Progetto demiurgo (dedicato all'amico, filosofo ed anarchico "sui generis", ideatore del "tirannantropo")
Libero Tronocozzo (27/11/2014)
Sprofondato in una comoda
poltrona della sala convegni del Centro Sperimentale Sartorius si prese
il volto affilato tra le mani e con gli indici cominciò a massaggiarsi
lentamente le tempie, nella speranza di attenuare l’emicrania che lo
affliggeva sin dal mattino.
Sbirciò l’ora sullo
schermo di un computer: era ormai imminente la visita del Presidente e
di altre personalità, per le quali aveva preparato una corposa relazione
sui risultati del progetto che lo aveva impegnato negli ultimi tre anni
e che tra pochi giorni sarebbe divenuto, almeno nelle sue linee
essenziali, di dominio pubblico, essendo prevista una conferenza stampa
in mondovisione; le domande che i giornalisti gli avrebbero rivolto,
come le sue risposte, sarebbero state accuratamente preparate da un
gruppo di esperti in comunicazione di massa, allo scopo di evidenziare
l’ineluttabilità dell’evento e tacitare le rare ma prevedibili
contestazioni provenienti dalle consuete frange di oppositori.
Gettò un’occhiata
attraverso le gigantesche vetrate affacciate sulla metropoli pullulante
di vita, dove migliaia di puntini luminosi allineati lungo una ragnatela
di linee che s’intersecavano, muovendosi con esasperante lentezza,
denunciavano il solito caotico traffico di quella plumbea serata
autunnale. Tutta quella gente laggiù, indaffarata nelle proprie
occupazioni quotidiane, ignorava la tremenda
tensione dalla quale era oppresso da troppo tempo; avvertì quasi
fisicamente, sulle proprie spalle, il peso di una responsabilità che
avrebbe volentieri diviso con tutti quegli sconosciuti.
L’insolito tramestio
nel corridoio lo distolse dai suoi pensieri, preannunciandogli l’arrivo
del Presidente; qualche secondo dopo entrarono infatti, preceduti dalla
sua segretaria, numerosi agenti che cominciarono a
perlustrare velocemente ma minuziosamente l’intera sala e tutti
gli ambienti ad essa attigui; quand’ebbero finito si misero di guardia a
tutti gli accessi presenti e comunicarono via radio agli uomini della
scorta che il Presidente poteva entrare.
Sartorius si alzò e
gli andò incontro; il Presidente lo salutò, come al solito, ostentando
un sorriso suggeritogli probabilmente dallo staff che curava la sua
immagine pubblica e che era ormai perennemente impiantato sulle sue
labbra, divenendo un tratto ineliminabile del suo consueto aspetto;
Sartorius notò anche che appariva stanco ed invecchiato, con profonde
occhiaie scolpite nel volto grigiastro: i postumi, probabilmente, della
recente strenua battaglia mediatica tesa a dissipare pesanti indizi di
coinvolgimento in uno scandalo finanziario, che aveva fatto strage di
numerosi elementi appartenenti alla ristretta cerchia dei suoi più
fedeli collaboratori.
“Caro Professor Sartorius”
gli disse il Presidente ponendogli amichevolmente le mani sulle spalle e
fissandolo intensamente negli occhi “mi dica che tutto procede secondo i
piani e che lei è in grado di garantirmi il pieno successo dell’impresa.
Lei sa perfettamente quanta gente aspetta solo un nostro passo falso per
imbastire ignobili campagne denigratorie: non possiamo assolutamente
permetterci errori”.
“Signor Presidente,
lei mi chiede l’impossibile” disse lo scienziato con tono dimesso.
“Posso solo assicurare che il modello matematico, le proiezioni
statistiche ed i dati sperimentali ci fanno sensatamente ritenere che le
probabilità d’insuccesso siano molto prossime allo zero; prossime allo
zero, ma non assenti” aggiunse, stringendosi nelle magre spalle. “Esiste
sempre un margine d’indeterminatezza causato da fattori imponderabili,
quegli stessi che la gente comune chiama caso, fatalità, destino… Ma
ripeto” concluse con un sospiro,
arricciandosi la punta del baffo sinistro “si tratta di
eventualità così remote da poter essere considerate del tutto
trascurabili”.
“Molto bene;
ottimamente; lei mi tranquillizza” disse il Presidente allargando
esageratamente il suo falso sorriso fino a scoprire i denti ingialliti;
poi, dopo aver fatto cenno d’avvicinarsi a tre individui che stavano
confabulando in disparte, continuò: “Lei certamente non ignora
l’identità di questi signori; so che ha preparato per noi un rapporto
esaustivo su ogni aspetto del progetto, ma vorremmo che ci usasse la
cortesia di illustrarlo brevemente a voce e rispondesse a tutte le
domande che riterranno opportuno rivolgerle: preferiamo tutti la sua
brillante eloquenza ai freddi dati di un’arida relazione tecnica”.
Sartorius con un
sorriso strinse la mano minuscola ma energica del Comandante delle Forze
Armate, quella singolarmente gelida del Capo dei Servizi di Sicurezza e
quelle grassa e sudaticcia del Governatore del Fondo Monetario; quindi
invitò tutti ad accomodarsi nella prima fila di poltrone disposte
davanti ad un immenso schermo e fece cenno ad un suo
collaboratore di collocarsi ad una vicina stazione videografica per la
simultanea trasmissione delle immagini.
“E’da molto tempo,
circa sette anni, mi sembra” esordì Sartorius mettendosi, com’era sua
abitudine quando parlava, a passeggiare velocemente avanti ed indietro
davanti ai suoi ascoltatori, che lo seguivano volgendo ritmicamente il
capo, come gli spettatori di una partita di tennis vista al rallentatore
“che le nostre proiezioni hanno evidenziato un dato inequivocabile: la
vita sulla Terra è destinata all’estinzione; quando questo avverrà non
siamo in grado di stabilirlo con precisione, ma le previsioni più
ottimistiche parlano al massimo di circa un centinaio di anni. Le cause
di tutto questo sono arcinote: inquinamento di acqua, terra ed aria;
aumento esponenziale della popolazione; esaurimento delle risorse
energetiche; scarsità di alimenti commestibili; variazioni climatiche
indotte da fenomeni antropici ormai irreversibili, con scioglimento
delle calotte polari, innalzamento del livello delle acque -che
comporterà una conseguente
diminuzione delle aree disponibili- ed avanzata desertificazione delle
zone tropicali…” Sartorius si fermò e si volse a guardare le immagini
che iniziavano a scorrere sullo schermo a supporto delle sue
argomentazioni: si vide un raro esemplare di orso polare alla deriva su
una ridottissima lastra di ghiaccio, poi una massa enorme di pesci
putrefatti affiorante dal letto fangoso di un fiume in secca, quindi
carcasse di animali predatori morti per l’irreversibile trasformazione
del proprio habitat; l’immagine successiva presentò un grosso cetaceo
agonizzante, imprigionato in un mare di plastica; fu poi la volta di
sterminate campagne, un tempo coltivate, ridotte ora a deserti aridi ed
improduttivi; un contadino asiatico mostrò vari ortaggi dalle forme
insolite, guasti a causa del terreno contaminato, che si sfaldavano alla
minima pressione delle sue dita e che, a giudicare dall’espressione
disgustata dell’uomo, dovevano emanare un odore nauseabondo; una
diapositiva composta di grafici e tabelle informò i presenti
sull’aumento abnorme di patologie dermatologiche e respiratorie, che
nelle forme più acute causavano il decesso di circa un terzo della
popolazione colpita; si videro ospedali traboccanti di gente moribonda
priva di cure, torme di individui emaciati allineati in interminabili
file per ottenere una porzione di cibo presso i centri governativi di
assistenza, violenti disordini di massa a stento repressi da brutali
cariche poliziesche, moltitudini di straccioni che bivaccavano in aree
urbane degradate, che un tempo erano state sedi di attività operose.
“Questo, signori, è
lo stato di cose attuale, all’incirca simile in tutte le zone più povere
ed inquinate del pianeta, che immagino voi tutti ben conosciate; qui da
noi, grazie alle nostre cospicue scorte, lo scenario non è apocalittico
come nel resto del mondo, ma tra uno o due decenni al massimo saremo
ridotti esattamente allo stesso modo. Il problema è che siamo giunti ad
un punto di non ritorno; se anche fossimo in grado –ma non lo siamo– di
eliminare tutte le cause che hanno condotto a questo, l’attuale
situazione è compromessa a tal punto che tutti i maggiori esperti che
hanno esaminato il problema dubitano fortemente della possibilità di
ristabilire sulla Terra un ecosistema in grado di garantire la
sopravvivenza della razza umana” concluse Sartorius fermandosi ed
osservando malinconicamente la punta delle proprie scarpe.
“E stata presa in
considerazione l’opzione di ridurre – in base ad una selezione
meritocratica - il numero delle bocche da sfamare, in modo che le
residue risorse siano sufficienti per quelli che rimangono?” chiese il
Governatore del Fondo Monetario carezzandosi il cranio pelato, con
l’aria di chi fa una proposta intelligente alla quale nessuno aveva fino
a quel momento pensato; poi, accortosi di una severa ed attonita
occhiata del Comandante delle Forze Armate, si affrettò ad aggiungere
con un risolino forzato: “Naturalmente non stavo pensando ai nostri
connazionali…”
“Certo che ci abbiamo
pensato” rispose con tono cupo il Presidente. “E’ stata questa, anzi, la
prima possibilità che abbiamo valutato; ma anche se attaccassimo per
primi e di sorpresa i nostri nemici sono tanti, troppi, e sappiamo per
certo che dispongono di sistemi di rappresaglia che entrerebbero
automaticamente in funzione… Sarebbe un’ecatombe: non otterremmo altro
risultato che quello di affrettare la scomparsa dell’umanità. I pochi
sopravvissuti non sarebbero in grado, privi di tecnologia, di resistere
a lungo alle avverse condizioni ambientali, tra l’altro aggravate da uno
scenario postatomico” aggiunse senza dissimulare un moto di stizza. “E’
a questo punto” continuò “che, alla ricerca di soluzioni, siamo
approdati al Progetto Demiurgo”.
“Progetto Demurgo?”
chiese il Comandante delle Forze Armate. “Che significa?”
“Demiurgo, non
Demurgo. E’ una parola dell’antica lingua greca, che vuol dire:
artigiano” spiegò pazientemente Sartorius. “Platone usò questo termine
per indicare un’artefice divino che progetta il mondo, partendo dalle
idee come modello ed usando la materia come strumento. Esattamente
quello che abbiamo pensato di fare noi: le nostre idee sono il nostro
patrimonio culturale e tecnologico, la nostra materia un nuovo mondo da
ricostruire. La tesi di fondo del progetto è che dobbiamo abbandonare il
nostro pianeta prima che sopravvenga la fine. Ma per andare dove?” si
chiese guardando in un punto indefinito sul fondo della sala, la qual
cosa indusse il Comandante delle Forze Armate a voltarsi per scrutare
nella stessa direzione. Poi si rispose, tornando a fissare uno ad uno i
suoi interlocutori: “In un altro pianeta abitabile, che abbia le
medesime caratteristiche della nostra Terra. Ma dove trovare un posto
simile? Ce ne sono diversi, anche in altre galassie; alcuni sono
relativamente vicini, altri un po’ più lontani. Sarà Proarche, al quale
è affidato il potere decisionale nel progetto Demiurgo, ad indicarci
quello più adatto”.
“Credevo fosse lei il
responsabile di tutta l’operazione” disse il Comandante delle Forze
Armate, lanciando un’occhiata al Presidente e rallegrandosi intimamente
per aver fatto un’osservazione che riteneva acuta e pertinente.
“Lo sono, infatti”
disse con un sospiro Sartorius, con un tono di voce così privo di
entusiasmo da lasciar
intendere che avrebbe volentieri fatto a meno di quell’onere. “Proarche
è semplicemente l’intelligenza artificiale progettata per il
coordinamento, il controllo e l’esecuzione di tutte le fasi previste”.
Poi, avendo notato che un sopracciglio del Comandante delle Forze Armate
s’inarcava con aria interrogativa, spiegò: “Proarche –che significa
“prima dell’inizio”– è, nella dottrina di alcuni teorici gnostici, un
eone, ovvero un’emanazione della divinità, preposta alla creazione del
mondo; noi abbiamo creato il più potente calcolatore mai costruito
dall’uomo e lo abbiamo chiamato Proarche: lo strumento che ci guiderà
per il pieno successo del nostro progetto”.
“Bene, Professor
Sartorius” disse il Presidente mutando con un gemito l’ordine di
accavallamento delle sue corte gambe. “Ora vorrei che lei descrivesse ai
nostri amici, per sommi capi, tutte le fasi previste dal progetto; e
fornisse loro le più ampie delucidazioni sui temi che riterranno
opportuno approfondire”.
“Quando, all’incirca
tre anni fa, abbiamo dato il via al progetto, avevamo già ben chiaro
cosa avremmo dovuto realizzare: una gigantesca astronave col compito di
ispezionare a fondo la nostra galassia e quelle limitrofe, alla ricerca
di un pianeta abitabile”. Mentre Sartorius parlava, sullo schermo alle
sue spalle comparivano le immagini a commento delle sue parole; gli
spettatori assistettero all’assemblaggio di numerosi pezzi, di
dimensioni e forme disparate, le cui funzioni erano illustrate da
sintetiche didascalie, che s’interconnettevano generando una moltitudine
di moduli a forma di triangolo isoscele, con la base piccolissima
rispetto all’altezza; tali moduli, rototraslati nelle tre coordinate
spaziali, trovarono un assetto definitivo unendosi per i vertici opposti
alla base, come le fette di una torta, a formare un poligono regolare
con così tanti lati da poter essere assimilato ad una circonferenza, al
centro della quale spuntò una cupola, che fece somigliare l’astronave ad
un cappello dalla tesa molto larga; la grafica mostrò quindi la nascita
di tanti volumi
semicilindrici - uno per ognuno dei moduli triangolari - disposti lungo
il bordo ed allineati secondo i raggi dell’astronave, la quale, senza
alcun preavviso, iniziò a navigare nello spazio. “Ma lo scopo di questa
prima spedizione, completamente automatizzata e priva di equipaggio
umano, non sarà solo quello di individuare il pianeta più vicino simile
alla terra, ma anche quello di bonificarne l’ambiente, eliminando
qualsiasi forma di vita evoluta ed intelligente che potrebbe rivelarsi
ostile ad una nostra futura colonizzazione. Siamo stati purtroppo
costretti a ragionare con fredda logica scientifica, mettendo da parte
qualsiasi sciocca idea di fratellanza universale; per questo l’astronave
è di dimensioni notevoli: sarà al contempo anche una portaerei –tutti
droni, ovviamente, comandati da Proarche– che entreranno in funzione
solo se necessario”. Lo scienziato fece una pausa e si voltò a guardare
lo schermo: l’astronave si era fermata e nella parte anteriore dei
volumi semicilindrici si era aperto un portellone; da ogni portellone
sciamarono fuori nugoli di oggetti volanti che si diressero verso un
pianeta che nel frattempo aveva fatto la sua
comparsa, nell’angolo in basso a sinistra dello schermo; gli
oggetti volanti iniziarono un intenso bombardamento del pianeta,
sintetizzato nella grafica dalla comparsa di innumerevoli nuvolette
bianche sulla sua superficie, quindi fecero ritorno all’astronave.
Notando che il
Governatore del Fondo Monetario aveva teso verso di lui la mano destra
con l’indice alzato per chiedere qualcosa, lo scienziato lo esortò a
porre senza indugio la sua domanda.
“Ma quante sono le
possibilità che esista un pianeta simile alla nostra Terra e che vi
siano forme di vita intelligente?”
“Questo non possiamo
dirlo con certezza, ma dobbiamo basarci solo su ipotesi probabilistiche.
Tutto il mondo scientifico concorda comunque su un punto: il carbonio è
il materiale di base per la costituzione della vita – almeno come la
intendiamo noi – unitamente all’acqua, all’ossigeno ed all’azoto.
Inoltre sono altrettanto importanti la composizione della stella intorno
alla quale orbita il pianeta, la distanza tra stella e pianeta, le
dimensioni del pianeta in rapporto a quelle della stella, la presenza di
un’idrosfera ed altre caratteristiche con le quali non intendo tediarvi.
Abbiamo la certezza matematica che sia nella nostra galassia che in
quelle vicine vi siano numerosi pianeti adatti alla vita dei terrestri.
Proarche è in grado di analizzare tutti questi fattori e decidere in
tempo reale se l’ambiente presenta le giuste caratteristiche.
Naturalmente non è detto che su un pianeta che presenta condizioni per
lo sviluppo di vita intelligente questa sia necessariamente presente
quando noi vi giungeremo, trattandosi di un fenomeno che richiede tempi
enormi e condizioni particolari”. Sartorius fece una pausa ed il Capo
dei Servizi di Sicurezza ne approfittò per domandare: “Ma quanto durerà
l’esplorazione?”
Lo scienziato sorrise
soddisfatto. “Fino a quattro anni fa avrei risposto che la durata del
viaggio non sarebbe stata inferiore a diverse migliaia di anni, e
pertanto del tutto inadatta ai nostri scopi, anche usando un motore a
propulsione atomica, in grado di sfruttare la spinta fornita
dall’esplosione di bombe a fissione e consentendo una velocità di
crociera uguale a circa un decimo di quella dalla luce. Ma a seguito
della scoperta dei tunnel di antimateria, che sono residui del “Big
Bang” risalente a venti miliardi di anni fa, è oggi possibile
–allargando il tessuto spazio-temporale dietro all’astronave e
restringendo quello davanti– la formazione di una bolla di spazio fermo
in cui è contenuta l’astronave, che riesce a viaggiare senza danni a
velocità di gran lunga superiori a quella della luce; dai nostri calcoli
risulta che dovremmo trovare quello che cerchiamo entro sedici mesi al
massimo; sedici mesi di tempo terrestre, ovviamente, dato che i viaggi
nei tunnel spazio-temporali non sottostanno alle leggi della
relatività”.
“Interessante,
davvero interessante, Professore” convenne il Capo dei Servizi di
Sicurezza fingendo d’aver compreso perfettamente il ragionamento. “Ma ci
dica qualcosa di Proarche”.
“Proarche è
l’elaboratore elettronico più perfetto costruito dall’uomo, basato su un
sistema operativo originale che sfrutta sinapsi su ponti protoplasmatici
per la trasmissione dei dati ed è in grado di elaborare informazioni ad
una velocità superiore di circa un centinaio di volte rispetto ai più
moderni calcolatori; conosce tutto lo scibile umano ed è in grado di
apprendere, aggiungendole al suo database, tutte le informazioni che
rileva attraverso appositi sensori. Ma la cosa più sensazionale consiste
nella sua capacità di prendere delle decisioni rispetto ad un fenomeno
nuovo, esattamente come faremmo noi; con la differenza che Proarche
decide sempre nel modo giusto, senza possibilità di errore”.
“Quindi sarà lui a
decidere del futuro dell’umanità? La sua opinione avrà più valore della
nostra?” chiese l’altro con una nota lievemente polemica nella voce.
“Certo, sarà Proarche
a decidere” disse lo scienziato. “Ma le sue decisioni saranno sempre
conformi alle istruzioni da noi fornite ed agirà solo entro il rispetto
di ferree regole da noi stabilite e secondo le priorità da noi indicate;
le quali, nell’ordine, sono: individuare un pianeta abitabile per
l’uomo; analizzare tutti i fattori che nell’immediato od in futuro
possano compromettere la vita sul pianeta od alterarne l’ecosistema;
valutare la possibilità di eliminare –se presenti– tali fattori e, in
caso affermativo, procedere con la bonifica; scansionare tutta la
superficie del pianeta ed elaborare una completa e dettagliata
cartografia, fare filmati, raccogliere campioni, memorizzare il percorso
più breve e fare ritorno alla base.
“In cosa consiste
l’armamento dei droni e che autonomia possiedono?” chiese il Comandante
delle Forze Armate.
“Ogni drone, oltre ad
essere fornito di una batteria di mitragliatrici di tipo tradizionale,
ha in dotazione missili multistadio, sonde neutralizzanti, bombe di
prossimità contenenti gas altamente infiammabile ed esplosivo,
disgregatori di materia a lungo raggio ed altri micidiali apparati da
usare per la bonifica dei nuovi territori. Io non sono esperto nella
materia e vi consiglio di consultare in proposito i dettagli tecnici
allegati alla relazione. Proarche è comunque in grado di garantire,
grazie all’elevato numero di droni –quasi un migliaio-, alla mira
infallibile ed alla brillante capacità strategica, l’ottimizzazione
nell’impiego delle armi: un insediamento urbano di medie dimensioni può
essere bonificato in una manciata di minuti; considerando che le
batterie che forniscono energia ad ogni drone hanno una durata
sicuramente di gran lunga superiore ai tempi della missione stessa e che
a bordo saranno presenti un numero adeguato di ricambi, potrà capire da
solo di quale potenza d’attacco siamo forniti”.
Il Comandante delle
Forze Armate non riuscì a trattenere un sommesso e prolungato fischio
d’ammirazione.
“Una cosa non mi è
chiara” disse il Governatore del Fondo Monetario. “Come mai si è deciso
di non avviare il progetto con una fase puramente esplorativa, che
avrebbe sicuramente richiesto un impegno finanziario più sostenibile,
optando invece per l’invio di un apparato bellico che forse potrebbe
rivelarsi, se ho ben capito, eccedente – se non addirittura superfluo –
rispetto alle reali necessità?”
“Questa” disse il
Presidente “è una domanda legittima, alla quale sento di dover
rispondere io, dal momento che esula dalle competenze del nostro buon
Sartorius. Per motivi che lei non avrà difficoltà a comprendere i
maggiori fornitori di tecnologia militare erano molto interessati a che
risultasse vincente l’opzione che abbiamo scelto; e lei sa quanta parte
dell’opinione pubblica costoro sono in grado di influenzare. Aggiunga
che fra due anni e mezzo circa scade il mio mandato; se avessimo scisso
il programma in due fasi consecutive, la missione esplorativa e
l’eventuale successiva missione militare, senza ottenere risultati
immediatamente dimostrabili, la mia prossima candidatura sarebbe stata a
rischio, avendo fornito un’opportunità di critica ai miei avversari.
Consideri inoltre –ma questo Sartorius non l’ha ancora detto– che altro
compito di Proarche è quello di controllare la sicurezza lungo la rotta
di ritorno, per garantire che il prossimo esodo dell’umanità verso il
pianeta prescelto avvenga in perfetta tranquillità, al riparo da
pericoli e spiacevoli sorprese”.
“Quando pensate che
possa cominciare il trasferimento dei terrestri sul nuovo mondo?” chiese
il Capo dei Servizi di Sicurezza.
“Immediatamente dopo
il rientro dell’astronave” disse Sartorius. “Abbiamo già pronto un piano
molto dettagliato, che prevede l’impiego di una flottiglia di astronavi
mercantili, al quale però mancano alcuni dati fondamentali, come ad
esempio la distanza da percorrere e l’esatta conoscenza delle risorse
disponibili in loco, che influenzerà anche la scelta di eventuali
materiali da trasferire insieme al primo carico di terrestri; abbiamo
inoltre anche stabilito il numero percentuale di professionisti in varie
discipline che dovranno essere assegnati ad ogni carico, in modo che la
comunità nel nuovo mondo possa far fronte ad ogni tipo di necessità.
Un’analisi dettagliata in proposito si trova anch’essa, ovviamente,
nella relazione che vi sarà consegnata al termine dell’incontro;
troverete anche le previsioni sul numero di viaggi previsti
nell’immediato futuro, tenendo conto che tale dato sarà ovviamente
influenzato da variabili di tipo economico e politico”.
“Sicuramente i
maggiori Istituti finanziari saranno interessati alla prospettiva di
aprire dei mutui per coloro che volessero prenotare il viaggio e
potremmo già iniziare a pensare a gare d’appalto per l’assegnazione di
terre nel nuovo mondo. Questo significherebbe afflusso di cospicui
capitali ed una prima forma d’indebitamento per i coloni, resi in tal
modo più favorevolmente disposti verso le rappresentanze politiche che
instaureremo sul nuovo pianeta” disse il Governatore del Fondo Monetario
scambiando un eloquente sguardo d’intesa col Presidente.
“Certamente” rispose
il Presidente. “Senza contare” aggiunse “che dovremo tener conto anche
delle proposte e della collaborazione di altri Stati che vorranno
partecipare a vario titolo all’impresa; ma questa è materia da trattarsi
in altra sede. Ora, signori, credo giunto -se non avete altre domande-
il momento di brindare al successo del progetto Demiurgo”. Ciò detto
fece cenno ad uno degli uomini della scorta, il quale fece entrare un
cameriere che sospingeva un carrello con cinque calici ed una bottiglia
di champagne, immersa in un secchiello col ghiaccio, che provvide con
consumata professionalità a stappare ed a versare nei calici,
eclissandosi subito dopo con un rispettoso inchino. I cinque uomini
brindarono in un’atmosfera di euforico ottimismo.
“Noi siamo i pionieri
di una nuova era! Alla perfetta riuscita del nostro storico progetto!
Evviva!” disse con solennità il Presidente.
“Evviva!” gli fece
eco il Governatore del Fondo Monetario.
“Al nostro pieno
successo!” esclamò il Capo dei Servizi di Sicurezza.
“Al progetto Demurgo!”
aggiunse scattando sull'attenti il Comandante delle Forze Armate.
“Al progetto
Demiurgo!” lo corresse sommessamente Sartorius, sorseggiando il suo
champagne.
Poi andarono via
tutti, salutando e ringraziando la scienziato dopo aver ricevuto diverse
copie della sua relazione. La sala convegni del Centro Sperimentale
tornò ad essere silenziosa. Sartorius, col calice ancora tra le mani,
sprofondò nuovamente nella sua poltrona, dalla quale si mise ad
osservare, meditabondo, il cielo stellato.
Soltanto tre giorni
dopo quest’incontro il mondo apprese, attraverso la conferenza stampa in
mondovisione, quali fossero le speranze di salvezza per la razza
terrestre. Massicce campagne massmediatiche organizzate da apparati
filogovernativi ridussero al silenzio le sporadiche voci di dissenso,
evidenziando l’inevitabilità del progetto Demiurgo e tacendo
scaltramente sugli aspetti bellicisti della questione, che avrebbero
potuto essere sfruttati dalle opposizioni per guadagnarsi il consenso di
una parte considerevole della pubblica opinione. Una nota catena di fast
food lanciò il sandwich “Demiurgo”, dalla forma che imitava quella
dell’astronave, mentre una multinazionale di accessori sportivi
immetteva sul mercato una scarpa da ginnastica chiamata “Proarche”,
pubblicizzata dallo slogan “per
andare dove vuoi”.
Sartorius, che non
aveva mai amato essere al centro dell’attenzione, evitava per quanto
possibile la luce dei riflettori, incaricando i suoi più stretti
collaboratori di rappresentarlo in occasione di frequenti interviste e
richieste di partecipazione a programmi televisivi che gli giungevano
quotidianamente da ogni angolo del Paese, preferendo dedicarsi agli
ultimi preparativi in vista del giorno della partenza, ormai imminente.
Quel giorno giunse,
finalmente. Allineati sul bordo della terrazza dell’Osservatorio,
protetto da una cupola emisferica di cristallo, Sartorius e le maggiori
personalità governative ammiravano affascinati la gigantesca astronave,
adagiata nella piana sottostante; un esercito di uomini in tuta
arancione, sparsi sulla sua superficie, davano l’impressione di piccoli
insetti brulicanti su un meraviglioso fiore dai riflessi metallici, con
la corolla rossa al centro ed eleganti rigonfiamenti argentei –gli
hangar dei droni– alle estremità dei petali. Ad un comando di coloro che
dirigevano le operazioni gli omini arancioni si diressero velocemente
verso le numerose scale montate su automezzi che circondavano
l’astronave ed iniziarono a scendere; poco dopo gli automezzi si
allontanarono, come anche gli agenti di servizio e le numerose troupe
televisive accampate nell’area circostante. Quando la piana fu
completamente deserta venne dato il segnale per la partenza: l’astronave
vibrò emettendo un flebile e prolungato ronzio, poi si accesero decine
di riflettori disposti lungo il bordo esterno a la cupola centrale
s’illuminò di riflessi vermigli. Il Presidente volse un sorriso
compiaciuto a Sartorius, così immobile da sembrare pietrificato, e con
un grosso fazzoletto a scacchi s’asciugò le numerose gocce di sudore che
gl’imperlavano la fronte. L’astronave ondeggiò, poi si sollevò sulla sua
verticale e rimase sospesa sulle loro teste a qualche centinaio di metri
dal suolo; inaspettatamente direzionò un riflettore proprio verso di
loro, accecandoli, ed un raggio di luce frugò ogni angolo
dell’Osservatorio; poi schizzò via a velocità inaudita, sparendo oltre
l’orizzonte. Dopo qualche secondo ricomparve sulla loro destra,
procedette zigzagando nel cielo per tornare a scomparire alla loro
sinistra.
“Che succede,
Sartorius?” chiese il Presidente con voce allarmata mentre l’astronave
passava un’altra volta sulle loro teste, tagliando stavolta il cielo
secondo una nuova direzione.
“Non capisco” disse
lo scienziato che scrutava in alto con gli occhi sbarrati, seguendo
ansiosamente l’ennesimo passaggio dell’astronave. “Probabilmente sta
decidendo la rotta da seguire” aggiunse poi senza eccessiva convinzione.
Ma poiché gli incomprensibili passaggi dell’astronave non sembravano
dover terminare, anzi si protraevano con sempre maggior frequenza, il
Capo dei Servizi di Sicurezza, anche lui presente all’evento, si
avvicinò per domandare: “Qualcosa non va?” Allora il Presidente, con
tono spazientito, ripeté: “Che succede, Sartorius? Faccia qualcosa!” Lo
scienziato, cavata di tasca una radio, cercò di mettersi in contatto col
Centro Operativo, ma prima di ottenere risposta s’immobilizzò e lasciò
che la radio gli cadesse di mano, frantumandosi al suolo. Il Presidente,
che lo stava osservando, seguì il suo sguardo e vide anche lui:
l’astronave stazionava dinanzi a loro, immota nel cielo grigio, ed i
portelloni degli hangar si erano aperti, vomitando senza sosta decine di
droni con le armi puntate in assetto d’attacco. Un proiettile, sparato
da uno di questi, mandò in frantumi la cupola dell’Osservatorio, dando
il via ad un’ondata di panico seguita da urla, imprecazioni dei numerosi
feriti ed un fuggi-fuggi generale. Sartorius volse lo sguardo intorno
e si vide circondato di cadaveri; riconobbe poco lontano la
testa, che giaceva a diversi metri dal corpo, del Comandante delle Forze
Armate, con un’espressione delusa negli occhi sbarrati;
intanto i droni continuavano a bersagliare, con impietosa
efficienza, i rari superstiti; udì il Presidente che sdraiato davanti a
lui, con la schiena trafitta da un’enorme frammento di vetro e privo di
una mano, gli aveva afferrato con l’altra un orlo dei pantaloni e con
voce rantolosa gli urlava: “Che succede, Sartorius, che succede?”
Il volto dello
scienziato s’illuminò d’infinito orrore e con le mani infilate tra i
capelli scompigliati sussurrò: “Abbiamo dimenticato di dirgli che la
Terra doveva essere esclusa dalle sue indagini! Sta eseguendo alla
lettera le nostre istruzioni! Ha già individuato il pianeta adatto e sta
annientando la prima causa che, in base alle sue conoscenze, impedisce
la vita sulla Terra e la salvezza dell’ecosistema! Sta distruggendo
l’uomo! Sta distruggendo l’uo…”. Non terminò la frase perché un
proiettile, sparato da uno dei numerosi droni disseminati nel cielo, lo
colpì, con robotica precisione, esattamente in mezzo agli occhi. Libero Tronocozzo
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