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La scoperta della verità non ufficiale e le alternative alla bugie di regime

Questione palestinese e disinformazione

Roberto Cozzolino (12 settembre 2014)    

 

 

Nel corso dell'ultima terroristica azione di pulizia etnica condotta dall'entità sionista contro la popolazione palestinese, appoggiata da una vasta e miserabile campagna mediatica che ha visto in prima linea i mezzibusti ed i pennivendoli di regime, strenuamente impegnati a difendere le indifendibili ragioni dei colonizzatori razzisti con la stella di Davide, abbiamo avuto frequentemente l'opportunità di confrontare le nostre opinioni su tale argomento di attualità -come capita sovente in tali occasioni- con quelle di altre persone, le cui interpretazioni dei fatti variano, ovviamente con diverse sfumature, da una sostanziale condivisione delle nostre tesi -antisioniste e filopalestinesi- ad un totale rigetto delle stesse.

Premesso che noi non siamo fautori di verità assolute, ma semplicemente della necessità di coerenza entro uno schema generale condiviso da tutti ed in accordo coi postulati da tutti accettati al fine di una convivenza civile, ci resta oltremodo difficile comprendere come alcuni presupposti basilari del cosiddetto diritto internazionale possano -almeno teoricamente- essere recepiti come intangibili da quasi tutti ma sistematicamente ignorati quando entra in gioco l'imperialismo israeliano; si tratta, evidentemente, della martellante propaganda che dura da più di mezzo secolo, in virtù della quale sentiamo spesso contrabbandare come verità incontestabili demenziali amenità autoreferenziali basate sul nulla assoluto: come ad esempio che l'immigrazione ebraica in Palestina avrebbe ovviato al problema «di un popolo senza terra per una terra senza popolo»; che i coloni ebrei avrebbero trasformato «il deserto in un giardino»; che gli ebrei godrebbero del diritto di «tornare nella terra dei loro avi» perché loro «promessa da Dio»; che risulterebbe giusto che lo stato israeliano si fondi sul concetto razzista di "popolo eletto", in base al quale costituisce "conditio sine qua non" essere ebrei per ottenerne la cittadinanza; che gli ebrei dovrebbero in qualche modo essere risarciti per essere stati vittime di quella atroce sintesi della malvagità umana nota come "olocausto".

Non è nostra intenzione in questa sede dimostrare la totale inconsistenza di tutti i miti fondatori dello Stato sionista -peraltro già abbondantemente analizzati da diversi e qualificati autori di varia estrazione politica ed ideologica-, quanto piuttosto rilevare come tali miti, amplificati da tutti i mezzi di disinformazione di massa -cinema fumetti televisione narrativa saggistica- finiscano per costituire delle "verità" acriticamente accettate dai destinatari delle stesse, addivenendo alla condizione tipica del totalitarismo dell'informazione, per cui è vero non tanto ciò che risulta dimostrabile col supporto di prove documentarie, ma ciò che viene quotidianamente ed universalmente spacciato come tale. In tale contesto è difficile imbattersi in qualcuno che, esaminando alcuni fatti prima sconosciuti o visti attraverso la lente deformante dei media di regime, abbia l'onestà intellettuale di riesaminare la questione alla luce di informazioni non correttamente valutate fino a quel momento; essendoci però recentemente capitato esattamente questo, abbiamo ideato quest'intervista che può essere illuminante, dal momento che il nostro interlocutore può aiutarci -come nessuno- a scoprire i meccanismi che lo avevano mantenuto in uno stato di relativa ignoranza, nel senso squisitamente etimologico del termine, su tali argomenti; il nostro uomo è un facoltoso imprenditore di mezza età, laureato, dinamico, di viva intelligenza e con un grado di cultura superiore alla media; che, per ovvi motivi di riservatezza, preferisce mantenere l'anonimato. Qualcuno potrebbe maliziosamente supporre che per la stesura di queste note avremmo anche potuto inventare un simile personaggio e presentarlo come reale, adattando le sue risposte alla dimostrazione di tesi precostituite; ma non abbiamo certo bisogno di ricorrere a simili artifizi per continuare a scrivere quel che ci aggrada; essendo in realtà vero il contrario, ossia che l'idea dell'intervista nasce proprio dopo il nostro incontro, riteniamo invece che il risultato sia degno di nota proprio per la singolare unicità della circostanza. Presentiamo quindi di seguito le sue cortesi risposte alla nostre domande.

 

D - Prima di attingere a fonti di informazione alternativa cosa sapevi della questione palestinese?

R - Avevo informazioni frammentarie provenienti da un solo canale informativo, ovvero i TG nazionali! In sostanza mi ero fatto un'idea lontana dalla realtà: i palestinesi li percepivo erroneamente in chiave negativa; li consideravo un pericolo per la società civile! Avevo una rappresentazione parziale e mai chiara di quali fossero le reali motivazioni che spingessero tanti uomini e donne a combattere gli israeliani.

 

D - In che modo hai scoperto che le tue informazioni sulla questione palestinese erano parziali o distorte?

R - In realtà osservando la reazione spropositata degli israeliani al rapimento ed uccisione dei tre ragazzi, ho deciso di vederci chiaro. Ho consultato siti stranieri americani, russi arabi! Ho cercato di comprendere i diversi punti di vista! Ho letto articoli di giornalisti indipendenti, che operano sul campo e pubblicano sui loro siti! Ho visto gli orrori che uno stato "civile" è stato capace di allestire; ho compreso che non esiste una sola verità. Ho compreso che l'informazione è concepita per rappresentare un solo punto di vista. 

 

D - Prima di scoprire la presenza di fonti di informazione alternativa quali erano i tuoi canali per informarti?

R - Distrattamente seguivo i vari TG nazionali e proprio perché non attento mi sono lasciato facilmente condizionare.

 

D - Ritieni che tali canali offrano una versione "di parte" per ignoranza, scarsa capacità di analisi o servilismo verso il potere?

R - Non sono certo che si tratti di condizionamenti, di interessi o di servilismo: sono certo che forniscono informazioni alterate e ci sarà sicuramente una ragione che spinge a questo tipo di approccio. So solo che ora non li ascolto. 

 

D - Secondo te può definirsi deontologicamente corretto chi fa giornalismo in questo modo?

R - Il giornalista è un dipendente e potrebbe allinearsi al volere del proprio editore. Fornire informazioni distorte implica malafede. Laddove si rappresentino fatti in maniera non conforme alla realtà si andrebbe ben oltre agli aspetti deontologici: parlerei di malafede. 

 

D - Il sistema d'informazione presente in Italia è compatibile con una organizzazione sociale che ama definirsi "democratica" o siamo piuttosto in presenza di un "totalitarismo democratico"?

R - Democrazia? Raramente vedo casi di indipendenza; non parlerei di totalitarismo democratico, ma di tutela di interessi attraverso la manipolazione o alterazione dell'informazione.

 

D - La disinformazione fornita dai media nazionali è secondo te riconducibile al nostro sistema di alleanze internazionali ed anche -peggio- al nostro status di colonia nordamericana?

R - Non credo che sia legata alla nostra sudditanza verso gli USA. Chi fa informazione e manipola la verità lo fa perché tutela degli interessi. Non posso definire esattamente di che tipo di interessi si tratti, non ho gli elementi e non ho certezze. Le sensazioni in tal senso sono forti.

 

D - Ritieni possibile che ci siano altre questioni che vengono appositamente presentate dai media in forma faziosa ed incompleta per garantire il consenso della popolazione su scelte del governo altrimenti indifendibili?

R - È evidente.

 

D - Credi attendibile -come sostengono pochi e pressoché ignorati ricercatori- che anche in campo storiografico sia stata assecondata la tendenza diretta a fornire una versione dei fatti spesso falsa ma imposta dai vincitori del secondo conflitto mondiale?

R - Non sono in grado di dare una risposta. Ritengo che sia doveroso lasciare agli storici questo compito e non al vincitore di un conflitto. 

 

D - Quale potrebbero essere secondo te -posto che ve ne siano- i mezzi più efficaci per tentare di contrastare in Italia questa orwelliana situazione dell'informazione?

R - Internet non è manipolabile. Quando si cerca di bloccare o censurare si apre sempre una nuova strada per comunicare e diffondere. La rete non può essere controllata e quindi offre l'opportunità di documentarsi e di valutare fonti disparate.

 

Qualche breve considerazione finale. Dalle parole dell'intervistato emerge chiaramente -e noi siamo perfettamente d'accordo con lui- che l'informazione di regime non è assolutamente attendibile, in nessun campo; ne consegue la necessità, per chi voglia approfondire certe tematiche, di dedicarsi alla ricerca di fonti alternative, spesso straniere e spesso reperibili soltanto sul web. Ma al di là dell'innegabile diffusione di Internet presso le nuove generazioni -nella maggioranza dei casi adoperato comunque per finalità meno impegnative ed anzi antitetiche al personale accrescimento culturale ed alla ricerca di un'informazione indipendente- viene da chiedersi: quanta gente, nel mondo attuale, ha la capacità e la volontà di impegnarsi in tale attività? Forse un operaio, che cerca riposo al termine della faticosa giornata lavorativa? Forse un impiegato, che vuole rilassarsi dall'abituale alienazione? Forse una massaia, alle prese con i mille problemi quotidiani? O non cercano piuttosto tutti costoro la dolce narcosi dispensata con prodigalità dalle monolitiche emittenze pubbliche e private, generose distributrici di prodotti demenziali quali: reality show, film d'importazione, partite di pallone, soap operas o, nel migliore dei casi, sedicenti programmi di approfondimento politico, dove mediocri governanti fingono di litigare con la falsa opposizione, in perfetta aderenza all'attuale società dello spettacolo?

E non si contenteranno invece, tutti costoro, della lettura dei quotidiani e dell'ascolto dei telegiornali di regime, per informarsi -qualora ne abbiano lo stimolo- sulle questioni di politica nazionale ed internazionale?

Le domande sono retoriche e la risposta scontata: una percentuale minima degli utenti del web è in grado -od ha il tempo, la voglia e la costanza- di usare tale strumento per accrescere le proprie conoscenze in merito a quel che accade nel mondo; ed essendo oggi quello dell'informazione uno dei campi di battaglia in cui vengono programmate e pianificate le guerre vere -si vedano a questo proposito, tra i casi più eclatanti della storia recente, le "armi di distruzione di massa" irachene, l'attentato alle Torri Gemelle o, attualissima, la campagna di demonizzazione della Russia di Putin- risulta essenziale, per un movimento che voglia incidere sulla realtà, la possibilità di compiere efficace opera di controinformazione.

Sanno bene questo i detentori del potere, che impudicamente elargiscono a piene mani e sotto forme le più disparate finanziamenti ai loro sodali, condannando ad un regime di concorrenza insostenibile le sempre più rare voci controcorrente in campo editoriale. In virtù di quanto suesposto ed in disaccordo con le ottimistiche previsioni di alcuni esponenti del M5S, noi non crediamo che un'alternativa all'attuale sistema possa nascere da un movimento che trovi nel web il suo punto di aggregazione; siamo inoltre sicuri che tale ambiente -in modo particolare le piattaforme di discussione note come social network-, oltre che facilmente manipolabile e controllabile, fornisca ampie possibilità d'infiltrazione di provocatori, appositamente addestrati per inficiare la formazione di realtà antagoniste.

Resta pertanto prioritaria -ed al momento, purtroppo, assente- la necessità di fare controinformazione e la contemporanea individuazione dei mezzi idonei alla creazione di un incisivo movimento di massa in grado di contrastare efficacemente il sistema, cominciando soprattutto sul piano dell'informazione: prassi propedeutica ed ineliminabile per una concreta opposizione che non voglia essere illusoria e che pertanto trovi il suo naturale sviluppo nel sostegno della popolazione alle successive scelte e lotte politiche, che proprio dalla diffusione della corretta informazione deriva.

 

Roberto Cozzolino       

 

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