e-mail su
Fascismo, Destra ed
Evola
Autori vari
L'interesse
suscitato dagli articoli di Vincenzo Vinciguerra, da noi richiamati
e pubblicati nel sito
www.MarilenaGrill.org, con a seguire i nostri primi commenti, ci
ha fatto pervenire alcune e-mail, alle quali forse altre seguiranno.
Riportiamo qui questi commenti, così come ci sono pervenuti per
e-mail, avvertendo che probabilmente sono stati scritti di getto,
non per un vero e proprio articolo, ma sono ugualmente
importantissimi per avere un quadro esaustivo dell'argomento che
abbiamo affrontato.
Il nostro commento è stato già dato in questo sito, per cui
riportiamo questi altri commenti senza entrare nel merito.
Ci scusiamo se qualche altro commento arrivato per e-mail è
eventualmente andato perduto |
Scrive Giuseppe Spadaro:
Pochi sanno (ma non è poi gran danno!) che sono stato il primo presidente di
quella che sarà la "Fondazione Evola". La mia presidenza ebbe vita breve, perché
venne interrotta nel novembre del '74 dal mandato di cattura spiccatomi da
Violante per cospirazione politica, complotto contro lo Stato e delitti contro
la costituzione (i miei articoli su "Ordine Nuovo", "Civiltà" e "l'italiano").
Quel mandato mi costò un anno di latitanza e un mese e mezzo a Regina Coeli,
oltre la sospensione dall'insegnamento. Di Evola non pretendo di saper tutto, ma
l'essenziale. Mi considero quindi un evoliano ma non un evolomane, e dunque
concordo con quanto ho letto in quest'articolo: Evola va preso per quel che era,
un metafisico e non un politico. "Gli uomini e le rovine" è il suo libro più
datato e, fatte salve alcune affermazioni di principio, il più infondato.
Quanto all'Evola "antifascista", ci andrei piano. Vale piuttosto la "Carta
d'identità" da lui esibita sul primo numero de "La Torre": «Nella misura in cui
il fascismo segua e difenda tali princìpi (superiori al piano politico), in
questa stessa misura noi possiamo considerarci fascisti".
Sono però il primo a riconoscere che dopo la guerra l'evolismo fu un elemento di
disturbo per la comprensione dell'autentico fascismo (se mai ce ne fu uno).
Il primo equivoco fu quello di identificare il fascismo con la Destra. Il
marasma culturale in cui si dibatte oggi la Destra, tra un Evola mal digerito, i
rigurgiti di clericofascismo ereditati dalla retorica della Conciliazione e il
borbonismo di ritorno causato dalle "Insorgenze antigiacobine" di Isabella
Rauti, non poteva non travolgere le fragili strutture logiche dei meno
qualificati a intendere questioni teoriche. Nefasta fu la spaccatura fra
evoliani e gentiliani, che ci vide protagonisti di una diatriba dai toni
esagitati, tanto che da un vertice "tradizionalista" ricevemmo l'incarico di
scrivere una stroncatura di Gentile che «la facesse finita» con il padre
dell'Attualismo. Essa apparve sull'ultimo numero di "Ordine Nuovo e sul primo di
"Civiltà", ma a distanza di anni, com'è logico, ho dovuto rivederne molti punti
troppo unilaterali.
E poiché ho citato un brano da "L'equivoco della liberaldemocrazia - Alla
ricerca della Destra perduta", che pubblicai nel 2002 da A. Pellicani Ed., da
quel libro mi permetto di citare il bilancio in chiusura della mia relazione su
"Evola e Gentile" tenuta al Convegno su Evola del 21 febbraio 2000:
«Non è sulla base del cogito cartesiano che si può addivenire a un punto di
incontro fra i nostri due pensatori. La riduzione dell'uomo alle sol funzioni
del pensiero, con l'esclusione della volontà e della libertà, è la più grave
imputazione che Evola rivolgeva all'idealismo moderno. Ciò vale anche per
l'idealismo gentiliano? La risposta non può essere categorica, se proprio la
scelta volontaristica distingue l'attualismo dallo storicismo crociano, tanto
che è del Gentile l'espressione: "Compito del filosofo non è quello di stare
alla finestra". Ciò accorcia la distanza fra i nostri due pensatori, i quali, in
quanto "uomini interi" sono entrambi maestri di dignità. Restano tuttavia
notevoli le differenze, a cui sono da aggiungere sul piano storiografico quelle
riguardanti i giudizi sul Rinascimento, in cui Evola vedeva anticipata la
decadenza del mondo moderno, e sul Risorgimento, visto da Evola come la
prosecuzione della Rivoluzione Francese. (…) Possiamo dunque tranquillamente
concludere che sul piano teoretico un confronto fra Evola e Gentile è
impossibile, avendo essi metodi e obiettivi totalmente estranei. Sarebbe
ingiusto però terminare qui questo nostro confronto. (…) Che la "persona" sia
"processo" e "unificazione", al di là dei metodi e delle differenze di
linguaggio, è tesi comune a Gentile ed Evola, riconducibile alla "trasmutazione
alchemica" descritta da quest'ultimo ne "La Tradizione ermetica". Gentile la
conferma smentendo l'idea della immortalità per tutti: "Questa, che può dirsi
l'idea democratica dell'immortalità, è l'illusione più antireligiosa, più
immorale, più illogica in cui gli uomini si cullino nell'anelare all'immortalità
e vagheggiarla a conforto della vita". Nel ripudio dell'"illusione del gregge"
si attua in definitiva la riconciliazione postuma con Evola, la cui opera, lungi
dall'ignorare, sembra che Gentile abbia meditata".
Grazie dell'attenzione, Giuseppe Aziz Spadaro
Scrive Enrico Galoppini:
La mia impressione, da lettore di Evola, è che il "barone" alla fine sia stato
vittima delle sue prese di posizione, in certo qual modo influenzate da quel
"mondo moderno" che voleva combattere. Non so come, ma ho sempre avuto
l'impressione che il "superomismo" di Evola, alla fine, faccia più danni che
altro. Fermo restando che la lettura delle sue opere e dei suoi numerosi
articoli, nei più svariati campi ma sempre caratterizzati da un discorso
"coerente", è senz'altro cosa stimolante e formativa. A patto però di non
conformarsi -come purtroppo molti ragazzotti fanno o hanno fatto- alla
"personalità" di Evola. Qui però stiamo parlando dell'Evola "politico", quindi
sto andando fuori tema, anche se a mio avviso non lo si può tenere disgiunto da
quello "sapienziale".
Siccome è stato citato Guénon, mi permetto di osservare (e mettendo parimenti in
guardia dalla pedissequa imitazione che sfocia nel "guénonismo") che l'autore
francese, entrato nell'Islam ma non "convertitosi" (bisogna comprendere bene
questo punto), fornisce -sempre a mio modesto avviso- qualche 'sostegno' più
solido, rispetto ad Evola, per stare a galla nel mare del nichilismo moderno.
Allego, per chi non l'avesse mai letto, il suo primo saggio, "Il Demiurgo", nel
quale è contenuto, in nuce, tutto il successivo sviluppo dell'opera di Guénon.
Saluti EG
Scrive Roberto Sestito
Io ho smascherato l'Evola maestro di esoterismo quando a destra tutti lo
adoravano e lo esaltavano. Abbiamo visto che fine hanno fatto costoro. È il
momento che qualcuno lo smascheri anche sul piano politico...
Durante il fascismo, Evola che non era secondo a nessuno in furbizia, giocò
furbescamente la carta filo-tedesca perchè sapeva che in questo modo sarebbe
stato inattaccabile dal governo fascista.
Questa scelta però, se gli garantì l'immunità politica e lo favorì nella
carriera letteraria cui teneva molto, lo allontanò totalmente dalla tradizione
italica e romana (Vedasi giudizio lapidario di Aniceto Del Massa su "il Resto
del Carlino").
Nonostante la sua abilità di scrittore, riconosciutagli anche dagli avversari,
il suo filo-germanesimo non poteva che trascinare i suoi seguaci verso il Sacro
Romano Impero della nazione germanica e verso tutte le posizioni politiche e
filosofiche anti-italiane e anti-romane che discendono da questa fonte.
Da questo nucleo di pensiero, inoltre, fluiscono le conseguenze che come
torrenti in piena hanno sospinto Evola e gli evoliani verso le posizioni
politiche (atlantiste e reazionarie) della destra missista.
"Evola, l'anti-italiano"
Dana Lloyd Thomas, "Julius Evola e la tentazione razzista (L'inganno del
pangermanesimo in Italia)" Giordano Editore, 2007.
Premessa
Sono sorpreso e in pari tempo ammirato dall'accurato elenco bibliografico, e
dalle numerose prove documentali e di archivio prodotte da Dana Lloyd Thomas nel
libro di cui è l'Autore e che ho appena terminato di leggere: "Julius Evola e la
tentazione razzista (L'inganno del pangermanesimo in Italia) Giordano Editore
2007".
Parafrasando lo stesso Evola il quale definì il martire del libero pensiero,
Giordano Bruno, un "tetro eretico filosofante"(pag.136), chiamerò lo scrittore
romano un "tetro" filosofo e dirò subito che il libro di Thomas è un
insostituibile strumento di studio e di riflessione di quasi un mezzo secolo di
storia che ha segnato, nel bene e nel male, il ritorno dell'Italia a un
protagonismo geopolitico che non si vedeva più da secoli.
In quel periodo, compreso tra i primi anni del '900 e la fine della seconda
guerra mondiale, contraddistinto da tumultuose nostalgie del passato ed
iperboliche proiezioni verso il futuro, tra l'imperialismo e il futurismo,
entrambi nati e cresciuti nel seno della stessa élite culturale, si consumò un
grande dramma nazionale che emerge, nella sua cosmica dimensione, dalle pagine
di questo libro.
Procedo con ordine, volendo ricordare, sia pure nei limiti di una recensione, i
momenti più tristi e quelli più avvincenti di questa pagina di storia italiana;
tenterò quindi di polarizzare l'attenzione del lettore sulle cause che portarono
alla nostra vittoria nella prima guerra mondiale e su quelle che produssero la
nostra sconfitta nella guerra successiva, tenendo ben presente che in entrambi i
conflitti bellici i nostri soldati, anche se non erano tutti alti biondi e dagli
occhi azzurri, eccelsero in eroismo e dedizione alla patria italiana.
Ma se la prima guerra, vinta, fu il risultato di determinate condizioni
politiche e filosofiche, la seconda, perduta, fu il risultato di errori politici
e di ribaltoni ideologici. Nulla succede a caso e ne esaminerò brevemente le
ragioni. Se della vittoria nella prima guerra ci siamo gloriati e vantati, della
sconfitta nella seconda ci è rimasta l'onta e la vergogna!
In quale ambiente nacque il sogno imperialista italiano e come fece a convivere
con l'ondata futurista?
L'imperialismo italiano non accettò mai l'idea di sottomettersi all'imperialismo
tedesco e all'ideologia pangermanista a causa delle opposte premesse ideologiche
e spirituali da cui partivano i due movimenti; nel restituire dignità ed onore
all'imperialismo romano, ridotto all'impotenza e al silenzio, sacrificato da
Evola sugli altari delle sue idee filocattoliche e filotedesche si porrà fine,
una volta per tutte, all'inganno "imperialista" di Evola.
Ciò risulta ancora più evidente dal volontario esilio in patria di Reghini dopo
la promulgazione delle leggi speciali e la firma dei patti lateranensi e dalla
forzata emigrazione di Armentano in Brasile, i due pilastri su cui poggiava
l'architettura politica e spirituale del risveglio imperialista italiano; non a
caso, l'esoterista fiorentino, entrò in rotta di collisione con il "tetro"
filosofo romano proprio nel momento in cui bisognava decidere da che parte
stare.
L'anti-italiano.
Thomas elenca gli elementi di carattere politico, culturale e filosofico che
marcarono la vita pubblica di Evola; fin dal suo esordio agli inizi degli anni
venti, si distinse come uno scrittore esterofilo, incline cioè ad interessarsi
del genio di altri popoli e di altre razze con opere "in cui si esalta un certo
medioevo immaginario, per negare invece ogni valore al Rinascimento ed al
Risorgimento, e per sostenere le ragioni dell'espansionismo germanico nel
novecento, ai danni degli interessi politici dell'Italia"(pag. 14).
L'amore per il medioevo feudale e cattolico lo avrebbe naturalmente allontanato
dagli ideali risorgimentali e lo avrebbe portato ad ammirare il cancelliere
austriaco Clemens Von Metternich, colui che definì l'Italia un'espressione
geografica, e che al servizio del famigerato impero austro-ungarico si sarebbe
reso responsabile delle odiose persecuzioni contro i patrioti italiani.
Thomas formula questo giudizio con dati inconfutabili alla mano, sulla base cioè
dei numerosi documenti da lui consultati e tutti rigorosamente citati in nota.
Io ero giunto, in alcuni punti della mia opera sulla vita e sull'opera di Arturo
Reghini, alla stessa conclusione di Thomas, basandomi sull'epistolario di
Reghini dal quale avevo ricavato la convinzione che Evola sognasse "impossibili
mondi della tradizione che inseguiva nella sua accesa fantasia medievale e che
avrebbero trovato accoglimento solo nella realtà politica del pangermanesimo e
del cattolicesimo feudale" (pag.222 de "Il Figlio del Sole").
Intorno a questo nucleo evoliano di idee gravitarono numerosi satelliti che
presero nomi diversi e che di tempo in tempo scandirono e marcarono l'attività
politica e filosofica dello scrittore romano e dei suoi seguaci: "posizione
reazionaria e antiebraica" "teorico anti-italiano" "riferimenti al superuomo di
Nietzsche" "ideale storico-politico: il Sacro romano impero della nazione
tedesca presentato come la manifestazione più recente nel tempo della società di
tipo tradizionale" "una particolare interpretazione del medioevo
cattolico-germanico" "l'antimassonismo" funzionale alla lotta contro il
giudaismo.
Tutto ciò poggiava su una sua "particolare versione dell'idealismo definito
magico" che era l'espressione del suo solipsismo filosofico, avente poco di
"magico" nel senso tradizionale dato a questo termine da studiosi e maestri come
Guénon e Kremmerz e nulla di quell'idealismo filantropico e umanitario (da
humanitas) prospettato da un Mazzini nel solco della più autentica tradizione
nazionale e italica. Evola d'altronde avrebbe rigettato in blocco gli ideali del
Risorgimento, espressione a suo dire del complotto ebraico-massonico scaturito
dalla Rivoluzione francese.
Queste idee e prese di posizione sono però alquanto tardive rispetto agli anni
cruciali del dopoguerra, della cosiddetta rivoluzione fascista e del risveglio
imperialista. Dal crogiolo occultistico dei primi anni del novecento era
filtrato il meglio della cultura interventista, futurista ed imperialista, che
ruotava intorno ad organizzazioni "alternative alla cultura cattolica" alle
quali, per ragioni anagrafiche Evola (era nato nel 1898) era rimasto estraneo.
Arturo Reghini (1878-1946) era considerato la punta di diamante di questo gruppo
eterogeneo di intellettuali avendo interpretato i conati futuristi di scrittori,
artisti, poeti e musicisti come l'emergere dal profondo sottosuolo italico
dell'antico magma rinascimentale e pagano sepolto ma giammai estinto.
Evola frequentò la Lega Teosofica indipendente, un movimento nato dopo
scissioni, scandali e furiose polemiche dalla Società Teosofica ed accettò di
buon grado di collaborare con la rivista Atanor per nulla preoccupato del fatto
che a cominciare da Ciro Alvi, il proprietario, per finire col direttore, Arturo
Reghini, la rivista anche se non dichiaratamente massonica, era in mano ai
massoni, di una specie di massoni però che con le idee sovversive, decadenti e
antitradizionali allora in voga non avevano nulla a che vedere.
"L'interesse di Evola per la spiritualità del mondo greco-romano e del mondo
orientale" scrive Thomas a pag. 41 risale al contatto con il gruppo della
rivista reghiniana "Atanor". Attraverso Atanor Evola conobbe gli scritti di
Guénon e da Guénon apprese "la tendenza, assai diffusa nella cultura francese, a
svalutare la civiltà romana"(pag.44); mutuò anche il disprezzo per il
Rinascimento italiano, giudicato in più occasioni un fenomeno "antitradizionale"
giudizio che faceva saltare di gioia i tradizionalisti cattolici.
"... I tentativi di Evola di superare il concetto di Nazione" (pag.217)
denunciano in verità una sostanziale sfiducia nella nazione in cui era nato,
l'Italia, e sono alla base delle sue "nostalgie per i tempi della Santa
Alleanza" che lo spinsero infine a buttarsi anima e corpo tra le braccia
dell'imperialismo germanico. Anche in materia economica "lo scrittore condannò
l'approccio paretiano... come troppo vicino al materialismo marxista e quindi
anti-tradizionale" (pag.219) o perchè, molto più probabilmente, come troppo
vicino alla tradizione italica e a Reghini che di quell'approccio si era qualche
volta servito.
Evola-Reghini: quale imperialismo?
È naturale che Thomas dedichi un intero capitolo del suo libro, e lunghi brani
dei primi capitoli, alle origini dell'imperialismo e allo scontro Evola-Reghini;
in questo episodio infatti v'è la chiave di lettura di tutto lo sviluppo storico
successivo, non solo quello influenzato dalle scelte razziste e pangermaniste di
Evola, ma anche quelle influenzate dalle decisioni politiche conciliatorie e
filo-cattoliche di Mussolini. Il capo del governo, nel firmare i Patti del
Laterano con la Chiesa, non si limitò ad un gesto opportunistico dettato da una
necessità politica, andò ben oltre: impresse alla politica fascista un'impronta
clericale, antilaica, liberticida e intollerante, un'impronta che non aveva
nulla di romano e di pagano. La dittatura era un'istituzione "romana", ma
Mussolini se ne servì per favorire i nemici della romanità e ridurre al silenzio
i veri romani odiati dalla Chiesa e dai gesuiti, alcuni dei quali erano
affiliati alla massoneria.
A questa strategia mussoliniana Evola diede il suo convinto appoggio e
contributo. Mussolini era un abile uomo politico ed amava stare al tavolo da
gioco con diversi assi nella manica. In questo modo egli era sicuro di poter
dirigere la partita e fare suo il risultato finale. Nella partita con la Chiesa
Mussolini sapeva di avere di fronte un avversario abile ed espertissimo ma non
poteva fare a meno di giocare e se necessario bleffare. Paganesimo e massoneria
erano tra le sue carte nascoste. Fin qui la posizione di Mussolini.
Negli ambienti massonici si sapeva però, fin dagli anni della guerra, che
Mussolini era un uomo facilmente manovrabile dalla Chiesa e seguivano quindi con
apprensione i movimenti pre-conciliatori.
Agli inizi degli anni '20, subito dopo la guerra, Evola debutta come scrittore e
come conferenziere. Reghini lo conosce ad una conferenza teosofica nel 1923. Per
Reghini il 1923 è un anno importante, di svolta, è l'anno della sua entrata nel
Rito Scozzese ma è anche quello della fondazione dell'Associazione Pitagorica. I
due episodi non sono speculari, il primo riflette il suo impegno profano, il
secondo quello iniziatico.
Nonostante Evola si tenesse lontano da ogni gerarchia sostenendo "il concetto
dell'io per agire senza vincoli, seguendo liberamente la propria indole" (pag.
33) Reghini, giudicandolo colto e intelligente, tentò di agganciarlo al suo
movimento culturale che non era quello massonico. Thomas riferisce quel che
avrebbe detto Evola e cioè (pag. 58) che "Reghini lo avrebbe inutilmente
sollecitato a aderire alla Massoneria". Chiarisco meglio la posizione di Reghini
perchè in questo modo mi sarà più facile smentire Evola: Reghini era contrario a
qualsiasi forma di propaganda e di reclutamento, valutava gli uomini che
incontrava secondo un suo personale criterio e decideva di volta in volta se
coinvolgerli e interessarli ai suoi studi; negli ambienti culturali romani si
era affermato come imperialista e scrittore di cose esoteriche piuttosto che per
il suo impegno massonico, fama che non doveva essere ignota ad Evola. Reghini
infine, dopo le dimissioni dal Rito Filosofico Italiano, nel 1914, era rimasto
estraneo alle lotte intestine del mondo massonico e dei gruppi esoterici.
La sua rentrée nel 1923 nella massoneria di Rito Scozzese subito dopo la
conquista fascista del potere, fu di carattere "politico": uso di proposito le
virgolette in quanto l'aggettivo "politico" va qui inteso pitagoricamente, come
servizio a favore di un ideale superiore che dentro l'istituzione massonica
scozzese aveva un punto di riferimento: chi ha letto l' appendice "La missione
di Arturo Reghini nel R.S.A.A." nella mia "Storia del Rito Filosofico Italiano"
sa cosa intendo dire e perciò non mi dilungo ulteriormente; spiritualmente e
gerarchicamente la sua posizione era già definita da tempo e non avrebbe avuto
bisogno dell'iniziazione scozzese per essere riconosciuta e confermata. Ritengo
quindi che Evola abbia mentito o abbia frainteso. Non era la prima volta.
In tutto il 1923 e 1924, nella corrispondenza di Reghini col suo Maestro, non
c'è traccia del nome di Evola (e Reghini non proponeva nessuno in massoneria
senza il consenso di ARA) segno che l'incontro di cui parla Thomas non aveva
prodotto nel pitagorico fiorentino nessun effetto speciale. In quegli anni egli
era impegnato in una lotta durissima contro i gesuiti ed era riuscito ad
esercitare una certa influenza sulle decisioni politiche, forse sullo stesso
Mussolini, attraverso i buoni rapporti che aveva stabilito con Emilio Settimelli
e Adriano Bolzon, il primo direttore de "L'Impero" fondato nel 1923 come
continuazione de "Il Principe" primo foglio imperialista fondato nel 1907 da
Nino Daniele, il secondo della giunta esecutiva del partito fascista.
Il dissidio con Evola maturava sulla scia dell'evoluzione politica del fascismo.
Il movimento fondato da Mussolini nel 1919 era diventato un torrente in piena e
si era trasformato in un partito di governo. Nonostante fosse scarso il
sentimento dello Stato, tutto lasciava credere che, viste le sue origini, non
avrebbe tradito le aspettative delle forze politiche e culturali che avevano
dato il contributo più alto alla vittoria e al rilancio dell'orgoglio italiano
nel mondo.
La massoneria si era distinta a favore dell'intervento in guerra contro gli
imperi centrali e a favore dell'irredentismo nazionale. La chiesa e i gesuiti
avevano condannato l'inutile strage, predicato il neutralismo e il disfattismo.
Sulla carta però, entrambi erano istituzioni di carattere internazionale, e
quindi era pretestuoso attaccare la prima e fare finta di nulla sulla seconda a
causa dell'internazionalismo.
All'ultimo round la massoneria, su pressioni vaticane, divenne invisa al
fascismo e Mussolini la mise al tappeto dichiarandola fuori legge. Era il 1925:
la politica italiana si piegava alle mire clericali, pur mantenendo nelle sue
manifestazioni esteriori un'enfasi ispirata al simbolismo militaresco
dell'antica Roma.
Evola si adeguò prontamente al cambiamento in corso. Lanciò uno strale al cuore
del Risorgimento italiano: se la prese con Mazzini definito "esponente italiano
del protestantesimo e del male europeo" (pag. 48) mentre si delineava in lui un
concetto di impero "rapportato esclusivamente al Medioevo cattolico germanico"
(pag. 48).
La tentazione pangermanista si faceva sempre più forte e nel prendere le
distanze dagli ambienti esoterici che lo avevano aiutato ad affermarsi come
scrittore e come filosofo, nel libro del 1928 tentò di accreditarsi come
"imperialista pagano".
In verità, il paganesimo che Evola aveva in parte malamente plagiato, non
impensierì nè Mussolini, nè la Chiesa, perchè "sono scarsi in Imperialismo
Pagano riferimenti al paganesimo inteso come quell'insieme di credenze e di
culti religiosi del mondo classico precristiano" e nemmeno in esso "si
condivideva la convinzione di Reghini secondo cui il pitagorismo, con le sue
severe regole di comportamento etico-religioso, potesse rappresentare un fattore
di continuità con la tradizione classica. La tesi evoliana era invece di natura
polemica e politica piuttosto che dottrinaria..." (pag. 51), una tesi cioè che
non avrebbe potuto impensierire la Chiesa adusa a fronteggiare nemici di ben
altra portata e livello.
Reghini invece con il suo spiritualismo pitagorico e la sua metafisica classica
era sceso in profondità, aveva toccato il cuore del problema italiano e aveva
condotto un attacco a fondo contro le istituzioni secolari del potere
politico-religioso che condannavano l'Italia a un ruolo di subalterna
inferiorità di fronte alla Chiesa e agli altri stati europei.
Reghini auspicava una ricostruzione spirituale nazionale senza curarsi troppo
dell'assetto istituzionale, tenendo vivo anzi all'interno dell'Associazione
Pitagorica un dibattito sull'alternativa monarchia/repubblica vista in
previsione di un ritorno delle alte cariche dello Stato (Senato, prima di tutto)
al concetto dell'antica sacralità romana, mentre "Evola avrebbe voluto
sostituire all'Europa cristiana un'Europa "imperiale", con una specie di
superuomo nicciano quale imperatore (...) gli aneliti "pagani" di Evola si
esprimevano soprattutto nell'individualismo spinto all'estremo...".
Quale differenza con il pensiero reghiniano che al rispetto del principio
classico e romano della gerarchia aveva sacrificato ogni ambizione individuale
ed ogni egoismo settario!
"Il dissidio con Reghini -aggiunge Thomas a pag. 53- segnava anche l'adesione di
Evola alla teoria complottista...Egli concordava , infatti, con le posizioni
antimassoniche del fascismo secondo cui l'azione politico-culturale di Reghini
non rappresentava altro che un indebito tentativo da parte della Massoneria
-considerata ipso facto sovversiva- di servirsi del fascismo per i propri fini"
(pag. 54).
L'adesione di Evola alla tesi "complottista" produsse delle vere e proprie
mostruosità: delazioni di polizia, tradimenti di amici divenuti sospetti,
saccheggi delle idee e degli scritti di quelli che erano diffidati a scrivere e
a parlare in pubblico, ed indusse il "tetro" filosofo ad affermare e sostenere
"la necessità politica della nuova alleanza tra fascismo e Chiesa Cattolica".
(pag. 55).
Nell'epistolario, da me riprodotto ne "Il figlio del Sole", Reghini separa
nettamente le due fasi dell'attacco evoliano alla sua persona e al suo
movimento. Il libro di Evola sull'Imperialismo Pagano apre le porte alla fase
conciliatoria e le reazioni risentite del pitagorico fiorentino miravano a
scongiurare un simile pericolo. Ma Reghini, nonostante fosse abbastanza bene
informato di quel che si tramava a Palazzo Venezia fu preso di sorpresa
nell'apprendere che il suo nome era stato incluso dal consigliere spirituale del
Duce, Padre Pietro Tacchi Venturi della Compagnia di Gesù, in una lista di
persone da mandare al confino.
Non risulta che in questa lista ci fosse anche il nome del "pagano" Evola; anzi,
dopo l'uscita di scena di Reghini e del suo gruppo si apriva per Evola "la lunga
stagione in cui... al posto della tesi del pericolo euro-cristiano si
contrapponeva quella della lotta alla congiura giudaico-massonica, nel quadro
del razzismo spirituale in chiave nordica". (pag.55).
Era ciò di cui avevano bisogno la chiesa e il partito cattolico, e poichè
"l'antimassonismo evoliano assomigliava più a quello dottrinale cattolico che
non a quello più propriamente politico del fascismo" gli antichi sostenitori di
un antiebraismo religioso approfittarono astutamente di Evola per sbaragliare
definitivamente il campo avversario in cui Reghini e gli iniziati italici
rappresentavano l'elite più colta e più combattiva.
Sono quindi arrivato al 1930, l'anno de "La Torre". UR era finita e dopo UR,
KRUR aveva subito la stessa sorte. Evola ormai senza più avversari, si preparava
all'irresistibile ascesa ai vertici della cultura fascista incoraggiato
dall'affermazione del nazismo in Germania.
Nel generale clima di esaltazione dei miti nordici ed ariani, dopo aver negato
al pitagorismo una dignità tradizionale, "il filogermanico Evola non risparmiò
l'attacco alla religione etrusca...", "...in quanto demetrico-lunare essa
sarebbe stata estranea alla civiltà romana... e lo stesso simbolo del fascio,
supremo simbolo del potere romano, essendo di derivazione etrusca". (pag.104).
Reghini aveva già scritto nel suo saggio su Simbolismo e filologia che "il
pentalfa (simbolo della Scuola Italica, ndc) ed il fascio littorio (tra i quali
passa più di un legame) sono i soli importanti simboli spirituali veramente
occidentali. Il resto, buono o cattivo che sia, vien dall'Oriente".
Dovette però attendere il 1934 per dare ad Evola la risposta che meritava e lo
fece scrivendo per la rivista "Docens" il saggio "Il fascio littorio" nel quale
leggiamo: Ci sembra allora giusto scorgere nel fascio littorio non soltanto il
simbolo della giustizia e dell'Imperium , ma ben anco il segno ed il simbolo
etrusco-romano di questa tradizione sacra; esso col numero delle verghe
componenti il fascio e col numero dei littori, fornisce un indizio della
ortodossia spirituale della tradizione etrusco-romana. Così il carattere nostro,
occidentale, etrusco di questo glorioso simbolo si fonde e si armonizza col suo
carattere universale tradizionale; ed ecco perché, rimanendo perfettamente
universalisti, ci piace esaltare questo simbolo spirituale etrusco-romano,
simbolo nostro e non esotico, simbolo di vita e non di morte, simbolo imperiale
e non patibolare.
Simbolo nostro, sottolinea Reghini con profonda convinzione e provata
conoscenza, e non degli illuminati tedeschi che alla fine della guerra avevano
fatto pervenire a lui e ad Armentano un invito, attraverso la massoneria, di
adesione all'imperialismo germanico, ricevendone un fermo diniego.
La stessa setta "imperialista" o qualcosa di simile ed affine che "cercava di
avere in Italia un agente generale" ci riprovò con Evola ed Evola si recò nei
paesi di lingua tedesca nel 1929, anno in cui, come ho ripetuto in altre sedi ed
occasioni, si chiuse per l'Italia la stagione esaltante del patriottismo della
vittoria e della speranza caratterizzata da un'Italia che "alla fine della
Grande Guerra aveva effettivamente raggiunto un traguardo geopolitico che nel
1914 ben pochi avrebbero osato di sognare" (pag.73) e si aprì la stagione delle
leggi speciali e della sofferenza, stagione dominata appunto dalla cultura
estorofila e razzista di Julius Evola e dall'invadenza politica della Compagnia
di Gesù.
Infine, non posso fare a meno di ricordare che il dualismo manicheo che
contrappone la virilità olimpica solare alla femminilità demetrico-lunare è
estraneo alla tradizione esoterica mediterranea (basti pensare alla doppia
natura del rebis ermetico) ed alla religiosità dei popoli italici;
nell'elaborazione evoliana, frutto della demonizzazione della donna, è servito
solo a compiacere la cultura germanica che mirava al dominio intellettuale
dell'intero continente europeo, sicchè lo stesso "nazismo -conclude Thomas-
potrebbe essere visto come una fase della politica pangermanista" (pag. 74).
Conclusione
Questa recensione avrebbe potuto essere molto più lunga. Non lo è perchè mi sono
astenuto dal trattare il problema del razzismo, tema centrale del libro di
Thomas, per due ragioni:
1) nella filosofia pitagorica e nella tradizione pagana rappresentate da Reghini
non v'è traccia d'un problema di questo genere e quando se ne parla, a parte
qualche accenno all'internazionale ebraica equiparata all'internazionale
gesuitica, è su basi scientifiche; infatti se è giusto sul piano antropologico,
etnologico, psicologico ecc. parlare di razze, stirpi, etnie, evoluzione
biologica, sul piano spirituale sarebbe un'aberrante dimostrazione di
materialismo inammissibile e incompatibile con la tradizione pitagorica pura;
nella Scuola Italica a nessuno importava se Cesare facesse fisicamente parte del
"tipo classico, romano bruno" (Evola) mentre si esaltava Cesare come "il solo
uomo dell'antichità manifestamente divino" (ARA);
2) Reghini non ebbe con Evola scambi di idee sulla questione razziale.
Concludo osservando che oggi, a differenza di ieri, l'asse della politica
mondiale si è spostato: da eurocentrico è diventato americanocentrico, mentre ad
Oriente la politica si sviluppa sulla bisettrice Russia (ex URSS) Medio Oriente
con qualche appendice europea.
Oggi, peggio di ieri, l'idea di un imperialismo italiano orientata sull'asse
nord-sud con al centro Roma appare un'utopia. Il mito di Roma è sempre più
offuscato e Roma ha un pallido riflesso di universalità solo quando il papa si
affaccia dalla sua finestra in Piazza San Pietro.
Mentre però i sostenitori dell'"imperialismo" americano, una brutta imitazione
del pangermanesimo barbaro e bellicista preso a modello, sembrano in difficoltà
e in affanno, prendono quota in Europa i fautori del paneuropeismo asiatico
forse per bilanciare, secondo la vecchia logica della politica dei blocchi,
l'influenza americana in Europa.
La Chiesa sta, come sempre, col vincente e col più forte, cioè con l'America.
Di imperialismo italiano quindi non se ne parla nemmeno, tanto meno in una
prospettiva di potenza euro-mediterranea sostenuta dal mito di Roma e
soprattutto dalla spiritualità della Roma imperiale e pagana.
I più distratti, per non dire i più smemorati, non sembrano aver appresa la
lezione del passato e, mentre alcuni (pensando forse solo al gas e al petrolio,
terrorizzati all'idea di tornare al braciere per riscaldarsi e di rinunciare
alla gita domenicale in auto) sperano in una reazione del Medio Oriente con
l'appoggio dell'Europa asiatica, altri si dilungano nella difesa di una civiltà
occidentale che è semplicemente la civilizzazione della macchina e del
consumismo senza freni.
Sono in corso animati dibattiti politici sull'ambiente, sull'aumento della
popolazione, sull'immigrazione selvaggia, sul bisogno di spiritualità di fronte
al generale fallimento delle religioni e della democrazia, che aprono larghi
spazi all'idea pitagorica sul destino dell'uomo e del mondo.
Appare evidente la necessità e l'urgenza di dare al nostro popolo e al nostro
continente una classe politica illuminata, ispirata ai dettami degli antichi
miti mediterranei che si stanno rivelando di un'attualità impressionante, segno
che ciò che è vero e sano non può finire nell'oblio.
L'essersi allontanati da essi o, peggio ancora, ignorarli per puro egoismo
materialistico, significa semplicemente scavarsi la fossa con le proprie mani.
"Il ritratto per molti versi inedito -conclude Thomas a pag. 242- che emerge in
queste pagine esige probabilmente una nuova valutazione delle successive
attività politico-culturali di Evola nel dopoguerra..." la cui influenza tra i
giovani di destra che nel dopoguerra simpatizzavano per la "Giovane Italia" o
per "Ordine Nuovo", sensibili come sempre al potere suggestivo dei miti e dei
simboli della patria, ha prodotto i risultati politici che sono sotto gli occhi
di tutti. A quei giovani, ormai cresciuti e diventati adulti, non rimane da fare
altro che salvare il salvabile e ricominciare tutto da capo
Questo libro di Dana L. Thomas è un'occasione da non perdere, è uno strumento di
riflessione importante, è un invito perentorio che dice: ritorniamo in noi, per
noi, per quello che fummo e che siamo e ciò che di italiano e di romano nel
passato fu grande, indipendentemente da come si è manifestato, oggi può rivivere
arricchito di tutto quel che l'esperienza della vita ha dato, e potrà nuovamente
aiutarci a uscire dal baratro in cui affondiamo.
Equinozio di primavera 2007
Roberto Sestito |