REPUBBLICA, SOCIALISMO,
COMBATTIMENTO
Un articolo di Enzo Pezzato
Sentiamo il bisogno di far circolare fra i nostri lettori il seguente articolo
di Pezzato, fascista e giornalista, assassinato dagli antifascisti a fine aprile
1945.
L’articolo si commenta da se, ma riteniamo utile un breve commento, che riguarda
anche il presente del nostro paese. Premettiamo che l’epoca della RSI, saremmo
tentati di chiamarla “epopea”, è stata caratterizzata da un clima morale,
politico ed intellettuale unici nella storia del nostro paese. Ce ne è un’
abbondante documentazione in letteratura. Indicativo il volume di Emilio Longo:
"RSI. Antologia per un’Atmosfera", Edizioni de l'Uomo Libero (casella postale
1658, 20123 Milano, € 18).
I temi dibattuti da quella pubblicistica erano tutti di alto livello. Per
l’unica volta nella nostra storia si è parlato e scritto ampiamente di
“socialismo”. Non di quello settario e reso astratto da formule rigide ed
inapplicabili, ma quello che si rende evidente agli occhi di tutti coloro che
sanno capire il presente e prevedere il futuro. Agli occhi di coloro per i quali
l’interesse per la collettività procede di pari passo con quello personale. Agli
occhi di coloro che, nel pieno della bufera e del presagio di morte certa, si
rendono conto delle ragioni di una battaglia di civiltà, che è anche un’ultima
trincea.
Oggi, a distanza di sessant’anni, che possono anche essere molti per i testimoni
di quella temperie, ma pochissimi rispetto alla storia umana, noi siamo in
condizione di valutare cosa ha significato e sta ancora significando la
“liberalizzazione” d’Italia e d’Europa. La chiamano “liberazione” per una
evidente e continuativa menzogna. Solo oggi possiamo constatare l’impatto delle
“liberalizzazioni” sulla società europea perché il “via libera” definitivo al
processo di privatizzazione, demoralizzazione, assoggettamento al dominio della
finanza è stato dato di recente, ad opera di personaggi ben definiti del quadro
mondiale, che precedentemente avevano operato al coperto.
Nel caso dell’Italia, basta leggere fra le righe ed in filigrana la composizione
dell’attuale governo Prodi. Per non parlare dello squallore del precedente.
Infatti, per una sorta di inerzia della politica, i cambiamenti di una società
avvengono con molta lentezza, dovuta al fatto che è difficile cambiare le
istituzioni e le mentalità, gli stessi uomini politici che sostituiscono quelli
che (nel nostro caso molto traumaticamente) sono stati sbalzati dal potere
decisionale ne conservano, chi più chi meno, gli stessi princìpi morali.
È per questa ragione che, pur essendo stata la "Legge sulla Socializzazione" la
prima ad essere abrogata dal regime democratico, noi abbiamo avuto la fortuna di
passare buona parte della nostra esistenza in un paese nel quale era vigente il
“Welfare” impostato dal fascismo, con una classe dirigente democristiana
chiaramente ispirata dal “pensiero sociale della Chiesa”.
Oggi questa prospettiva sta scomparendo e tutto si va livellando sotto il
tallone del liberismo globalizzatore. Mentre la politica del papa vigente sembra
ispirarsi ai dettami della Bibbia più che a quelli del Vangelo. Ne vediamo gli
aspetti aberranti nelle forme più subdole di dominio, come quella che permette
(ma in realtà impone, dati i presupposti di condizionamento degli operatori
sanitari) la somministrazione di psicofarmaci ai bambini. Una volta (negli anni
20-30) ai bimbi le scuole somministravano olio di fegato di merluzzo, con
l’intento di rafforzarne il fisico ed il carattere. Oggi, come ampiamente
comprovato, la somministrazione di psicofarmaci ai bambini è causa di suicidi e
delle stragi nelle scuole americane che manifestamente hanno sconvolto il mondo.
Un altro aspetto su cui si sofferma Pezzato è l’onore. Il senso dell’onore su
cui a lungo si è soffermata la pubblicistica social-repubblicana non è un vuoto
riferimento retorico. L’onore rappresenta la fuoruscita dall’infantilismo
cronico degli italiani, condizione di perenne ricattabilità, come dimostrano i
più recenti avvenimenti relativi al ritiro delle nostre truppe dall’Iraq.
Sull’argomento infatti hanno cominciato subito a scorrere (da parte degli
“alleati”) le solite dicerie sugli italiani che quando possono scappano.
Considerazioni che mai sono state fatte a scapito delle decisioni di Zapatero.
La questione è aggravata dal comportamento della classe dirigente politica
imposta dagli Atlantici al nostro paese fin dal 1945, che, per ovvie ragioni di
vergogna e di auto-giustificazione, ha sempre cercato di far ignorare ed anzi
diffamare i “combattenti dell’ onore”. La conseguenza immediata ed a lungo
termine è che la maggioranza dei giovani italiani si sente a tutt’oggi
identificata con i traditori ed i voltagabbana di allora, accetta passivamente
qualsiasi perversione della società presente, calcio compreso, e per gli
stranieri gli italiani sono tutti traditori potenziali.
Un’ultima considerazione è necessaria. Giustamente Pezzato fa presente che la
proposta nenniana è una copia, e nemmeno tanto brillante, di quanto è alla base
della RSI. Ma si tratta di un fatto naturale. La RSI è stata e continua ad
essere una soluzione innovativa a vecchi ed incancreniti problemi della società
contemporanea. Chi viene dopo, se vuole proporre qualcosa di nuovo, capace cioè
di superare gli schematismi delle società precedenti e della relativa cultura
politica elaborata nelle Università anglo-americane, deve per forza avvicinarsi
alla “nostra” visione della realtà sociale. Lo affermiamo oggi, agli inizi del
cosiddetto terzo millennio, nel pieno delle discussioni sulla “complessità”
della società post-moderna.
Giorgio Vitali
NOTA
Quando trattiamo l’argomento del liberismo,
sappiamo quello che diciamo. Dopo mezzo secolo di imposizione coatta del
liberismo, ne vediamo oggi i risultati. Il liberismo nulla ha a che fare con lo
sviluppo della società umana. Sembra una esagerazione, ma non lo è. Il liberismo
è stato elaborato a suo tempo ed ora continua ad essere imposto nell’esclusivo
interesse di una ristretta cerchia di persone. La sua immediata conseguenza è la
globalizzazione. Lottare contro la globalizzazione è infatti difendersi dal
liberismo. E siccome la globalizzazione è la negazione della specificità dei
popoli, va da se che chiunque abbia a suo tempo combattuto contro il liberismo
propugnato dagli Atlantici era perfettamente conscio di quello che faceva. Stava
difendendo un’antica civiltà. Preannunciava la lotta, che deve ancora
esplicarsi, contro gli interessi sottintesi alla globalizzazione.
Il liberismo è il Gerione di Ezra Pound, mostro di derivazione dantesca, dal
volto umano e generoso, il corpo di drago, la coda di scorpione. Un’evocazione
dalle profondità di Malebolge. Ezra Pound, grande nella poesia ma più grande
nella persecuzione, che auspicava la partecipazione diretta del popolo, di tutti
gli uomini, alle decisioni politiche ed alla gestione dell’economia, mentre oggi
(sessant’anni dopo le sue formulazioni economico-letterarie) si deve prendere
atto, con disposizioni ufficiali, del fallimento di qualsiasi costruzione di una
volontà collettiva.
Come scrive Carmelo Viola ("Rinascita", 10 giugno 2006), «… la libera iniziativa
economica privata è innocua -e perfino utile- al livello individuale familiare
artigianale e finalizzata a procurare una vita decente ai suoi operatori;
diventa una bomba a frammentazione come impresa affaristica di stampo
capitalista -oggi neoliberista- finalizzata alla produzione illimitata di
profitti parassitari, la quale cancella intanto qualsiasi uguaglianza teorica,
dilata illimitatamente la proprietà, mobiliare ed immobiliare e da vita a quella
superfetazione finanziaria, che è la “monetocrazia”, che è già una piovra
globale-mondiale, per effetto della quale la Banca, intesa nella sua piena
accezione, preposta alla tutela degli interessi degli imprenditori, si
sostituisce al potere dello Stato (che magari carica di debiti ad usura
provocando il ridicolo debito pubblico) e rende praticamente inagibili gli
articoli “positivi” della Costituzione».
Enzo Pezzato
La formula di Pietro Nenni:
Repubblica, Socialismo, Combattimento
1944 - XXIII
edizioni erre - venezia - milano
Gli atti di resipiscenza, da parte degli esponenti dei partiti
nell'Italia invasa, vanno aumentando di giorno in giorno. Con lo svanire
progressivo delle illusioni che l'attesa aveva creato, e che la
propaganda nemica abilmente nutriva, gli uomini che presero per primi
posizione contro, di noi si guardano intorno, riconoscono la realtà
triste e vile che li circonda, cercano disperatamente qualche cosa di
saldo e di autentico cui aggrapparsi.
È in quest'ordine di fatti che rientrano il manifesto firmato da Borgese
e Toscanini a proposito della politica inglese in Sicilia, le dimissioni
motivate di Benedetto Croce dal Gabinetto Bonomi, la lettera di Gaetano
Salvemini a coloro che lo inducevano a rientrare in Italia, l'articolo
de "la Voce Repubblicana" del 5 agosto che si intitolava al «Senso della
sconfitta», i corsivi de "l'Unità" contro gli eccessi dei marocchini, le
sporadiche e soffocate voci degli onesti che si risvegliano
dall'ubriacatura dei primi giorni.
Alcuni di questi uomini, atterriti di fronte alla realtà, si sono messi
in disparte e hanno rifiutato di prendere posizione; ma altri, i più, si
sono posti alla disperata ricerca di qualche cosa che avesse ancora un
valore ideale, di un nucleo intorno a cui ricostruire ciò che essi
stessi avevano distrutto, di un programma a cui affidare l'avvenire. E
sono stati naturalmente, per l'inevitabile logica delle cose, contro gli
uomini del tradimento di settembre, contro la monarchia imbelle e
fuggiasca, contro il capitalismo vorace e oppressore, contro l'inerzia e
lo sbandamento.
Se hanno voluto trovare degli elementi vivi su cui fare leva per tentare
un'opera di risanamento, non hanno potuto che ripetere le idee e le
formule che il Fascismo Repubblicano aveva già lanciate nel mondo. Di
giorno in giorno noi vediamo i programmi dei partiti che non vogliono
morire accostarsi sempre più ai nostri, ripeterne gli enunciati e
ricercarne lo spirito, parafrasarne talora persino le formule esteriori.
Così è avvenuto al Partito di Azione, che in nome dell'antifascismo ha
pubblicato un programma fascista, cosi ai comunisti indipendenti che sì
sono progressivamente staccati dal servo e vile bolscevismo di
Togliatti, così ai socialisti, così alla sinistra cristiana.
Chi vuole vivere, anche nell'Italia invasa, non può che riprendere
quanto il Duce ha proclamato fin dai primi giorni, un anno fa, e che
l'Assemblea del Fascismo a Verona ha sancito nei suoi 12 punti.
Nel marasma inquieto di una situazione disperata da cui bisogna uscire a
tutti i costi per non morire, le indistinte aspirazioni della massa e le
più o meno forbite enunciazioni dei capi si orientano dunque verso gli
stessi nostri postulati.
Ed ecco Pietro Nenni, non certo sospetto di simpatie eccessive nei
nostri riguardi, riassumere in una formula sintetica il programma
dell'Italia futura: «Repubblica, socialismo, combattimento»; la formula
è nostra. Se per Pietro Nenni questi sono gli elementi fondamentali
perchè l'Italia possa rinascere e ritrovare coscienza e forma di
Nazione, essi lo sono anche per noi. Anzi, siamo stati noi i primi a
formularli, con una precisione che il segretario del partito socialista
non può non invidiarci. Repubblica, perchè la monarchia ha fallito il
suo compito e chiuso il suo ciclo storico; socialismo, perchè se un
mondo nuovo può nascere esso può basarsi solo sul lavoro; combattimento,
perchè soltanto la ripresa delle armi può superare quella ignavia che è
il primo sintomo di uno sfaldamento dei valori morali. Il programma pare
nella formula identico. Eppure, tra quello di Pietro Nenni e il nostro
non ci può essere, nonostante l'identità degli enunciati, nessun punto
di contatto, non tanto e non solo perchè quando egli parla del
combattimento, vuole rivolgerlo contro di noi, legato in questo dalla
vecchia formula antifascista che sola può vivere sotto la pesante tutela
anglo-americana; ma perchè egli dimentica un quarto elemento, che per
noi alla ricostruzione è essenziale: l'onore.
Egli non si rende conto che una rinascita non è possibile, anche se
esistessero tutti i presupposti, quando si nega negando il concetto
d'onore il primo e fondamentale requisito morale di essa.
Egli non vuole rendersi conto che solo chi abbia netto in sé il senso
dell'onore che ci ha portato a riprendere le armi accanto all'alleato
fedele e tradito, e che ci porta a continuare fino all'estremo la
battaglia, qualunque ne debba essere l'esito finale, solo chi avrà
salvato l'onore avrà il diritto di creare l'avvenire, avrà il diritto di
vivere e di durare.
È il senso dell'onore che pone un'insormontabile barriera tra noi e
coloro che hanno accettata la schiavitù nemica, anche quando i programmi
coincidano o sembrino coincidere.
Del resto, anche gli altri elementi cui Pietro Nenni accenna, hanno
soltanto una formulazione identica a quella che noi accettiamo; non
identica, e neppure similare, è la sostanza. La repubblica di Nenni non
è la nostra repubblica: essa sul piano ideologico ancora si aggancia a
vecchie e morte formule democratiche che è impossibile far rivivere; e
sul terreno pratico non ha altra fisionomia se non quella che le possono
dare i nemici cui si è venduta: la fisionomia della fame, della
schiavitù, della miseria materiale e morale. Il suo socialismo non è il
nostro socialismo: ondeggia tra una vaga preoccupazione classista, non
meglio definita e forse indefinibile, e il ritorno a certi sorpassati
schemi riformisti, di cui si è valsa l'Italia borghese di un tempo per
sedurre e ingannare i lavoratori autentici. Il suo combattimento non è
il nostro combattimento: noi ci battiamo per l'Italia, che vogliamo
libera, indipendente, forte, padrona di sé stessa e delle sue risorse,
capace di sedere ancora a fronte alta nel Consesso delle Nazioni civili;
egli, combattendo, e incitando a combattere, non fa che obbedire agli
ordini di un padrone straniero, non fa che contribuire alla rovina
finale della Patria E il combattimento ch'egli invoca si risolve
nell'assassinio alle spalle e nel delitto comune.
La conciliazione è quindi impossibile se gli enunciati o le formule sono
ricopiate da noi, la sostanza è diversa, troppo diversa; e noi quindi
possiamo rivendicare, nei confronti del socialismo di Nenni, non
soltanto la nostra priorità d'iniziativa, ma anche la nostra originalità
di pensiero, la nostra rettitudine di condotta.
Della dichiarazione di Nenni resta quindi soltanto un valore di sintomo:
il sintomo di alcune esigenze che noi per primi abbiamo affermate, e che
si vengono facendo sempre più forti di mano in mano che ci si accorge
essere le sole che possano condurre sulla strada buona: la Repubblica,
che è arra di una liberta vera e di una indipendenza da qualsiasi
elemento estraneo alla Nazione, il socialismo che è espressione della
volontà di un popolo lavoratore che aspira a realizzare se stesso, il
combattimento che è auspicio di rinascita morale. Ma riconosciamo
altresì che questi sintomi sono incompleti e non possono portare a
frutti, sino a che ad essi non si aggiunga, e li superi in una precisa
presa di posizione, il ritrovato senso dell'onore.
(Conversazione trasmessa il 19 ottobre dalla Radio Repubblicana
Finito di stampare il 7 Novembre 1944 - XXIII
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