storici non potranno che prendere atto, a quanto afferma il prof. A. R. Butz, che:

«le accuse di sterminio che sono circolate dopo la guerra avevano come origine quelle che circolavano durante la guerra. Tuttavia, le differenze tra le une e le altre sono tali che è consentito di dedurne che le accuse che circolavano durante la guerra non poggiavano sui fatti reali. Le principali differenze tra le accuse del tempo di guerra e quelle del dopoguerra sono di due generi. In primo luogo, gran parte delle accuse che circolavano durante la guerra sono state, salvo poche eccezioni, abbandonate in prosieguo. Poi, la più importante delle accuse del dopoguerra, quella che riguarda Auschwitz, è stata emessa assolutamente soltanto alla fine della guerra».

Tutto questo non può far sottovalutare il fatto che, a parte le solite voci di uccisioni sistematiche di ebrei, che vennero da tutti (quartieri generali Alleati compresi), considerate o esagerate o come forma di propaganda di guerra:

- nè le potenti e vaste organizzazioni ed agenzie ebraiche, in e fuori dall'Europa, impegnate anche nell'assistenza ai deportati;

- nè i governi Alleati con i loro servizi segreti (che tra l'altro erano in grado di decifrare i codici di comunicazione dei tedeschi);

- nè i paesi neutrali presenti con agenzie di stampa, delegazioni e informatori;

- nè il Vaticano con tutta la sua imponente rete di organizzazioni ed entità religiose sparse in tutta Europa;

- nè le Istituzioni ed i Comitati internazionali, quali la Croce Rossa, che in tutto quel periodo hanno operato in quelle realtà.

Insomma tutti questi organismi, servizi e personalità che non potevano non sapere, non potevano non essere in qualche modo a conoscenza di un piano di sterminio in atto, non risulta che vi si siano opposti con ogni mezzo o abbiano invitato gli stessi deportati a fare resistenza, ma anzi, per tutto lo svolgimento della guerra, si sono comportati ed hanno operato come se questo sterminio non ci fosse affatto!

Certo, giravano notizie di stragi e di stermini, effettuati con i più disparati metodi, ma spesso erano talmente fantasiose negli asseriti meccanismi di morte, che non venivano prese in considerazione e in ogni caso la mancata invocazione da parte degli Alleati e degli stessi ebrei di resistere alle deportazioni con ogni mezzo, indica che non ci si riteneva in presenza di uno sterminio, un genocidio vero e proprio.

Osserva il prof. A. R. Butz:

«Tanto i documenti del tempo di guerra quanto il comportamento degli ebrei presenti nell'Europa occupata provano che non si era informati di un piano di sterminio.

Da vari anni si sa che gli atti di resistenza alle deportazioni erano cosa rara e che gli ebrei affluivano nei differenti campi senza sospettare di essere in procinto di venire uccisi (...)

...Tutti concordano sul fatto che il carattere molto esteso delle attività della Chiesa cattolica ci garantisce che il Vaticano avrebbe saputo quel che accadeva agli ebrei (Vedesi "The Terrible Secret", di W. Laqueur, pag. 55-58). E tuttavia mai nessuna dichiarazione inequivoca è venuta dal Vaticano di condanna degli stermini di ebrei, nemmeno dopo che i tedeschi erano stati cacciati da Roma, e neanche dopo la disfatta della Germania. Questo, nonostante serie pressioni esercitate dagli Alleati sul Vaticano per ottenere una dichiarazione del genere».

Ma ancor più le organizzazioni clandestine della Resistenza tedesca, tra le quali si possono anche annoverare i servizi segreti facenti capo a Canaris e quelli operanti nella Wehrmacht, che erano immersi e vivevano quotidianamente tra gli ufficiali e i soldati, nonché tra tutta la popolazione tedesca e quindi a contatto con amici, conoscenti e familiari, non potevano non aver sentito qualcosa circa l'attuazione dello sterminio ebraico.

E questo "qualcosa" sarebbe immediatamente filtrato fuori dalla Germania e sarebbe ancora oggi attestato visto che, oltretutto, le organizzazioni della resistenza ad Hitler erano alla continua ricerca di un riconoscimento tangibile, di un appoggio concreto al loro operato da parte degli Alleati che invece, la strategia bellica alleata aveva interesse a negare.

Ma niente di tutto ciò è avvenuto e per gli storici questo è un altro dato di fatto determinante per l'esatta interpretazione degli eventi considerati.

Conclude su questo punto il professor A. R. Butz:

«Quello che si esige da noi è che si presti fede al fatto che questi "avvenimenti della dimensione di un continente dal punto di vista della geografia, della durata di tre anni dal punto di vista del tempo e di parecchi milioni dal punto di vista delle vittime" abbiano potuto svolgersi senza che nessuna delle parti in causa ne abbia avuto conoscenza».

Sesta cosa: nessun storico serio potrà poi dare valore di verità storica ai racconti, in merito alle gassazioni ed alle cremazioni, resi dai cosiddetti testimoni oculari. E questo non perché risultano fantasiosi o incongruenti e spesso si sono smontati da soli, così come le contraddittorie confessioni dei tedeschi catturati e sottoposti a non nascoste torture, ma per il motivo che la storiografia segue un metodo che non contempla l'attestazione storica fatta essenzialmente in questo modo.

La storiografia, infatti, non si è mai fatta attraverso questo genere di processi o attraverso testimonianze di sedicenti testimoni oculari. Afferma il prof. A. R. Butz: «non abbiamo bisogno di "confessioni" o di "processi" per stabilire che hanno avuto veramente luogo i bombardamenti di Drescla o Hiroshima, o le rappresaglie di Lidice che seguirono l'uccisione di Heydrich».

Ed infatti questi eventi, così come Waterloo, le fosse Ardeatine, ecc., sono storicamente accertati, indipendentemente e senza alcun ausilio di questo genere di supporti.

La versione sterminazionista invece tende ad essere accertata (si fa per dire) essenzialmente attraverso i racconti, le confessioni e le testimonianze oculari che per la storiografia però non costituiscono un elemento determinante!

Del resto palesemente finalizzate a mitigare le loro condizioni, appariranno quelle"confessioni" di tedeschi tradotti in giudizio tramite processi tenuti in un clima di caccia alle streghe e per giunta, limitati nel diritto dalle imposizioni processuali dei vincitori.

In questi processi, tra l'altro, spesso non veniva neppure messa giuridicamente in questione l'esistenza o meno dello sterminio e delle camere a gas (dati per "comunemente ritenuti acquisiti"), ma unicamente le eventuali responsabilità degli accusati e quindi l'unica possibilità di salvezza per costoro era, non il negare lo sterminio, ma scaricare le proprie responsabilità. Ben nota era la ricorrente domanda della pubblica accusa che chiedeva agli imputati se avessero ordinato o partecipato alle famose selezioni di deportati (presupponendo l'equivalenza che selezioni = gassazioni); ovviamente la risposta degli imputati, che nulla sapevano di camere a gas, era "Si", aggiungendo ambiguamente che loro non sapevano cosa potesse eventualmente poi essere accaduto. Era questa la sola ed unica linea di difesa praticabile per gli imputati e la sola che permise di mitigare le pene e, nel contempo, consentì all'accusa di avallare indirettamente e tacitamente in qualche modo l'olocausto.

Tanto è vero che molte testimonianze spontanee di ex nazisti non è indifferente che siano state, anni dopo, smentite da evidenze successive o dalle stesse autorità sterminazioniste come, per esempio, tutte le confessioni tedesche sull'uso di camere a gas nei territori occidentali del Reich, quando poi la stessa storiografia sterminazionista dovette ammettere ed ufficializzare che in quei campi di concentramento non ci furono camere a gas!

Settima ed ultima cosa, si dovrà prendere atto della mancanza oggettiva dell'arma del delitto (le camere a gas ed i forni crematori atti ad incenerire milioni di cadaveri) e della stessa vittima (i sei milioni di ebrei).

Come abbiamo visto, il professore A. R. Butz, liquida tutta questa faccenda proprio partendo da un altro aspetto prioritario e generale del problema:

« La più semplice delle buone ragioni di essere scettici riguardo all'accusa di uno sterminio è anche la ragione più semplice da concepire: alla fine della guerra erano sempre là». Probabilmente qui Butz si riferisce ai presunti sei milioni di ebrei sterminati, un numero imponente, perché è noto che, a guerra finita, molti deportati non fecero più ritorno essendo deceduti a causa di malattie, stenti, maltrattamenti, rappresaglie, uccisioni di ogni tipo e così via. Ma è anche vero che molti dei non ritornati erano semplicemente emigrati da altre parti. L'autore, inoltre, porta anche un esempio:

«Nel 1944 la Polonia era diventata un campo di battaglia. In conseguenza di ciò, il 14 marzo di quell'anno, mentre le forze sovietiche si avvicinavano a Lvov, il WJC (World Jewish Congress, n.d.r.) ricordò agli inglesi che nel settore di Lvov rimaneva "ancora un numero considerevole di ebrei" e che occorreva dare "un nuovo energico avvertimento ai tedeschi" e, inoltre, accelerare le operazioni di salvataggio degli ebrei del territorio occupato dai nazisti (evidentemente in direzione della Palestina, come testimoniano chiaramente le dichiarazioni fatte dal WJC durante la guerra). Dunque, stando al WJC stesso, gli ebrei messi a morte erano sempre lì».

Comunque sia il professor A. R. Butz esprime anche un altra considerazione di carattere più generale:

«Eventi di questa portata non possono aver luogo senza lasciarsi alle spalle una minima prova della loro esistenza, così come non è credibile che un grosso incendio possa divorare una foresta senza alzare un filo di fumo. Allo stesso modo si dovrebbe credere che New York sia stata rasa al suolo se solo si trovasse qualcuno disposto a confessare il gesto...».

Con queste premesse, come abbiamo visto, il professor A. R. Butz, pur considerando importante la contestazione di ogni singolo aspetto del meccanismo e delle dinamiche del genocidio, non considera questo metodo prioritario, essendo per lui già determinati ed esaustivi i precedenti rilievi. Ma in ogni caso gli storici non potranno non valutare alcuni dati di fatto di ordine tecnico e fisico studiati da chi (i "revisionisti") ha pur analizzato tecnicamente e scientificamente il problema per arrivare a determinate conclusioni cosiddette "negazioniste". Quindi, delle due l'una: o attraverso altri studi e delle "contro perizie", questi ipotetici storici dimostreranno errate le risultanze dei "revisionisti", oppure non si potrà che arrivare a quelle stesse conclusioni che, più o meno sono le seguenti:

- il famigerato Zyklon B (l'insetticida quale acido cianidrico utilizzato per le disinfestazioni ed asserito invece come utilizzato per le gassazioni) non poteva essere trattato nei vari e cervellotici modi descritti da testimonianze e letteratura, dove oltretutto gli stessi edifici o strutture definiti camere a gas, privi com'erano di ogni congegno e spazio funzionalmente adeguato, sarebbero stati tecnicamente impossibilitati ad eseguire l'uccisione di così tante persone e la loro successiva e celere evacuazione per ripetere il procedimento.

Ma anche ammesso, per assurdo, che con tali mezzi rudimentali, mancanti di ogni sistema di sicurezza, i tedeschi (che erano ingegnosi, scrupolosi e meticolosi fino all'eccesso) ci si fossero provati, avrebbero determinato un disastro inaudito con conseguenze letali per il circondario e per loro stessi;

- i forni crematori avrebbero dovuto magicamente funzionare, quasi 24 ore su 24, con una potenza di cremazione impossibile, con una disponibilità di combustibile, di pezzi di ricambio e di manutenzione infinita (di cui ovviamente non si ha alcuna documentazione), insomma un loro utilizzo del genere, oltre che oneroso, sarebbe stato tecnicamente impossibile. Non parliamo poi dei fantomatici pozzi o fosse atti a bruciare ed incenerire centinaia di migliaia di cadaveri che, almeno per come sono stati descritti, sono tecnicamente e fisicamente assurdi.

Insomma manca letteralmente la prova dell'uso e dell'esistenza dell'arma del delitto (camere a gas e forni crematori).

- che manca infine il reperimento della vittima, nel senso che mancano i sei milioni, dicasi sei milioni, di resti sia pure inceneriti! Enorme cifra questa che non solo non si riesce a contabilizzare, tenendo conto degli ebrei attestati al 1939 – '40 e quelli risultanti al 1945, dei sopravvissuti, delle proiezioni demografiche e soprattutto degli spostamenti e migrazioni di costoro (Russia, Americhe, Israele, ecc., anche se a causa di migrazioni non registrate, spostamenti post bellici di confini, ecc., risulta quasi impossibile fare calcoli precisi), ma di cui addirittura non ci sono neppure i resti, o più esattamente l'enorme quantità di ossa carbonizzate che risultano incredibilmente svanite nel nulla.

In merito a quest'ultimo rilievo, fatto dai "revisionisti" storici, vogliamo comunque aggiungere una nostra considerazione: è inaudito ed un assurdo che sia preclusa alla ricerca storica ache la possibilità di contestare il numero delle vittime dell'olocausto, adducendo la motivazione che riducendo il numero degli asseriti sei milioni si farebbe, oltre che un falso, un oltraggio alla memoria delle vittime. Se ben ricordiamo, negli anni '80, il prof. Francisek Piper, sostenne che la cifra di 4 milioni di vittime riportata dalla targa commemorativa del campo di concentramento non era veritiera, perchè i morti erano stati circa un milione e mezzo. Questa nuova contabilità venne accettata da Schomuel Krakowski, storico israeliano e direttore dell' Istituto di ricerche di Gerusalemme sulla shoah, tanto che l'iscrizione dovette essere cambiata.
Per quanto riguarda una eventuale accusa di falso, quindi, basterebbe semplicemente contestare, con dati di fatto e controdeduzioni, che eventuali riduzioni numeriche apportate dai "revisionisti", sono errare e quindi si squalificherebbero da sole. Per l'offesa alla memoria delle vittime, invece, almeno per il revisionismo storico, quello cioè esclusivamente impegnato nella ricerca storica, valgono le seguenti considerazioni:
Fermo restando che un genocidio è un genocidio, a prescindere dal numero delle vittime (a meno che questo numero non sia così irrisorio da costituire tutto al più un "assassinio localizzato", nel qual caso purtroppo poco interesserebbe agli storici) nessun ricercatore serio, ritengo, ha intenzione di offendere la tragedia vissuta dal popolo ebraico, così come tante altre tragedie vissute nel corso della storia dell'umanità da altra popolazioni, tra cui, tanto per essere chiari e non guardare in faccia nessuno, la tragedia vissuta ancor oggi (perdura da oltre 60 anni) dal popolo palestinese proprio per mano di uno stato ebraico (Israele).

Ogni storico, revisionista o meno che sia, che abbia una certa coscienza, sa benissimo che già il solo fatto di aver requisito e rinchiuso in vagoni piombati intere famiglie di ebrei europei per trasferirli in piena guerra nei campi di concentramento significava, di fatto, condannare a morte molti sventurati, in particolare i più deboli, gli anziani e i malati. Su questo non ci sono dubbi, quindi l'orrore della tragedia subita dal popolo ebraico resta a prescindere dal numero delle vittime. Per gli "sterminazionisti", che avanzano i loro calcoli, questo numero ammonterebbe a sei milioni, per i "revisionisti invece, che oppongono i loro calcoli, ammonterebbe tra i 300 ed i 500 mila escludendo oltretutto il fatto che questi decessi siano avvenuti per mezzo delle camere a gas.

E' un contenzioso ed un confronto che la ricerca storica, con il reperimento di ulteriori documentazioni e dati di fatto potrebbe benissimo affrontare e dirimere, senza bisogno di esorcizzarlo e renderlo illegale.

Per tornare alla considerazione storiografia dell'Olocausto e concludere, possiamo dire che la CONCOMITANZA E CONTEMPORANEITÀ di tutti i sette elementi sopra esposti, e non di uno solo di essi -nel qual caso si potrebbe parlare di un arbitrario sillogismo-, non potrà essere non rilevata da eventuali storici di un ipotetico futuro.

Maurizio Barozzi