Italia - Repubblica - Socializzazione

 

La nostra posizione sul referendum è chiara...

 

Giorgio Vitali

Presidente Inrquadri-Jurisquadri

 

1) Una battaglia politica tutta da ricominciare nel nome della rivoluzione nazionale.

 

«Condannati ad immiserire tra le inezie», questa frase fu scritta da Giuseppe Mazzini in uno dei suoi due saggi giovanili, elaborati verso la fine degli anni trenta dell'ottocento. Potrebbe essere una profezia dei nostri giorni.

Finito subito il periodo giovanile di studi, per lui ci fu la rivoluzione nazionale ovvero il tentativo (fallito) di unificazione d'Italia attraverso la rivoluzione nazionale, costellata peraltro da pagine di grande altezza come la Repubblica Romana del 1849, la spedizione di Pisacane, le imprese dei garibaldini. Gli eventi seguenti all'unificazione però furono  segnati da guerre poco favorevoli al nostro paese anche e soprattutto dal punto di vista morale come il 1866, Dogali ed Adua, che ci procurarono il disprezzo internazionale, non tanto per la sconfitta in sè ma  per non aver subito intrapreso quello che tutti gli altri paesi d'Europa avrebbero fatto, una campagna africana di riscatto, e poi la seconda guerra mondiale, riscattate tuttavia le prime dai garibaldini e l'ultima dalla RSI. In questi avvenimenti  minoritari, nel senso che hanno riguardato una ristretta minoranza dei nostri concittadini, si è espresso nella forma più elevata il sentimento di appartenenza civile, che è un aspetto dell'eticità dell' esistenza, tipico del retaggio mazziniano, tanto contrastato da Marx e dai marxisti che della vita vedono soltanto l'aspetto economico e materiale. Senza questa base di etica civile non si spiegano infatti il volontarismo di guerra o la rivolta del senso dell' onore dopo l'otto settembre.

È opportuno peraltro sottolineare anche la sostanziale differenza fra il sacrificio di se dei kamikaze giapponesi, palestinesi o islamici e lo spirito volontario che ha caratterizzato le guerre fasciste. Se per gli islamici in generale la spinta è di carattere fondamentalmente religioso, se per i giapponesi l'obbedienza è un carattere innato e va ben oltre al codice dei samurai, il volontarismo italiano è espressione evidentissima di una concezione etica della vita sociale, che tramite Mazzini ed altri autori risorgimentali si ricollega al mito di Roma, che non è né di carattere religioso né espressione di spirito gregario. Anzi, ne è il contrario. Lo spirito gregario invece è tipico della maggioranza degli italioti, come espresso dalla realtà della vita politica che viviamo giornalmente e dal comportamento di massa  nel recente referendum.

Scriveva Bolton King, biografo di Mazzini ed autore di una pregevole storia d' Italia:

«Se l'unità ha dato agli italiani la fiera coscienza di essere cittadini di un grande Stato e di contare per qualche cosa nella politica del mondo... essa (l'Italia) ha ancora terribili nemici da combattere: la sua opprimente povertà (di allora!), la superficialità della sua vita politica, lo spirituale avvoltoio che le divora le viscere... essa manca di religiosità, manca del puritanesimo posseduto dal suo gran Ricasoli, manca del rigoroso sentimento del dovere da Mazzini sempre predicato... Essa dovrebbe avere maggiore cura dei suoi diseredati, dovrebbe avere maggiormente il coraggio che non si spaventa della libertà, ed un indirizzo politico più elevato»

È passato più di un secolo da queste parole, scritte peraltro da un grande amico dell'Italia (non era della razza dei Denis Mac Smith), ma le cose sono peggiorate e di molto.

A questi concetti espressi dal King ma comuni nell'opinione pubblica europea dell'epoca, corrisponde l'invettiva ed il grido di dolore che caratterizzano l'intera opera di Alfredo Oriani, non solo quella giornalistica e storica, ma anche letteraria, e non a caso Oriani fu a suo tempo definito un  precursore del fascismo. 

 

2) L' integrazione della malavita organizzata nel tessuto nazionale.

Difficilmente gli Italiani leggono quanto viene abitualmente  pubblicato sui grandi processi di regime.

Alle loro orecchie giungono voci molto flebili che vengono recepite ed interpretate attraverso filtri ideologici che ne nascondono l'intima natura sociale.

Ad esempio, molto si è parlato finora sul processo intentato ad Andreotti e relativo all'assassinio di Pecorelli avvenuto a Roma nel marzo del 1979 nell'ambito del "Caso Moro", sul quale recentemente è stata organizzata la presentazione di un libro "anti-dietrologico" di Satta dal titolo  "Odissea nel Caso Moro",  volume non a caso commentato favorevolmente da Pierluigi Battista su "Panorama", l'ammiraglia del Gruppo editoriale berlusconiano. Per la cronaca, il resoconto del convegno è stato fatto da  Maria Lina Veca su "Rinascita" di  Domenica 15 giugno.

Ma sicuramente pochi hanno letto la richiesta integrale di autorizzazione a procedere contro Andreotti, pubblicata  su "Il Messaggero" di venerdì 1 giugno 1993. La lettura di questo testo è estremamente educativa non tanto per i relativamente credibili addebiti mossi ad Andreotti in persona, quanto per le interconnessioni, l'intreccio inestricabile fra società civile (non nel senso che sia "civile"!), società politica, che da quella civile promana e malavita organizzata (Camorra, Mafia, Ndrangheta, Sacra Corona etc... di cui ho accennato in un articolo dedicato ad Enzo Tortora) che emergono ad ogni piè sospinto. Nella realtà della vita pubblica italiana gli esponenti della Malavita Organizzata si muovono come pesci nell' acqua, ed i relatori dell'autorizzazione a procedere trovano tutto ciò perfettamente naturale. Chi si trova spiazzato è soltanto unicamente ed inesorabilmente il singolo cittadino che non ha referenti cui appellarsi al di fuori delle normali vie giudiziarie  e burocratiche per tutelare i propri interessi.  

A chi fa presente che tutto ciò, oltre ad essere un retaggio dell'incompleta e parziale integrazione nazionale a causa dell'abortita rivoluzione nazionale, è anche e soprattutto dovuto alla politica statunitense di accreditamento della Mafia come governo ombra della Sicilia fin dal 1943 per garantire (anche tramite false espulsioni dagli USA di boss del calibro di un Lucky Luciano) il controllo della portaerei naturale sul Mediterraneo, si risponde abitualmente facendo spallucce. Anche se le recenti elezioni hanno confermato il ruolo determinante di questa Organizzazione nel garantire alcuni equilibri politici nazionali. Come peraltro durante la Prima Repubblica, quando il voto democristiano del Sud compensava quello del Nord, abitualmente di sinistra.

 

3) Ruolo politico della Magistratura.

In questo contesto, la Magistratura gioca un ruolo essenziale, e non tanto nei grandi equilibri politico-economico interni, che sono per lo più operazioni di facciata, quanto nell'assicurare il potere  dei padroni dell'economia nei confronti dei lavoratori. Detto meglio: garantiscono il potere del capitale contro il lavoro.  Da questo punto di vista  l'esperienza del sottoscritto, nella sua veste di sindacalista che tutela abitualmente i lavoratori nelle aule giudiziarie è essenziale. Infatti, quando si tratta di cause che mettono di fronte datore di lavoro e lavoratore per questioni di tipo personalistico, il risultato del processo è approssimativamente ragionevole. La situazione cambia radicalmente  quando un'eventuale vittoria del dipendente potrebbe comportare l'applicazione generalizzata di norme di tutela del lavoro o un aumento di garanzie per la popolazione e conseguenti  restrizioni consistenti, peraltro previste dalle Leggi europee, per la produzione.

In questi casi la sconfitta del dipendente è tassativa. E diventa sempre più difficile ed economicamente dispendioso data l'incertezza del risultato, il ricorso in Appello o peggio  in Cassazione. Ma queste apparenti incongruenze sono in realtà possibili per la mancanza di senso civico della maggioranza degli italiani, i quali conoscono perfettamente quanto avviene nelle aule giudiziarie ma lasciano le cose così come stanno per fatalismo di stampo orientale e nel caso si affidano più al destino che pretendere dai magistrati un adeguato senso della Giustizia.

 

4 Conclusioni.

La bassa percentuale di partecipanti ai due referendum dimostra in modo inequivocabile l'alienazione degli italiani.

I due referendum infatti rappresentavano quanto di più politicamente significativo degli ultimi tempi e si prestavano a dimostrare la volontà di partecipazione degli italiani alla vita pubblica ed a quella economica.

Inutile illustrare il perché. Come ho già scritto in precedenza, infatti, chiedere l'estensione dell'articolo 18 vuole dire chiedere di aumentare il livello partecipativo, anche in senso di assunzione di responsabilità, del lavoro all' attività produttiva.

Da oggi invece, di fronte ad un così evidente astensionismo, chi detiene le leve del potere si riterrà legittimato ad apportare ai rapporti di lavoro le modifiche di suo interesse che ritiene più importanti. Di certo saranno incentivati i licenziamenti senza giusta causa che già adesso, forse sotto forma sperimentale, vengono comminati senza nemmeno quelle garanzie o quella parvenza di umanità che caratterizzava i rapporti di lavoro solo qualche anno addietro.

L'assenteismo italico è tanto più infantile, in quanto evidenzia la differenza con il voto partitocratico. Quest' ultimo infatti è sempre stato propiziato dal clientelismo più squallido e dalla competizione fra antagonisti per cui le elezioni acquistano i caratteri della tifoseria calcistica. Ambedue campati per aria perché privi di reali contenuti. Infatti, sia i partiti politici che le squadre di calcio sono degli ibridi che rappresentano soltanto comitati di affari in concorrenza fra loro.

Quando invece il motivo del contendere non è particolaristico, ma riguarda  l'interesse è collettivo, l'italiano medio si eclissa e lascia una delega in bianco al potente di turno, il quale di fronte a queste fughe di responsabilità si sente autorizzato a prevaricare su tutti  in nome del popolo.

L'italiano medio pertanto è degno di essere guidato dai Berlusconi, dai Veltroni, dai Cofferati, relegato peraltro alla guida di Bologna, dai D'Alema. Non vedo alternative possibili  per questa massa di alienati, a meno che non si dia mano ad una nuova e più autentica guerra di liberazione nazionale. 

 

Giorgio Vitali