Italia - Repubblica - Socializzazione

.

 

Storia contemporanea: schegge di verità nascoste

 

Maurizio Barozzi (8 dicembre 2012)   

 

Per comprendere quella immane tragedia che fu la Seconda Guerra mondiale, è anche utile leggere alcune considerazioni fatte da Adolf Hitler negli ultimi mesi di guerra, quando ogni necessità propagandistica era venuta meno, la inevitabile sconfitta era alle porte e il Führer poteva anche rivelare alcuni particolari che precedentemente non aveva potuto rendere noti.

Quello che dice Hitler, di eccezionale lucidità, rispecchia con assoluta chiarezza quella verità che oggi può storicamente ricostruirsi, una verità che gli storici embedded fingono di non voler conoscere, ma che in realtà hanno percepito molto bene.

Presentiamo quindi alcuni passaggi di quelli che furono definiti gli ultimi discorsi privati di Hitler, in parte raccolti in cartelle dattilografate, titolate "Bormann Vermerke" e di cui, negli ultimi tempi, Martin Borman, ultimo segretario del partito nazionalsocialista, fu uno dei raccoglitori e diretto trascrittore di quanto riportato dal Führer. Sappiamo che, storicamente, alcuni hanno messo in dubbio la genuinità di queste cartelle, ed in effetti esse non ci sono pervenute in originale, ma solo in "copia", pur tuttavia, sia per il contenuto e lo stile che per altri particolari storici, non sembrano esserci dubbi sul fatto che trattasi proprio delle ultime "considerazioni" e volontà di Hitler.

Ma la grandezza del Führer si nota anche in queste sue dichiarazioni, laddove pur avendone tutte le ragioni e i risentimenti, non rimpiange, non rinnega certe scelte, certe iniziative, certe amicizie come quella con il Duce che alla fine hanno avuto un peso negativo nell'economia della guerra. Egli produce delle osservazioni, lucide, spietate, ma sostanzialmente realistiche e prive di qualsiasi pathos che ne inquinerebbe la portata.

Riportiamo qui, in corsivo, alcuni passaggi, sia pure con spezzettamenti saltativi, intercalati da nostre brevi sottolineature storiche. Il testo è tratto da: A. Hitler, "Ultimi discorsi", Ed. di Ar, 1988.

 

I tentativi di pace con l'Inghilterra

Come noto tutta la politica bellica di Hitler, rispecchiava una visione geopolitica Euro Atlantica che proveniva da certi ambienti, anche esoterici, fortemente influenzati da queste prospettive ed era sostanzialmente finalizzata a trovare un "accordo", un accomodamento con i britannici, nello stesso interesse inglese. La Gran Bretagna, infatti, qualunque fosse stato l'esito della guerra, avrebbe perduto il ruolo di prima potenza mondiale e di conseguenza l'Impero. Sarebbe stata soppiantata dall'avvento di due nuove super potenze USA-URSS.

Hitler era arrivato al punto di salvare le divisioni inglesi a Dunkerque (maggio 1940), per lasciare agli inglesi una onorevole possibilità di trovare un accordo. Riflettendo su questa strategia, che alla fin fine risulterà deleteria, possiamo dire che, in effetti al tempo era difficile prevedere che gli interessi geopolitici di una nazione (nella fattispecie la Gran Bretagna) potessero essere soppiantati, dagli interessi di Consorterie mondialiste che puntavano ad un futuro dominio mondiale.

Il Führer ebbe a dire (4 febbraio 1945):

«Io mi sono sforzato di agire, fin dall'inizio di questa guerra, come se Churchill fosse capace di comprendere questa grande politica. In realtà era capace di comprenderla solo nei rari momenti di lucidità. Da troppo tempo oramai era legato agli ebrei (...) Avevo sottovalutato la potenza della dominazione giudaica sugli inglesi di Churchill (...) Già nel 1941 [all'Inghilterra] le sarebbe stato possibile por fine alla guerra se solo lo avesse voluto. Essa aveva affermato la sua volontà di resistenza nel cielo di Londra, inoltre aveva al suo attivo le umilianti disfatte degli italiani nell'Africa del Nord. L'Inghilterra tradizionale avrebbe concluso la pace. Ma gli ebrei non lo hanno tollerato. I loro burattini Churchill e Roosevelt erano là per impedirlo (...) Noi saremmo stati disposti ad alcuni compromessi, pronti a mobilitare le nostre forze per favorire la continuità dell'Impero Britannico. E tutto ciò nonostante che l'ultimo degli Indù mi riesca in fondo più simpatico di non importa quale fra questi insulari arroganti (...) All'inizio, l'Inghilterra poteva scegliere: niente la costringeva a lanciarsi in una guerra. Non solo vi si è lanciata, ma l'ha provocata (...) Ma la Germania non aveva scelta. Dal momento in cui fu affermata la nostra volontà di riunire tutti i tedeschi in un Grande Reich, assicurando ad esso una autentica indipendenza, in altri termini la possibilità di vivere, di colpo i nostri nemici si schierarono contro di noi. La guerra diventava inevitabile per il solo fatto che l'unico mezzo per evitarla sarebbe consistito nel tradimento degli interessi fondamentali del popolo tedesco".

 

Fine del colonialismo

La geopolitica di Hitler per una nazione essenzialmente continentale non prevedeva il colonialismo, se non come un portato del tutto accessorio e sul quale il Führer volle esprimere questi sensati concetti (7 febbraio 1945):

«La Spagna, la Francia e l'Inghilterra si sono dissanguate, devitalizzate, svuotate in queste vane conquiste coloniali. I continenti a cui la Spagna e l'Inghilterra hanno dato vita, che esse hanno creato dal niente, hanno oggi acquisito una vita propria e risolutamente egoistica. Essi hanno perduto anche il ricordo delle loro origini, lingua a parte. si tratta di mondi artificiosi, ai quali manca un anima, una cultura, una civiltà originaria. Da questo punto di vista, sono soltanto 'escrescenze'. (...) Si tratta di costruzioni artificiali, di corpi senza età, dei quali si ignora se abbiano superato l'infanzia o si trovino già in stato di senescenza. Nei continenti abitati il fallimento è stato ancora più evidente. Qui i bianchi si sono imposti unicamente con la forza, mentre la loro influenza sugli abitanti è stata praticamente nulla. Gli Indù sono rimasti Indù, i Cinesi sono rimasti Cinesi, i Musulmani sono rimasti Musulmani. Nessuna trasformazione profonda, nè sul piano religioso, nè sugli altri piani, anche a dispetto del gigantesco sforzo del missionarismo cristiano. Rarissimi i casi di conversione, sulla cui sincerità quasi sempre si possono avanzare dei sospetti, tranne il caso in cui si tratti di poveri di spirito. I bianchi hanno tuttavia apportato qualcosa a questi popoli, la peggiore che essi potessero portare loro e cioè le piaghe del nostro mondo: il materialismo, il fanatismo, l'alcolismo e la sifilide. Per il resto, essendo il patrimonio culturale di questi popoli, superiore a ciò che potevamo donare loro, essi sono rimasti gli stessi».

 

La Spagna di Franco (10 febbraio 1945)

Come già in altra occasione il Führer ebbe a dire che in Spagna avevamo aiutato il porco sbagliato, ora qui egli amplia il discorso rapportandolo alle necessità di una guerra di enormi proporzioni alla quale la Spagna, passata la prima fase delle vittorie tedesche, si guardò bene dal partecipare. La Spagna poi, come sappiamo, paese di capitalisti di pochi scrupoli e di lestofanti clericali, fu una pedina dell'Atlantismo, fino a quando, nella visione neoradicale del mondialismo, venne silurata dalle stesse forze che l'avevano mantenuta in vita per gli interessi atlantici.

«A volte mi sono chiesto se nel 1940 non abbiamo sbagliato a non coinvolgere la Spagna nella guerra. Sarebbe bastato un niente per coinvolgerla: infatti essa ardeva dalla voglia di entrare, al seguito degli italiani, nel "club" dei vincitori (...) Sicuramente ciò ci avrebbe permesso di occupare Gibilterra. In compenso si sarebbero dovuto aggiungere chilometri di costa da difendere (...) In aggiunta andava considerata una possibile conseguenza: una ripresa della guerra civile alimentata dagli inglesi. Così ci saremmo trovati legati per la vita e per la morte a un regime di speculatori capitalisti manovrati dalla pretaglia! Non posso perdonare a Franco di non aver saputo, dopo la fine della guerra civile, riconciliare gli spagnoli; di avere accantonato i falangisti ai quali la Spagna deve l'aiuto che le abbiamo fornito, di aver trattato come banditi degli antichi avversari che non erano certamente rossi. Non è una soluzione mettere fuorilegge una metà del paese mentre una oligarchia di predoni si arricchisce sulla pelle di tutti con la benedizione del clero. Sono sicuro che tra i presunti rossi spagnoli vi fossero pochissimi comunisti. Noi ci siamo ingannati, perchè mai avrei accettato, conoscendo la situazione reale, di "risistemare" nei loro orribili privilegi i preti spagnoli».

 

La Germania e l'ebraismo (13 febbraio 1945)

Al di là di tante menzogne che sono state propinate dalla propaganda di guerra, la politica di Hitler aveva un fine preciso: l'espulsione degli ebrei dalla Germania.

«Il merito del nazionalsocialismo è quello di aver posto il problema ebraico in maniera realistica. Gli ebrei hanno sempre suscitato l'antigiudaismo (...) Una reazione xenofoba contro lo straniero che si rifiuta di adattarsi, di fondersi, che si cristallizza, si afferma e vi sfrutta. Il Giudeo è per definizione lo straniero inassimilabile e che rifiuta di assimilarsi. Ciò distingue l'ebreo dagli altri stranieri: egli pretende di avere in casa vostra gli stessi diritti di un membro della comunità pur rimanendo Ebreo (...) Il nazionalsocialismo ha posto il problema giudaico sul piano dei fatti: denunciando la volontà di dominio mondiale degli ebrei; attaccandoli sistematicamente su tutti i fronti; estromettendoli da ogni posizione da essi usurpata; braccandoli dappertutto con l'assoluta determinazione di liberare la Germania dal cancro giudaico (...) Gli ebrei si sono resi subito conto del pericolo, e questa è la ragione che li ha spinti ad ingaggiare un duello mortale contro di noi. Bisognava distruggere il nazionalsocialismo a qualunque prezzo, anche se il pianeta intero dovesse essere distrutto, Nessuna guerra, escludendo la presente, è stata tipicamente, così esclusivamente, una guerra ebraica. Io li ho comunque obbligati a gettare la maschera (...) Se vinco questa guerra metterò fine alla prepotenza giudaica, la ferirò a morte (...). Dico questo al di là di ogni sentimento di odio razziale: non è augurabile per nessuna razza mescolarsi con altre razze. Il meticciato sistematico, senza per questo negare buoni risultati fortuiti, non ha mai dato buoni esiti. (...) Non ho mai pensato che un Cinese o un Giapponese fossero inferiori a noi. Essi appartengono ad antiche civiltà ed ammetto pure che il loro passato sia superiore al nostro. Hanno ragione di esserne fieri, così come noi siamo fieri della civiltà alla quale apparteniamo (...) Il nostro razzismo è aggressivo solo nei confronti della razza giudaica. Noi parliamo di razza giudaica per comodità di linguaggio perchè non esiste, in senso proprio e dal punto di vista genetico, una razza giudaica. Esiste tuttavia una realtà di fatto a cui senza la minima esitazione si può attribuire questa qualifica e che, inoltre, viene ammessa dagli stessi ebrei. Si tratta dell'esistenza di un gruppo umano spiritualmente omogeneo a cui gli ebrei di tutto il mondo hanno coscienza di appartenere, quale che sia il paese di cui, sotto il profilo amministrativo, essi sono cittadini (...) La razza ebraica è prima di tutto una razza interiore. Se essa deriva dalla religione ebraica, se è stata in parte plasmata da quest'ultima, pur tuttavia la sua essenza non è puramente religiosa. perchè la razza ebraica comprende, alla stessa maniera sia gli atei dichiarati che i sinceri praticanti. A ciò bisogna aggiungere il legame rappresentato dalle persecuzioni subite nel corso dei secoli e che gli ebrei dimenticano sempre di aver provocato. È purtuttavia indubbio che ciascun ebreo celi nelle proprie vene qualche goccia di sangue specificatamente ebraico. Sarebbe altrimenti impossibile spiegare la permanenza tra loro di caratteri fisici che appartengono loro esclusivamente e che si ritrovano invariabilmente presso ebrei alquanto differenti, per esempio il polacco e l'ebreo marocchino (...) Una razza interiore è qualcosa di più solido, di più durevole che non una razza biologica. Trapiantate un Tedesco negli Stati Uniti e ne farete un americano. L'ebreo, dovunque egli vada, rimane un ebreo. È un essere naturalmente inassimilabile». (18 febbraio 1945).

«Fu solamente nel 1915 che il giudaismo mondiale decise di puntare tutto su gli Alleati. Nel nostro caso, invece, fu già dal 1933, fin dalla nascita del Terzo Reich, che il giudaismo internazionale ci dichiarò tacitamente la guerra».

 

Lo scoppio della Seconda guerra mondiale

Oggi ben sappiamo che la Seconda guerra mondiale venne progettata dalle potenti Lobby che sull'asse "City di Londra - Wall Street di New York", avevano pianificato le tappe di una strategia mondialista che nel frattempo e per prima cosa, prevedeva la totale distruzione della Germania nazionalsocialista. La seconda guerra mondiale non era altro che il secondo tempo di un atto già andato in onda tra il 1914 e 1918, ma che, a guerra finita, non aveva reso ancora possibile, l'avvento di un Nuovo Ordine Mondiale secondo certi dettami massonici e mondialisti. L'avvento degli stati nazional-popolari di Italia e Germania, aveva intralciato certi piani che oramai sembravano in dirittura di arrivo. Quindi la Germania doveva perire, ma soprattutto tutta l'Europa doveva essere scompaginata irreversibilmente.

Hitler, nel tentativo di controllare quegli avvenimenti e al contempo assicurare alla Germania lo sviluppo e la sicurezza necessarie, aveva dovuto accettare la sfida, anche perchè in prospettiva la situazione sarebbe sicuramente cambiata a vantaggio dei grandi paesi industriali, soprattutto gli USA.

«La fatalità di questa guerra consiste nel fatto che essa è cominciata da una parte troppo presto e dall'altra troppo tardi. Dal punto di vista militare era nostro interesse che cominciasse un anno prima. Avrei dovuto prendere l'iniziativa nel 1938 invece di lasciarmela imporre nel 1939; ciò perche la guerra era comunque inevitabile. Ma nulla ho potuto contro gli anglo-francesi che a Monaco hanno accettato tutte le mie richieste. (...) D'altra parte anche se la Provvidenza mi avesse concesso un esistenza personale così lunga da poter condurre il mio popolo al necessario grado di sviluppo sulla strada del nazionalsocialismo, è altrettanto certo che i nemici della Germania non l'avrebbero permesso». (14 febbraio 1945)

«Avevamo bisogno della pace per edificare la nostra opera. Ho sempre voluto la pace. Siamo stati costretti alla guerra dalla volontà dei nostri nemici. Inoltre, virtualmente, la minaccia di una guerra esisteva dal gennaio 1933, cioè fina dalla conquista del potere». (21 febbraio 1945)

«È stato alla vigilia di Monaco [settembre 1938 - N.d.R.] che mi sono davvero convinto che i nemici del Terzo Reich volevano avere la nostra pelle ad ogni costo e che con loro non sarebbero state possibili transazioni. Quando Chamberlain, l'esponente dell'Alta Borghesia capitalista, armato del suo ingannevole ombrello, si scomodò per venire a discutere al Berghof, con il "parvenu" Hitler, egli aveva già intenzione di muoverci una guerra implacabile. Era pronto a dirmi, non importa che cosa, nella speranza di confondermi. Il suo solo e unico scopo, nell'intraprendere il viaggio era quello di guadagnare tempo. In quel momento il nostro interesse sarebbe stato quello di colpire per primi e subito. Bisognava fare la guerra nel 1938. Era la nostra ultima occasione di fare una pace circoscritta. Ma essi hanno mollato tutto [a Monaco gli occidentali mollarono totalmente la Cecoslovacchia, con grande costernazione del presidente Ceco, il massone Benes, pur di arraffare qualche altro mese di pace per preparare la guerra - N.d.R.]. Hanno ceduto vilmente a tutte le nostre richieste. In queste condizioni sarebbe stato veramente difficile prendere l'iniziativa delle ostilità. (...) Benché nemmeno noi fossimo completamente pronti, saremmo stati in ogni caso meglio preparati dei nostri nemici».

Qui Hitler palesa una grande verità che solo storici in malafede tendono a nascondere: la politica di appeasement di Chamberlain era solo una diversa faccia di una stessa medaglia, che sull'altro lato riportava quella guerrafondaia di Churchill. L'appeasement era calibrato per consentire alla Gran Bretagna di prendere tempo, di riarmarsi gradualmente e di stemperare al suo interno ogni tendenza compromissoria verso un accordo globale con i tedeschi. Entrambi, Chamberlain e Churchill, pur con tattiche diverse, avevano lo stesso fine: la distruzione della Germania. Per conseguire questi fini, a Monaco gli inglesi cedettero tutto quello che era possibile cedere, ma da marzo 1939 in poi, le cose cambiarono e gli inglesi oramai in grado di sostenere una guerra, fecero sentire i "venti di guerra" a cominciare dalla Polonia spinta al suicidio.

 

L'attacco alla Russia

Anche su questo episodio oggi sappiamo che i tedeschi precedettero di un paio di settimane un attacco sovietico oramai in fase avanzata di preparazione. Fatto questo, cioè la dislocazione avanzata del dispositivo bellico sovietico, che consentì gli strepitosi successi iniziali dei tedeschi i quali poterono chiudere in una sacca intere armate sovietiche. Viceversa se i sovietici fossero riusciti ad attaccare per primi, come avevano progettato, per la Germania sarebbero stati guai seri.

In ogni caso, al tempo, anche a prescindere da questa necessità di anticipare i sovietici, Hitler non aveva scelta visto che era evidente che non poteva vincere la guerra con gli occidentali e che oramai l'America era in procinto di entrarvi.

Oltre al pericolo di essere preceduti da un attacco sovietico pertanto, vi era anche la certezza matematica che con il passare del tempo i rapporti di forza si sarebbero rovesciati a netto danno della Germania. URSS ed USA, in possesso di ogni materia prima necessaria, a differenza della Germania che ne era priva, avrebbero in due o tre anni conseguito un arsenale bellico invincibile. L'unica salvezza sarebbe stata, per i tedeschi, occupare i territori della Russia in poco tempo e chiudere lo spazio euro-asiatico, conseguendo anche l'accesso alle materie prime, realizzando una fortezza insuperabile. Quella del Führer quindi, la sua scelta di aprire un secondo pericolosissimo fronte, che con il senno del poi si è rivelata perdente, era una scelta obbligata. (15 febbraio 1945):

«Non ho avuto una decisione più grave da prendere, nel corso di questa guerra, quanto quella di attaccare la Russia. Avevo sempre sostenuto che bisognava evitare ad ogni costo la guerra su due fronti e nessuno dubita, d'altra parte, che io abbia meditato più di chiunque altro sull'esperienza russa di Napoleone. E allora, perchè questa guerra contro la Russia, e perchè nella data che io ho scelto? [22 giugno 1941 - N.d.R.] (...) Perchè il 1941? Perchè bisognava tardare il meno possibile, in quanto ad Ovest i nostri nemici non cessavano di accrescere la loro potenza. D'altra parte lo stesso Stalin non rimaneva inattivo. Su entrambi i fronti il tempo lavorava contro di noi. La questione non è dunque "perchè già il 22 giugno 1941", ma, perchè non più presto? Senza le difficoltà create dagli italiani con la loro idiota campagna di Grecia avrei attaccato la Russia con qualche settimana di anticipo (...) Il mio assillo nel corso delle ultime settimane, fu rappresentato dal timore che Stalin prendesse l'iniziativa prima di me (...) La mia decisione fu presa subito dopo la visita di Molotov a Berlino a novembre, perchè sapevo che a più o meno breve scadenza, Stalin ci avrebbe abbandonato per passare in campo avverso» (26 febbraio 1945)

«In definitiva, la mia decisione di regolare i conti con la Russia, fu presa nel momento in cui mi resi conto che l'Inghilterra si sarebbe intestardita. (...) Il comportamento dei Sovietici nell'estate del 1940, il fatto che essi avevano assorbito i paesi Baltici e la Bessarabia, mentre noi eravamo impegnati ad Ovest, non mi lasciava illusione alcuna per quanto riguardava i loro progetti. Supponendo che avessi avuto dei dubbi, la visita di Molotov in novembre, sarebbe stata sufficiente a dissiparli. (...) Saremmo stati costretti a cedere al ricatto dei bolscevichi per quanto riguarda la Finlandia, la Romania, la Bulgaria, e la Turchia. Questo evidentemente non poteva accadere».

 

Il peso dell'Italia

Hitler ha sostanzialmente ragione nel denunciare il peso negativo dell'alleanza con l'Italia, ma devesi anche considerare che l'Italia aveva una sua geopolitica da difendere, di stampo Euro-Asiatico, ovvero degli interessi che erano diametralmente opposti a quelli Britannici e, in questa ottica, pesava enormemente il pericolo di un accordo anglo-tedesco che Hitler cercava risolutamente di conseguire. Quell'accordo sarebbe stato per noi mortale, da qui la pratica da parte di Mussolini di una "guerra parallela" al fianco, ma non per la Germania. Certo fu un errore, tanto più ingigantito dal fatto che casa Savoia e gerarchie militari erano nascostamente filo occidentali. Oggi sappiamo bene che già nell'inverno del 1940, dico inverno 1940, falliti i presupposti di una breve e di fatto "finta guerra" con il conseguimento di un tavolo della pace, circoli di corte, industriali, massonici e militari e persino dello stesso Partito Nazionale Fascista pensavano a come buttare a mare Mussolini, uscire dalla guerra e salvare i loro interessi.

Per quanto riguarda poi la mancanza di una politica rivoluzionaria nel mondo arabo, che qui Hitler imputa all'Italia, questa carenza non va solo ascritta al ruolo negativo dell'Italia per quella politica, ma anche qui contribuì una remora di Hitler a spingere in ogni campo, compresa l'aria orientale dell'India, per rivoltare tutto l'Impero britannico. Quando si decise era oramai tardi. Insomma, in definitiva, mentre le diverse esigenze geopolitiche degli Alleati, erano strettamente controllate da certe consorterie mondialiste che riuscirono a mantenere saldamente nelle mani tutta la strategia bellica Alleata, di fatto Germania, Italia e Giappone condussero una guerra immane e totale, andando per conto loro, seguendo i rispettivi interessi geopolitici, con tutti i danni che ne derivarono.

«Giudicando freddamente gli eventi, facendo astrazione da ogni sentimentalismo, devo riconoscere che la mia indefettibile amicizia per l'Italia e per il Duce, può essere ascritta nel conto dei miei errori. Infatti è chiaro come l'alleanza con gli italiani abbia reso maggiori servigi ai nostri nemici, che non a noi stessi. (...) L'intervento con cui l'Italia, nel giugno del 1940, ha sferrato il calcio dell'asino ad una armata francese in liquefazione, ha ottenuto il solo effetto di offuscare una vittoria che i nostri vinti avevano allora accettato sportivamente. (...) L'alleato italiano ci ha intralciato quasi dappertutto. Ci ha impedito per esempio di sviluppare una politica rivoluzionaria nell'Africa del Nord. Per forza di cose questo spazio diventava una esclusiva italiana. (...) Tutto l'Islam vibrava all'annuncio delle nostre vittorie. (...) In queste regioni gli italiani risultano odiati più dei francesi e degli inglesi. Il ricordo delle barbare rappresaglie applicate nei confronti dei Senussiti vi permane sempre vivissimo. Inoltre la ridicola pretesa del Duce di essere considerato "la Spada dell'Islam" sollecita ancora il lungo sogghigno che suscitò prima della guerra. Questo titolo che conviene a Maometto e ad un grande conquistatore come Omar, Mussolini se lo era fatto attribuire da qualche povero cristo che aveva pagato o terrorizzato. (...) L'ingresso in guerra dell'Italia ha consentito quasi immediatamente ai nostri nemici di ottenere le prime vittorie (...) Benché già incapaci di mantenere le posizioni in Abissinia e in Cirenaica, gli italiani hanno avuto la disinvoltura, senza chiedere il nostro parere e senza avvertirci, di gettarsi in una campagna assolutamente inutile contro la Grecia (...) È là e non altrove che bisogna ricercare le cause dell'irrigidimento e del voltafaccia degli jugoslavi nel 1941. L'evento ci ha costretto, contrariamente ai nostri piani ad intervenire nei Balcani; di qui un catastrofico ritardo nell'avvio della guerra contro la Russia. (...) Le leggi della vita dimostrano che purtroppo è un errore trattare da pari coloro che non sono realmente vostri pari. Il Duce era un mio pari. Anzi, forse egli era a me superiore dal punto di vista delle ambizioni che nutriva nei confronti del suo popolo. Quel che conta però sono i fatti, non le ambizioni. (...) Ho detto spesso che laddove si trovava l'Italia, là era la vittoria, avrei dovuto dire che laddove è la vittoria, là si trova l'Italia! Il mio attaccamento nei confronti del Duce non è mutato, così come non è mutata la mia istintiva amicizia nei confronti del popolo italiano, Ma rimpiango di non aver dato ascolto alla ragione che mi consigliava di stabilire un rapporto d'amicizia brutale con l'Italia. Lo avrei fatto sia nell'interesse del Duce che in quello del suo popolo. So evidentemente che il Duce non mi avrebbe perdonato questo comportamento, so che si sarebbe adombrato. Ma per la mia indulgenza sono accaduti eventi che non erano fatali [pensando all'8 settembre ci sarebbe da dire: altro che eventi!! - N.d.R.]. La vita non perdona la debolezza». (17 febbraio 1945)

"Gli unici malintesi intervenuti tra il Duce e me sono stati originati dalle precauzioni che talvolta sono stato costretto a prendere. Malgrado la totale fiducia che riponevo in lui, ho dovuto lasciarlo all'oscuro delle mie intenzioni ogni volta che un indiscrezione avrebbe potuto nuocere ai nostri progetti. Se io avevo fiducia in Mussolini, lui aveva fiducia in Ciano, il quale a sua volta non aveva segreti per le belle femmine che gli svolazzavano attorno. (...)

[purtroppo non era solo un problema di Ciano, ma svariati ambienti di casa Savoia, militari, industriali e persino del partito nazionale fascista erano inquinati da elementi anglofili, anche quale retaggio di un nostro Risorgimento massonico. Il Vaticano poi è noto che aveva scelto, seppure con molta cautela e riservatezza, il fronte Alleato. Alcuni storici hanno addirittura sostenuto che gli inglesi nel nostro paese, avrebbero anche potuto fare a meno di sparpagliare il territorio di spie, in quanto erano "naturalmente" informati dappertutto].

Avevo dunque le mie buone ragioni per non dire tutto al Duce. E' spiacevole che questi non lo abbia compreso. e che anzi me ne abbia voluto fino a rendermi la pariglia".

Ed infine ecco con quale cruda e spietata realtà, ma sostanziale verità, il Führer fotografa la situazione del Duce e dell'Italia (2 aprile 1945):

L'Italia si era riallacciata alle ambizioni di Roma. Essa ne aveva le ambizioni, ma non le altre caratteristiche, un anima fortemente temprata e la potenza materiale. La sua sola carta era quella di essere guidata da un vero Romano. Quale dramma per quest'uomo! E quale dramma per questo paese! Per i popoli, così come per gli uomini è tragico avere delle ambizioni prive del supporto materiale indispensabile, o addirittura della stessa possibilità di creare questo supporti». (20 febbraio 1945)

 

La truffa delle ideologie

È indubbio che nazionalsocialismo e fascismo siano state strutture ideologiche e politiche di stampo nazional-popolare adeguate ai tempi moderni e che oltretutto rientrano in quel mondo tradizionale che ha solcato lo spazio e il tempo della storia. Ma è altrettanto vero che Hitler ha sempre giocato pulito senza propagandare impossibili utopie, anche se questo ha finito per restringere il nazionalsocialismo ad un fenomeno pangermanico. Carenza questa che comunque fu superata poi nel corso della guerra, con la partecipazione comune degli europei e dei fascismi europei alla lotta contro il bolscevismo e per una guerra del «sangue contro l'oro».

«Il nazionalsocialismo si interessa soltanto dell'umanità tedesca, ricerca soltanto la felicità dell'uomo germanico. Gli universalisti, gli idealisti, gli utopisti, guardano troppo in alto. Promettendo un paradiso inaccessibile ingannano tutti. Qualunque sia la loro etichetta, si chiamino Cristiani, Comunisti, Umanitaristi, siano sinceri o stupidi o imbroglioni e cinici, ebbene costoro sono tutti fabbricanti di schiavi (...) Mi sono limitato a promettere ciò che potevo mantenere e che avevo intenzione di mantenere. Questa è una delle ragioni dell'odio universale che ho suscitato. Evitando di promettere l'impossibile, come tutti i miei nemici, ho falsato le regole del gioco. Mi sono posto al di fuori dell'accolita dei demagoghi il cui scopo, tacito e inconfessato, è lo sfruttamento della credulità umana». (21 febbraio 1945):

«[I russi] Hanno inoltre, grazie alla religione marxista, tutto il necessario per rendere un popolo paziente. Promettono la felicità sulla terra (il che distingue la religione marxista dalla religione cristiana), ma nel futuro. Il giudeo Mardochai Marx, da buon giudeo, attendeva il Messia. Egli ha trasposto il messia nel materialismo storico, ponendo la felicità terrena al termine di un processo evolutivo quasi senza fine. La felicità è alla vostra portata, ma bisogna che lasciate procedere l'Evoluzione, senza precipitarla. Con un trucco come questo si dominano gli uomini! (...) Ma che cosa pensare del Cristianesimo, altro figlio del giudaismo, il quale può permettersi di concedere la felicità ai suoi fedeli solo nell'altro mondo? È incomparabilmente più forte. Quanto a me sono preda della fatalità che mi impone di compiere tutto nell'arco di tempo di una breve vita umana. Io mi ispiro ad una dottrina realista, legata a fatti tangibili, tributaria di promesse che debbono incarnarsi e che mi impedisce di promettere la luna» (25 febbraio 1945)

 

L'ultima speranza dell'Europa

E terminiamo qui questa, purtroppo per ragioni di spazio parziale, rievocazione storica, riportando, da prima, una osservazione di Hitler del 6 febbraio 1945:

«Il nemico ha raccolto tutte le proprie forze in vista dell'assalto finale. Essi non vogliono soltanto vincere, vogliono schiacciarci, vogliono distruggere il nostro Reich, cancellare la nostra Weltanschauung, asservire il popolo tedesco per punirlo a causa della sua fede nazionalsocialista».

Ed infine, un ultima grande verità di Hitler, che oggi possiamo constatare quanto sia reale e veritiera, pronunciata il 26 febbraio 1945: «Io sono stato l'ultima speranza per l'Europa».

 

Maurizio Barozzi          

Condividi