Italia - Repubblica - Socializzazione

 

Universalità romana e universalismo moderno

 

Roberto Sestito

 

«Bisogna assolutamente che anche in Occidente esista ed abbia socialmente il suo posto una vera gerarchia spirituale, esperta nelle scienze sacre; altrimenti invece di civiltà occidentale si dovrebbe parlare di barbarie»

 

 «Non temiamo di affermare che la inesistenza di una vera gerarchia in Occidente, visibilmente e socialmente conosciuta e riconosciuta, è la più grave deficienza della civilizzazione occidentale e la sorgente massima di tutti i suoi mali»

 

Arturo Reghini

 

Universalità e universalismo: non è un gioco di parole o una contorsione semiotica. Nel Vocabolario etimologico di Ottorino Pianigiani universalità e universalismo non compaiono, mentre il Devoto cita la voce universalità come derivazione dal latino tardo universalitas.

            Lasciando da parte le etimologie, scopriamo che le due parole, lette in una prospettiva storica, corrispondono a due diverse ed a volte opposte concezioni del mondo.

            Con alcune sfumature ed accentuazioni da un'epoca ad un'altra, l'universalismo religioso è stato il cavallo di battaglia del cristianesimo: dalle origini, passando per il Medio Evo fino ad oggi, la religione cristiana non solo non ha mai rinunciato alla sua supposta missione evangelica universale, ma continua a difenderla e a proporla in tutte le salse e in tutte le occasioni.

            Ma, come vedremo, l'universalismo cristiano è figlio illegittimo e deforme dell'unico vero universalismo che ha avuto l'Occidente: l'universalità romana.

            Sul profondo solco tracciato da preti e pastori nelle coscienze dei cittadini ha fatto infine breccia l'universalismo economico e quello politico. Il primo, come predominio del sistema capitalistico e dell'espansione della democrazia ad esso alleata in tutto il mondo unitamente al fenomeno della globalizzazione dove i meccanismi economici rispondono tutti alle stesse regole in tutti continenti concepiti come un mercato unitario globale. Il secondo, come una ideologia che ha il fine di realizzare l'unificazione di tutti i poteri e delle istituzioni del mondo (soprattutto quelle finanziarie) sotto un'unica guida attraverso strumenti politici, culturali e soprattutto economici.

Ciò non impedì a Massimo Scaligero nel 1938 di servirsi nel suo libro "La razza di Roma" della voce universalismo in questi termini: «… il carattere intimo che ha distinto in ogni epoca la romanità da altre forme di civilizzazione e di cultura è stato l'universalismo e che questo, nella sua vastità, è stato sempre superatore di "naturalismo", epperò anche di un razzismo naturalistico con applicazioni semplicemente biologiche ed igienico sociali. Questo universalismo romano (…) tende ad abbracciare, a comprendere e a ad unificare, come fece la Roma dei Re e della Repubblica riguardo alle diverse genti italiche, come fece la Roma dell'Impero riguardo all'Occidente e a tutto il mondo allora conosciuto».

Ma Reghini aveva già chiarito nell'articolo del 1924 "L'universalità romana e quella cattolica" che se vogliamo parlare di universalità romana occorre prima di tutto assurgere alla consapevolezza dell'unità e continuità dell'Occidente attuata dall'Impero Romano (…) e che se non esiste più nell'unità politica ed in quella religiosa, esiste ancora oggi nei caratteri comuni della civilizzazione occidentale.

            È evidente però che dell' universalità romana si va perdendo il ricordo e la cognizione, mentre vediamo l'universalismo moderno dominare ed impazzare nei libri e sui giornali ed usato quasi sempre accanto alle parole mondialismo e globalizzazione di cui si tessono le lodi in modo da non lasciare spazio al lettore di riflettere e in modo che il lettore si convinca che mondialismo e globalizzazione non sono altro che il complemento naturale dell'universalismo.

            Un giudizio preciso sul mondialismo e sulla globalizzazione lo ha espresso lo storico Maurizio Barozzi in una lettera inviatami qualche tempo fa. Ne cito alcuni brani: «Oggi sta andando in porto il sogno di un governo mondiale che si concretizzi in un esercito e una polizia planetaria, una economica globalizzata, possibilmente una moneta unica, una cultura massificata e perché no, una lingua omnicomprensiva, e così via, dove ogni differenza, anche religiosa, non deve essere altro che un fattore trascurabile, endemico e folcloristico. Ovviamente tutto sotto un unico controllo dell'informazione mondiale. Opportuno sarà anche il raggiungere in ogni parte del mondo un livello di promiscuità razziale che, come molteplici esperienze storiche hanno dimostrato, abbassa notevolmente il livello di capacità tecniche, intellettive e volitive delle nazioni e ne resetta la loro memoria storica, in modo che non possano sorgere reazioni a questo Nuovo Ordine Mondiale. Anche la promiscuità sessuale con le mode, dettate da stilisti e centri culturali omosessuali e/o mondialisti, che imporranno sempre più l'unisex, dovrà essere incentivata al massimo perché il suo diffondersi stravolgerà i rapporti familiari e interpersonali ed è funzionale ad una anestesia e rimbambimento del genere umano. (L'eccessiva importanza che i media danno ai movimenti gay e alla promiscuità razziale è funzionale a questa strategia - Nda) Di fronte a questo gravissimo pericolo che ci minaccia tutti, non è più tempo di nazionalismi, guerre di religione, fascismo-antifascismo, e così via, tutte componenti che hanno esaurito il loro ciclo storico. Del resto lo stesso cristianesimo sta sempre più rientrando in quella vagina ebraica dalla quale a suo tempo è uscito fuori. Così come non è più un baluardo quella società borghese, naufragata negli anni '60 vista la profonda discrasia che si palesava nel parlar bene dei padri, negli sbandierati valori di famiglia borghese, ma che non trovava rispondenza negli atti quotidiani, cosa questa che venne immediatamente percepita dai giovani sessantottini. Altrimenti quella contestazione, nonostante le trame dei centri di sovversione occidentale, non sarebbe mai stata possibile».

 

Non voglio cadere nell'errore in cui incorrono generalmente gli intellettuali di destra, di apparire un nostalgico di quell' imperialismo in orbace e stivaloni che ha fatto più danni che bene all'idea dell'universalità romana.

I politici reazionari sono abili nel fare sognare i giovani, facendo loro credere che «si stava meglio quando si stava peggio», banalizzando così un concetto che potrebbe essere preso in considerazione solo se si facessero le giuste comparazioni tra la realtà di oggi e quella di ieri. Qualcuno, portando agli estremi questo modo di pensare, è arrivato finanche a dire che si stava meglio quando comandavano i democristiani, quando cioè viveva Montanelli e diceva di votare DC turandosi il naso.

            Sarebbe invece necessario uno studio comparato che dovrebbe coinvolgere prima di tutto l'antropologia, cioè la conoscenza dell'uomo di oggi e di ieri nelle sue componenti fisiche e spirituali, senza il quale non si potrebbe in alcun modo capire il passato in funzione del presente. Gusti, idee, esigenze dell'uomo di oggi sono ben diversi da quelli degli anni '30, sicché diventerebbe difficile se non impossibile impostare un dialogo con l'uomo moderno usando tematiche e concetti cari all'italiano di 70 anni fa.

            Alain de Benoist in un'intervista rilasciata alla rivista "Novum Imperium" ha centrato il problema dicendo: «Altra forma di impolitica è porre problemi politici in modo che non siano risolvibili, come in ogni forma di "restaurazionismo", cioè opponendo al mondo com'è questa o quella forma del passato, col pretesto del "meglio prima».

            Quel che è stato "prima" è già passato ed è stato possibile realizzarlo in primo luogo perché sono esistiti uomini geniali, creativi, capaci di "inventare", traendo dall'imperituro mondo delle idee, un modo di vivere nuovo per la società in cui operavano. Un "nuovo" che però era "nuovo" solo per il modo come veniva proposto agli uomini, i quali in apparenza sono sempre assetati di novità ma che, come i bambini, finiscono per alimentarsi sempre con la stessa zuppa preparata dalle "grandi menti" dell'umanità.

            Il "genio" italiano, che non ha eguali in nessun angolo della terra, è stato sempre chiamato ad uno sforzo aggiuntivo, perché oltre al fatto di dover "evocare" (non è un caso l'importanza che veniva data agli oracoli nella tradizione italica) dal passato le idee giuste per il presente, ha dovuto in pari tempo guardarsi e difendersi dalle contraffazioni e dai tradimenti che subito si fanno minacciosi per vanificare gli sforzi dei nostri figli migliori. Da Meucci a Majorana gli esempi non mancano.

 

            Vengo adesso ad un esame più ravvicinato dell'universalità quale espressione dell'antico genio italiano e della sua maschera ghignante, l'universalismo moderno che oltre a farsi gioco dell' universalità, quando raramente ne parla, la presenta per quella che non è in quanto la mette al servizio di un sistema di idee false ed arretrate.

            «Ma in Occidente si fa gioco di maschera: -scriveva Guido De Giorgio su "UR" nel 1928- una maschera compare e scompare: brivido entusiasmo -<è un genio>- un connu enterré: e tira via: e di grado in grado l'Occidente si sprofonda».

            Quando agli inizi del secolo XX° l'Italia unita aveva riscoperto l'idea imperialista e la possibilità di restituire la nazione tutta al suo ruolo politico internazionale, un'elite di studiosi e di artisti si era messa alacremente al lavoro. Firenze fu il centro del risveglio dell' antiquissima Italorum sapientia e gli intellettuali che accorsero da ogni parte d'Italia per unirsi ai pionieri di questa scapigliatura toscana diedero vita a diverse manifestazioni del pensiero, nell'arte, nella musica, nella poesia. Non ultimo anche nella politica perché l'imperialismo pagano con la sua universalità fiorì per merito di quei pochi geni che lo seppero "evocare" dal passato e proiettare nel futuro.

            L'universalità, germogliata dagli strati più profondi della mentalità italica e pagana, prendeva forma sulle pagine delle riviste, entrava nei discorsi che si facevano ai tavoli dei celebri caffè fiorentini e romani, appariva nei programmi dei movimenti nazionalisti politici più all'avanguardia e rivoluzionari del tempo, impregnava di sé le coscienze più ardimentose e riaccendeva il cuore degli italiani sulla spinta delle nuove istanze sociali e delle rivendicazioni economiche.

            Era un'esigenza sentita dalla gente, dal contadino al calzolaio all'operaio, dal carrettiere al professore di scuola, era il popolo di allora, attivo, vivace, con tanta voglia di vivere che trovava il suo giusto complemento e completamento nel sogno mai tramontato di una civiltà universale, una civiltà vera che non parlava il linguaggio dei mercati e dei bottegai e che non poteva tramontare: non era questo infatti il vaticinio che gli antichi dei immortali avevano pronunciato e che risuonava ancora nella memoria di ogni studente di letteratura latina?

            Il vaticinio dell'impero eterno reso noto da Virgilio si attualizzava nella "universalità romana" di cui si occuparono alcuni scrittori del tempo. A Firenze, gli avventori delle Giubbe Rosse e i futuristi a cominciare da Giovanni Papini, Giovanni Amendola, Giannotto Bastianelli, Arturo Reghini ed altri, dopo proverbiali discussioni e salutari bevute sciamavano per le vie di Firenze inneggiando all'imperialismo pagano e all'interventismo in guerra.

            L'universalismo moderno in quanto maschera e rovesciamento dell'idea di universalità che ebbe origine a Roma, non si limita all'esercizio a cui è votato, ma si produce in preoccupanti invasioni di campo, tanto da apparire un'ideologia totalitaria e distruttiva, secondo una tendenza inaugurata dalle democrazie anglosassoni nell'ultima guerra, per cui il nemico non va rispettato e onorato, ma diffamato e processato.

            In ciò credo che l' universalismo mostri la sua vera faccia demoniaca e riveli la specifica funzione di distruggere un mondo, senza peraltro portare in se la semenza di un mondo nuovo. È evidente che agendo così l'universalismo come d'altronde tutti gli -ismi moderni che gli sono affini (l'elenco sarebbe lungo) si distacca dal principio unitario che è un principio di bene e di salute, per cadere nel molteplice causa di disgregazione e di morte.

            Nel parlare di universalità romana occorre prima di tutto assurgere alla consapevolezza dell'unità e continuità dell'Occidente attuata dall'Impero Romano, mentre l'allontanamento da questo principio è pari a un movimento centrifugo che causa la parcellizzazione della società e delle idee e le cui conseguenze sono imprevedibili e indefinibili, non ultimo un caos incontrollato.

 

«Essere interi nel frammento»

 Tao-Tȇ-Ching

 

«l'estremo tormento umano, la più inestinguibile sete degli uomini è il pensiero dell'universalità…»

 Merezkovskij, Napoleone

 

Il futuro dell'Europa, si legge con sempre maggiore frequenza, è segnato da una lenta decadenza e il collante della moneta unica che tiene apparentemente unito il vecchio continente non si regge sul consenso dei popoli o per volontà di un imperatore, ma su uno stato di necessità artificioso e denso di incognite: il caso Grecia è esemplare. Da un punto di vista spirituale la crisi della Grecia, con la probabile vendita dell'Acropoli e di altri luoghi sacri dell'antichità ai privati e alle istituzioni finanziarie internazionali, rappresenta di fatto la spoliazione e simbolicamente la spersonalizzazione totale e definitiva di un popolo e quindi il declassamento della nazione, che ha dato al mondo la filosofia e la libertà di pensiero, da stato sovrano a una SpA.

            Le competizioni economiche, gli egoismi e gli appetiti delle lobby mercantili e finanziarie, richiederebbero, per essere mantenute sui giusti binari, l'intervento dello Stato, non di uno Stato che si sostituisca ad esse e faccia peggio, ma di uno Stato che imponga con la sua autorità la giustizia sociale e che si faccia rispettare.

            Ma visto che i poteri dello stato nazionale verranno progressivamente trasferiti all'autorità di uno stato sovranazionale europeo e che tale tendenza, mano a mano che si accentua e si concretizza, farà venir meno l'interesse popolare nei confronti del governo nazionale, è necessario che si definisca in tutti i suoi futuri aspetti l'Autorità del futuro stato europeo e le fonti di questo potere.

            Il richiamo da parte delle chiese e dei partiti ad esse vicini a presunte radici cristiane dell'Europa non può che essere motivato dalla necessità di tutela degli enormi interessi economici e patrimoniali e delle guarentigie fiscali che i governi danno loro, nonché dal ruolo di arbitri che tali chiese vorrebbero conservare in vista di possibili conflitti di varia natura che in Europa potrebbero esplodere prima che il futuro stato prenda forma: in poche parole sotto le spoglie dell'autorità spirituale e in mancanza del potere temporale le religioni cristiane non vogliono rinunciare al privilegio di poter contare nella stanza dei bottoni.

            Nello stesso tempo e da un altro punto di vista tale aspirazione è l'implicito riconoscimento che in Europa si avverte tuttora il bisogno di un'autorità spirituale unitaria, esigenza sempre sentita fin dai tempi dell'impero romano e perpetuatasi, nel bene e nel male fino ai nostri giorni. Quel che non deve accadere è che questa autorità vada a finire nelle mani sbagliate.

            Se l'autorità sulla quale si dovrà fondare la futura carta costituzionale d'Europa finisse in mani sbagliate, non sarà che motivo di nuovi conflitti con diversi strati della società europea, specialmente se tale potere si ispirasse ai principi delle chiese che non possiedono non solo le radici culturali e spirituali che esse reclamano, ma nemmeno l'autorità morale per frenare gli eccessi materialistici delle masse in una società libera e opulenta, facile preda di quell'universalismo politico ed economico che attraversa i confini di nazioni e continenti facendosi beffa sia della volontà popolare che dei sistemi politici.

            Esiste come si sa un paese-continente con vocazione universalistica che aspira all'egemonia globale e l'Europa prossima ventura si vedrà chiamata a fare i conti non solo con il suo passato, ma con la necessità di dover costruire un suo futuro, che ci auguriamo non sia quello imposto e voluto dall' imperialismo moderno. E qui salta fuori, per ineluttabilità storica ed etica, la diversa concezione del mondo di cui parlavo all'inizio dell'articolo: la nostra universalità finirà prima o poi per entrare in rotta di collisione con l'universalismo degli altri.

 

            Paesi come la Cina, la Russia, la Turchia e lo stesso Israele si sforzano giornalmente di costruire un futuro sulla base di un ruolo politico che la storia e la geografia hanno loro assegnato. La Cina ritrova l'antica potenza imperiale, la Russia si lusinga con le mire imperialistiche degli zar, Israele addirittura si rifà ai miti della Bibbia per giustificare la sua presenza in terra palestinese e anche la Turchia, sotto il velo islamico, accarezza l'antico sogno dell'impero ottomano.

Perché l'Europa non dovrebbe fare altrettanto? Perché l'Europa non dovrebbe essere in condizione di superare i complessi di colpa e le divisioni civili e religiose che l'hanno dilaniata per secoli e di riorganizzarsi nei termini dell'unica grande unità politica e spirituale che fu quella dell'impero romano e dell'universalità romana?

Il concetto di universalità, appunto perché di origine romana, non solo è legato alla saturnia tellus, ma alla potenza che da essa ne scaturisce. Ecco perché l'universalismo moderno, apolide e svincolato da questo principio ancestrale è destinato prima o poi a fallire in Europa. L'Europa non sarà mai se stessa senza l'universalità romana e l'universalità romana avrà bisogno del suo territorio per tornare ad agire ed esercitare la sua influenza e il suo potere.

Un ostacolo è nella confusione che si continua a fare tra valori spirituali e valori religiosi e nell'ostinazione, nonostante i numerosi studi apparsi sull'argomento, a voler identificare i valori dello spirito con una sola religione che a parte ogni cosa non è di origine europea. È questa la ragione per cui nel passato è stata negata all'universalità romana, quella vera che affonda le sue radici nella Roma imperiale, la funzione che le sarebbe spettata per antichità e prestigio.

            La debolezza dell'Europa va quindi ricercata nell'intrinseca fiacchezza dei suoi valori etici e religiosi e non nelle vicende economiche che non potrebbero giammai intaccarne la credibilità se solo avesse fiducia in quei valori spirituali che dice di rappresentare e di difendere.

            L'opera a cui è chiamata l'Europa è sicuramente titanica e non ha precedenti nel suo recente passato. Oltre al dovere di costruire uno stato continentale su nuove basi spirituali (nuove in quanto è un'opera di ricostruzione e di rinnovamento) deve respingere la minaccia che viene da più parti alla sua integrità etnica ed alla sua indipendenza economica.

            Nello stesso tempo deve impegnarsi, estraendoli dalle sue viscere culturali e mobilitando le sue università i mezzi e le idee per affrontare le ultime sfide tecnologiche , una latente conflittualità sociale ed una penuria di risorse primarie che potrebbero esporla a pericoli ben più gravi di quelli attuali.

            Se oggi l'Europa dell'euro trema per la situazione di un solo paese come la Grecia, si immagini a quali conseguenze peggiori una crisi di altre proporzioni potrebbe esporla. Come dicevo prima il mondo si va organizzando in blocchi continentali di grandi dimensioni, con carattere omogeneo e su basi geo-politiche ed è prossimo il tempo in cui la globalizzazione americana, esaurito il suo ciclo, dovrà cedere il passo ai blocchi organizzati e rinunciare alle sue mire egemoniche.

            Ogni paese e continente si sentirà sempre di più libero e sovrano di decidere il suo sistema di governo e sarà cosciente che è terminata l'epoca del colonialismo culturale, economico e religioso, dell'esportazione delle religioni, della democrazia e dei diritti umani. Ogni popolo sarà consapevole dei propri diritti e doveri e non deve nutrire la pretesa di imporre e di insegnare ad altri come vivere, come alimentarsi e come divertirsi. Questa è la vera libertà che i grandi apostoli dell'umanità come Giordano Bruno e Giuseppe Mazzini additarono ai popoli.

E non è certo un caso che "Il Sole 24 ore", giornale di indirizzo puramente economico, portavoce del mondo industriale, prendendo spunto dalla situazione ellenica concludeva un'analisi sulla situazione europea scrivendo: «… pare a me doveroso sottolineare che la soluzione possibile a questa inquietante crisi economica e finanziaria può passare solo da una maggior vocazione europea di tutti i Paesi membri, a incominciare dal nostro, per darsi finalmente una vera Costituzione federale, purtroppo finora abortita». (12-06-2011).

            Parafrasando Reghini mi chiedo: esiste oggi in Europa, un'organizzazione, un movimento di carattere universale, capace di soddisfare ai bisogni spirituali di tutti e di fornire quella base di sapienza spirituale, senza la quale la nostra civiltà rischia di rimanere la civiltà delle macchine, dei mercati, del denaro? E poiché egli escludeva che la scienza e le religioni si potessero far carico di un ritorno all'universalità romana, auspicava che fosse un'élite di sapienti ad assumersi il non facile incarico.

            «Sono molti i legami che uniscono l'universalità romana a tutti quei popoli europei che più o meno direttamente nella lingua, nella mentalità, nella legge, nell'amministrazione, nell'arte hanno derivato dagli Imperi Romani d'Oriente e d'Occidente gli elementi della loro civiltà» e quindi concludo dicendo che una tale organizzazione, se esiste, non deve perdere tempo e deve impegnarsi nell'elaborazione di un progetto politico che superi le antiche e nuove divisioni e miri all'unità vera di questo antico e glorioso continente. Per il bene dell'Europa, per il bene di tutti.

 

Roberto Sestito     

   

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