Riceviamo dall'ISM - Italia e pubblichiamo
ISM-Italia Comunicato
stampa 2010/01/15/01
A Gaza con il Viva
Palestina Convoy
Diana
Carminati e Alfredo Tradardi (Torino, 15 gennaio
2010)
Questo comunicato stampa è una breve sintesi delle vicende del "Convoy to Gaza"
inglese. Ci riserviamo di dare un seguito con una analisi politica più
approfondita.
Quello che va sottolineato e ribadito è che il successo del Convoy to Gaza è
dovuto alla determinazione politica di tutti/e i partecipanti. Nessuno tra gli
organizzatori e tra i partecipanti ha mai messo in dubbio l'obiettivo del
convoglio: entrare a Gaza. Questa determinazione ha permesso al convoglio di
superare tutte le difficoltà frapposte dal governo egiziano in combutta con
quello israeliano.
Abbiamo partecipato, unici italiani, al Viva Palestina Convoy, organizzato da
Viva Palestina (VP) (www.vivapalestina.org)
e animato dal deputato britannico George Galloway. Il convoglio, partito da
Londra il 6 dicembre 2009, ha attraversato Belgio, Germania, Austria, Italia,
Grecia, Turchia, Siria, Giordania ed Egitto ed è arrivato, dopo infinite
difficoltà, a Gaza la sera del 6 gennaio 2010.
Per quanti/e sono partiti/e da Londra l'odissea è durata un mese! Al convoglio
formato in partenza da 350 attivisti/e britannici (molti delle comunità
musulmane inglesi) da una delegazione della Malesia, e da 150 automezzi e
ambulanze, si sono successivamente uniti un gruppo belga, una forte delegazione
turca di circa 90 persone e 60 automezzi e ambulanze e circa 60 giovani di Viva
Palesatine US. In totale circa 500 persone e circa 200 automezzi.
Come ISM-Italia, avevamo consegnato in Italia al convoglio, 10.000 euro di
medicinali, forniti dalla Cooperazione Internazionale della Regione Piemonte.
Abbiamo raggiunto il convoglio a Damasco il 21 dicembre e proseguito per la
Giordania, con una straordinaria accoglienza della popolazione nei piccoli paesi
attraversati, nelle città, con momenti di incontro con le comunità musulmane
locali (ad Amman hanno raggiunto il convoglio anche tre rabbini del gruppo
Naturei Karta), con il dono di cibo, acqua e dolci. A Damasco siamo stati
ospitati a cura del governo siriano in un moderno complesso turistico alla
periferia della città, sia il 21 dicembre, sia quando siamo passati di nuovo per
raggiungere il porto di Lattakia. Ad Aqaba, bloccati dal rifiuto dell'Egitto di
poter proseguire nel Sinai, per raggiungere Gaza, ormai a meno di 200 km, il 27
dicembre giorno dell'inizio dell'attacco israeliano del 2008, alcuni alberghi
hanno messo a disposizione gratuitamente le loro stanze e offerto cibo a tutti.
L'Egitto, malgrado gli accordi precedentemente sottoscritti con Viva Palestina
ha posto tre condizioni:
* di arrivare al porto di El Arish
* di accettare il permesso di ingresso a Gaza da parte israeliana
* di consegnare i materiali all'UNRWA
Queste due ultime condizioni sono state respinte dal convoglio.
Siamo stati comunque costretti a tornare in Siria sino al porto di Lattakia con
un ulteriore viaggio di circa 800 km. Qui, dopo lunghe trattative della
delegazione di VP, del governo siriano e turco con quello egiziano, tutti i
mezzi sono stati fatti salire su una nave turca e le persone divise in 4 gruppi
trasferite con voli charter all'aeroporto di El Arish.
Da quel momento infiniti ostacoli e continui nuovi raggiri sono stati posti
dalle autorità egiziane: attese lunghissime all'aeroporto di El Arish per la
verifica dei documenti, per alcuni gruppi oltre le sei ore, per altri una notte
intera senza cibo e acqua, portati poi dalla croce rossa egiziana, senza
sufficienti bagni, con l'appello finale per restituire i passaporti, gridati, i
nomi, con voci rauche che ricordavano il Raus nazista, sino alla "detenzione"
nel compound del porto e all'attacco pianificato da parte della polizia egiziana
a sera inoltrata.
La polizia egiziana, giunta in forze (circa 2.000 poliziotti) e in assetto
antisommossa, con decine di furgoni (della Iveco) nella tarda serata del 5
gennaio, ha iniziato a provocare chi manifestava per la chiusura dei cancelli e
per il rifiuto egiziano di far entrare a Gaza alcuni veicoli. Hanno iniziato a
lanciare sacchi di sabbia e pietre e successivamente a picchiare e arrestare
chiunque fosse sotto tiro. Personalmente siamo stati testimoni dell'arrivo
successivo, verso mezzanotte, di circa 200 giovanissimi poliziotti egiziani
senza uniforme ma con sacchi di grosse pietre. Il bilancio, il giorno
successivo, è stato di 55 feriti e 7 arrestati (fra cui due giovani attivisti
del gruppo US Viva Palestina, con cui avevamo condiviso il lungo viaggio e che
erano stati con noi poco prima).
E che oltre 500 attivisti filo-palestinesi siano stati attaccati con pietre,
l'arma della prima intifada palestinese, da la misura del grottesco con il quale
si è mossa la polizia egiziana.
Nella tarda mattinata del 6, George Galloway, dopo lunghe e stressanti
mediazioni, ha annunciato la liberazione degli arrestati e l'entrata nella
striscia di Gaza per tutto il Convoy, tranne 59 veicoli alcuni dei quali con
grosse apparecchiature e generatori, che Israele pretendeva passassero per Kerem
Shalom. La delegazione turca ha spiegato poi che saranno destinati ai campi
profughi palestinesi in Siria e Libano.
L'uscita dal compound e l'arrivo a Rafah hanno occupato tutto il pomeriggio e
parte della notte tra il 6 e 7 gennaio. L'entrata nella Striscia di Gaza, con
gruppi di palestinesi che offrivano garofani a tutti gli attivisti e attiviste
nei veicoli ha ripagato tutti delle fatiche e delle lunghe attese. Uno dei
ragazzi del nostro autobus, del US Viva Palestina, picchiato e con la testa
fasciata, al suo arrivo ha detto di voler tenere il suo sangue sulla maglietta,
come simbolo del sangue di tutti i palestinesi.
Secondo il Palestinian Center for Human Rights a Gaza sono entrate 482 persone e
130 veicoli del convoglio.
Il giorno 7 ci sono state le grandi manifestazioni di consegna dei veicoli e
degli aiuti (medicinali innanzitutto, protesi, pacchi di materiale scolastico
ecc.), l'incontro con le autorità del governo di Hamas, con un lungo discorso di
ringraziamento del premier Haniyeh, che è il primo ministro legittimo dell'ANP e
non semplicemente il primo ministro de facto a Gaza, ma anche con molti ragazzi
e ragazze, con donne che volevano conoscere personalmente chi era riuscito ad
arrivare sino a loro. «Da dove vieni, come ti chiami, perché sei venuto a Gaza?»
erano le domande più frequenti durante tutto il giorno. «Vieni a casa mia, ti
invito, stai con la mia famiglia». Era rilevabile, specie fra i più giovani
l'ansia di parlare con «chi sta nel mondo di fuori», un'ansia, talora aggressiva
nei giovani uomini, che tradiva il trauma subito non solo nel gennaio 2009, ma
negli anni passati, trauma che la popolazione continua a subire, per la chiusura
delle comunicazioni con l'esterno e per la paura di un'altra aggressione, "The
Second Gaza War", di cui molti parlano e che già si legge nei giornali
israeliani.
All'uscita il giorno dopo (poiché ci erano state "concesse" dal governo egiziano
solo 48 ore di permanenza nella Striscia), si aspetta l'apertura del valico per
circa 8 ore (ormai è chiaro che gli egiziani non vogliono mostrare la presenza
del convoglio agli abitanti del Sinai, perciò si viaggia sempre di notte). Alle
18,30 si aprono i cancelli e si entra in territorio egiziano. Chiusi fra i muri
di cemento costruiti da israeliani ed egiziani, pensiamo a come ci si può
sentire quando si vive in queste condizioni da anni. Alcuni palestinesi presenti
ci informano che nella notte sono state colpite e distrutte case vicino a Khan
Younis e uccisi 3 civili, compresa una bambina di pochi mesi. Terminate le
procedure, ci fanno entrare negli autobus, contati più volte dai poliziotti; gli
autobus vengono chiusi e, scortati da decine di furgoni di polizia, si parte per
una lunga notte. Siamo in stato di arresto per essere deportati dall'aeroporto
del Cairo come persone non grate. Alcuni autobus si rompono e si fermano nella
nebbia e nel freddo del deserto. Si cambia autobus sotto un controllo duro con
decine di poliziotti intorno. Spesso non permettono che donne e uomini possano
scendere per le loro "esigenze primarie". Lo permettono solo quando si urla.
Così "deportati" (se con noi "normali" attivisti è questo il trattamento,
possiamo immaginare come trattano i migranti clandestini e i palestinesi), si
arriva all'aeroporto del Cairo, dove si aspetta ancora. È certamente una
"punizione collettiva", a cui ormai vengono addestrati anche i poliziotti
egiziani. Ci tolgono i passaporti. Senza cibo e con scarse toilette. Molti non
hanno più il biglietto, alcuni, specie fra i giovani, non possono pagarsene un
altro e non possono quindi essere portati nei terminal. Perciò aspettano in
"detenzione" in attesa dell'intervento della relativa ambasciata. Via via che
ciascuno/a riesce ad avere un volo assicurato, pagando un altro volo, viene
portato al gate, dove la polizia ti fa il check-in e praticamente ti spedisce
sin dentro l'aereo. Noi riusciamo ad avere un volo a metà pomeriggio del sabato
9 gennaio, altri meno fortunati rimarranno ancora una notte e ripartiranno
domenica, sempre in stato di detenzione.
Certo ora è importante fare, insieme a tutti i gruppi di internazionali che
hanno fatto queste esperienze, una riflessione politica lucida sulla situazione
attuale e sulle strategie nuove da adottare.
L'esperienza che abbiamo avuto partecipando al Convoy è stata in ogni caso,
molto positiva. Abbiamo incontrato decine di attivisti/e giovani e meno giovani,
di culture e religioni diverse, vivaci, entusiasti, pronti ad ogni faticoso
cambiamento di programma, ma decisi nell'essere uniti per arrivare a Gaza.
Persone che hanno lavorato molto nei mesi precedenti a livello di comunità e
territorio per organizzare il convoglio.
È stato anche molto importante l'aver attraversato paesi diversi e aver
costruito insieme partecipazione e accoglienza nelle comunità, in particolare
quelle musulmane, e ampliato l'informazione per far crescere un senso comune di
solidarietà con tutto il popolo palestinese e in particolare con quello della
striscia di Gaza, dove, non va dimenticato, è in corso un genocidio.
Diana Carminati e Alfredo Tradardi
ISM-Italia Torino, 15 gennaio 2010
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«Verrà il tempo in cui i responsabili dei crimini contro l'umanità che hanno
accompagnato il conflitto israelo-palestinese e altri conflitti in questo
passaggio d'epoca, saranno chiamati a rispondere davanti ai tribunali degli
uomini o della storia, accompagnati dai loro complici e da quanti in Occidente
hanno scelto il silenzio, la viltà e l'opportunismo».
ISM-Italia è il gruppo di supporto italiano dell'ISM.
L'International Solidarity Movement (ISM www.palsolidarity.org) è un movimento
palestinese impegnato a resistere all'occupazione israeliana usando i metodi e i
princìpi dell'azione-diretta non violenta. Fondato da un piccolo gruppo di
attivisti nel 2001, ISM ha l'obiettivo di sostenere e rafforzare la resistenza
popolare assicurando al popolo palestinese la protezione internazionale e una
voce con la quale resistere in modo nonviolento alla schiacciante forza militare
israeliana di occupazione.
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