Italia - Repubblica - Socializzazione

 

COMUNICATO STAMPA
(5 febbraio 2002)


Una nuova insidia in danno dei lavoratori

 

Mentre un’altra frode viene ordita contro il mondo del lavoro da parte dell’antifascismo di destra, quello di sinistra, per la connaturale carenza di idee e di coraggio e a conferma della propria scelta di campo quale di convinto fautore del Capitalismo, tace.

I fatti: d’iniziativa del deputato Cirielli (AN), in data 23.11.2001, è stata presentata in parlamento la proposta di legge n. 2023, per l’adozione, in applicazione degli artt. 46 e 47 della Costituzione, di uno statuto partecipativo delle imprese. La proposta, fra l’altro, prevede:

1. l’istituzione di organismi eletti dalle rappresentanze sindacali, con poteri di indirizzo, controllo e decisione nelle materie inerenti l’organizzazione del lavoro;

2. la distribuzione ai lavoratori di una quota del profitto di impresa;

3.  l’accesso collettivo dei lavoratori dipendenti al capitale dell’impresa, ecc.

 

La relazione che accompagna tale proposta è ancorata al punto 8 della Carta sociale europea e alle raccomandazioni formulate in sede CEE e UE dal 1972 al 1998, tese sic et simpliciter al conseguimento di una maggiore produttività e ad un più intenso attaccamento dei dipendenti alle aziende, ma non vi si rileva alcun accenno alla effettiva partecipazione delle maestranze alla conduzione delle imprese. Detta relazione, inoltre, stabilisce affinità poco pertinenti e poco convincenti se non del tutto arbitrarie con altre esperienze.

La religiosità sociale di Mazzini, ad esempio, non ha nulla da spartire col pensiero liberale e con il libero mercato. Del pari si deve osservare per quanto attiene alla socialità futurista. Il riferimento al regnante Pontefice, invece, elude la «svolta» operata da quest’ultimo in ordine alla proprietà della terra e dei mezzi di produzione industriali.

Di contro alla obsoleta  locuzione lavoratori dipendenti usata nella proposta di legge, il Papa eleva i lavoratori a rango di comproprietari: «Si può parlare di socializzazione solo quando … ognuno, in base al proprio lavoro, abbia pieno titolo di considerasi allo stesso tempo comproprietario del grande banco di lavoro al quale s’impegna insieme con tutti». (cfr. Laborem exercens, 14/F). Ovviamente, ciò non impedisce al Vaticano la pratica poco evangelica di una efficiente collateralità con gli sfruttatori dei lavoratori e con gli affamatori del mondo. La qual cosa non desta stupore, dal momento che proviene da ambienti in cui si agisce secondo la massima non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra.

Prodotto della mentalità degli ultimi cascami missisti che hanno fatto del servilismo verso la plutocrazia ebraica la propria bandiera, siffatta proposta di legge non soltanto dà l’impressione del deja-vu, ma consiste in un vero e proprio raggiro, analogo a quello proposto da Cesare Annibaldi, direttore delle relazioni esterne della FIAT, con il libro "Impresa, partecipazione e conflitto", ed. Marsilio, Venezia 1994, con il quale l’autore consiglia esplicitamente di concedere una generica partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese per meglio asservirli mediante l’adozione del modello tedesco della cogestione. A prescindere dal fatto che la Mitbstimung preveda l’immissione di qualche sindacalista nei consigli di amministrazione delle aziende, è da osservare che essa è connotata da una componente propria al corporativismo fascista: la pariteticità giuridica e morale tra capitale e lavoro, fattore etico-giuridico del tutto assente nella proposta di legge in argomento.

In sostanza, viene ora presentata in Italia una proposta di legge assai peggiore di quella approvata in Germania oltre mezzo secolo addietro.

Tacciono anche i sindacati, i quali del resto hanno sempre promosso azioni rivendicative ingannevoli finalizzate ad incrementare tanto i salari quanto l’inflazione; così disattendendo alla funzione educativa dei lavoratori e alla loro preparazione psicologica, culturale e professionale, determinante per il salto di qualità che porta alla partecipazione socializzatrice. Essi tacciono soltanto sulla socializzazione, ma parlano continuamente di diritti (mai di doveri) e di libertà, usando –senza vergogna– la ripugnante locuzione dei loro padroni, mercato del lavoro, cioè dell’esecrabile commercio di qualcosa di sacro, come sacro è il pane che ne è compenso, e che ripropone alla mente le tristissime immagini del mercato degli schiavi.

 

La socializzazione fascista

Del tutto arbitrario e foriero di dannosi equivoci è il riferimento, presente nella relazione, al Decreto legge del 12.2.1944 emanato dal Governo della RSI relativamente all’istituzione della Socializzazione. Con oltre venti anni di anticipo Mussolini aveva indicato il fine ideale e pratico della socializzazione: «È il lavoro che, nelle trincee, ha consacrato il suo diritto a non essere più fatica, miseria o disperazione, perché deve diventare gioia, creazione, conquista di uomini liberi, nella Patria libera e grande, entro e oltre i confini».

Ma ancor prima, sin dall’atto di nascita, il fascismo aveva affermato la volontà di riunire in un solo soggetto le due figure del lavoratore e del portatore di capitali. Nacque così la figura del produttore, destinata a fare giustizia dei classici personaggi dell’economia capitalista, il finanziere speculatore, il sindacalista parassita e il lavoratore sfruttato.

In ordine a ciò il fermarsi al solo esame ragioneristico dell’articolato della Legge, la quale risente non poco dei condizionamenti derivanti dalla cornice storica in cui avvenne la sua formulazione, dalla quale emergeva un’alleanza militare non sempre feconda e un mondo industriale colpevolmente allineato con nemico invasore (l’amministratore delegato della FIAT, Vittorio Valletta, nel momento stesso in cui presentava al Duce il progetto di socializzazione della sua impresa, sovvenzionava la guerra civile), significherebbe precludersi la possibilità di comprendere lo spirito che lo anima e l’ambiente vitale in cui venne formulato. È superfluo dire che noi avremmo voluto la sua promulgazione con un decennio di anticipo, cioè nel 1932 al tempo del Convegno di studi corporativi nel corso del quale Ugo Spirito propose la «corporazione proprietaria»; o almeno nel 1938, quando Berto Ricci, genuino interprete della naturale disposizione alla partecipazione propria dei migliori fascisti, fu costretto a scrivere: «Ma, per dio, … non si può proseguire all’infinito sulla via del saluto romano, rompete righe e state zitti. Che il Fascismo decida: o con dio o col diavolo: o il sistema invariabile delle nomine dall’alto, o partecipazione del Popolo allo Stato … Libertà da conquistare, da guadagnare, da sudare … ma anche libertà come valore eterno, incancellabile fondamentale … anche libertà di manifestare opinioni ... e quella che l’ultimo italiano deve poter esercitare: di controllo dei poteri pubblici, di denunzia aperta delle ingiustizie, delle infrazioni, delle prevaricazioni, da chiunque commesse».

Ovviamente, la socializzazione fascista non si limita alle imprese, ma investe anche le aziende (capitali e mezzi di produzione), e coinvolge ogni altra attività, secondo i successivi sviluppi economico-politici portati dall’ultima Dichiarazione del Partito Fascista Repubblicano del 5 aprile 1945, i quali prevedono altre radicali trasformazioni:

-    * limiti della proprietà e del capitale tali da rendere impossibili lo sfruttamento del lavoro altrui e l’usura e le rendite parassitarie;

-     * estensione della socializzazione a tutte le imprese (escluse quelle a carattere artigiano e famigliare), qualunque sia il numero degli addetti;

-     * incisive riforme per la mezzadria e il bracciantato in agricoltura;

-     * nazionalizzazione delle banche e degli istituti di credito di diritto pubblico;

-     * sostituzione del commercio privato con la cooperazione;

-     * accelerazione del processo di attuazione del XV Punto di Verona, nel senso che quello della casa non deve essere soltanto un diritto di proprietà, ma un diritto alla proprietà.

-         Ecc.

 

Anche il ministro per l’economia corporativa della RSI, Tarchi, illustrando il decreto alla stampa aveva sottolineato: «… dalla libera discussione si possono trarre elementi utili per l’applicazione della legge che riteniamo di perfezionare man mano, anche perché questa non è necessariamente statica ma, al contrario, deve trovare poi nella soluzione pratica l’indirizzo per evolversi».

Piaccia non piaccia, la socializzazione fascista pone fine al sistema capitalistico e supera il dualismo antropologico che ha sempre contraddistinto l’azione umana in genere e quella economica in specie: agire in vista dell’interesse del bene comune, ovvero avendo per solo obiettivo l’interesse personale o di gruppo. Nella seconda ipotesi, come sostiene Tommaso d’Aquino, si ha «Una certa turpitudine». Da ciò si evince che la socializzazione mira ad un nuovo ordine etico e sociale, per una nuova umanità in cui la libertà dei cittadini trovi la propria ragione d’essere nel diverso grado di responsabilità sociale da ciascuno dimostrato e tangibilmente comprovato coram populo.

È un banale errore dunque il voler reperire radici storiche comuni tra il fascismo e le diverse forme di socialismo. Poiché il fascismo attinge la propria spiritualità e il proprio concetto di stato organico nella romanità repubblicana, muovendo dal presupposto della identificazione di cittadino e Stato. Per i fascisti, o lo Stato è «sintesi e unità di ogni valore (e) interpreta, sviluppa e potenzia tutta la vita del popolo» o non è, poiché «Non è la Nazione a generare lo Stato … Anzi la nazione è creata dallo Stato, che dà al popolo, consapevole della propria unità morale, una volontà, e quindi un’effettiva esistenza».

Perciò, ha ragione Sergio Romano quando sostiene che: «Poiché lo Stato era il loro tradizionale nemico, i democristiani decisero di occuparlo e i comunisti d’infiltrarlo … Mentre lo Stato risorgimentale tentò di fare la nazione, lo Stato dei partiti ha dato un duro colpo, forse irreparabile, all’unità nazionale» (Cfr. "L’Italia scappata di mano", Tea, Milano 1995.).

Per analizzare le attuali società capitalistiche fondate sul profitto, il fascista non rinunzia alle categorie interpretative tradizionali di onore, fedeltà, sprezzo del pericolo. religiosità, responsabilità, ne travalica bensì gli aspetti materialistici, facendo proprio l’imperativo morale secondo cui l’uomo va elevato a fine e non degradato a mezzo. Perciò il fascismo dà risposte originali e profondamente umane alla sete di equità e di dignità di tutti i popoli.

A nostro parere, i vari socialismi appartengono alla storia, mentre il fascismo, in quanto «rivoluzione incompiuta», appartiene al futuro; un futuro teso ad assicurare a ciascuno l’opportunità di giungere fin dove è capace di giungere, e che garantisca valore reale all’affermazione romana secondo cui la libertà è la naturale facoltà dell’uomo che sa meritarla.

Pur appartenendo all’ordine dei mezzi, la socializzazione converge nel compimento delle finalità ideali proprie dell’inscindibile trinomio Italia - Repubblica - Socializzazione, che sintetizza il fondamento etico, sociale e politico della RSI: un certo tipo di Stato che dia vita ad una diversa e più coesa Nazione, e un modo più alto e più nobile d’intendere l’azione politica, sempre diretta al bene comune della nazione e a quello dell’intera umanità.

Ricusare oggi l’insidiosa proposta di legge in argomento significa innanzitutto riaffermare che il fascismo costituisce l’unico serio progetto politico alternativo al sistema capitalistico globalizzante, e non la sua legittimazione.

L’impegno di quanti s’ispirino alla Repubblica Sociale Italiana consiste, pertanto, nel difendere –sempre e ovunque– l’istituto della socializzazione, in quanto esso rappresenta un autentico primato del pensiero politico italiano e fascista.

 

La nuova civiltà dello spirito

Sorta dalla necessità di un nuovo ordine sociale, morale, politico ed economico, la socializzazione evoca gli ultimi momenti drammatici di vita della Repubblica Sociale Italiana.

L’indole e i contenuti della proposta di legge in esame rispecchiano fedelmente la cultura materialistica delle potenze da cui fummo duramente sconfitti. Di esse oggi abbiamo sotto gli occhi i segni di un irreversibile declino, che avanza nonostante abbiano posto a guardia del loro malsano benessere un protervo gendarme, che in questi giorni sta mostrando inaudita ferocia contro popoli inermi.

Conosciamo il fallimento e lo sgretolamento statuale di una di quelle forze, e costatiamo che quella c.d. liberaldemocratica, sebbene disponga di avanzatissimi strumenti tecnologici, è affatto inetta a servirsene per il miglioramento morale e materiale dell’umanità. Anzi, per meglio sfruttare quest’ultima l’ha divisa in un certo numero di mondi in permanente conflitto fra loro, per cui il quarto viene sfruttato dal terzo, il terzo dal secondo e tutti subiscono il diabolico sfruttamento del primo. Nondimeno, il suo crollo è inevitabile.

L’indagine storica insegna che una civiltà si instaura quando un adeguato gruppo di uomini o di popoli condivide e convive un chiaro modo di concepire il fine dell’esistenza, e stabilisce un armonico modo di essere, di pensare e agire secondo abiti mentali e comportamentali coerenti con la visione del mondo prescelta. Una nuova civiltà sorge dunque con l’affermarsi di un nuovo tipo d’uomo più forte, più audace e più dotato spiritualmente, il combattente.

A fronte della verità che il passaggio da una civiltà all’altra non fu mai indolore nella storia, a nulla valgono le lamentazioni dei sagrestani e degli illusi della pace ad ogni costo.

Com’è noto, nell’intervallo tra le due guerre mondiali si coagulò in Europa e in Asia il progetto di una nuova civiltà feconda di rivoluzionarie intuizioni originali in tutti i campi, e tali da plasmare il volto del mondo mediante un acconcio disegno di rigenerazione della condizione umana.

Così recita la Dottrina:

«Il fascista comprende la vita come dovere, elevazione, conquista: la vita che deve essere alta e piena: vissuta per sé, ma soprattutto per gli altri, vicini e lontani, presenti e futuri … Il Fascismo crede ancora e sempre nella santità e nell’eroismo, cioè in atti nei quali nessuno motivo economico -lontano o vicino- agisce».

È vero, fummo sconfitti da una civiltà in degenerescente, la quale nondimeno seppe riunire intorno a sé e armare contro di noi tutte le forze dell’egoismo mondiale; le medesime forze che in atto tentano ancora d’imporre al mondo la loro presunta superiorità culturale, la quale si palesa sempre più soltanto come forza bruta.

Criminalizzazione e sterminio attendono al varco chi si ribella.

Ma fino a quando ?

La sconfitta militare ha sanzionato le nostre umane limitatezze e l’insufficiente coordinamento delle nostre forze, ma non ha fiaccato il nostro spirito e la nostra volontà. Molti fra noi caddero stritolati dall’inimmaginabile potere bellico del nemico e dell’azione dei suoi partigiani. Se la resistenza non fosse stata pressoché totalmente succube della plutocrazia e del bolscevismo, nel 1945 non avrebbe gettato al vento un’occasione storica irripetibile, tenuto conto che soltanto riconoscendo le nostre sacrosante ragioni, insieme, avremmo potuto dare al popolo italiano una vera rivoluzione liberatrice.

Noi, i sopravvissuti, non disperiamo, né ci prostriamo ad un nemico ignobile e ai suoi scherani di destra e di sinistra.

Altri, migliori di noi, verranno e compiranno l’opera da noi iniziata.

 

Italia - Repubblica - Socializzazione   

p. Il Comitato Direttivo
F. G. Fantauzzi