Dall'«appuntamento sul
lago» ai fantomatici killers inglesi
Maurizio Barozzi
luglio 2008
Due ipotesi da ricondurre nei loro giusti, e fino ad ora accertati, limiti
Le vicende delle ultime ore di Mussolini e quelle del suo assassinio sono state
talmente ingarbugliate e mistificate, che resta difficile venirne a capo.
Come se non bastasse la "vulgata" resistenziale sulla sua morte, assolutamente
inattendibile, si sono infatti aggiunte anche tutta una serie di "versioni
alternative" e di "ipotesi" non dimostrabili che hanno finito per confondere
ancor più le idee.
Con questo articolo vogliamo prendere in considerazione:
1) l'ipotesi da alcuni ventilata che Mussolini il 26 aprile 1945 percorse la
strada sulla riva occidentale del Lago di Como e vi si attardò eccessivamente,
perchè aveva un preciso appuntamento con degli emissari Alleati, nella
fattispecie inglesi, con i quali definire una resa in extremis;
2) l'ipotesi che la sua uccisione in quel di Giulino di Mezzegra o meglio a
Bonzanigo, venne eseguita da killers inglesi delle Special Forse i quali poi
lasciarono ai comunisti la rivendicazione dell'impresa.
Anche se tutto è possibile che sia accaduto in quelle tragiche ore, in mancanza
di prove concrete, documentazioni adeguate ed elementi e testimonianze
oggettivamente affidabili, non è possibile, nè corretto insistere più di tanto
nella pervicace riproposizione di queste "ipotesi", altrimenti si è tenuti
legittimamente a pensare che questa "insistenza", oltre ad essere funzionale a
interessi editoriali sia anche comoda per altre "giustificazioni" di ordine
politico e storico.
Un appuntamento sul lago
Negli ambienti del giornalismo storico, ma non soltanto, gira da anni una
ipotesi non dimostrata, dura a morire e particolarmente intrigante, quella cioè
che Mussolini il 26 aprile del 1945 scelse la sponda occidentale del Lago di
Como e si fermò per molte ore a Menaggio perchè era in attesa di emissari
Alleati, in particolare inglesi, già precedentemente contattati, forse
attraverso canali spagnoli e svizzeri, con i quali definire una resa forte della
documentazione in suo possesso (il famoso carteggio con Churchill).
Nella sosta di Mussolini e il suo peregrinare attorno a Menaggio (Grandola),
esclusa oramai e definitivamente ogni intenzione di fuggire in qualche modo in
Svizzera, per chi non volesse condividere la nostra ricostruzione obiettiva e
naturale (vedi in questo stesso Sito: "Le ultime ore di Mussolini e della RSI"),
si insinua appunto l'ipotesi circa un non dimostrabile o comunque non comprovato
"appuntamento sul lago".
Anche il professor Baima Bollone autore di "Le ultime ore di Mussolini",
Mondadori 2005, e "Psicologia di Mussolini", Mondadori 2007, si è chiesto, e con
lui molti altri, perchè Mussolini: «… un attento lettore di carte geografiche e
conosce a perfezione i plastici della regione che ha esaminato di recente, in
occasione dello studio di fattibilità del "ridotto della Valtellina"» abbia
scelto di infilarsi nella sottile striscia di terra della riviera occidentale
del lago di Como, fatta di un unica strada accidentata senza sbocchi laterali
(escluso a Menaggio il valico svizzero dopo Porlezza).
La risposta che viene spontanea, ma non per questo veritiera, a questo
interrogativo è quella che il Duce aveva in programma un preciso incontro con
emissari segreti Alleati (nella fattispecie inglesi) per definire le condizioni
della resa della RSI.
Noi non abbiamo particolari motivi per negare questa ipotesi, perchè è chiaro
che in qualche modo, il Duce, avrebbe pur dovuto concludere quella pagina di
storia ed oltretutto certi approcci, tipici della diplomazia sotterranea, che è
normale siano avvenuti nei giorni precedenti, avrebbero anche potuto
concretizzarsi in un estremo appuntamento del genere.
Ma il fatto è che non ci sono prove concrete, non ci sono elementi apprezzabili
per sostenerlo con un minimo di fondatezza e quindi occorre ricondurre quegli
avvenimenti alle loro giuste dimensioni.
In realtà la storia probabilmente si è svolta in modo alquanto più semplice:
Mussolini intendeva guadagnare tempo, allontanandosi dalle zone di guerra dove
stavano per sopraggiungere gli Alleati, possibilmente portandosi dietro i resti
di un governo ancora formalmente in auge ed un minimo di fascisti armati. Egli
intende, da politico di razza, giocarsi le ultime possibilità che gli consentono
i preziosi e dirompenti carteggi con Churchill in suo possesso e gli sviluppi di
una resa tedesca già in essere, ma ancora non firmata, il cui annuncio ufficiale
lo libererebbe di colpo da ogni vincolo morale con l'alleato (tra l'altro
traditore).
È naturale che c'erano stati, precedentemente, dei sondaggi tipici della
diplomazia sotterranea, forse intrapresi dallo stesso Mussolini, ma come
dimostrano chiaramente le intercettazioni epistolari e telefoniche eseguite di
nascosto dai tedeschi, questi approcci non erano mai potuti andare oltre un
certo punto, perchè Hitler non aveva ancora ritenuto opportuno trattare con
Churchill sulla base dei documenti in possesso a Mussolini e questi mai si
sarebbe azzardato ad incamminarsi da solo su la via delle trattative per non
ripetere l'infamia dell'8 settembre (i testi di queste intercettazioni, di
importanza capitale, si ritrovano in R. Lazzero, "Il sacco d'Italia", Mondatori
1994).
Lo scopo evidente di Mussolini è quello di ottenere condizioni più miti e
favorevoli possibile per la Nazione e la salvezza di tutti coloro che hanno
partecipato alla RSI.
Della sua persona, come ha sempre sostenuto, non fa questione, anzi il suo fermo
proposito è proprio quello di concludere, comunque vada, la sua storia terrena
sul suolo italiano.
In quest'ottica il ripiegamento in Valtellina e verso le frontiere del Reich,
sia pur oramai tramontata (a causa del disimpegno tedesco e degli scarsi
preparativi e apprestamenti militari) quale ultimo ridotto per una battaglia
finale, diviene logico e perfettamente comprensibile.
Se poi si è scelta la strada occidentale del lago (Menaggio, Sondrio), invece
che la strada lariana orientale (Erba, Lecco, Colico), può avere molte risposte
di ordine tattico e di opportunità militari del momento (sembra che nella scelta
vi influì il federale Paolo Porta e l'impressione di un mutato quadro di
sicurezza che fino a poco prima attestava invece più sicura la lariana
orientale) ed anche, forse -perchè no?- l'intenzione di tenersi il più vicino
possibile a località di confine dalle quali potevano effettivamente
sopraggiungere emissari stranieri in grado di trattare, al momento opportuno,
questa benedetta resa.
Quindi, come si vede, noi non escludiamo affatto ipotesi di eventuali e futuri
incontri, al momento opportuno, con emissari Alleati, ma sosteniamo che il 26
aprile 1945, non c'era in atto alcun prestabilito "appuntamento" e quindi la
sosta della colonna fascista di Mussolini a Menaggio e Grandola, fu causata
unicamente dal mancato arrivo dei fascisti armati da Como, in mancanza dei quali
Mussolini era impossibilitato a muoversi.
Rigirare questa semplice realtà, per sostenere con insistenza ipotesi diverse è
alquanto sospetto.
Non ci riferiamo tanto ai giornalisti e scrittori storici amanti di queste
spy-story che ben si prestano ad essere divulgate e vendute nell'editoria,
quanto a certi ambienti di destra, quella destra conservatrice, nazionalista,
deturpante del nome del fascismo repubblicano, che ha sempre accolto
favorevolmente una ipotesi del genere perché essa, oltre ad offrire una
indiretta giustificazione al gravissimo mancato arrivo da Como, quella mattina
del 26 aprile, dei fascisti in soccorso a Mussolini isolato a Menaggio, tra le
righe, implica anche un certo compiacimento per una "intesa" con gli Alleati in
funzione anticomunista ed antisovietica, tema tanto caro a questi ambienti da
sempre filo atlantici.
Ma non solo. Questa ipotesi per la quale il Duce si trattenne eccessivamente tra
Menaggio e Grandola al fine di incontrare emissari Alleati, che poi non vennero,
finisce per addossare su Mussolini l'intera responsabilità della sua tragica
fine.
Se, infatti, per interpretare gli avvenimenti di quelle ore ci basiamo
essenzialmente sui racconti di Vincenzo Costa, ultimo federale di Milano, che
racconta che proprio dal governo rifugiato a Menaggio provenne un certo ordine
di far attendere i fascisti a Como perchè in quella frazione lacustre si era in
attesa di «importanti comunicazioni», e su quelle di Pino Romualdi,
vicesegretario del partito che fornisce tutta una serie di giustificazioni a
posteriori sul perchè fu «costretto» a firmare la resa in Como, nonchè sulle
ricostruzioni storiche di Giorgio Pisanò sviluppate nel suo "Storia della guerra
civile in Italia" ed. F.p.e. Milano 1966, proprio su questi temi, senza tenere
conto di altre e più disinteressate testimonianze e dell'esatto sviluppo di
quegli avvenimenti, logica vuole che proprio su Mussolini finisce per addossarsi
la responsabilità di quanto è accaduto.
È una «trappola consequenziale e logica» nella quale è caduto anche il bravo
scrittore storico Filippo Giannini nelle pagine del suo "Dal 25 luglio a
Piazzale Loreto", Ed. Settimo Sigillo 2004, uno scrittore che pur aveva, nelle
sue ricostruzioni storiche, sempre dimostrato una piena obiettività di giudizio
e delle intuizioni di estremo interesse.
Una premessa doverosa: Fascismo repubblicano e atlantismo di servizio
In questo senso dobbiamo fare una doverosa premessa al fine di eliminare ogni
alibi in proposito.
Un conto sono le intese, gli accordi, la posizione geopolitica internazionale in
cui collocare l'Italia, che Mussolini possa aver inteso, ipotizzato o praticato,
dal momento che nel 1922 prese il potere in una nazione relativamente libera da
ingerenze straniere e fino al suo ultimo giorno di governo, quando era oramai
ridotto su un brandello di territorio, ed in quest'ultimo caso con l'evidente
fine di mitigare le condizioni di pace che con la sconfitta sarebbero state
imposte alla Nazione, ed un conto sono le posizioni assunte da qualsivoglia
forza politica dal 25 aprile 1945 in avanti ovvero dal momento della nostra
sconfitta militare, in conseguenza della quale il nostro paese venne colonizzato
militarmente, economicamente e soprattutto culturalmente, perchè stravolto in
tutte le sue peculiarità storiche e culturali, in tutte le sue tradizioni, per
adeguarlo e conformarlo al modello di vita occidentale.
Quello della sconfitta militare e dell'occupazione del nostro paese, è uno
SPARTIACQUE netto ed inderogabile, è la cartina di tornasole con cui giudicare
uomini, gruppi o partiti: da quel momento in poi ogni collaborazione, ogni
atteggiamento filo occidentale, filo americano, filo atlantico, ha rappresentato
un autentico tradimento, non solo del fascismo, ma ancor più degli interessi
nazionali, quindi della Patria.
Compito sacrosanto di ogni fascista repubblicano, di ogni reduce della RSI,
qualunque fosse la sfumatura ideologica della sua fede, avrebbe dovuto essere
quello di rappresentare in Italia la vera opposizione all'atlantismo, perchè
l'opposizione delle sinistre era strumentale e chiaramente condizionata dagli
interessi di Mosca.
Se precedentemente alla nostra sconfitta militare si poteva anche teorizzare una
certa equidistanza tra oriente e occidente, dal momento dell'occupazione
americana, che perdura tutt'ora costringendoci a portare le armi per conto
altrui, il nemico principale, fisico, tangibile, non poteva che essere
l'atlantismo, perchè era l'America e non la Russia che aveva colonizzato il
nostro paese e vi manteneva la sua deleteria presenza militare, economica e
culturale.
Ed invece, con tutta l'Europa occupata e spartita in due sfere di influenza, con
gli Stati, i governi e le popolazioni divisi tra "attivisti del patto di
Varsavia" e "attivisti della NATO", in pratica tra «scemi & più scemi», gli
ambienti della destra italiana hanno solo operato per gli interessi di una
potenza straniera: gli USA.
E colmo dell'ironia, ci si è fatti per di più strumentalizzare da una divisione
«est-ovest» fittizia, perchè tra il cosiddetto "mondo libero" e la "cortina di
ferro", l'antagonismo non era strategico, ma solamente tattico, ovvero era
finalizzato a mantenere i sovietici nell'ambito degli accordi di Yalta e a
gestire e contenere gli sviluppi dinamici della politica internazionale che
avrebbero potuto divergere da quegli accordi. La vera portata strategica di
Yalta era la "coesistenza pacifica", la collaborazione segreta tra est ed ovest
e non lo scontro irriducibile tanto auspicato e sperato dalle destre.
Fatta questa premessa torniamo adesso al nostro argomento.
Come nasce l'ipotesi «appuntamento sul lago»
Dunque, partendo dal fatto che Mussolini si trovò a sostare eccessivamente in
quel di Menaggio, il 26 aprile del 1945, ed esclusa definitivamente ogni
intenzione di fuggire in qualche modo in Svizzera, alcuni ricercatori storici
hanno avanzato un non dimostrabile o comunque non comprovato "appuntamento sul
lago" per il quale Mussolini sarebbe stato in attesa degli inviati, forse
inglesi, al fine di definire una estrema trattativa di resa.
Una ipotesi del tutto peregrina che parte da un presupposto sbagliato, perchè
Mussolini si trovò imbottigliato a Menaggio essenzialmente per il mancato arrivo
di formazioni di fascisti armati da Como, essendo impossibilitato a muoversi per
l'assoluta mancanza di una adeguata scorta armata.
Per una più completa panoramica, collaterale a questo argomento, rimandiamo al
nostro saggio "Le ultime ore di Mussolini e della RSI" pubblicato on line in
questo stesso sito, ove attraverso l'incrocio delle testimonianze più
attendibili e soprattutto dietro l'attenta ricostruzione e lettura di quegli
avvenimenti, si dimostrano in modo incontrovertibile le pesanti responsabilità
dei comandanti fascisti che portarono a sottoscrivere in Como una resa
disastrosa.
In un certo senso e non a caso, questa spy-story, prese corpo anche dalle
dichiarazioni di Vincenzo Costa, ultimo federale di Milano e uno dei
responsabili della "resa di Como", che negli anni '50 ebbe a raccontare, per
quella mattinata del 26 aprile '45, di aver avuto notizia di una fantomatica e
non specificata attesa di Mussolini e del governo a Menaggio dove aspettavano
una importante comunicazione.
Il Costa, ebbe ad aggiungere che gli venne anche detto di riferire ai fascisti
di aspettare a Como almeno fino a mezzogiorno.
Questa testimonianza, che sembrava fatta apposta per giustificare il mancato
arrivo mattutino dei fascisti, rimasti impantanati a Como a causa della
scelleratezza dei loro comandanti, era stata già confutata negli anni '50 da
Bruno Spampanato sulle pagine del suo "Meridiano Illustrato", quando disse
espressamente che quanto detto dal Costa non poteva essere esatto perchè
innumerevoli testimonianze, tra le quali quelle di Ermanno Amicucci, Fernando
Feliciani e Marcello Fabiani, attestavano, senza ombra di dubbio, che a Menaggio
e Grandola Mussolini e gli altri erano sempre stati in spasmodica attesa della
colonna di Pavolini e sentirono il Duce che a tavola ripeteva che si andava in
Valtellina e che si aspettava la colonna. Quali altri ordini avrebbe dovuto
mandare?!
Ma la storia è anche tutta illogica perchè se Mussolini aveva veramente bisogno
di una mezza giornata di tranquilla attesa in Menaggio, per l'arrivo di
eventuali emissari Alleati, era assurdo che fosse andato via verso l'alba da
Como senza lasciar detto ai fascisti di Pavolini, che di lì a poco sarebbero
sopraggiunti, che dovevano fermarsi in città in attesa di ordini per poi
raggiungerlo.
Mussolini invece arrivato a Menaggio era andato tranquillamente a riposare in
casa del vice federale Emilio Castelli (che detto per inciso non ha mai parlato
di una aspettativa di Mussolini di eventuali emissari stranieri).
È quindi ovvio che se i comandanti fascisti non si fossero impantanati a Como di
fronte alla sorpresa di non avervi trovato il Duce, ma avessero immediatamente
proseguito per Menaggio, vi sarebbero arrivati come dice vi arrivò il Costa e
poi successivamente anche Pavolini poco dopo le 10, ma purtroppo da soli, perchè
ordini di attendere a Como nessuno li aveva lasciati.
Pavolini, quindi, era giunto a Menaggio poco dopo le 10 e si era sentito
ordinare da Mussolini di tornare a Como e portare i fascisti. Altro che
attendere ordini fino a mezzogiorno!.
Oltretutto, proprio a mezzogiorno a Grandola, visto che di Pavolini, ripartito
per Como, non si avevano più notizie, venne spedita in città Elena Curti per
raccogliere notizie e reiterare la richiesta urgente di una colonna di armati da
portare presso il Duce.
La testimonianza della Curti a questo proposito è decisiva e smonta qualsiasi
altra congettura.
L'esatta ricostruzione delle ore di Menaggio e Grandola, quindi, attestano,
incontrovertibilmente, che Mussolini e i resti del suo governo attendevano, fin
dalla mattina, l'arrivo dei fascisti da Como.
Ma il Costa aggiunge anche, nei suoi racconti, un altro aneddoto a cui si stenta
a credere.
Dice, infatti, che verso mezzanotte del 26 aprile, incontrò il famoso
rappresentante degli Stati Uniti Salvatore Guastoni in Prefettura a Como (il
quale, tra l'altro era dalla sera, se non prima, che girava per Como). Afferma
il Costa, che quando il Guastoni seppe che Mussolini era da quelle parti,
impallidì e disse, rivolgendosi al presente Vittorio Mussolini: «"Il Duce è qui?
Vi assicuro che lo ignoravo. Partendo da Berna mi dissero che il Duce era in
Arcivescovado a Milano. Dov'è invece?" "A Menaggio" gli risposi. Riprese
Guastoni: "A Menaggio? Allora bisogna proteggerlo, bisogna salvarlo, ci vuole un
idrovolante"».
Come si vede un bell'aneddoto che non solo descrive il desiderio dei "buoni"
americani che vogliono salvare il Duce (quando invece il loro comportamento
attesta che costoro, subdolamente diretti da Allen Dulles, praticamente,
lasciarono campo libero agli inglesi desiderosi di farlo accoppare, ma questa è
un altra lunga storia che dovrà pur essere scritta), ma giustifica
indirettamente anche la resa dei fascisti sottoscritta poche ore dopo, visto che
potrebbe dirsi finalizzata anche a "salvare" il Duce.
Ma come possiamo credere al Guastoni che la presenza di Mussolini in loco, nota
in tutta Como, e segnalata anche da un informatore presente a Menaggio e
riscontrata in vari rapporti dell'OSS (oltretutto nella colonna di Mussolini a
Menaggio vi erano almeno un paio di elementi in contatto con i Servizi alleati),
gli era ignota? Il Guastoni, seppur venuto direttamente da Berna, una volta
arrivato a Como non è che il primo che incontrò fu solo e proprio il Costa.
Qualcosa effettivamente non quadra.
Nonostante questo, Giorgio Pisanò inserì le testimonianze del Costa nel suo
"Storia della Guerra Civile in Italia", un opera che, a fianco di valide
controinformazioni sulla guerra civile, era purtroppo tutta proiettata ad una
presentazione del comunismo italiano in un certo modo, confacente per
quell'epoca, ad un clima di anticomunismo perfettamente funzionale alle
strategie atlantiche (il Pisanò si presentò, nel 1965 al famigerato convegno
Pollio proprio per illustrare la "Guerra rivoluzionaria in Italia I943-'45").
Ed è anche così che questa storiella di una sosta di Mussolini a Menaggio,
finalizzata a fantomatici incontri, venne propagata a tutto spiano.
Scrisse Pisanò, nella sua opera citata e ignorando tutti gli elementi che
attestavano il contrario: «Per tutta la giornata del 26 egli restò a Grandola in
attesa di questo "contatto" e si decise a tornare a Menaggio per ripartire di lì
a poche ore diretto in Valtellina, solo quando ritenne che gli emissari alleati
non avrebbero potuto raggiungerlo. Gli emissari invece... erano nel frattempo
giunti sul lago e lo stavano cercando nella convinzione però che egli si
trovasse tra Milano e Como».
In realtà non c'era alcun emissario alleato incaricato di prendere contatto con
il Duce per definire la resa della RSI.
Ma Pisanò, per avallare l'ipotesi di una prolungata attesa a Menaggio, inserì
anche nella sua Opera una lettera che si asseriva fosse stata scritta da
Mussolini a Churchill proprio negli ultimi giorni della RSI.
Pubblicata per la prima volta dal settimanale "Epoca" nel 1956, questa lettera
si asseriva fosse stata consegnata dal Duce al tenente Franz Spoegler, un
ufficiale distaccato presso Claretta Petacci e al servizio del generale delle SS
Wolff, per recapitarla in Svizzera.
Per gli ambienti che navigavano nell'anticomunismo viscerale dell'epoca anche
questo era un ghiotto argomento visto che Mussolini, nella lettera, parlava di
una certa documentazione e della necessità di una intesa per opporsi al
«pericolo dell'oriente».
Già al tempo, però, sorsero forti dubbi su quella lettera perchè era difficile
credere che Mussolini poteva affidare ad un ufficiale tedesco una proposta del
genere per Churchill, ed inoltre il testo stesso mostrava un altra anomalia,
ovvero sembrava come se Churchill e Mussolini parlassero per la prima volta di
certi argomenti attinenti il carteggio, cosa questa non credibile.
Oggi sappiamo che quella lettera era un falso e quindi non vale la pena parlarne
oltre. Ma anche questo episodio portò indirettamente acqua a favore della tesi
di ipotetici incontri segreti sul Lago.
Franco Bandini, uno dei precursori dell'«appuntamento sul lago»
In ogni caso uno dei primi a lanciare l'ipotesi di un vero e proprio
"appuntamento sul lago" con misteriosi emissari alleati, fu il giornalista
storico Franco Bandini sulle pagine del quotidiano "il Tempo" nell'aprile 1985.
Come al solito il Bandini raccattava una serie di notizie e particolari,
oltretutto senza andare troppo per il sottile nelle verifiche, li metteva
insieme e quindi sviluppava tutto un suo personale sillogismo. In questo caso
egli voleva rispondere a due domande:
1) perchè Mussolini che pur avrebbe potuto facilmente mettersi in salvo non lo
fece, andando invece a morire sul Lago?
2) perchè ci fu tutta quella incomprensibile perdita di tempo su e giù per
Menaggio?
In considerazione di questi dubbi (il secondo dei quali, però, dipese da
contingenze semplici a spiegarsi ovvero il mancato arrivo dei fascisti da Como)
e ritenendo egli Mussolini un uomo scaltro ed intelligente, doti difficili a
trovarsi contemporaneamente in un uomo, dedito a qualsiasi compromesso e
maneggio, egli si da una risposta: doveva incontrare sul Lago degli emissari
inglesi per contrattare, forte degli scottanti documenti in suo possesso, la sua
uscita di scena, anzi addirittura la salvezza personale, dei suoi famigliari e
del più stretto suo entourage.
Logica deduzione quella dello scrittore senese, che pur individuando alcune
caratteristiche psicologiche ed umane del Duce, non può però arrivare a
comprendere che esse fanno pur sempre parte di una personalità, di una coscienza
storica e politica, in un certo senso ideologica, dalla quale non si può
prescindere, a meno di non far diventare la figura di Mussolini simile a quella
di un uomo interessato esclusivamente al potere per il potere ed al proprio
tornaconto personale.
Per il Bandini tuttavia, pur in mancanza di documentazioni adeguate, ci
sarebbero questi elementi che provano la sua ipotesi:
la composizione, secondo il Bandini, anomala della "colonna Mussolini" partita
da Milano la sera del 25 aprile e della sua destinazione. E qui il Bandini fa un
vero minestrone; dice, c'era Claretta d'ordine (e non è vero - N.d.R.) del Duce.
C'era Elena Curti Cucciati figlia naturale di Mussolini (e sappiamo invece che
Mussolini neppure sapeva niente di questa presenza, che tra l'altro non vediamo
cosa possa centrare, ma il Bandini ce la infila per sostenere una volontà di
Mussolini di salvare una «sua famiglia allargata»).
Poi ci aggiunge un altro personaggio, che secondo lui potrebbe anch'esso essere
figlio naturale del Duce. Si riferisce a Virgilio Pallottelli. Qui insinua tutta
una serie di coincidenze strane circa la presenza nella vicina Lezzeno dei suoi
genitori (tra cui la madre, ex amante di Mussolini, aveva spesso trafficato con
Londra) ed il modo per cui poi si salvò miracolosamente dalla mattanza di Dongo,
tutti particolari di un certo interesse, ma che poco hanno a che fare con i
presunti piani di Mussolini.
Ovviamente poi ci aggiunge la presenza di Marcello Petacci che dovrebbe essere
il vero factotum di tutta l'operazione segreta di Mussolini per incontrare gli
inglesi (a nostro avviso mischiando eventuali ruoli avuti precedentemente dal
Petacci con una serie di circostanze che lo portarono a Menaggio a causa della
sorella Clara).
Infine ci aggiunge anche la moglie del Duce, Rachele che trovasi a Como con i
figli (e che in realtà Mussolini ha congedato sperando che possa mettersi in
salvo in Svizzera), il figlio Vittorio, Gina Ruberti vedova del figlio di
Mussolini, Bruno e, perchè no, le sue donne di servizio che ebbero a passare in
quel di Como.
Quindi per il Bandini tutte quelle presenze, con famigliari, bambini e tanti
soldi appresso, attesterebbero un piano di vecchia data, già predisposto dal
Duce, per salvarsi in qualche modo e farsi una "vita nuova" e proprio sul Lago
c'è la soluzione per trarsi dagli impicci.
Questo era uno dei modi di fare storiografia del Bandini (per fortuna altre
inchieste dello scrittore toscano sono di un altro livello di serietà) che, con
questi sillogismi fantasiosi, più che altro sembrano produrre qualche servizio
sensazionale per quotidiani o rotocalchi. Ed infatti poi, con il tempo, non
molte illazioni e supposizioni dello scrittore senese hanno retto alla verifica
storica e non solo per la mancanza di adeguate documentazioni.
Sir Clifford Norton e Fernando Canthal
A nostro avviso, a prescindere dal Bandini, tutta questa storia si regge
unicamente per alcuni riscontri o testimonianze, per altro non ben verificate,
che attestano alcuni naturali e ovvi lavorii e approcci sotterranei inerenti la
scottante documentazione in possesso di Mussolini ed altrettanti approcci che
dovettero essere stati intrapresi dal Duce (con diplomatici spagnoli ed anche
attraverso la Svizzera) al fine di cercare di capire come poteva concludersi la
guerra con la nostra sconfitta bellica.
In questo senso si hanno alcuni riscontri circa certe mediazioni richieste al
console spagnolo Canthal e possibili contatti con l'inglese sir Clifford Norton
a Berna.
Nel pomeriggio del 25 aprile sembra che, infatti, Mussolini aveva in agenda un
udienza con il console generale di Spagna a Milano, Fernando Canthal y Giron, e
si può ipotizzare che volesse pregarlo di avviare a suo nome «preamboli di
negoziato per una resa» presso il ministro britannico a Berna, sir Clifford
Norton. Questa ipotesi venne espressa proprio dallo stesso diplomatico Canthal
in un suo dispaccio del 6 maggio '45 diretto al ministro degli Esteri spagnolo,
José Felix Lequerica
A questi approcci sembra anche che non era stato estraneo Marcello Petacci,
probabilmente utilizzato come "corriere" in uno dei suoi viaggi nella vicina
confederazione. Lo stesso diplomatico spagnolo si era precedentemente adoperato
per far ottenere dei passaporti alla famiglia Petacci, ma oggi sappiamo per
certo che, almeno per il 26 aprile 1945, Marcello Petacci capitò a Menaggio per
sua disgrazia e per motivi che nulla avevano a che fare con la definizione di un
certo appuntamento con emissari inglesi.
Comunque sia, se tutto questo pur indica un lavorio tipico della diplomazia
sotterranea in periodi bellici, oltre a non essere adeguatamente documentato e
focalizzato nelle sue esatte finalità, non dimostra che si era arrivati a
stabilire un vero e proprio incontro con emissari inglesi per il 26 aprile sulle
sponde orientali del lago di Como.
La situazione, rispetto alle possibilità di trattare una resa rapportandola
anche alle preziose documentazioni in mano a Mussolini, è molto più complessa di
quanto si possa credere: gli accordi di Yalta infatti, con il necessario
utilizzo dei sovietici per la spartizione ed il controllo dell'Europa,
impedivano ogni possibilità di chiudere la guerra attraverso qualsiasi tipo di
trattativa e per gli esponenti delle nazioni sconfitte era prevista
l'eliminazione fisica dopo una farsa processuale come quella di Norimberga.
Per gli Alleati, ed in particolare gli inglesi, Mussolini era -doveva essere-
già morto dal momento che lasciò Milano e difficilmente sarebbero addivenuti a
patti a lui. Il recupero delle preziose documentazioni in suo possesso era stato
pianificato in altri modi. Per questo il Duce rimase praticamente isolato senza
alcuna possibilità di scampo.
Che Mussolini fosse finito a Menaggio, sulle sponde del lago di Como, perchè era
il luogo di certi incontri programmati, segreti e risolutivi, ci sembra una
ipotesi, teoricamente possibile, ma storicamente inconsistente.
Che egli invece abbia preso quella strada, probabilmente "anche" per essere
vicino a posti di confine adatti ad eventuali "incontri", già è più accettabile,
non vogliamo escludere niente, ma per un preciso appuntamento segreto potremo
cambiare opinione solo in presenza di un minimo di documentazioni oggettive e
comunque resta il fatto che la sua prolungata sosta a Menaggio dipese unicamente
dal mancato arrivo dei fascisti da Como.
Non ci dilungheremo oltre per confutare questa ipotesi di un appuntamento sul
lago, in parte ripresa poi dallo scrittore Fabio Andriola con il suo
"Appuntamento sul lago", SugarCo 1999, senza però apportare altri elementi
concreti ed apprezzabili. Anche perchè è superfluo confutare ciò che non ha una
adeguata documentazione.
Anche la logica di quegli eventi non attesta fantomatici appuntamenti
In ogni caso, anche ragionando sul piano teorico ed ipotetico, questo
fantomatico "appuntamento sul lago", fa a pugni con tante considerazioni
logiche.
Per esempio, afferma giustamente lo scrittore Alberto Bertotto: «Il prospettato
rendez-vous con esponenti del Governo inglese (Sir C. Norton) è una ipotesi
frutto dell'algida fantasia iperborea di alcuni Storici che amano revisionare
ciò che non è revisionabile (F. Andriola, "Appuntamento sul lago", Sugarco,
1990). (...) Partendo da Grandola, il Ministro A. Tarchi e G. Buffarini Guidi
avevano tentato invano di varcare il confine elvetico di Oria (Porlezza). Una
mossa che non avrebbero sicuramente fatto se c'erano in ballo trattative segrete
con gli alleati destinate a concretizzarsi nel breve volgere di poche ore. A
Menaggio Mussolini, con mussulmana indifferenza, ha accondisceso affinchè il
Generale R. Graziani ritornasse nella sede del comando della sua armata Liguria
(A. Zanella. "L'ora di Dongo", Rusconi 1993). Cosa che non gli avrebbe mai
concesso di fare se ci fossero state le premesse per imminenti decisioni
armistiziali che coinvolgevano le residue forze fasciste» (A. Bertotto, "Le
ultime ore di vita di Mussolini: un enigma indecifrabile o il segreto di
Pulcinella?").
Ma in tempi recenti, il professor Bertotto volle chiedere ragguagli
personalmente ad Elena Curti la quale ricordò l'episodio di quando il 26 aprile,
verso mezzogiorno a Grandola, venne mandata a Como per avere notizie proprio di
Pavolini e gli fecero giurare per tre volte che sarebbe tornata a riferire,
ebbene disse esplicitamente la Curti le pare che questo fosse il comportamento
di chi sta aspettando emissari inglesi? (vedi: A. Bertotto "La morte di
Mussolini Una storia da riscrivere", Ed. Paoletti D'Isidori Capponi, in corso di
pubblicazione).
Un altra testimonianza decisiva
Pietro Carradori, il brigadiere attendente di Mussolini, sempre presente con il
Duce da Como a Menaggio e fin sull'autoblinda che venne fermata a Musso, ebbe ad
affermare: «In proposito debbo anche smentire alcuni storici che hanno
ipotizzato di un rendez-vous mancato, a Grandola, tra il Duce ed emissari di
Churchill. Non era in programma alcun incontro del genere, quella mattina».
Ora il Carradori, che non si era mai mosso da Mussolini sia a Como, a Menaggio
che a Grandola, poteva non essere al corrente di delicati aspetti strategici e
particolari operazioni diplomatiche, ma certamente avrebbe avuto sentore se, in
quelle ore, ci fosse stato un clima di "attesa" per un incontro con emissari
stranieri. E con lui altri dei sopravvissuti che furono vicino a Mussolini in
quelle ore. Se egli, che pur aveva confermato precedenti e segreti incontri del
Duce (Porto Ceresio) con emissari probabilmente inglesi e quindi non aveva
alcuna predisposizione o interesse a nascondere anche un eventuale rendez-vous
sulla sponda lacustre, esclude questa possibilità in quelle ultime ore di vita
di Mussolini, occorre dargli credito, così come occorre prendere atto che gli
altri sopravvissuti parlano di una frenetica attesa della colonna di Pavolini da
Menaggio e non di possibili e misteriosi incontri segreti.
I fantomatici killers inglesi di Mussolini
L'ipotesi di un "appuntamento sul lago" ha un altra coda, anche questa dura a
morire perchè costituisce un argomento appetitoso per riviste e rotocalchi.
Parliamo di quella ipotesi, ancor meno documentata della precedente, che vuole
Mussolini ucciso il 28 aprile del 1945 da misteriosi e fantomatici killers
inglesi piombati improvvisi a Bonzanigo dove era rinchiuso in casa dei contadini
De Maria.
La morte di Mussolini era già ingarbugliata di per se stessa che proprio non si
sentiva il bisogno di quest'altra fantasiosa complicazione.
Verso gli anni '90, infatti, quando la sgangherata storica "versione di
Valerio", prese a scricchiolare paurosamente e si moltiplicarono svariate
"versioni alternative", spesso fantasiose o comunque mai sufficientemente
documentate, proprio le versioni che contemplavano in qualche modo nella
esecuzione di Mussolini la partecipazione delle Special Force britanniche erano
quelle per le quali si spendevano più parole e per le quali le stesse
ricostruzioni Radio Televisive finivano per privilegiarne il tema. Il loro
richiamo e l'audience che suscitavano era troppo forte e quindi non ci si faceva
troppi scrupoli a mettere insieme una serie di fatti, particolari e fantasie
spesse prive di fondamento.
Certo, c'erano alcuni elementi che chiamavano in causa gli inglesi nelle vicende
finali di Mussolini, come ad esempio l'attività svolta da Max
Salvadori-Paleotti, ufficiale inglese di collegamento tra il Comando Alleato ed
il CLNAI, che fino all'ultimo ispirò negli ambienti ciellenisti una sbrigativa
eliminazione del Duce; c'erano le vicende del carteggio Mussolini-Churchill che
avevano determinato l'ossessiva e spietata ricerca, proseguita fino ai primi
anni cinquanta, da parte dell'intelligence inglese per entrare in possesso di
qualsiasi copia del Carteggio potesse essere rimasta in giro e c'erano anche
varie tracce di connubi tra comunisti e inglesi durante la resistenza.
Tutti elementi questi che però non attestavano necessariamente "anche" la
presenza di qualche "agente segreto" in quel di Bonzanigo impegnato ad eseguire
direttamente l'eliminazione di Mussolini e passarne quindi la gloria ai
comunisti.
Queste "tracce", hanno finito invece per essere sufficienti, a scrittori e
giornalisti alla ricerca di scoop editoriali, per "lavorarci sopra" e pubblicare
diversi articoli e qualche libro.
Ed ovviamente non poteva mancare la solita "clamorosa rivelazione", come al
solito mai dimostrata.
Preannunciata, infatti, da Roberto Gervaso nella sua biografia di "Claretta" del
1982, e poi arricchita e precisata nel libro "Quel 28 aprile. Mussolini e
Claretta la verità" edizioni Mursia 1994, uscì una sorprendente rivelazione di
un ex partigiano, un certo Bruno Giovanni Lonati, nome di battaglia "Giacomo",
nato nel 1921 a Legnano, ex commissario politico della 101ª Brigata Garibaldi,
autore del libro in questione, che asserì di aver ucciso Mussolini, in combutta
e per conto di un misterioso ufficiale inglese, non meglio identificato se non
con il nome di "John".
Questa del Lonati più che una storia è un bel fumettone avventuroso e pertanto,
in questa sede, non stiamo a sprecare troppo tempo per confutarlo, anche perchè
non ne vale la pena (per chi volesse saperne di più, rimandiamo al nostro
articolo pubblicato on line sul sito Effedieffe.com: "Morte Mussolini: I
fantomatici killers inglesi").
Vediamo invece come è più probabile che stiano le cose in merito a questa
ipotesi dei killers inglesi a Bonzanigo.
Lo storico Renzo De Felice
Lo storico Renzo De Felice, che difficilmente si pronunciava con superficialità,
ebbe a dichiarare in una intervista al Corriere della Sera del 12.11.'95: «La
documentazione in mio possesso porta tutta ad una conclusione: Benito Mussolini
fu ucciso da un gruppo di partigiani milanesi su sollecitazione dei servizi
segreti inglesi. C'era un interesse a far si che il capo del fascismo non
arrivasse mai ad un processo. Ci fu un suggerimento inglese: 'Fatelo fuori",
mentre le clausole dell'armistizio ne stabilivano la consegna. Per gli inglesi
era molto meglio se Mussolini fosse morto. In gioco c'era l'interesse nazionale
legato alle esplosive compromissioni presenti nel carteggio che il premier
britannico avrebbe scambiato con Mussolini prima e durante la guerra».
Si noti l'affermazione «gruppo di partigiani milanesi» e l'indicazione data con
cognizione di causa dal De Felice che «ci fu un suggerimento inglese».
Ancora De Felice, in "Rosso & Nero", Ed. Baldini & Castoldi 1995, ebbe ad
esprimere un altro importante parere: «Fu molto facile per gli inglesi evitare
(...) che gli americani mettessero le mani sul Duce. Fecero tutto i partigiani.
Ma fu un agente dei servizi inglesi, italiano di origine, che li esortò a far
presto a chiudere in fretta la partita» (lo storico si riferiva a Max Salvadori
Paleotti già inviato al confino e aderente a "Giustizia e Libertà", che poi
riuscì ad espatriare. Durante la guerra arrivò a Milano come tenente colonnello
dell'esercito britannico e dal 4 febbraio '45 è ufficiale di collegamento tra il
Comando Alleato ed il CLNAI. Era presente alla famosa riunione del CLNAI in via
Copernico del 25 aprile 1945).
De Felice quindi adombrava, per gli inglesi, più che una loro partecipazione
diretta all'uccisione del Duce, un certo ruolo, defilato, dietro le quinte e noi
condividiamo pienamente questa sua impressione.
In ogni caso non vogliamo negare, anzi tutt'altro, un certo ruolo inglese nella
uccisione del Duce, ma lo vediamo più che altro, proprio come lo vedeva De
Felice, come un sostegno ed un invito fatto alla resistenza affinchè il Duce non
finisse vivo nelle mani degli Americani.
Anzi, in aggiunta a tutto questo e ad un probabile connubio intercorso tra
inglesi, partito comunista e comando del CVL (Cadorna), vi aggiungiamo anche un
certo lavoro di collegamento, in tutta l'operazione e soprattutto di sostegno da
parte di ambienti massonici, nella successiva opera di depistaggio e cortina
fumogena messa in atto per nascondere la verità,.
Del resto anche questo «manovrare dietro le quinte», da parte di una
organizzazione trasversale e occulta in grado di interagire con autorità su vari
ambiti, spiegherebbe un certo atteggiamento contraddittorio del comando del CVL
di Milano, i presunti e fantomatici piani di salvataggio del Duce mai
concretizzatisi, il puntuale arrivare sempre in ritardo delle cosiddette
"missioni americane" impegnate a catturare un Duce in vita, ovvero un "lasciar
fare" che le cose (eliminazione del Duce) andassero in un certo modo, e
soprattutto l'impossibilità di rintracciare, a cose fatte, testimonianze non
reticenti o contraddittorie ed anche il riuscito silenzio a tutti imposto dal
PCI che nell'occasione agì da esecutore, ma sopratutto l'occultamento della
verità per tanti decenni.
Il nipote del De Felice, anche lui storico, Alessandro De Felice, ha
recentemente rivelato una importante confidenza che gli fece l'allora senatore
Leo Valiani un giorno imprecisato tra il novembre del 1989 e la primavera del
1990 presso la Fondazione Feltrinelli, il quale gli rivelò, pregandolo poi di
non farne menzione: «La morte di Mussolini deve rimanere un mistero. Ed è meglio
che sia così (…) Londra ha suonato la musica, ed il PCI è andato a tempo!».
Purtroppo il tema, tipico delle spy-story, relativo ad una spietata esecuzione
del Duce eseguita da misteriosi agenti speciali inglesi è, come detto, sempre
stato così accattivante e di grande richiamo per i comuni lettori di una
storiografia superficiale, che ha finito per essere ampliato a dismisura e
privilegiato da una editoria più interessata alle grandi tirature che ad una
effettiva ricerca della verità finendo per acuire ancor più la confusione su
quell'omicidio.
Ma nessuno rifletteva sul fatto che se gli inglesi erano fortemente interessati
a non far giungere vivo Mussolini in mano agli Americani, nel caso fosse stato
raggiunto per primo nelle mani dei partigiani di vario colore, erano però ancor
più interessati ad impossessarsi del suo compromettente carteggio. Quindi se lo
avessero raggiunto direttamente loro forse non lo avrebbero ucciso subito o
almeno prima di un suo interrogatorio che potesse facilitare il recupero di
tutte le svariate copie e riproduzioni di questo carteggio che il Duce stesso
aveva fatto fare ed aveva smistato in varie parti nella speranza che, passata la
buriana, potessero tornare utili per gli interessi della Nazione (sulle vicende
del Carteggio Mussolini Churchill è importante leggere il pregevole libro di
Fabio Andriola: "Mussolini Churchill carteggio segreto", Sugarco 2007, ed il
saggio di Marzio di Belmonte, "Il carteggio Mussolini Churchill nel contesto
della seconda guerra mondiale", visibile in questo sito).
L'esecuzione repentina e immediata del Duce, invece, se necessaria nel caso lo
avessero preso i partigiani come infatti accadde il pomeriggio del 27 aprile
'45, non era nè opportuna, nè conveniente, se fosse finito in mano alle Special
Force inglesi. La sua morte immediata, infatti, sarebbe stata una complicazione
che avrebbe costretto, come costrinse, gli inglesi e Churchill in particolare a
darsi da fare fin verso la metà degli anni '50 per recuperare ogni carta
compromettente.
Sappiamo per certo che il 10 maggio 1945, Churchill scrisse al Feldmaresciallo
Alexander, per invitarlo ad ordinare una inchiesta sulle morti di Mussolini e
della Petacci la cui esecuzione venne definita proditoria e codarda. Ora il
fatto che Churchill, che in altre occasioni si era rallegrato che il «bestione»
finalmente era morto, se la prendesse tanto, fa sospettare proprio che erano
stati infranti dei patti e degli accordi precedentemente presi, con gravi
complicazioni per il recupero programmato dei preziosi documenti.
Oltretutto, se scendiamo nella considerazione delle possibilità pratiche,
affinchè sia reso possibile un intervento diretto di agenti inglesi, c'era anche
il problema, non solo di venir a conoscere in pochissimo tempo (dalla notte alta
del 27 aprile '45 in cui il Duce fu portato a Bonzanigo alle 9/10 circa quando
venne ammazzato (secondo la ricostruzione più probabile di quella morte e
secondo la testimonianza di Dorina Mazzola al tempo residente proprio a
Bonzanigo), il luogo del nascondiglio, ma anche quello di conoscere e contattare
almeno uno dei capi partigiani (Pedro il Bellini, Neri il Canali o Pietro il
Moretti) autori del trasbordo notturno ed in grado di accedere a quella casa,
guardata dai partigiani armati Sandrino il Cantoni e Lino il Frangi senza dover
mettere in atto una vera e propria operazione di guerra (di cui non si ha
sentore). Alquanto improbabile quindi.
Anche queste considerazioni pertanto escluderebbero una esecuzione a bruciapelo
di Mussolini da parte di agenti inglesi, oppure bisognerebbe pensare che quella
mattina, in casa De Maria, accadde un imprevisto che poi costrinse gli assassini
inglesi, che per primi erano miracolosamente giunti a prelevarlo, ad ucciderlo
poco dopo nel cortile dell'alloggio spiazzando tutti gli altri, ma sarebbe
chiedere troppo alla fantasia.
La ricerca della verità, sia sulle ultime ore di Mussolini e della RSI e sia per
il mistero della sua morte, passa attraverso la semplificazione -fino a prova
contraria- di quanto è stato fino ad oggi acquisito e quindi attraverso il
ridimensionamento di tutte le dicerie, ipotesi alternative fantasiose e
baggianate varie partorite da una editoria o da personaggi senza scrupoli ovvero
espresse dietro inconfessabili interessi politici.
È un lavoro che deve essere fatto attraverso l'incrociarsi delle testimonianze
che possono essere ritenute sufficientemente attendibili e la considerazione dei
pochi reperti e documenti disponibili messi in relazione alla precisa
ricostruzione cronologica e dinamica degli avvenimenti.
È quello che stiamo cercando di fare con questi articoli.
Maurizio Barozzi
|