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Il
ruolo «esiziale» del neofascismo
Premessa
Il
saggio del prof. Giuseppe Parlato, “La sinistra fascista. Storia di un
progetto mancato”, Il Mulino, Bologna 2000, costituisce la più profonda e
più completa analisi storica delle vicissitudini di una minoranza di fascisti
italiani che svolsero un’incisiva azione di pungolo finalizzata al
conseguimento di una più rapida attuazione della rivoluzione annunciata da
Mussolini il 23 marzo 1919.
Le
risultanze di tale imponente opera di ricerca e dì approfondimento sono ora
a disposizione della comunità scientifica. Avversata e sottovalutata
durante il fascismo-regime, l’attività di quegli uomini è entrata a
pieno titolo nella storia, e rappresenta una gran vittoria della verità
sulle meschine manipolazioni storiche attuate dall'antifascismo e
sull’ottusità di molti falsi
fascisti. Verità che diviene foriera di futuri svolgimenti, in quanto è
strettamente connessa ad un progetto mancato.
In
essa sono condensate le istanze rivoluzionarie affacciatesi nell'animo degli
italiani più sensibili sin dall'epoca post-feudale, le quali sì meglio
definirono e precisarono nel pensiero di quelli del Risorgimento, del
sindacalismo rivoluzionario, del fascismo e della Repubblica Sociale Italiana,
nonché di una cospicua frazione di quelli della resistenza, fautori anche
essi di una nuova civiltà del lavoro fondata sul superamento del capitalismo
e degli egoismi borghesi.
Chi
ci conosce sa che il compimento di quel progetto è stato sempre la nostra
maggiore aspirazione e il nostro tormento. Aspirazione che abbiamo trasmesso
ad alcune generazioni di giovani, e l'abbiamo vista spegnersi o stemperarsi
poi con la loro adesione ad ideologie pseudo socialiste o cristianizzanti,
rivelatesi dovunque fattori di consolidamento della plutocrazia.
L'essere
mancato di quel progetto coincide con l'esser incompreso del fascismo, il
quale, dal momento che costituisce una realtà rivoluzionaria in divenire,
disdegna le categorie «anti» e predilige quelle positive di superamento
delle ideologie contemporanee. Esso, infatti, nega la validità del
socialcomunismo e del liberalismo, ma fa proprie le millenarie istanze di
tutti i popoli ad un vivere più libero, più equo e più fraterno, e le
supera nella consapevolezza della naturale disuguaglianza del genere umano,
fulcro dell’edificazione dell'uomo integrale, dotato di quella elevatezza
spirituale che lo induce a credere: «... ancora e sempre nella santità e
nell'eroismo, cioè in atti nei quali nessun motivo economico lontano o vicino
agisce». Una disuguaglianza tesa, ben inteso, all'armonia fra gli uomini e
fra le razze e non a privilegi od usurpazioni. Tanto è vero che non vi è
antifascista più antifascista di quei «fascisti» inetti a comprendere il
gioioso impegno di concorrere al bene comune, i quali sostengono essere
naturale la tendenza al profitto egoistico nelle attività umane.
L’opera
del prof. Parlato è importantissima perché, attraverso l'esposizione di una
dovizia di riflessioni, di dati e di acuti spunti critici mette in luce
compiutamente le motivazioni spirituali, culturali e politiche di quei
fascisti giustamente impazienti rispetto alla funzione ritardatrice del
Partito Nazionale Fascista. Successivamente, i più impazienti si aprirono un
varco in quel buio e asfittico mondo della sinistra italiana che Mussolini
aveva ripudiato sin dal 1914. Uno di loro, Ruggero Zangrandi, resosi conto
dell'errore in cui era caduto, si suicidò il giorno successivo a quello in
cui aveva avuto una sorta di colloquio confessione con Giorgio Pini, allora
presidente della Federazione Nazionale Combattenti della Repubblica Sociale
Italiana e uno dei più coerenti rappresentanti della cosiddetta sinistra
fascista, che ci narrò di essere stato fortemente impressionato dalla cocente
delusione che sconvolgeva il futuro suicida. Zangrandi, infatti, non riusciva
a rassegnarsi all'abbandono del messaggio di Marx da parte del Partito
Comunista Italiano, all'adesione di questo alla spietatezza giacobina di Lenin
e al terroristico dispotismo di Stalin, colpevole quest'ultimo anche di aver
determinato la vittoria della plutocrazia giudaica, in sede mondiale, e la
consegna dell'Italia nelle mani dei preti, in sede nazionale. Il
Movimento Sociale Repubblicano
Mentre
eravamo in procinto di diffondere un manifesto in favore dell’«Intifada»,
ci è pervenuto il n° 21 (2ª época) di “Tribuna de Europa”, organo del
MSR spagnolo, il quale reca sulla copertina un’immagine della lotta
disperata del Popolo palestinese e la scritta:
«Intifada.
Hasta la victoria».
È
stato un piacevole incontro.
Non
conosciamo quale significato attribuisca il Norling al termine «cogestione»,
però, ove lo assumesse a sinonimo di «Mitbstimmung», si porrebbe in netta
contraddizione con lo spirito della socializzazione fascista. Di fatto, la
cogestione tedesca consiste nell'immissione di un limitato numero di
sindacalisti nei consigli di amministrazione delle imprese ed è diretta a
conseguire un più sereno clima nelle fabbriche capitalistiche, ma senza
minimamente cambiare l'attuale rapporto di dipendenza in un rapporto di
partecipazione di tutti i lavoratori nella gestione delle imprese, come la
socializzazione fascista prevede. Alla cogestione, tuttavia, va riconosciuto
il merito di aver prodotto la «Soziale Marktwrtschaft» (economia di mercato
sociale) e di aver svolto un ruolo politicamente positivo nella misura in cui
ha contribuito ad assicurare la pace sociale e la stabilità politica in
Germania per circa mezzo secolo.
Con
la socializzazione fascista, invece, si cambiano radicalmente tutte le
strutture giuridiche, sociali e amministrative dello Stato capitalista, al
fine di assicurare alle nuove generazioni una pari base di partenza; mediante
l'elevazione del lavoro a dovere sociale, l'abolizione di ogni rendita
parassitaria e di ogni altro privilegio che non tragga origine da.meriti
acquisiti nell'adempimento di ineludibili doveri sociali.
Non
vi è dubbio che è in atto il consolidarsi nel mondo di una nuova barbarie
materialistica che mira ad abbattere definitivamente la nostra civiltà
essenzialmente spirituale. La finanziarizzazione dell’economia, con le sue
macroscopiche sproporzioni in ordine alla distribuzione delle ricchezze del
pianeta, ha generato situazioni aberranti che gridano vendetta al cospetto di
Dio: «Secondo il Rapporto sullo Sviluppo Mondiale del Programma di Sviluppo
delle Nazioni Unite del 1999, l'insieme dei patrimoni dei tre personaggi in
cima alla scala dei plurimiliardari supera di gran lunga la somma di tutti i
PIL dei Paesi più arretrati, che formano un totale di 600 milioni di persone»
(cfr. la Rivista "Affari Esteri", n° 125, gennaio 2000, p. 45):
Dinanzi
alla orgogliosa proclamazione dell'egemonia del capitalismo su ogni altro
aspetto dell'agire umano, e alla ulteriore mercificazione dell'uomo, la
socializzazione (che non va confusa con la sola ripartizione degli utili delle
imprese) si eleva ad unico strumento atto a realizzare la risperitualizzazione
dell'umanità, la quale non può che fondarsi sulla totale subordinazione
degli aspetti economici delle attività umane a finalità etiche e sociali.
Nel riumanizzare il mondo consiste oggi la nostra rivoluzione.
In
vero, i primi a suscitare equivoci fra cogestione e socializzazione furono
proprio i missisti Landi e Roberti, responsabili del sindacato CISNAL. La
socializzazione, pertanto, non deve essere considerata come un aspetto
marginale che possa essere espunto ad libitun dal corpo della dottrina
del fascismo, di cui è parte integrante e irrinunciabile: insieme di idee e
di princìpi formanti una inconfondibile visione del mondo, che abbiamo di
dovere di conservare per trasmetterlo integro alle generazioni future.
Atteso
che nessuno è sine macula et sine ruga, né può vantare saggezza infallibile
ricevuta per infusione di luce divina, ci auguriamo che la nostra posizione di
serena critica venga accolta nella sua accezione di accertamento della
fondatezza dei fatti e, quindi, non recepita alla stessa stregua di
un'arbitraria intrusione. Per altro, essendo i «fines» del MSR
fascisticamente condivisibili, in quanto accomunano tutti coloro che li
accettano e ne fanno ragione di lotta politica, i nostri rilievi critici
dovrebbero assumere la valenza di proposte e di avvertimenti tesi ad impedire
il ripetersi degli errori compiuti nel passato dal movimento fascista in
Italia e altrove.
Dopo
questo incidente semantico, l'articolo del Norling prosegue interpretando
fedelmente le riflessioni del prof. Parlato. Nondimeno, le notizie, e le
riflessioni, formulate dalI'autore nella parte che precede l'epilogo -probabilmente per carenza di adeguate informazioni- risultano
essere tanto imprecise e lacunose da descrivere il MSI come un «Partido qué
tendrà una trascendencia especial en la politica italiana». Può esservi una
qualche importanza nel porsi al servizio del nemico e nell'indurre
subdolamente in errore i propri camerati? Per altro, tali considerazioni mal
si conciliano con quelle espresse dal prof. Manlio Sargenti, il quale (sebbene
la sua recente collaborazione con Rauti ci risulti del tutto incomprensibile)
resta nondimeno una fonte teoricamente ineccepibile.
La
rivoluzione ha bisogno di verità e di certezze. Non s'impegna l'intera
esistenza e non si rischia la vita stessa nel dubbio.
Perciò,
non è opportuno proporre -come fanno taluni camerati più sentimentali
che riflessivi- di riunirci e di porre un termine alle discussioni,
poiché i dibattiti, anche i più concitati, ma chiari e liberi da pregiudizi,
sono indispensabili per dirimere i dubbi e scoprire o riscoprire verità
fondamentali su cui costruire insieme il futuro. Un futuro certamente non
facile, che vede l'Europa governata da uomini indegni delle sue tradizioni e
umiliata dalla arrogante presenza nel suo suolo di installazioni militari e di
truppe straniere. Per liberarla, anzitutto non dobbiamo dimenticare la sempre
valida lezione di cautela, di perseveranza e di audacia che ci viene da
Empecinado (e di tanti altri che lo hanno preceduto e seguito), il quale
combatté contemporaneamente francesi e francesizzanti. Perché
progetto mancato? A
prescindere dal fatto che la destra e la sinistra italiane possono essere
prese a modello unicamente per il rispettivo loro asservimento ad interessi
stranieri in danno di quelli del popolo italiano, le categorie destra e
sinistra sono, di per sé, inadeguate a denotare il fascismo. Quindi -ce
ne duole per il prof. Parlato- dire fascisti di sinistra o di destra è
un dar luogo ad una contraditio in adiecto. Posto che si voglia molto genericamente indicare per destra un contesto in cui fiorisca l’amor di patria ed il rispetto delle tradizioni culturali, artistiche, scientifiche e religiose attraverso le quali si è formata l'unità spirituale del suo popolo; e che in quel contesto venga esaltata la Nazione quale organismo etico garante dell'intero popolo e non si ostacolino appropriate riforme sociali tese al costante miglioramento della vita dei cittadini, educandoli all'apprezzamento e al rispetto dei valori delle patrie altrui, allora è la destra che diviene fascismo. Analogamente, se per sinistra s’intenda un contesto in cui emergano personalità autonome, creative, anticonformiste, che vogliono conoscere le ragioni del proprio vivere ed agire, che rifiutino però l’internazionalismo, il pacifismo, l'egualitarismo, la disgregazione della famiglia, o, propugnando anche energicamente radicali riforme sociali e culturali dirette all'eliminazione dello sfruttamento e delle ingiustizie, e vivano e operino nel rispetto della identità e delle tradizioni del proprio popolo, allora è la sinistra che diviene fascismo.
Ciò
non vuol dire che qui si voglia disconoscere che durante il
fascismo‑regime, non abbiano avuto luogo fraintendimenti ed ambiguità.
L'autoritarismo del regime, anche in ragione dei compromessi
da esso stabiliti con la monarchia, la chiesa, e il mondo della
produzione, generava suo malgrado l'ossequio formale generalizzato a scapito
dell'adesione sincera all'Idea fascista.
Purtroppo,
il contenuto della nota riportata a pag. 298 del libro in esame, è in
grandissima parte vero:
«Era
invece il capitale e la classe padronale che avevano assunto una posizione di
assoluta ed evidente preminenza, conseguita col prepotere, delle
organizzazioni padronali, (con in testa la Confindustria) in ogni settore
della vita politica ed economico-burocratica e gerarchica e persino in
quella della preparazione bellica. Tutti gli sforzi fatti
dall’organizzazione dei lavoratori per realizzare negli organi corporativi
un certo equilibrio ai fini degli interessi generali della collettività
nazionale furono sempre frustrati e soffocati con azione ministeriale e
politica sulle organizzazioni e sugli uomini».
Effettivamente,
l'azione combinata della grande industria, della massoneria e del Vaticano,
organismi storicamente finalizzati -allora come ora- ad impedire
qualsivoglia significativa riforma sociale, sortì effetti deleteri nella
politica interna ed estera del fascismo.
Nondimeno,
come abbiamo più volte rilevato, anche le più serie valutazioni storiche del
fascismo, non tengono nella dovuta considerazione un dato di fatto essenziale:
il fascismo raggiunse il potere a distanza di appena 40 mesi dalla sua
costituzione. Ciò lo costrinse, dato il lasso di tempo insufficiente ad
approntare una propria classe dirigente, ad avvalersi per qualche lustro di
quella demoliberale.
Al
proposito si deve nondimeno rilevare che ai fascisti impazienti mancò una
chiara visione della realtà sociale ed economica italiana. Uscita dalla prima
guerra mondiale, l’Italia versava in uno stato di grande prostrazione
economica, sociale, politica e psicologica. La città in cui risiedeva il
maggior numero di Italiani era Nuova York; l'analfabetismo superava il 35%
della popolazione; le fabbriche, a causa degli scioperi e delle occupazioni
operaie, stentavano a riconvertirsi in produzioni di pace; i mutilati di
guerra e i combattenti venivano insultati pubblicamente; l'ordine pubblico era
alla mercé dei socialcomunisti che, non essendo capaci di effettuare la
rivoluzione bolscevica, causavano soltanto dannosi disordini.
Una
volta al potere, Mussolini, conoscitore profondo della situazione generale
della Nazione, per non seguire i metodi distruttivi e sanguinari di Lenin,
dovette scendere a taluni compromessi che, successivamente, si rivelarono
dannosi. Ciò nonostante ‑secondo l'efficace immagine del camerata
Rutilio Sermonti egli riuscì ad aggiustare e potenziare il motore dello Stato
mentre era in marcia. Dopo qualche anno, infatti, con la battaglia del grano
pose fine all’atavica fame degli Italiani e diede loro leggi ed ordinamenti
di assoluta avanguardia in tutti i campi. Nel ‘29, portando a soluzione
l'annosa controversia col papato, ripristinò la pace religiosa del popolo
italiano. Dopo la conquista dell’Impero, il fascismo raggiunse il massimo
consenso di popolo e persino il plauso di non pochi antifascisti.
Tanto
abbiamo rammentato per significare ché non si socializzano imprese dissestate
e non si fanno rivoluzioni con popoli impreparati a rendersene portatori
convinti. Purtroppo, l'incompleto processo rivoluzionario del fascismo, subì
ulteriori rallentamenti nel 1940, a causa di una guerra che esso non voleva e
che i fascisti tuttavia combatterono con grande determinazione fino alla loro debellatio
dell'aprile 1945.
Quella
è stata la prima guerra del sangue contro l'oro.
Una
guerra che negli ultimi 50 anni del secolo scorso, è stata combattuta
‑e si combatte ancora‑ sotto diverse insegne in ogni angolo del
pianeta.
La
significativa ma non sufficiente sterzata socializzatrice compiuta dalla
Repubblica Sociale Italiana, diretta al superamento del sistema capitalistico,
fa sì che quel generoso progetto rimanga pur sempre un progetto mancato, il
quale può e deve essere portato a compimento. Condividiamo quindi le serene e
acute analisi del prof. Parlato circa le manchevolezze e i ritardi del
fascismo-regime; le attese e le speranze frustrate e le inammissibili
traversie patite dai fascisti cosiddetti di sinistra, ma non arretreremo di un
solo passo rispetto a quello che riteniamo essere più che un progetto,
un’irrinunciabile scelta di civiltà. Il neofascismo
«Neofascismo»
è un neologismo impropriamente usato per indicare il MSI e le sue
articolazioni sindacali e giovanili, nonché altre minori organizzazioni
esterne da esso direttamente o indirettamente dipendenti; impropriamente perché
non esprime quel che vorrebbe significare. Ove si tenesse nel dovuto conto
della sua funzione storica, dovrebbe essere più propriamente usato per
indicare un neoantifascismo, per certi aspetti peggiore dell'antifascismo
proprio del CLN. Nacque e fu alimentato dalla componente più anticomunista
dell'antifascismo e visse di un anticomunismo acritico e viscerale. La sua
fine coincise precisamente con l'autodisfacimento dell'URSS. In sostanza, si
dissolse quando il suo padrone decise non essere più necessaria la sua
funzione. I suoi cascami sono oggi parte integrante del governo Berlusconi,
che è di gran lunga il più antifascista e più filoamericano di quelli che
lo hanno preceduto.
Coloro
i quali hanno una vera fede politica, religiosa, filosofica, ecc., in linea di
principio, non respingono nessuno; anzi, sanno essere duttili, generosi e
concilianti quando si tratti di giudicare inosservanze o errori commessi in
buona fede. Quando, però, come è avvenuto nel Convegno tenutosi a Roma nel
maggio del 1965 presso l'Istituto A. Pollio, l'intera intellighènzia
neofascista passò alle dipendenze dello Stato Maggiore, al fine di ingannare
i propri compagni di lotta e di concorrere ad assoggettare ulteriormente la
Patria al nemico, allora è sacrosanto dovere l'essere inflessibili.
L'indecorosa sagra di
conformismo
filoamericano alla quale le oggi assistiamo, pone come condizione essenziale
per stabilire e conservare rapporti autenticamente trasparenti, oltre ad una
più salda tenuta etica, una reciproca spregiudicatezza di giudizio.
Siamo
certi che mediante una più meditata lettura dell'ultima parte dell'opera del
prof. Parlato, l'Autore dell'articolo “Los «socializantes» del fascismo
italiano (1922-1945)” e i lettori di "Tribuna de Europa"
comprenderanno le ragioni per cui il neofascismo è stato per mezzo secolo
controrivoluzionario, antifascista e di totale appoggio alla NATO.
Comunque,
affinché il nostro incontro non divenga uno scontro, faremo avere ai
camerati. del MSR la documentazione atta a dimostrare il ruolo esiziale svolto
dal neofascismo nel suo complesso, e ci teniamo a loro disposizione per
ulteriori chiarimenti
F.
G. Fantauzzi |